Possibile riforma degli organi collegiali: di istituto o territoriali?
di Cinzia Olivieri
Il 28 febbraio è stata annunciata
l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri di dieci disegni di legge di
delega al Governo per le semplificazioni, i riassetti normativi e le
codificazioni di settore.
Tra gli obiettivi in
materia di istruzione, oltre alla razionalizzazione, anche attraverso
fusioni o soppressioni, di enti, agenzie, organismi e riduzione del numero di
componenti degli organi collegiali degli enti sottoposti alla vigilanza del
Ministero, la revisione della “disciplina
degli organi collegiali territoriali
della scuola, in modo da definirne competenze e responsabilità, eliminando
duplicazioni e sovrapposizione di funzioni, e ridefinendone la relazione
rispetto al ruolo, competenze e responsabilità dei dirigenti scolastici, come
attualmente disciplinati”, il tutto nel rispetto del principio di autonomia
scolastica.
La bozza di schema di disegno di legge
diffusa a dicembre 2018 riportava invece una formulazione priva dell’aggettivo
“territoriali”. Sarà per questo che si parla in genere di prossima riforma degli
organi collegiali di istituto, con riferimento ai quali effettivamente si è da
tempo rappresentata la necessità di armonizzazione con le competenze e
responsabilità dei dirigenti scolastici.
In realtà solo i nostalgici della
partecipazione hanno memoria degli storici organi collegiali territoriali (consigli
scolastici distrettuali, provinciali e Consiglio Nazionale della Pubblica
Istruzione), di cui sopravvive soltanto il (nuovo) CSPI, eletto nel 2015 in
esecuzione della sentenza del Consiglio di Stato 834/15.
È utile ricordare che, come previsto dall’art.
21 L 59/1997, il Dlgs
233/99 aveva introdotto i nuovi organi collegiali
territoriali: consigli scolastici locali e regionali e, appunto, il Consiglio
Superiore della Pubblica Istruzione, che dovevano sostituire i vecchi “con effetto della costituzione dei nuovi organi” (art. 8 Dlgs
233/99 modificato dalla L
463/01), mai avvenuta.
Infatti, con la riforma del Titolo V, è
stata messa in discussione la coerenza di tale disposizione al nuovo assetto
costituzionale ma, ancora in vigore il Testo Unico, dapprima la CM
192/00 riconosceva la possibilità di indire solo eventuali
elezioni suppletive per i territoriali e successivamente la CM
141/01 le escludeva del tutto e definitivamente. Così i
consigli distrettuali e provinciali (che peraltro prevedevano la partecipazione
di genitori e studenti), svuotati progressivamente di competenze e risorse, cadevano
nell’oblio; erano costituiti i Forum Nazionali delle Associazioni degli
studenti e dei genitori; e solo il CNPI era prorogato di anno in anno fino al
2012. Il Consiglio di Stato, intervenuto
nel contenzioso amministrativo incardinatosi a seguito della sua mancata
proroga, proprio con riferimento alla dedotta circostanza che l’organismo
previsto dal Dlgs 233/99 avrebbe violato la ripartizione delle
competenze stabilite dalla riforma costituzionale del titolo V, affermava correttamente
che l’Amministrazione “non può rifiutarsi di applicare una norma
legislativa” per un “presunto vizio di legittimità” in merito al
quale può pronunciarsi solo la Corte Costituzionale. Tuttavia la norma è stata
applicata solo limitatamente al CSPI.
Quali potranno essere i possibili
scenari sul piano partecipativo a livello di singola istituzione scolastica?
Senza ribadire le criticità manifestate
in questi anni, nonostante l’auspicabile e condivisibile finalità, le cronache
rivelano le difficoltà di mediazione nel rapporto scuola famiglia da parte
degli organi collegiali.
Lo attesta la recente ordinanza
cautelare del Tar Lazio 1524/2019del
6.3.2019che ancora una volta, mentre si attende la decisione della
Cassazione, ha riconosciuto sussistente il fumus boni iuris e quindi il diritto degli alunni di consumare presso
il locale refettorio della scuola il cibo portato da casa, richiamando i
precedenti giurisprudenziali (Cons. Stato n. 5156/2018).
In questo caso oggetto di
impugnativa è stata anche una norma di regolamento della scuola che, ai sensi
dell’art. 10 Dlgs 297/94, è deliberato dal Consiglio di istituto. Nonostante i
precedenti autorevoli ed i reiterati riconoscimenti del diritto, si è reso
necessario ricorrere nuovamente alla giustizia. Il dialogo e la
corresponsabilità ne escono perdenti e ciò conferma che la scuola ha bisogno di partecipazione.
Il gruppo che aveva
lavorato nella scorsa legislatura sulle modifiche al “patto” ed alla riforma
della rappresentanza aveva proposto un modello di ampio coinvolgimento, proprio
nell’ottica di superare l’azione individuale e condividere gli interventi
educativi. Ma non si è dato seguito.
Comunque, se la notizia della riforma non
pare turbare eccessivamente al momento genitori e studenti (anche perché annunciata
da anni ad ogni legislatura) la circostanza che si parli per gli altri
organismi di soppressioni, fusioni, riduzioni non lascia ben sperare. A maggior
ragione laddove in VII^ Commissione Senato risulta presentato il DDL S.155, che sostanzialmente ripropone lo
storico testo unificato del DDL
S3542, ed in VII^ Commissione Cultura Camera con il PdL C697 è
effettuato il recupero della ex PdL 953 “Norme per l’autogoverno delle istituzioni
scolastiche e la libertà di scelta educativa delle famiglie, nonché per la
riforma dello stato giuridico dei docenti”, presentata nel lontano 2008. In nessun
caso le prerogative degli organi collegiali verrebbero potenziate.
Induce poi a riflettere la circostanza che
da quasi un ventennio resta il commissario straordinario negli
istituti omnicomprensivi, nonostante la CM 192/2000 l’avesse rappresentata come
una soluzione transitoria “in attesa delle istruzioni che
questo Ministero si riserva di diramare non appena acquisito il parere del
Consiglio di Stato in merito alla corretta ripartizione dei seggi tra le varie
componenti”. Ma non si sono più avute notizie in merito ed ancora
nella circolare elezioni di ottobre 2018 si legge che “continuerà ad
operare il commissario straordinario, non essendo ancora intervenuta una soluzione
normativa circa la composizione dl consiglio di istituto delle scuole in
questione”. Che abbia costituito una sorta di
sperimentazione di un modello essenziale di partecipazione a cui ispirarsi?
Ai
posteri la risposta.
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