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Torna l’ora legale, uno studente su tre non ci farà caso

da Tecnica della Scuola

Torna l’ora legale, uno studente su tre non ci farà caso
di Alessandro Giuliani
Gli esperti si soffermano sugli effetti positivi dello spostare le lancette un’ora avanti: disporre di maggiore luce e avere 60 minuti in più a disposizione. I negativi sono invece trascurabili. Soprattutto per chi è abituato a fare le ore piccole. Come il 30% degli studenti, che presentano un debito di sonno simile ai lavoratori turnisti.
Il 31 marzo lancette spostate in avanti di un’ora: torna l’ora legale, con indubbi vantaggi, economici e di vita. Bisogna però fare anche i conti con alcuni aspetti sconvenienti. Certamente marginali. E temporanei. Ma ci sono. Riguardano le abitudini quotidiane, che per alcune persone (soprattutto quelle più rigide oppure particolarmente fragili) vengono messe in discussione.
A ridimensionare gli allarmi è il professor Francesco Peverini, direttore scientifico della Fondazione per la Ricerca e la Cura dei Disturbi del Sonno Onlus. “Pur esistendo la necessità che corpo e cervello, e con essi il nostro modus vivendi, si adeguino all’orologio convenzionale, controindicazioni e possibili effetti negativi non solo sono trascurabili, ma anche di breve durata”, ha detto Peverini. Rilevando che “purtroppo i ritmi quotidiani attuali, sempre più frenetici ed ansiogeni, i ripetuti spostamenti in aree urbane trafficate, la stessa complessità della vita di relazione e del mondo del lavoro ci hanno abituato a continui e spesso repentini cambiamenti delle nostre consuetudini. Ci hanno assuefatto a convivere con dosi elevate di stress e a trovare rapidamente soluzione a molte situazioni critiche. Per cui lo slittamento di un’ora delle lancette dell’orologio rientra, anzi ricade, in questi sopportabili ‘scossoni quotidiani’” Per l`esperto di problemi di sonno, inoltre, “questi non sono mutamenti individuali, ma collettivi. Per cui, intorno a noi, tutti si muovono e operano secondo le nuove condizioni orarie, facendoci così sentire nel sistema e non solitarie vittime del nuovo orario”. Il professor Peverini ha colto l’occasione per dire che “la recente ma sommessa celebrazione della Sesta Giornata Mondiale del Sonno, celebrata il 15 marzo, ha consentito di porre maggiore attenzione ad altri e più rilevanti temi legati al sonno, quali l`insonnia autoindotta, ad esempio per lavorare di più nel timore di perdere il proprio lavoro, l`aumento oggettivo dell`insonnia nei Paesi colpiti da crisi economica, la costante e pericolosa diminuzione della durata del sonno dei bambini e degli adolescenti che tendono a restare svegli fino a tardi a causa dell`eccesso di uso di tv, computer, videogiochi. O, soprattutto negli adulti, all`abuso della notte per vivere nei social network, lo stillicidio delle morti per colpo di sonno alla guida di autoveicoli. Il 30 % degli studenti presenta un debito di sonno pari a quello dei lavoratori turnisti (Bess Austin – 2007). Il 12,5 % dei conducenti di mezzi pesanti lamenta una privazione di sonno fino a 3 ore per notte (Long Distance Driving – Philip et al.)”. Quindi, ha concluso l`esperto, “lievi difficoltà dei primi due o tre giorni ad adattarsi all`ora legale sono ampiamente compensate dai vantaggi, a partire dal disporre un`ora in più di luce: 60 minuti in più a nostra disposizione. Oltre ai noti e irrinunciabili benefici del risparmio energetico”.
Mentre sarebbe bene che coloro che si privano del sonno stabilmente rivedessero le loro abitudini. Ad iniziare dagli studenti: se i calcoli degli esperti sono corretti e consideriamo solo quelli italiani dai 13 anni in su, stiamo parlando di quasi un milione di ragazzi. Abituati a fare le ore piccole e a sottrarsi sonno non certo una volta l’anno.

Miur condannato a risarcire 30mila euro a una docente precaria

da Tecnica della Scuola

Miur condannato a risarcire 30mila euro a una docente precaria
Nuova vittoria dei precari della scuola. Il ministero dell’Istruzione è stato condannato dal Tribunale di Velletri (sezione Lavoro) a risarcire con oltre 30.000 euro un’insegnante precaria, assistita dal Codacons, per la condizione di precariato in cui ha dovuto svolgere per anni il proprio lavoro
Lo rivela in una nota l’associazione, spiegando che la vicenda nasce pochi mesi fa, quando il Codacons ha lanciato i ricorsi collettivi contro il Miur in favore di docenti e personale scolastico che “in sfregio delle norme vigenti si vedevano rinnovare i contratti a tempo determinato e quindi prolungare ingiustamente la loro vita professionale all’interno del limbo del precariato”. Il primo ricorso partito dinanzi al Tribunale di Velletri per conto di una insegnante, spiega il Codacons, ha visto il successo dell’azione legale proposta dall’associazione e il riconoscimento dei diritti del lavoratore. Nel riportare le motivazioni del giudice Antonianna Colli, il Codacons evidenzia come questi abbia accertato “il diritto della parte ricorrente a usufruire della progressione professionale retributiva in relazione al servizio prestato in esecuzione dei contratti a tempo determinato con la parte convenuta e, per l’effetto, condanna la medesima al pagamento delle relative differenze stipendiali maturate, oltre interessi legali dalla maturazione al saldo, nonché alla regolarizzazione contributiva e previdenziale conseguente al riconoscimento delle differente retributive derivanti dagli scatti stipendiali riconosciuti”. Si tratta di una sentenza, conclude il Codacons, che spiana la strada ai risarcimenti in favore dei circa 2mila precari della scuola che, attraverso il Codacons, hanno fatto causa al ministero per veder riconosciuti i diritti di lavoratori e ottenere le retribuzioni finora non percepite

Biondi (Miur): “Max 5 milioni per ciascun edificio”

da Tecnica della Scuola

Biondi (Miur): “Max 5 milioni per ciascun edificio”
di P.A.
Prende quota il sistema voluto dal Miur per realizzare scuole con un minimo di quota di fondi pubblici statali e cercando il concorso di capitali privati, di risorse – anche non monetarie – di altri enti pubblici e sfruttando il meccanismo dei fondi immobiliari
Il Miur, riferisce Il Sole24 Ore, ha definitivamente approvato il Decreto ministeriale con cui si mettono a disposizione 38 milioni di euro. Giovanni Biondi, Capo dipartimento per la Programmazione del Miur, riferisce inoltre che “il Decreto è pronto per la pubblicazione e che approderà in Gazzetta alla fine della prossima settimana”.
Si tratterà di una sorta di bando di gara, perché dal momento della pubblicazione, le amministrazioni locali e territoriali, hanno 15 giorni di tempo per manifestare il loro interesse all’operazione, “prenotando” i fondi. “Fondi che – precisa Biondi – verranno assegnati alla fine della procedura, all’atto della costituzione del fondo immobiliare”. Biondi riferisce pure che “il ministero ha stanziato 38 milioni da assegnare come contributo a fondo perduto per sostenere l’equilibrio economico dei fondi immobiliari. Si tratta di risorse a valere su vecchi stanziamenti per i programmi di edilizia scolastica e non di somme a valere sul nuovo fondo per l’edilizia scolastica. Ciascun ente potrà ottenere fino a un massimo di 5 milioni di euro”. E aggiunge pure che se
il comune, o la regione o la provincia hanno già in essere un fondo immobiliare multicomparto creato per altri scopi, al MIur interessa solo cofinanziare nuove scuole. Finora, dice Biondi sono già firmati “due protocolli d’intesa, a Firenze e Bologna. Il comune di Bologna è più avanti: ha già costituito il fondo immobiliare, Inarcassa lo ha sottoscritto e ora si stanno aprendo i cantieri per una decina di scuole. Abbiamo firmato un protocollo d’intesa anche a Firenze, con il sindaco Matteo Renzi. Ma ci sono altri enti interessati, Brindisi mi risulta, e Torino, oltre ad altri Comuni nelle Marche e in Emilia Romagna”. Intanto sono in uscita anche le nuove linee guida per l’edilizia scolastica, le quali saranno, spiega Biondi al Sole 24 Ore, in due tappe: “una parte di filosofia architetturale, che descrive gli ambienti con i principi cui ispirarsi per la progettazione. Poi c’è l’allegato tecnico. Su quest’ultimo c’è ancora da attendere la conclusione dell’esame da parte delle Infrastrutture”. Secondo quanto comunicato dal Miur, per accedere ai contributi gli Enti locali/Regioni dovranno presentare richiesta, all’indirizzo di PEC: dppr@postacert.istruzione.it entro il termine di 15 giorni dalla pubblicazione della direttiva sulla Gazzetta Ufficiale, specificando l’importo del contributo richiesto ed inviando il modello di protocollo di intesa, nel quale dovranno essere espressamente indicati gli interventi da realizzare ed il relativo costo totale.

Graduatorie interne per individuare i soprannumerari dal 10 al 24 aprile

da Tecnica della Scuola

Graduatorie interne per individuare i soprannumerari dal 10 al 24 aprile
di L.F.
È utile ricordare che il dirigente scolastico competente provvede, entro i 15 giorni successivi al termine del 9 aprile, fissato nell’OM n. 9 del 13 marzo 2013, come scadenza per la presentazione delle domande di mobilità dei docenti, alla formazione e pubblicazione all’albo dell’istituzione scolastica delle graduatorie interne relative agli insegnanti titolari.
Per quanto detto le scuole saranno tenute a pubblicare le graduatorie interne, per individuare i docenti soprannumerari, nell’arco temporale tra il 10 e il 24 aprile 2013. Si consiglia ai docenti di incominciare a preparare tutta la documentazione da allegare alla domanda ai fini dell’inclusione oppure dell’esclusione dalla suddetta graduatoria interna. Vogliamo ricordare che l’esclusione dalla graduatoria interna per i beneficiari della precedenza di cui al punto V dell’art. 7 del Ccni mobilità 2013-2014, cioè la precedenza di chi assiste il coniuge, il figlio disabile oppure come referente unico il genitore con disabilità, si applica solo se si è titolari in scuola ubicata nella stessa provincia del domicilio dell’assistito.  Qualora la scuola di titolarità sia in comune diverso o distretto sub comunale diverso da quello dell’assistito, l’esclusione dalla graduatoria interna per l’individuazione del perdente posto si applica solo a condizione che sia stata presentata, per l’anno scolastico 2013/2014, domanda volontaria di trasferimento per l’intero comune o distretto sub comunale del domicilio dell’assistito o, in assenza di posti richiedibili, per il comune o il distretto sub comunale viciniore a quello del domicilio dell’assistito con posti richiedibili.  La condizione appena detta non deve essere tenuta in conto, qualora la scuola di titolarità comprenda sedi (plessi, sezioni associate) ubicate nel comune o distretto sub comunale del domicilio del familiare assistito. Il personale beneficiario delle precedenze di cui ai punti V) e VII) dell’art. 7 Ccni mobilità, non inserito nella graduatoria d’istituto per l’identificazione dei perdenti posto, è tenuto a dichiarare, entro i 10 giorni antecedenti il termine ultimo di comunicazione al Sidi delle domande di trasferimento, il venir meno delle condizioni che hanno dato titolo all’esclusione da tale graduatoria. In tali casi il dirigente scolastico è tenuto a riformulare immediatamente la graduatoria di istituto e a notificare agli interessati e all’ufficio territorialmente competente le eventuali nuove posizioni di soprannumero.  Si ricorda che le date ultime di comunicazione al Sidi, dalle quali si calcolano i 10 giorni antecedenti, sono riportate nell’art. 2 del O.M. n. 9 del 13 marzo 2013. Nel particolare le date per il termine ultimo di comunicazione al Sidi delle domande di mobilità e di posti disponibili sono: il 30 aprile per le scuole dell’infanzia e le primarie, il 3 giugno per le scuole secondarie di primo grado, il 20 giugno per quelle di secondo grado e il 4 maggio per il personale educativo.

La partita di tennis e l’Anp. Ma il contratto non è un gioco

da Tecnica della Scuola

La partita di tennis e l’Anp. Ma il contratto non è un gioco
di Lucio Ficara
Continua la sterile ed inutile diatriba tra chi ritiene corretta l’applicazione integrale dell’art. 6 del CCNL scuola 2006-2009, ancora vigente, e chi invece è sostenitore della legge n.150/2009, nota come legge Brunetta, che abrogherebbe una parte del su citato art. 6 del contratto collettivo
Accade così che alcuni dirigenti scolastici particolarmente ligi ritengono, a nostro avviso illegittimamente e assumendosene tutte le responsabilità, di non trattare con le RSU, in sede di contrattazione d’Istituto, le materie di cui all’art. 6, lettere h); i) ed m) del CCNL scuola 2006-2009, in quanto secondo loro questa è materia di organizzazione del lavoro del personale scolastico, dall’entrata in vigore della legge n.150/2009, tocca esclusivamente alle decisioni insindacabili del dirigente. In sostanza alcuni dirigenti scolastici e le associazioni che li rappresentano, sostengono che l’organizzazione del lavoro del personale scolastico è una prerogativa esclusiva del dirigente scolastico, che ha solo l’obbligo di informare le rappresentanze sindacali, ma non deve contrattare su questa materia. Secondo questa lettura i punti h); I) ed M) dell’art. 6 comma 2 verrebbero cancellati con un tratto di penna. Si tratta in particolare della modalità di utilizzazione del personale docente in rapporto al piano dell’offerta formativa e al piano delle attività e modalità di utilizzazione del personale Ata in relazione al relativo piano delle attività formulato dal Dsga, sentito il personale medesimo; criteri riguardanti le assegnazioni del personale docente, educativo ed Ata alle sezioni staccate e ai plessi, ricadute sull’organizzazione del lavoro e del servizio derivanti dall’intensificazione delle prestazioni legate alla definizione dell’unità didattica. Ritorni pomeridiani; criteri e modalità relativi alla organizzazione del lavoro e all’articolazione dell’orario del personale docente, educativo ed Ata nonché i criteri per l’individuazione del personale docente, educativo ed Ata da utilizzare nelle attività retribuite con il fondo di istituto. A leggere bene questi punti, non si tratta di cose di poco conto, ma di una materia che dovrebbe essere discussa e quindi contrattata tra Ds e Rsu. L’Anp (associazione nazionale presidi), in una nota sul proprio sito, dopo la sentenza del 7 febbraio 2013, in cui il tribunale di Lucca condanna un dirigente scolastico per comportamento antisindacale per non aver contrattato i punti h) ; i) ed m) dell’art. 6 c. 2 del CCNL scuola, invita tutti i dirigenti scolastici a non andare contra legem ed ad applicare regolarmente la legge 150/2009. In questa nota compare una curiosa esternazione dell’Anp, che dice: “ad oggi, nulla risulta immutato rispetto al passato, se non si vuole considerare stravolgente il passaggio dalla situazione di vantaggio tennistico per “6-0” a quella, altrettanto tennistica, di “6-1”, e permane quindi la assoluta prevalenza della linea interpretativa secondo cui le materie di cui alle lettere h), i) ed m) del secondo comma dell’art. 6 del Ccnl scuola non possono più essere oggetto di contrattazione”. A parte che ci sembra irriverente per i lavoratori della scuola e per tutte le Rsu, parlare di un vantaggio tennistico, su questioni che attengono ed attentano la democrazia nel mondo del lavoro, ma poi ci verrebbe da dire: “ma quale partita di tennis sta guardando l’Anp?” Ci piacerebbe dire che la questione sui punti h), i), m) dell’art. 6 è più complessa ed articolata di come l’Anp voglia fare apparire. Non si tratta di un risultato tennistico di 6-1, ma di qualcosa di più serio che una semplice partita da tennis. Per esempio oltre il tribunale di Lucca che condanna per comportamento antisindacale il ds che non contratta secondo il dettato dell’art.6 del CCNL scuola, ricordiamo la sentenza n. 163 del 1 giugno 2011 del tribunale di Nuoro, che dichiara antisindacale il comportamento tenuto da un dirigente scolastico, per non aver effettuato la contrattazione integrativa di cui all’art. 6, lettere h, i ed m, del Ccnl 2006/2009,ma ci sono ancora le sentenze di Bologna, Nuoro, Trieste, Torino, Treviso, Napoli che invitiamo dirigenti scolastici e Rsu a rispettare integralmente il vigente Ccnl nella contrattazione integrativa 2012-2013.

Noi, i nuovi analfabeti traditi dalla tecnologia

da la Repubblica

Noi, i nuovi analfabeti traditi dalla tecnologia

La metà degli italiani non capisce un bugiardino o un foglio di istruzioni. È un Paese di illetterati di ritorno. Complice la tecnologia

Questi sono i test di «prose literacy» predisposti dall’inchiesta All (AdultLiteracyandLife Skills), un progetto di ricerca internazionale che ha sondato le competenze degli adulti tra i 16 a i 65 anni in sette paesi: Bermuda, Canada, Italia, Norvegia, Svizzera, Usa e Messico (2003-2005). Gli esiti dei questionari nel nostro paese? Solo il 20 per cento di italiani è in grado di superare il terzo livello, ossia mostra competenze sufficientemente sicure. Per il resto, il 5 per cento della popolazione non sa rispondere alla domanda sul farmaco, ossia non supera le prove minime di competenza. Quasi la metà degli italiani si smarrisce davanti alla pianta ornamentale, mostrando una competenza alfabetica molto modesta, «al limite dell’analfabetismo», recita il rapporto All. E il 33 per cento non è capace di sistemare il sellino della bicicletta, ossia denuncia «un possesso della lingua molto limitato». E le cose non vanno meglio nell’esecuzione dei calcoli matematici e nella lettura di grafici o tabelle: anche in quest’ambito l’80 per cento degli italiani fa molta fatica. Siamo un popolo di illetterati, che però non sa di esserlo. E forse non vuole neppure saperlo. L’analfabeta del nuovo secolo mostra caratteristiche assai diverse dal più malmesso progenitore, che non sapeva leggere né scrivere. La versione più aggiornata può vantare una pur minima scolarizzazione — talvolta anche molto più che minima — che però è andata polverizzandosi nel tempo, spazzata via da crescenti difficoltà nella comprensione di un testo elementare o nella più semplice delle operazioni. Ma se un tempo l’analfabeta assoluto era disposto anche ad uccidere pur di nascondere la sua vergognosa condizione,l’illetterato contemporaneo galleggia nella totale incoscienza, includendo nel proprio status categorie sociali al di sopra di ogni sospetto, anche felicemente confortate da buoni redditi. Un’illusione di civiltà destinata tra poco a essere infranta dall’Ocse, che renderà pubblica in ottobre la grande inchiesta internazionale sull’Italia (per la prima volta inclusa la popolazione immigrata) e altri ventiquattro paesi, tra Europa e America, Asia e Australia. Le anticipazioni certo non rallegrano. L’indaginepilotapromossa da Piaac-Ocse conferma l’alto tasso di illetteralismo italiano — più o meno i recenti dati All riportati sopra — ma con un nuovo rischio rispetto al passato, ossia la minaccia che il fenomeno possa drammaticamente contagiare le nuove generazioni. Il rapporto reso ora pubblico dall’Isfol — realizzato tra aprile e giugno 2010 e con un valore ancora parziale — ci dice in sostanza che, oltre al tradizionale serbatoio di pensionati e casalinghe (attenzione: non vecchietti e vecchiette, visto che il target va dai 16 ai 65 anni), la fascia più vulnerabile è quella che include i disoccupati dai 26 ai 35 anni. Finita la scuola, le competenze tendono a diminuire, specie quando non vengono avviati nuovi processi di apprendimento legati al lavoro. E l’analfabetismo di ritorno minaccia di inghiottire le leve più giovani, proprio quelle a cui è affidato il futuro del paese. Ma chi sono gli illetterati italiani? E dove si concentrano? Lo zoccolo duro coinvolge le fasce anagraficamente più elevate, distribuito soprattutto nel Mezzogiorno e nelle isole, nei piccoli centri più che nelle grandi città. Ma le inchieste condotte da Vittoria Gallina — la studiosa che con pazienza certosina da oltre dieci anni monitorizza il popolo italiano — ci dicono che gli analfabeti di ritorno si annidano anche tra i piccoli imprenditori del Nord Italia, in Lombardia più che in Piemonte. E se la Campania è certo più in basso rispetto alla media nazionale, l’operosa Padania non si innalza più di tanto dalle cifre della vergogna italiana, che nelle zone industrializzate si concentra tra disoccupati e operai con le mansioni più basse ma non esclude i padroncini di aziende con qualche dipendente. Anche un’inchiesta del Cede di qualche anno fa disegnava il profilo dell’analfabeta benestante, con un reddito personale superiore a 40 mila euro e proprietà di famiglia oltre i 140 mila. Persone che vivono come una minaccia l’invito allo studio perché non ne avvertono la necessità. Una tendenza che viene favorita dalla tecnologia, soccorrevole nel colmare — e dunque nel nascondere — le enormi lacune degli italiani somari. Non siamo più in grado di leggere una mappa stradale o di fare un calcolo? Navigatore e calcolatrice sono lì per aiutarci. «Il benessere economico ti risolve ogni problema», sintetizza Arturo Marcello Allega, autore del documentato saggio Analfabetismo. Il punto di non ritorno (Herald Editore). «Se devo far dei conti, vado dal commercialista. Se devo evadere il fisco, mi consulto con il mio notaio. E per i documenti mi rivolgo a un’agenzia di servizi. Questo è il nuovo modello di adulto e di felicità». Che si realizza però quando il reddito lo consente. E l’illetteralismo — ci aggiornano i sondaggi ai tempi della crisi — è un impedimento gravissimo, non più tollerato da una società complessa. Il nuovo analfabetismo «funzionale » ci riporta a quel 70 per cento di analfabetismo assoluto che segnò il principio della nostra storia nazionale, miracolosamente battuto nell’arco di un secolo e mezzo. Un trionfale grafico dell’Istat disegna il crollo dai livelli altissimi del 1861 — 80 per cento per le donne, 70 per cento per gli uomini — all’attuale uno per cento. Sembra definitivamente archiviata l’immagine del contadino che firma tracciando una croce. «Ma è molto difficile che un vero analfabeta ammetta di esserlo», obietta la professoressa Gallina, propensa a contenere gli entusiasmi. «Più verosimile che tenda a nasconderlo, affidando ad altri la compilazione del questionario». La letteratura gialla è ricchissima di omicidi perpetrati da analfabeti disposti a tutto pur di celare la propria condizione. Qualche anno fa il linguista Massimo Vedovelli si prese la briga di catalogarli e nella gran parte della storie — da Ruth Rendell a Bernard Schlink — l’analfabetismo assurge a generatore di morte, non solo e non tanto individuale ma del sistema sociale. Quello di nuovo conio è invece socialmente accettato, anche perché protetto dall’inconsapevolezza. Chi è analfabeta di ritorno, in altre parole, ne è serenamente ignaro, condividendo la sua condizione con l’80 per cento della popolazione. Un’emergenza alfabetica causata anche dalla limitatezza della scolarizzazione in Italia: nel 2002, il 63 per cento con più di 15 anni aveva ancora al massimo la licenza media. È questo il dato che trasforma in patologia un fenomeno regressivo comune alla quasi totalità dei paesi avanzati. A ricordarcelo è Tullio De Mauro, lo studioso che più di tutti ha fatto della battaglia all’analfabetismo una missione civile e culturale. «Nel nostro paese», denuncia sulla rivista IlMulino,«airesiduimassiccidi mancata scolarità si sommano fenomeni di de-alfabetizzazione propri delle società ricche». La sua sintesi induce allo sconforto. «Solo una percentuale bassissima di italiani è in grado di orientarsi nella società contemporanea, nella vita della società contemporanea, non nei suoi problemi». Un grave deficit che è anche un limite nell’esercizio di cittadinanza, e dunque un temibile avversario per la democrazia, inspiegabilmente ignorato dalle nostre classi dirigenti. Quando non viene cavalcato con lucido discernimento. Naturalmente c’è anche chi sta peggio di noi, ma per trovarlo bisogna volare in Centro America. È lo Stato di Nuevo León, in Messico. Noi e loro, gli ultimi della classe.

Maturità a 18 anni Profumo ritira il decreto

da LaStampa.it

Maturità a 18 anni Profumo ritira il decreto

roma

«Ora è ufficiale: fonti sicure interne al ministero dell’Istruzione danno per tramontata l’intenzione del ministro Profumo, espressa alcuni giorni fa tra lo stupore generale, di avviare un percorso di studi ridotto che avrebbe portato ad anticipare gli esami di maturità a 18 anni al posto degli attuali 19. Salta, così, il piano immediato di sperimentazione del progetto, attraverso cui già dal prossimo anno scolastico una decina di istituti pilota avrebbero eliminato un anno di scuola d’infanzia o cancellato il quinto anno di corso della scuola primaria oppure ristretto a una sola annualità l’attuale biennio iniziale della scuola superiore». Lo sottolinea l’Associazione Nazionale Insegnanti e  Formatori (Anief) in una nota.

L’Anief ha sin dal primo momento respinto con forza tutte e tre le ipotesi. «Prima di tutto – spiega – perché questi percorsi formativi improvvisati ci avrebbero allontanano, anziché avvicinarci, ai modelli di studio in vigore nella gran parte dei Paesi più avanzati dell’area Ocse. In secondo luogo perché ci avrebbero propinato l’ennesima riforma tagli-posti, mascherata da una improbabile proposta didattico-pedagogica: il vero obiettivo della riduzione del percorso scolastico rimane infatti quello di cancellare almeno 50mila posti di lavoro, dopo i 200mila già dileguati nel nulla, per le solite esigenze di cassa, negli ultimi sei anni».

«Il giovane sindacato ha poi sempre sostenuto che un ministro dimissionario, appartenente ad un Governo tecnico privo di consenso elettorale, deve limitarsi all’ordinaria amministrazione – continua – E non di certo avventurarsi in sperimentazioni da cui dipende il futuro formativo di milioni di giovani studenti».

«I nostri giovani – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief – non hanno bisogno di percorsi di studio ridotti, ma di una maggiore alfabetizzazione e specializzazione. Non si comprende il motivo per cui il Miur presta attenzione a queste iniziative a dir poco discutibili, mentre si continuano ad ignorare le vere emergenze dell’istruzione e formazione in Italia. Come l’abbandono universitario del 25% e quello della scuola dell’obbligo, in alcune aree del Paese ancora maggiore. Per quale motivo non si pensa ad introdurre, proprio per superare l’alto numero di giovani che lasciano gli studi precocemente, di introdurre un serio apprendistato, come avviene in Germania dove oltre un milione e mezzo di alunni praticano con successo l’alternanza scuola-lavoro?».

«Sarebbe poi utile capire – continua il presidente Anief – come mai si continua a non introdurre l’organico funzionale negli istituti, con la gestione delle risorse umane finalmente delegata ad ogni singola scuola autonoma. Come sarebbe stato molto utile avviare un albo di”orientatori”, composto da formatori esperti cui i tanti studenti disorientati della scuola medio-superiore e dell’università si potrebbero rivolgere. Sono tutte iniziative – conclude Pacifico – che chiederemo al nuovo Ministro. Dopo esserci preso il giusto merito di avere fermato l’assurdo progetto di riduzione di un anno del tempo scuola».

Profumo: il mio mandato è finito. E con gli auguri di Pasqua arriva pure il commiato

da Tecnica della Scuola

Profumo: il mio mandato è finito. E con gli auguri di Pasqua arriva pure il commiato
di Alessandro Giuliani
Messaggio sul sito del Miur da parte del ministro dell’Istruzione: nel rivolgersi a colleghi professori, ricercatori e personale scolastico, dell’università e del ministero, nonché alle famiglie e “soprattutto agli studenti”, il responsabile del Miur esprime gratitudine. Poi elogia il ruolo delle aule e dei laboratori, auspica che la stagione dei tagli sia al capolinea e consigliadi guardare all’Europa.
“In fin dei conti io sono, e resto, un professore, un ricercatore, un padre. Buone feste a tutti voi”. È con queste parole che il ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo, ha voluto inviare un messaggio scritto di auguri in occasione delle feste pasquali, ‘postato’ sul sito del Miur rivolto a tutti coloro che sono impegnati nel comparto scolastico, dell’Università e della Ricerca: nel rivolgersi a colleghi professori, ricercatori e personale scolastico, dell’università e del ministero, nonché alle famiglie e “soprattutto agli studenti”, le parole di Profumo hanno assunto però anche il sapore del commiato. “A conclusione di questa esperienza di governo – scrive il Ministro uscente – voglio esprimere a tutti voi la mia sincera gratitudine, perché attraverso il contatto continuo che abbiamo avuto ho imparato tanto. Questo anno e mezzo di lavoro insieme, infatti, ha rappresentato per me un’occasione di grandissimo arricchimento, personale oltre che professionale”.
Dopo aver elogiato i tanti “Professionisti che, nel dedicarsi al proprio lavoro, ogni giorno mettono al servizio della collettività non soltanto le proprie competenze, ma la propria dedizione”, Profumo si è soffermato sull’importante delle “aule e dei laboratori”, perchè “restano i templi pagani, dove coltivare e tramandare la nostra profonda e ammirata cultura”.
“Proprio per questo – continua – sono persuaso del ruolo centrale della formazione e della ricerca, che la politica deve tornare a valorizzare archiviando una lunga stagione di tagli, a favore di un rilancio nel segno della competitività, delle regole e di un uso più mirato ed efficiente delle risorse. In questo ci viene incontro l’Europa, a cui dobbiamo sempre più a fare riferimento, e dove dobbiamo imparare ad essere più competitivi nel guadagnarci le molte risorse a disposizione, una buona parte delle quali proviene dalle nostre tasche, attraverso le tasse”.
Profumo traccia, quindi, un resoconto dei provvedimenti portati a termine negli ultimi 18 mesi a capo del Miur, anche nell’ultima fase di ordinaria amministrazione del governo, durante la quale l’impegno “non è venuto meno”, perché bisognava “chiudere tutti i processi che avevo avviato e portato a conclusione”, l’ultimo dei quali rappresentato dal decreto per dare il via libera ai libri digitali, sui banchi a partire dall’a.s. 2014/2015.

Ocse: la metà degli italiani legge ma non capisce. Analfabetismo funzionale

da Tecnica della Scuola

Ocse: la metà degli italiani legge ma non capisce. Analfabetismo funzionale
La maggior parte degli italiani a stento riesce a comprendere la posologia di un farmaco: il 5% non capisce quanto scritto sul bugiardino. La metà poi, non è in grado di discernere le informazioni su un foglio di istruzioni
Per non parlare di come montare il sellino di una bici: il 33% di fronte a una pagina contenente più informazioni non è in grado di individuare la soluzione del problema. E’ il nuovo alfabetismo che avanza e che a differenza di quello classico di chi non sapeva né leggere né scrivere, si è fatto più subdolo: è quello di chi sa leggere, ma non comprende. A misurare il nuovo fenomeno è un’indagine dell’Ocse, denominata All, Adult Literacy and Life Skills). I test di prose literacy, così vengono chiamati, sono stati somministrati a persone di età compresa tra i 16 e i 65 anni, in sette paesi del mondo : Bermuda, Canada, Italia, Norvegia, Svizzera, Usa e Messico. Peggio di noi soltanto i messicani del Nuevo Leòn. Il rapporto è ancora parziale, ma i primi dati non sono certo rassicuranti. Scientificamente si chiama analfabetismo funzionale e designa l’incapacità di un individuo di usare in modo efficiente le abilità di lettura, scrittura e calcolo nelle situazioni della vita quotidiana. I test sono organizzati per livelli. Il primo step, superato il quale si dimostra di avere una competenza alfabetica “al limite dell’alfabetismo” è quello che prevede di decifrare l’etichetta di un farmaco sulla quale è riportato il numero di giorni di assunzione del medicinale. Il 5% degli italiani non è in grado di comprenderlo. Il secondo livello richiede di seguire le istruzioni per curare una pianta ornamentale. Il breve testo, contenente due informazioni diverse è comprensibile solo per la metà della popolazione. Il terzo livello richiede di montare un sellino, il 33% ha una capacità di linguaggio troppo limitata per riuscire a farlo. Ma chi sono gli analfabeti del nuovo millennio? Simonetta Fiori, sul quotidiano la Repubblica, riassume così le caratteristiche degli illetterati: oltre al tradizionale serbatoio di pensionati e casalinghe (attenzione: non vecchietti e vecchiette, visto che il target va dai 16 ai 65 anni), la fascia più vulnerabile è quella che include i disoccupati dai 26 ai 35 anni. Finita la scuola, le competenze tendono a diminuire, specie quando non vengono avviati nuovi processi di apprendimento legati al lavoro. E l’analfabetismo di ritorno minaccia di inghiottire le leve più giovani, proprio quelle a cui è affidato il futuro del paese. Geograficamente sono così distribuiti: Lo zoccolo duro coinvolge le fasce anagraficamente più elevate, distribuito soprattutto nel Mezzogiorno e nelle isole, nei piccoli centri più che nelle grandi città. Ma le inchieste condotte da Vittoria Gallina — la studiosa che con pazienza certosina da oltre dieci anni monitorizza il popolo italiano — ci dicono che gli analfabeti di ritorno si annidano anche tra i piccoli imprenditori del Nord Italia, in Lombardia più che in Piemonte. Repubblica sottolinea poi come la migliore nemica degli analfabeti sia la tecnologia, utile a colmare le lacune dei più ignoranti. “Non siamo più in grado di leggere una mappa stradale o di fare un calcolo? Navigatore e calcolatrice sono lì per aiutarci […] Se devo far dei conti, vado dal commercialista. Se devo evadere il fisco, mi consulto con il mio notaio. E per i documenti mi rivolgo a un’agenzia di servizi. Questo è il nuovo modello di adulto e di felicità”.Insomma l’illetteralismo del nuovo millennio va a braccetto con la tecnologia e con il benessere economico. Basta avere abbastanza soldi e la soluzione del problema è acquistabile, anche online. Ma questo significa aggirare e non arginare il fenomeno

A.A.A davvero molti valutatori cercasi (dall’Invalsi)

da tuttoscuola.com

A.A.A davvero molti valutatori cercasi (dall’Invalsi)

Oggi parliamo di Invalsi, ma non con un riferimento diretto alla valutazione del sistema scolastico, bensì perché l’Istituto in questi giorni è particolarmente attivo nella ricerca di profili professionali.

Vediamoli insieme:

– il bando con cui si ricercano il maggior numero di professionisti è quello relativo alla selezione e alla formazione di 400 unità di personale da impiegare in alcuni progetti sperimentali che prevedono, tra l’altro, dei momenti di valutazione esterna delle scuole o di osservazione in classe (Vales e Valutazione e Miglioramento). La scadenza per porre la domanda, inizialmente prevista per il 25 marzo, è stata posticipata al 12 aprile 2013. Questo il link alla scheda e al Bando.

– Scade invece il 7 aprile il Bando con cui l’Invalsi seleziona 5 profili di osservatori esterni per lo svolgimento di funzioni connesse alle attività di somministrazione delle prove del Servizio Nazionale di Valutazione (area prove), del progetto PON Sistema Informativo Integrato e valutazione degli apprendimenti (azione Misurazione dei progressi negli apprendimenti e creazione e sperimentazione di modelli per l’individuazione di comportamenti anomali sugli esiti degli apprendiemnti) e del progetto PON Valutazione.M@tabel+. Anche qui i link alla scheda e al Bando.

– Seguono poi una serie di posizioni con contratto a tempo determinato: in particolare, si tratta di sei (6) unità di personale con profilo professionale di Ricercatore livello III; tre (3) unità di personale con profilo professionale di Tecnologo livello III; quindici (15) unità di personale con profilo professionale di Collaboratore Tecnico Enti di Ricerca – VI livello professionale; tre (3) unità di personale con profilo professionale di Collaboratore Amministrativo – VII livello professionale; una (1) unità di personale con profilo professionale di Operatore Tecnico – VIII livello professionale. Essendo tutti questi bandistati pubblicati nella Gazzetta Ufficiale – 4ª Serie Speciale – Concorsi ed esami n. 18 del 5-03-2013, la scadenza per la presentazione delle domande, a 30 giorni dalla pubblicazione, è il 4 aprile 2013. Questo il link diretto alla scheda contenente i riferimenti a tutti i bandi.

Ricerca, firmato decreto per favorire la mobilità tra personale delle università ed enti pubblici di ricerca

Ricerca, firmato decreto per favorire la mobilità tra personale delle università ed enti pubblici di ricerca

Profumo: “Nuova opportunità per creare un sistema della ricerca nazionale più forte e competitivo sul piano europeo”

(Roma, 29 marzo 2013) Nuove opportunità di scambio e interazione tra personale delle università e degli enti pubblici di ricerca. E’ quanto prevede il decreto firmato dal Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Francesco Profumo, per consentire a professori e ricercatori universitari a tempo pieno di svolgere attività di ricerca presso un ente pubblico e ai ricercatori di ruolo degli enti pubblici di ricerca di svolgere attività didattica e di ricerca presso un’università. L’obiettivo è favorire l’osmosi delle esperienze tra enti e atenei, aprendo barriere e creando un sistema della ricerca italiano più competitivo, meno frammentato e più capace di misurarsi in Europa.

Il nuovo sistema consentirà alle università di poter ampliare e migliorare la propria offerta formativa attraverso il contributo diretto dei ricercatori degli enti, che trasferiranno agli studenti i risultati delle loro ricerche, spesso sviluppate in stretta connessione con le imprese. I vantaggi per gli enti di ricerca, invece, sono quelli di avere una maggiore apertura verso gli studenti, che potranno svolgere progetti di tesi, tirocini e attività di laboratorio utilizzando le strutture e le apparecchiature degli enti.

I contenuti del decreto:

Le singole convenzioni possono interessare più dipendenti di entrambi gli enti firmatari.

Per il periodo di durata delle convenzioni, ai soggetti interessati viene riconosciuto il trattamento economico e previdenziale in godimento presso l’ente o ateneo di appartenenza.

Le convenzioni hanno durata minima di un anno e sono rinnovabili fino a un massimo di cinque anni consecutivi.

Per il periodo di durata della convenzione non ne potranno essere stipulate altre che riguardino la stessa persona, né sarà possibile avviare procedure per la copertura della posizione ricoperta dallo stesso lavoratore interessato dalla convenzione.

Ai fini della verifica del possesso dei requisiti di docenza, i ricercatori di ruolo degli enti di ricerca possono essere conteggiati in proporzione all’attività didattica svolta presso l’ateneo; agli stessi fini i professori e i ricercatori universitari sono conteggiati in proporzione all’attività didattica svolta presso l’ateneo.

Il decreto si applica agli enti di ricerca vigilati dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, alle università statali, inclusi gli istituti universitari a ordinamento speciale, e alle università non statali legalmente riconosciute, ovvero, per quanto non già espressamente previsto dalla normativa vigente, alle università straniere e ai centri internazionali di ricerca.

“Con questo decreto – afferma il ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Francesco Profumo – si apre una nuova stagione di relazioni, basata sulla possibilità che docenti universitari e ricercatori degli enti, con le loro specificità, si integrino nelle attività quotidiane per creare un sistema della ricerca nazionale più forte e più competitivo sul piano europeo, e con attività di formazione più connesse ai risultati delle ricerche in sviluppo del nostro Paese. Queste possibilità di lavoro, in enti e atenei contemporaneamente, sono denominate nei paesi anglosassoni double appointment, e si possono estendere anche a università e enti di altri Paesi, con l’obiettivo – conclude il ministro – di favorire l’internazionalizzazione del nostro sistema di formazione e ricerca”

“Esprimo grande soddisfazione per la conclusione dell’iter del provvedimento – commenta il presidente della Conferenza dei Rettori, Marco Mancini – soprattutto perché consentirà una interazione stretta tra il sistema degli atenei e gli enti di ricerca in un momento in cui ci stiamo apprestando, in condizioni obiettivamente molto difficili, a competere per i nuovi progetti europei di Horizon2020”.

“A nome degli Enti di Ricerca vigilati dal MIUR – commenta il vicepresidente della Consulta, Fernando Ferroni (INFN) – voglio ringraziare il Ministro Profumo per aver dotato il sistema della ricerca italiano di questa opportunità che permette di rafforzare in modo sostanziale il legame tra enti e università, e che avrà l’effetto di rendere più visibile e competitivo il nostro sistema ricerca in Europa e nel mondo.”

Alcuni ulteriori chiarimenti:

  • Le Convenzioni devono essere approvate dal Cda dell’Università e dal Cda, o organo similare, dell’Ente;
  • La durata per soggetto è complessivamente di 5 anni, pertanto i rinnovi per lo stesso soggetto sono possibili entro i 5 anni (es. 3+2, 1+4, ecc);
  • Nel corso della convenzione non si può procedere all’inserimento di nuovo/i soggetti, ma occorre, nel caso, procedere con la sottoscrizione di una nuova convenzione, così come per ogni altro caso di modifica di quanto previsto nella convezione;
  • Ai fini della valutazione (VQR) si tiene conto dell’impegno prestato presso l’Università o presso l’Ente (ugualmente si procede nei casi di incarichi a tempo parziale). I sistemi informatici rileveranno i dati necessari alla valutazione;
  • Il trattamento economico e previdenziale è a carico dell’università o dell’ente che riceve la prestazione. Soluzioni che prevedono la modalità del rimborso semplificano la gestione, evitando passaggi temporanei tra i sistemi contabili (“paghe e contributi” e rendiconto annuale) per il tempo della convenzione, con aggravio di elaborazioni anche ai fini di carriera, previdenziali e pensionistici.

I pediatri: prevenire il bullismo dalla scuola media

da LaStampa.it

I pediatri:  prevenire il bullismo   dalla scuola media

roma

Il bullismo e il cyberbullismo sono fenomeni in crescita anche in Italia: da una recente indagine di Ipsos per Save the Children emerge che il 72% degli adolescenti e giovanissimi italiani lo avverte come il fenomeno sociale più pericoloso del proprio tempo e che almeno 4 ragazzi su 10 sono stati testimoni di atti di cyberbullismo da parte di coetanei. Ma bullismo e cyberbullismo sono due facce della stessa medaglia, da prevenire fin dalla scuola media, avverte la Società italiana di pediatria preventiva e sociale (Sipps). Quando le azioni di bullismo si verificano in rete si parla di cyberbullismo, una forma di prevaricazione volontaria e ripetuta che avviene tramite i nuovi mezzi di comunicazione (email, sms, telefonate, social network e web in generale).

«Per arginare e soprattutto prevenire il fenomeno del bullismo in tutte le sue forme – sostiene Giuseppe Di Mauro, pediatra e presidente Sipps – è fondamentale che le famiglie e la scuola agiscano insieme in un percorso condiviso, per sensibilizzare ed educare i ragazzi a un uso corretto e consapevole delle nuove tecnologie già a partire dalla scuola media».

«Il bullismo – sottolinea Piercarlo Salari, pediatra consultoriale a Milano e membro Sipps – non è un semplice atteggiamento aggressivo e prepotente, ma un comportamento che viene messo in atto in modo volontario, si ripete nel tempo e sfrutta consapevolmente alcune caratteristiche di superiorità rispetto alla vittima, come l’età, la forza fisica e, nel caso del cyber bullismo, la popolarità in rete, spesso legata al numero di contatti acquisiti o di fan. Sono innumerevoli gli episodi che leggiamo nelle pagine di cronaca, ma sono molti anche i casi in cui la vittima di violenza e la sua famiglia non trovano il coraggio di opporsi e denunciare. Per contrastare il bullismo è però necessario che genitori e insegnanti imparino a riconoscerlo correttamente e con la maggiore tempestività possibile».

La Sipps ricorda che esistono campanelli d’allarme ai quali i genitori dovrebbero fare attenzione, osservando i propri figli e distinguendo innanzitutto tra condizioni favorenti e comportamenti sospetti. Le condizioni favorenti sono essenzialmente un uso non controllato e spesso inappropriato di internet e smartphone, spesso fino a tarda notte; uno scambio talvolta ossessivo di immagini, l’uso di messaggi sui social network che possono destare preoccupazione o inquietudine; la mancanza di orari e una vita nell’insieme disorganizzata. I comportamenti sospetti, invece, si manifestano con un rifiuto di parlare di ciò che i ragazzi fanno online; un calo nel rendimento scolastico, turbamento o malessere dopo aver utilizzato internet o cambiamenti in generale nei toni e nell’umore con reazioni aggressive o comunque eccessive; l’acquisto o il possesso di accessori o oggetti status symbol che presuppone una disponibilità di denaro non ragionevole o qualche baratto poco convincente.

Uno studio condotto dall’Università dell’Arizona e pubblicato online sul numero del Journal of Adolescence di aprile 2013, ha esaminato l’associazione tra depressione, comportamento suicida, bullismo ed esperienze di vittimizzazione, elaborando i dati di circa 1.500 studenti di scuola superiore. I risultati hanno evidenziato che la depressione è sempre stato il catalizzatore di tentati suicidi in entrambi i sessi, ma soltanto nelle ragazze essa ha giocato un ruolo come conseguenza del cyber bullismo.

Da qui un duplice invito degli autori: innanzitutto la necessità di riconoscere tempestivamente eventuali segnali di depressione nei giovani, a maggior ragione se di sesso femminile e se coinvolti in episodi di bullismo, e attuare opportune strategie preventive su questi ultimi; in secondo luogo la necessità di non limitare il campo d’azione alla scuola superiore ma estendere l’indagine anche alla scuola media, al fine di un intervento più precoce.

TFA SPECIALI: per accedervi servirà almeno una supplenza annuale specifica

da Tecnica della Scuola

TFA SPECIALI: per accedervi servirà almeno una supplenza annuale specifica
di A.G.
Anteprima della “Tecnica della Scuola” sui requisiti di accesso ai tirocini abilitanti riguardanti 75mila precari: occorreranno non meno di 180 giorni svolti in un anno col titolo prescritto e sulla materia per la quale si chiede di svolgere il corso. Vale anche il sostegno, ma solo se l’insegnamento da cui si è stati prescelti corrisponde. Mentre le altre due o più annualità possono essere state effettuate su cattedre non riguardanti necessariamente la stessa disciplina.
Giorno dopo giorno, tendono a delinearsi i contorni su modalità e requisiti per partecipare al Tfa speciale, riservato ad almeno 75mila docenti precari. Su sollecitazione della Tecnica della Scuola, il Miur – attraverso uno dei suoi più alti dirigenti – ha infatti chiarito una serie di punti. Ad iniziare da quello relativo ai requisiti per accedere ai corsi abilitanti rivolti al personale precario di vecchia data.
Sulla necessità di possedere il titolo di studio prescritto e di aver svolto almeno tre supplenze da non meno di 180 giorni ciascuna, non vi erano dubbi. Che invece non erano stati sciolti sulla tipologie delle supplenze. Tanto che più di qualcuno, anche tra gli addetti ai lavori, nei giorni scorsi aveva alimentato false speranze. Indicando come valido pure il servizio svolto interamente su materie che non hanno nulla a che vedere con l’abilitazione da acquisire.
Ora però, dal Ministero escludono tassativamente questa ipotesi. Specificando che delle tre supplenze minime richieste, almeno una, sempre da non meno di 180 giorni, deve essere stata necessariamente svolta sulla disciplina per la quale si chiede ora di abilitarsi. L’unica eccezione che può essere accolta è quella dell’aver svolto supplenze sul sostegno agli alunni disabili, sempre se attuata su un ambito disciplinare attinente alla materia interessata. È indispensabile, quindi, che l’insegnamento da cui si è stati prescelti corrisponda.
Facciamo un esempio pratico, riguardante un candidato ai Tfa, laureato in filosofia, che ha già svolto quattro supplenze annuali alle superiori, nell’area umanistica attinente al diploma di laurea conseguito. Ebbene, il nostro filosofo aspirante prof ora chiede di potersi abilitare nella classe di concorso A037. Dal Miur ci hanno spiegato che “lo potrà fare: l’unico vincolo è quello di andare a verificare se la tipologia di sostegno svolta sia quella riguardante la materia umanistica e che quindi per accedervi il candidato abbia utilizzato la stessa classe di concorso”. Inoltre, lo stesso prof avrebbe anche espresso il desiderio di conseguire l’abilitazione in una classe di concorso attinente (come la A036): “bisogna sempre considerare – ci spiegano dal Miur – che i titoli di abilitazione rispondono sempre alle regole vigenti sugli ambiti disciplinari”. Quindi, in parole povere, quando l’aspirante docente si vuole abilitare in una classe di concorso “allargata”, comprensiva di diverse materie, bisognerà verificare caso per caso. Andando a verificare quali sono gli esami universitari svolti rispetto a quelli richiesti del Miur.

Attività di contrattazione delle istituzioni scolastiche

da Tecnica della Scuola

Attività di contrattazione delle istituzioni scolastiche
di L.L.
Il Miur pubblica il CCNL sottoscritto tra l’ARAN e Confederazioni sindacali e le modifiche all’accordo quadro sulle RSU nelle scuole dimensionate
Con la nota prot.n. 2941 del 25 marzo 2013 il Miur ha trasmesso due documenti sottoscritti definitivamente il 13 marzo scorso, tra l’ARAN e i rappresentanti delle Confederazioni e Organizzazioni sindacali di categoria.
Si tratta del CCNL relativo al personale del comparto Scuola per il reperimento delle risorse da destinare per le finalità di cui all’art. 8, comma 14, del decreto legge n. 78/2010, convertito in legge n. 122/2010, e dell’art. 4, comma 83, della legge n. 183/2011 e l’Accordo su integrazione e modificazioni dell’accordo quadro del 7 agosto 1998 per la costituzione delle Rappresentanze sindacali unitarie per il personale dei comparti delle pubbliche amministrazioni e per la definizione del relativo regolamento elettorale – comparto Scuola.
Per quanto riguarda in particolare l’Accordo sulle RSU, il testo sottoscritto riguarda le istituzioni scolastiche soggette a dimensionamento scolastico.
Le parti hanno concordato che: – qualora a seguito di diverso dimensionamento delle istituzioni scolastiche si sia verificato o si verifichi l’accorpamento e/o lo scorporo totale o parziale delle stesse, anche dando vita alla creazione di nuove istituzioni scolastiche, i rappresentanti delle RSU restano in carica, con le modalità e nei limiti previsti dai successivi commi; – per ogni istituzione scolastica, come individuata a seguito del dimensionamento, esiste un’unica RSU; – in via transitoria e fino a scadenza del proprio mandato, la RSU delle istituzioni interessate sarà formata da tutti gli eletti delle scuole coinvolte nel dimensionamento, i quali continueranno a svolgere le funzioni di componente RSU esclusivamente nell’istituzione scolastica ove sono in servizio. Resta fermo che ciascun componente può svolgere le funzioni di rappresentante RSU solo in un’unica istituzione scolastica; – qualora presso l’istituzione scolastica il numero dei rappresentanti RSU sia inferiore a due, le organizzazioni sindacali rappresentative provvederanno ad indire nuove elezioni entro 5 giorni dall’entrata in vigore dell’accordo ovvero entro 5 giorni dalla data di decadenza della RSU, ove successiva; – nelle more delle elezioni e comunque per un massimo di 50 giorni, le relazioni sindacali, inclusa la contrattazione integrativa, proseguono con le organizzazioni sindacali di categoria firmatarie dei CCNL e con gli eventuali componenti della RSU rimasti in carica; – in caso di dimissioni di uno o più componenti, nelle istituzioni non si dà luogo alla sostituzione. In deroga alla regola generale, la RSU decade unicamente laddove restino in carica meno di due componenti. In tal caso si procede a nuove elezioni.

Anief: Profumo ritira il decreto del diploma a 18 anni

da Tecnica della Scuola

Anief: Profumo ritira il decreto del diploma a 18 anni
Ora é ufficiale: fonti sicure interne al Ministero dell’Istruzione danno per tramontata l’intenzione del ministro Profumo, espressa alcuni giorni fa tra lo stupore generale, di avviare un percorso di studi ridotto che avrebbe portato ad anticipare gli esami di maturità a 18 anni al posto degli attuali 19. Lo scrive Anief
Il cui comunicato continua: Salta, così, il piano immediato di sperimentazione del progetto, attraverso cui già dal prossimo anno scolastico una decina di istituti “pilota” avrebbero eliminato un anno di scuola d’infanzia o cancellato il quinto anno di corso della scuola primaria oppure ristretto a una sola annualità l’attuale biennio iniziale della scuola superiore. Il vero obiettivo della riduzione del percorso scolastico, secondo Anief, rimane infatti quello di cancellare almeno 50mila posti di lavoro, dopo i 200mila già dileguati nel nulla, per le solite esigenze di “cassa”, negli ultimi sei anni.