INVALSI. L’erba cattiva….
di Gabriele Boselli
Sembrava che, dopo aver
imperversato per una trentina d’anni, l’istituto nazionale della valutazione fosse
prossimo a esalare l’ultimo respiro; ma, come tutte le istituzioni che si sono
create una burocrazia, resiste pervicacemente oltre l’esaurirsi delle sue
ragioni d’essere e pure delle dichiarazioni degli ultimi ministri (ora i test
Invalsi “facoltativi” di Fioramonti) e
la malsopportazione dei docenti.
Eppure nella comunità dei
ricercatori altre teorie e tipologie di valutazione si sono da tempo delinate.
L’essenziale
non si vede subito, dunque non interessa
L’essenziale
-scriveva A. De Saint Exupery- “è invisibile agli occhi”. Nessun test potrà mai
mostrare l’attuarsi di quel che è essenziale (generativo) nell’educazione e
nell’istruzione: la pura, indifferenziata capacità di conoscere. Valutare il
conseguimento dell’essenziale a livello sistemico è difficilissimo ma una componente
come l’INVALSI, incistata nel sistema, vive esclusivamente nel visibile e nel
tassonomizzabile e ne propina, attraverso
i suoi chierici e chierichetti e pochi ma fanatizzati fedeli, un qualche
simulacro: l’essenziale è il rilevabile attraverso test. E’ peraltro vero –la
retorica politica lo impone- che qualcosa in materia di valutazione occorra mostrare:
ma sarebbe necessario farlo disinteressatamente, scientificamente, tenendo conto della
complessità del tema e dell’ipercomplessità semplificante e riduttiva dell’epoca
(1), non celebrando liturgie del pensiero calcolante o amministrante.
La
parte più influente sul potere della ricerca psico-pedagogica italiana mi
appare bloccata da mezzo secolo sui lavori di M. Gattullo e B.Vertecchi: il
secondo, ora, oggettivista pentito; il primo non ha fatto in tempo e forse
–data la sua matrice bertiniana- avrebbe forse cambiato idea. Sarebbe ora di
ripartire: l’istanza di scientificità potrebbe trovare ora risposte in modelli
epistemologici diversi da un galileismo fuori tempo e fuori campo.
Studi
importanti sono ad esempio condotti nell’ambito del Wordl Phenomenolgy
Institute di Vancouver già diretto da A.T.Tymieniecka; in Italia dal
gruppo di Encyclopaideia di Bologna (D.Bruzzone, M.Tarozzi), dal Centro di
fenomenologia e scienze della vita di Macerata
(F.Totaro e D.Verducci), dal Centro italiano di ricerche fenomenologiche
di Roma (allievi di A.Ales Bello).
Circolo perverso
Questo
comporta per noi fenomenologi il dover assumere una posizione teoretica di
contrasto alla macchina dei test surrettizialmente “oggettivi” di tipo INVALSI.
Stimolati anche dal vedere che stanno arrivando nelle professioni e nella
scuola gli studenti a suo tempo selezionati per l’accesso alle facoltà con
questa pratica: bravi quando si tratta di compilare stampati o di esercitare
pensiero conforme e replicante ma di rado brillanti in tutte quelle attività in
cui occorre capacità critica, attenzione a tutto campo, fantasia, inventiva.
Operatori
selezionati con metodologie oggettivistiche opereranno allo stesso modo
perfezionando il ciclo. Vittoriosi grazie ai test, decreteranno vincitori quelli
che risponderanno bene ai test. E dirigenti scolastici e ispettori
“convergenti”, selezionati a partire da test restringeranno l’orizzonte di senso della
scuola allineandolo e conformandolo all’attualità. Questo in tutte le
istituzioni, con effetti variamente perversi: buoni se si tratta di selezionare
personale per l’Agenzia delle entrate, pessimi per il personale impegnato
nell’educazione.
Le
ricerche accennate, come tutte quelle di area IEA, sono peraltro da prendere in
considerazione in quanto indicative dei loro presumibili effetti nel
condizionamento dell’opinione pubblica; occorre pure esservi attenti in quanto sono spesso ricche
anche di dati utili a valutare quella parte delle attività scolastiche in cui
viene posto in atto il pensiero convergente e replicante, un tipo di pensiero
tra qualche fuori mercato perché meglio operativo con l’intelligenza
artificiale.
Si
rileva quel che si vuol rilevare, il resto non conta
Dal mio
punto di vista – come vado predicando da trent’anni (Per una valutazione
ermeneutica, Infanzia 1989)- se la valutazione degli alunni, del personale
scolastico e delle scuole non ha adeguata struttura epistemologica, se la
committenza non è interessata alla verità ma alla produzione di materiale per
argomentazioni persuasive, la valutazione diviene uno strumento di pura
gestione del potere: se sei una scuola, ti valuto per l’efficacia della rappresentazione che –a
suon di test e di slides- sai rendere credibile nel pubblico; se sei un
insegnante o un dirigente ti valuto non
per quel che sai e sai fare ma per la buona opinione che deriva dalla tua
presenza e per l’obbedienza che mi presti. Se persegui valori diversi da quelli
che mi sono utili non considero i dati che li riguardano.
Il
tentativo ha anche rilevanza politica: se non vi è un modello di valutazione
scientificamente rifondato (oltre che generalmente rispettato, se non
condiviso, dalla comunità degli studiosi e dei docenti) valutare diviene
un’arma contro la libertà d’insegnamento e la libertà di pensiero. Una retorica di sostegno,
dunque e le valutazioni saranno non atti scientifici ma pratiche di
affermazione del Potere: riuscire a far svolgere ad altri compiti insensati è del
resto segno di puro potere.
Il
tentativo può essere allora quello di elaborare scenari ed elementi progettuali
per una teoria della valutazione che consenta di produrre non eventi politici
(ricerche da cui trarre plausibilmente documenti da portare sui media a
suffragio di interessi) ma atti veritativi.
Il
potenziale “pericoloso” della ricerca fenomenologica
La
valutazione delle scuole e di chi vi lavora su matrice sistemica e globalizzata
uniforma a una razionalità “post-imperiale” la preziosa pluralità delle culture
tradizionali e -non vi fosse la resistenza degli insegnanti- potrebbe
indebolire gravemente le capacità di pensiero critico.
Come
ogni teoria critica, la fenomenologia si libera il più possibile dalle
preesistenti pratiche configurative di masse di dati; non per respingere questi
ultimi o rinunciare a cercarne altri ma per scomporli, decostruirne le
strutture, ricomporli alla luce di principi diversi e intersoggettivamente
accreditati di analisi e di riconfigurazione. Non mira a verità presentabili
come ipostatiche, incontrovertibili (quelle introdotte da proposizioni come
“questo è il dato”o “bisogna prender atto che” etc.), ma a manifestare nel caso
nostro rappresentazioni della realtà delle scuole, plausibili narrazioni di valore del suo
manifestarsi alla comunità dei ricercatori, degli insegnanti, degli studenti,
dei genitori, del pubblico. Che detiene un “diritto al confronto con la realtà”
quotidianamente negato da quel sistema informativo globale di cui l’Invalsi è
emanazione.
Si
potrà allora indagare sui limiti dell’oggettività, sul come fare emergere il valore
delle produzioni dei soggetti e delle relazioni intersoggettuali, sulle
possibilità di un valutare ordinato su costellazioni assiologiche e non su valute
(standards riconosciuti di allineamento).
Serialità
dei processi, prevedibilità dei
risultati
In
ogni campo, i risultati di una ricerca sono spesso (a volte in gran parte) il
prodotto dei presupposti metodologici e dei modelli quanti/qualitativi
espliciti e impliciti. Le impostazioni della ricerca determinano
gli esiti. Quel che in una piccola ricerca è una frequente eventualità,
in una ricerca che richieda grossi finanziamenti e apparati stabili (es. PISA,
INVALSI) con le loro clerocrazie occorre che i risultati siano, se non utili,
almeno compatibili con il sistema. E gli interessi deontologicamente mal
controllati uccidono la verità del valore (autenticità e autorevolezza
dell’attribuzione del valore), se mai questa esista.
Nel
caso nostro si tratta di porsi in opera con il particolare profilo che questa
ricerca può assumere essendo fenomenologia in atto, atto (non
fatto, ovvero evento determinato da strutture precostituite) di una scienza
speciale e non specialistica, per storia, campo, concetto di metodo. Nella
scuola questo significa anche far assumere ai valutati un ruolo attivo nel
disegno dei processi e nei metodi di
valutazione. Secondo una valutazione fenomenologicamente impostata non ci sono
oggetti, solo soggetti. E l’intersoggettività esclude approcci oggettivistici
come di soggettivismo chiuso.
Innovare
le regole è rinnovare la valutazione e i suoi esiti
Per
ciò nella prospettiva fenomenologica delineata si pensa e da subito si opera
anche secondo regole innovative. La valutazione potrà essere atto di una
scienza
-non
mortificante, non amministrativa del dato secondo regole globali consolidate e
standardizzate in cui l’omaggiato oggetto di fatto scompare; sarà una ricerca pensante
il vivente, l’esistente concreto;
-avrà
come meta la valutazione dell’esperienza (di ciò per cui si è passati
attraverso, non la massa di conferma dei giudizi/pregiudizi );
-non
tenderà ad affermare che quel che si vede è ed è assolutamente reale e tutto
finisce nel constatare;
-sarà
una valutazione narrativa, consapevole delle propria storicità, concreta;
-si
sforzerà di essere pratica, “utile” non solo alla committenza ma anche agli
attori del servizio scolastico, in particolare agli alunni;
– non
avrà come suo scopo principale lo stilar classifiche, l’archiviare e il
giudizioso amministrare eventi, ma conoscere una regione del mondo della vita
sociale e aiutare chi vi si avventura.
La
curvatura fenomenologica
La
docimologia Invalsi, centrata sulle esigenze della committenza,
tende a classificare, cioè a ordinare/archiviare secondo criteri che rispondono
direttamente o indirettamente alle esigenze del gruppo di ricerca nel suo
rapporto con la committenza. E’ strumento partigiano. Il termine intenzionale è
mero oggetto, non ha gravità, non influisce sulle forme della ricerca e questa
procede linearmente, indifferente a ciò di cui tratta. Linearità di
riduzione delle irregolarità del mondo alla retta che intercorre fra
l’interesse del committente e l’immagine a priori che gli serve, attraversando
campi di valutazione avvertiti come estranei.
Invece,
la protensione verso l’oggetto costitutiva del procedere fenomenologico non è
allineante e troverà attuazione nella particolarità della curvatura fenomenologica(flessione/torsione dell’immagine
inerente sia alla sua base “reale” che all’ampiezza e alla velocità dei suoi
mutamenti/spostamenti entro il campo totale), indotta dal campo e dal termine
dell’argomento. Fare fenomenologia è
anche qui condurre una indagine sulle strutture mobili produttive delle manifestazioni
del reale che ci interpellano, non lasciandoci indifferenti come se
osservassimo strutture geologiche. La
scienza prende sempre parte alle dinamiche mondane, deve solo avere l’onestà di
non dissimularlo.
La
pedagogia come scienza filosofica (nel caso nostro fenomenologica) è peraltro
protesa all’impensato, all’imprevisto, allo scomodo, a quanto l’establishment economico
e politico glocal, con le sue
soffocanti reti di interesse- talvolta non è più in grado nemmeno di
immaginare. La retorica del potere
veicolata dalla ricerca docimologica ufficiale è lineare solo in riferimento a
se stessa ma essenzialmente non ha rispetto di ciò che osserva; di fatto spesso
copre, curva e altera.
La
ricerca fenomenologica mette in crisi l’immagine propagandistica, la incrina
come struttura rappresentativa dell’ esistente e con ciò apre al futuro, scopre
e innova. Accetta e a sua volta induce a curvature (non torsionali), in modo
autentico e trasparente. Atto puro, libero, atto di una scienza consapevolmente
ed esplicitamente anche politica, può accogliere il novum, sostenerlo con la
sua potenza
euristica e trasformatrice proprio perché onestamente interessata (da inter-esse).
E
allora, basta INVALSI, basta davvero!
G.
Boselli Per una valutazione delle scuole
e di chi vi lavora, n. 30, annata 2011 di Encyclopaideia,
Bononia University Press, Bologna
- La globalizzazione dell’economia forza l’ipercomplessità, indebolisce le tradizioni culturali e pedagogiche ed esige in ogni luogo del mondo una uniformità, informaticamente amministrabile, di processi valutativi che costituiscano il vero “programma ineludibile” delle strutture scolastiche. Vengono inibite le teleologie su base filosofica e le prassi valutative intese come tradizioni di atti ermeneutici si perdono nell’embricazione asimmetrica con modelli resi forti (per il potere che li impone) di teaching for testing (da G.Israel).
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