I dati OCSE-Pisa ci dicono che gli alunni italiani fanno fatica a tenere il passo delle competenze dei pari età degli altri Stati avanzati, eppure ci sono tante eccellenze che fanno ben sperare. Anche per il futuro del nostro Paese. A dimostrarlo è il successo dell’iniziativa “Tutti 10 in pagella“, promossa dalla “Tecnica della Scuola” e giunta alla terza edizione, per dare visibilità ai giovani italiani che sono stati promossi al termine dell’anno scolastico 2013/2014 con il massimo dei voti in tutte le discipline.
Con il finire dell’anno scolastico, la Casa editrice catanese ha chiesto ai suoi lettori di inviare la pagella di uno studente che abbia conseguito tutti 10 pubblicandone la foto e il nominativo sul proprio portalewww.tecnicadellascuola.it. Ebbene, in pochi giorni sono giunte in redazione oltre 100 segnalazioni.
Quest’anno la caratteristica saliente delle pagelle pervenute è che la gran parte provengono dalla provincia: si tratta di piccoli centri, quasi sconosciuti all’opinione pubblica. Come Povegliano Veronese (VR), Volpino (BG), Limena (PD), Ceriate (SV), San Severo (FG), Pomigliano D’Arco (Na), Policoro (Mt), Grottaferrata (Roma), Cammarata (Ag). E tanti altri. Le grandi città, invece, dove gli studenti sarebbero molti di più, sembrano produrre pochi“genietti”.
Daniela Girgenti, direttore del periodico “La Tecnica della Scuola”, fornisce una sua chiave di interpretazione: “non sappiamo se si tratta di un caso o di una tendenza reale. Di sicuro, però, nella provincia, nei piccoli centri, vi sono spesso le condizioni migliori perché un giovane dia il meglio di sé a scuola. Soprattutto grazie alle famiglie, che per tradizione seguono e stimolano i ragazzi a dare sempre il massimo. Di sicuro, in assoluto, il fatto che vi siano studenti così tanti alunni seri e talentuosi è la dimostrazione che il nostro Governo deve investire di più nell’istruzione: per mettere queste eccellenze di crescere e maturare ancora. E metterle poi a disposizione del Paese, anche perchè facciano da traino all’intero sistema scolastico italiano“.
Considerando il successo riscontrato, l’iniziativa non termina, ma raddoppia: ha già preso il via “100/100 alla maturità”, riservata agli studenti degli istituti superiori, che da giovedì 24 giugno hanno iniziato le prove orali degli esami di Stato e che hanno conseguito alla maturità il massimo dei voti.
Chi vuole partecipare potrà inviare le informazioni richieste a info@tecnicadellascuola.it.
Archivi categoria: Rassegne
European Spallation Source
European Spallation Source
l’Italia aderisce alla costruzione del ‘super-microscopio’ europeo
Previste ricadute positive per sistema ricerca e imprese
Anche l’Italia aderisce al progetto per la costruzione dell’European Spallation Source, la grande infrastruttura di ricerca, aperta a tutti i ricercatori europei, per la produzione e l’utilizzo di fasci intensi di neutroni in studi multidisciplinari che avrà sede a Lund, in Svezia.
Il Ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca, Stefania Giannini, ha formalizzato l’impegno del nostro Paese nell’iniziativa. L’ESS è una sorgente di neutroni che consentirà agli scienziati di ‘vedere’ e comprendere la struttura, le interazioni e i moti di atomi e molecole. In pratica, si tratta di un gigantesco microscopio per lo studio di diversi materiali.
La nuova infrastruttura sarà almeno 30 volte più efficiente di quelle già esistenti nel mondo. L’accordo siglato per l’adesione del nostro paese prevede che il contributo italiano avvenga principalmente attraverso attività di progettazione e fornitura di strumentazione ad elevato contenuto tecnologico.
Questa modalità di contribuzione consente il coinvolgimento di imprese italiane altamente qualificate, oltre a quello di Enti di Ricerca, quali l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) ed Elettra Sincrotrone Trieste, e delle Università. L’Italia ha già partecipato con finanziamenti Miur alla fase di pre-costruzione dell’ESS ed il Miur continuerà a finanziare le prossime fasi realizzative del ‘super-microscopio’ con circa 110 milioni di euro che arriveranno dal Foe, il Fondo Ordinario degli Enti di Ricerca, in particolare dalla parte dedicata al sostegno delle infrastrutture di ricerca di interesse pan-europeo.
Verso una seria valutazione dell’autismo
Verso una seria valutazione dell’autismo
Con una disposizione interna (messaggio n. 5544 del 23 giugno scorso) INPS ha accolto, anche se parzialmente, una diffusa istanza che riguarda le persone con autismo e l’accertamento della loro condizione ai fini dell’invalidità civile.
INPS riconosce la particolare natura dei disturbi dello spettro autistico e le difficoltà a livello diagnostico. Non a caso il messaggio sembra ammettere l’opportunità di acquisire, al momento dell’accertamento dell’invalidità, documentazione clinica rilasciata da centri specializzati pubblici o accreditati.
Tuttavia, nell’atto dell’Istituto, questa documentazione viene recepita solo in funzione di evitare, prima dei 18 anni, visite di revisione per i casi ritenuti più gravi.
La rivedibilità rimane ammissibile per i “casi in cui le strutture di riferimento attestino disturbo dello spettro autistico di tipo lieve o borderline con ritardo mentale lieve o assente”.
Il messaggio, affrontando un aspetto delicato di evidente disagio, non ha la pretesa di rappresentare più articolate “linee guida”.
La Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap ritiene che l’apertura sulla valutazione dei disturbi dello spettro autistico debba essere considerata positiva solo se prelude ad un successivo approfondimento. Sono necessarie più compiute ed omogenee indicazioni per la valutazione della disabilità che abbiano maggiore spessore, magari partendo dagli elementi scientifici contenuti nelle Linee Guida già approvate dall’Istituto Superiore di Sanità.
Solo così si eviteranno valutazioni improprie, inefficaci e molto difformi a seconda delle Commissioni di riferimento.
La FISH, grazie alle competenze delle organizzazioni federate che maggiormente si occupano di autismo, richiederà ad INPS l’apertura di uno specifico tavolo tecnico per giungere alla definizione di nuove linee guida.
Ciò rappresenta il preludio ad una più ampia riflessione di sistema sui criteri di accertamento della disabilità, tema centrale e ancora “insondato” nonostante i ripetuti appelli e le indicazioni del Programma di azione biennale sulla disabilità approvato con Decreto del Presidente della Repubblica a fine 2013.
Semplificazione amministrativa: segno positivo per la disabilità
Semplificazione amministrativa: segno positivo per la disabilità
“Raccogliamo i risultati di un lavoro di anni. Finalmente un Governo accoglie le nostre proposte in materia di semplificazione amministrativa e le fa proprie nel più recente decreto legge.”
Questo il soddisfatto commento di Vincenzo Falabella – presidente della Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap – dopo la pubblicazione del decreto legge sulla semplificazione e trasparenza amministrativa (90/2014) che dedica uno specifico e denso articolo al tema della disabilità.
Scontato l’apprezzamento in “casa” FISH. 7 dei 9 commi che compongono l’articolo sono proposte che la Federazione evidenzia da anni in tutti i tavoli di confronto con di Ministero della Pubblica amministrazione (e prima con il Dipartimento Funzione pubblica).
“Oggi, finalmente, i disabili gravi già riconosciuti invalidi totali o ciechi o sordi non dovranno più essere sottoposti nuovamente a visita per il solo fatto che compiono 18 anni. Basterà una richiesta amministrativa e verranno loro riconosciute le provvidenze spettanti ai maggiorenni. Senza visite ulteriori! Un trattamento simile è riservato anche ai minori con indennità di frequenza. Meno disagi per le famiglie.”
Sono interventi che non sono solo a costo zero, ma che fanno risparmiare tempo e quattrini alle persone con disabilità e alle loro famiglie oltre ad evitare visite inutili o superflue. Una disposizione simile riguarda le persone disabili con patente speciale. Nel caso la loro patologia o minorazione sia stabilizzata, per il rinnovo non sarà più necessario rivolgersi alla commissione medica locale (Asl e Motorizzazione), ma si seguirà l’iter comune a tutti gli altri patentati. Anche in questo caso: tempi di attesa inferiori e spese drasticamente ridotte.
“Il tema della revisione dell’invalidità e dell’handicap viene finalmente affrontato in modo serio. Fino ad oggi la revisione era esclusa solo per le persone con patologia stabilizzata o ingravescente titolari di indennità di accompagnamento o comunicazione. Il decreto legge abroga questa assurda limitazione: la revisione non deve essere prevista quando la menomazione è stabilizzata, a prescindere dalla sua gravità e dalla titolarità dell’indennità di accompagnamento. Una scelta di buon senso e di ragionevolezza.”
E conclude Falabella: “Questo decreto va sicuramente convertito in legge senza snaturarne i contenuti. La FISH proporrà – anzi! – ancora ulteriori aggiunte, ma non può che cogliere con favore questo segno dopo anni di silenzio.”
Censis, la scuola è un ascensore sociale che va solo in discesa
da Corriere.it
Censis, la scuola è un ascensore sociale che va solo in discesa
La ricerca: solo il 16,4% di chi ha studiato ha fatto un salto di qualità rispetto alla condizione della sua famiglia. Più abbandoni scolastici, sempre meno universitari
Il Censis: “La scuola non è più uno strumento di mobilità sociale”
da la Repubblica
Il Censis: “La scuola non è più uno strumento di mobilità sociale”
I dati allarmanti del Centro Studi: l’istruzione in Italia garantisce sempre meno il riequilibrio sociale e il futuro occupazionale. Servizi in crisi sin dall’asilo. E intanto crescono le iscrizioni negli atenei stranieri: +51 per cento in quattro anni
ROMA – Una volta si studiava per migliorare la propria posizione sociale. Ma oggi, secondo quanto riporta uno studio del Censis, il sistema educativo sta perdendo la tradizionale capacità di garantire opportunità occupazionali e di funzionare come strumento di ascensione sociale. Al primo ingresso nel mondo del lavoro, infatti, solo il 16,4% dei nati tra il 1980 e il 1984 è salito nella scala sociale rispetto alla condizione di provenienza, il 29,5% ha invece sperimentato una mobilità discendente rispetto alla famiglia di origine.
Meno riequilibrio sociale. Più in generale, la scuola non riesce più a svolgere come in passato la funzione di riequilibrio sociale per i ragazzi provenienti da famiglie svantaggiate: l’abbandono scolastico tra i figli dei laureati è un fenomeno marginale (riguarda solo il 2,9%), ma sale al 7,8% tra i figli dei diplomati, e interessa quasi uno studente su tre (il 27,7%) se i genitori hanno frequentato solo la scuola dell’obbligo.
Fiducia in crisi sin dall’asilo. Solo il 55% dei comuni italiani, si continua a leggere nello studio del Censis, ha attivato servizi per l’infanzia (asili nido e servizi integrativi), arrivando a soddisfare appena il 13,5% dell’utenza potenziale. Nei comuni capoluogo di regione la domanda insoddisfatta è pari al 35,2%. I comuni con i dati peggiori sono Palermo (71,9%) e Roma (67,3%), mentre sul versante opposto ci sono Torino (che riesce a soddisfare l’intera domanda effettiva) e Milano (solo il 4,9% di domanda insoddisfatta).
La sfiducia favorisce gli abbandoni scolastici. Nell’anno scolastico 2013/2014 risulta “disperso” nell’arco di un quinquennio il 27,9% degli studenti, pari a circa 164mila giovani. Complessivamente, si può stimare che la scuola statale ha perso nel giro di 15 anni circa 2,8 milioni di giovani, di cui solo 700mila hanno poi proseguito gli studi nella scuola non statale o nella formazione professionale, oppure hanno trovato un lavoro.
L’università perde iscritti. Tra i 30-34enni, gli italiani laureati sono il 20,3% contro una media europea del 34,6%. E l’andamento delle immatricolazioni mostra un significativo calo negli ultimi anni. Tra il 2007 e il 2011 il numero di studenti italiani iscritti in università straniere è aumentato del 51,2%, passando da 41.394 a 62.580.
L’Ocse fotografa i docenti italiani: sono i più anziani ma ancora motivati. E tra i presidi sorpasso delle donne
da la Repubblica
L’Ocse fotografa i docenti italiani: sono i più anziani ma ancora motivati. E tra i presidi sorpasso delle donne
Con una età media di 49 anni siamo nettamente in testa, ma abbiamo anche la maggior pattuglia femminile. E il calcolo è che il loro impegno ammonta ad almeno 30 ore a settimana. Ma soffrono per calo di considerazione e stipendi
di Salvo Intravaia
L’Ocse scatta una fotografia agli insegnanti di mezzo mondo e l’Italia ne esce con le ossa rotte. Il corpo docente del nostro Paese appare, al confronto con quello dei principali sistemi educativi industrializzati, vecchio e precario. Ma, stranamente, non troppo demotivato come sarebbe lecito pensare. Insomma, nonostante le tante batoste subite negli ultimi anni, gli insegnanti italiani resistono. Il rapporto Talis – l’Indagine internazionale sull’insegnamento e l’apprendimento – delinea un quadro chiaro del corpo docente e delle modalità di insegnamento di 35 nazioni sparse in tutti e cinque i continenti. Fornendo un patrimonio di dati che consentono interessanti.
Quanto si lavora nelle scuole italiane? Le 18 ore che il governo Monti voleva innalzare a 24 o già il carico di lavoro dei prof – compreso quello sommerso – supera le 18 ore di lezione della scuola media e superiore? E i nostri capi d’istituto, hanno l’età “giusta” per garantire il traghettamento della scuola italiana nel terzo millennio, oppure sono troppo vecchi? E in termini di presenza femminile tra insegnanti e dirigenti scolastici, come sono messi negli altri paesi? E ancora: maestri e professori sono soddisfatti del proprio lavoro? Quanto “ci credono”? E che tipo di percezione hanno del lavoro che svolgono quotidianamente?
Il Talis consente di rispondere, con le dovute distinzioni che i diversi sistemi educativi impongono, a queste e ad altre domande. Consentendo anche di delineare la direzione che il nostro sistema scolastico ha preso negli ultimi anni. Che l’Italia avesse il corpo docente più vecchio al mondo è cosa ormai risaputa. E i quasi 49 anni di età media ci collocano al primo posto in assoluto. Per avere un termine di paragone, si potrebbe andare a guardare in Finlandia che, stando ai risultati ottenuti dai quindicenni, vanta uno dei migliori sistemi scolastici al mondo. Nel paese scandinavo i docenti sono decisamente più giovani – età media di 44 anni – e in Francia, con 42,6 anni, ancora di più.
Un trend, quello italiano, destinato ad accentuarsi. Basta riportare il dato dei docenti over 60 che in appena cinque anni in Italia è quasi raddoppiato. Andamento che segue la stessa tendenza anche per la presenza femminile dietro la cattedra. Con il 78,6 per cento siamo uno dei paesi al mondo col maggior numero di donne dedite all’insegnamento. E dal 2013 anche i posti di comando a scuola sono saldamente nelle mani delle donne. Nel 2008, le presidenze della scuola media italiana erano ancora a maggioranza maschile: il 54,2 per cento. Ma nel 2013 il sorpasso si è già realizzato: le donne che occupano la poltrona più importante delle scuole italiane rappresentano il 55,2 per cento.
Quello che potrebbe apparire come un ostacolo alla modernizzazione della scuola italiana è l’età media dei dirigenti scolastici, che con 57 anni è una delle più alte al mondo. In Finlandia, i capi d’istituto – 51 anni in media – sono decisamente meno âgé. Stesso discorso in Francia, in Spagna e negli Stati Uniti. E se passiamo al carico di lavoro, si scopre che i docenti del Belpaese lavorano meno della maggior parte dei loro colleghi europei e non. Ma non le 18 ore settimanali che sono nell’immaginario collettivo degli italiani. Secondo i calcoli effettuati dagli esperti dell’istituto di Parigi, sono quasi 30 le ore settimanali che i docenti nostrani dedicano alla scuola. Oltre alle lezioni in classe, occorre conteggiare le riunioni, la preparazione delle lezioni e tutte le attività funzionali all’insegnamento.
In Francia le ore di impegno settimanale sono 36,5, ma le retribuzioni sono di gran lunga più alte rispetto a quelle italiane. Forse perché oltralpe ci sono pochissimi precari tra le mura scolastiche: appena il 3,8 per cento. Un valore quasi cinque volte più basso della presenza di supplenti nelle scuole italiane: il 18,5 per cento. Uno dei valori più alti al mondo, anche se in Finlandia si arriva al 19,2 per cento. C’è poi tutto il capitolo sulla soddisfazione e la percezione del proprio lavoro. E qui arrivano le sorprese. L’87 per cento dei prof di scuola media italiani ritiene di saper motivare gli studenti che hanno scarso interesse per le attività scolastiche e quasi tutti – il 98 per cento – sente di saper portare gli studenti a credere nelle loro capacità di raggiungere buoni risultati.
E, forse, è anche per questa ragione che il 94 per cento degli insegnanti affermano che tutto sommato sono soddisfatti del proprio lavoro. Gli insoddisfatti tra i paesi Talis sono di più: arrivano al 9 per cento. Ma è anche vero che l’88 per cento degli stessi insegnanti percepisce che l’insegnamento è scarsamente valorizzato nella società. Scarsa considerazione che nei paesi Ocse viene percepita dal 69 per cento dei docenti. In Italia, evidentemente, è socialmente più accreditato un calciatore o un politico. A patto che non si scivoli in una cocente sconfitta, come quella brasiliana, o in qualche inchiesta della magistratura.
Distacchi sindacali, tornano a scuola in 340: così lo Stato risparmia 10 milioni di euro l’anno
da tecnicadellascuola.it
Distacchi sindacali, tornano a scuola in 340: così lo Stato risparmia 10 milioni di euro l’anno
La stima è contenuta nella relazione tecnica della riforma della PA approdata in GU il 24 giugno: il risparmio, stimato al lordo degli oneri riflessi a carico dell’amministrazione, deriva “dall’esigenza inderogabile di provvedere alla copertura di ogni posizione” nel comparto. I responsabili delle organizzazioni sindacali hanno poco più di due settimane per fare le loro scelte. E non saranno facili.
Sono 340 i docenti, Ata, dirigenti e Dsga che dal 1° settembre lasceranno il sindacato, dove quest’anno erano distaccati, per tornare a svolgere la loro professione all’interno della scuola. La stima, effetto del dimezzamento dei distacchi sindacali previsti dalla riforma della PA approdata in GU il 24 giugno, si legge nella relazione tecnica allo stesso decreto legge n. 90.
Nella relazione si legge, infatti, che “per il triennio 2013/2015 sono stati autorizzati per il comparto Scuola 681 distacchi”. Facendo l’ipotesi che i distacchi siano attribuiti “per due terzi a docenti e per un terzo al personale Ata” con una riduzione degli oneri per lo Stato di circa 10 milioni di euro l’anno (“al lordo degli oneri riflessi a carico dell’amministrazione).
Quella presa dal Governo Renzi, si legge ancora nella relazione, è una “norma di razionalizzazione e di riduzione della spesa pubblica dalla quale deriva, in generale e per tutte le amministrazioni, la possibilità di impiegare un maggior numero di unità di personale nello svolgimento delle attività istituzionali con una conseguente ottimizzazione nell’impiego delle risorse umane”.
E per la scuola, spiega sempre l’allegato al dl, si tratta di un “minore onere per supplenze” visto che nel comparto “vi è l’esigenza inderogabile di provvedere alla copertura di ogni posizione prevista”.
Insomma, per i responsabili delle organizzazioni sindacali non vi è altra scelta: nei prossimi giorni, comunque dopo metà luglio (quando uscirà l’ordinanza su utilizzazioni e distacchi) dovranno stilare una lista “ristretta” di dipendenti da distaccare in vista del prossimo anno scolastico. E non sarà un’operazione facile.
Riforma PA, il decreto è in GU ma gli effetti sono ancora incerti
da tecnicadellascuola.it
Riforma PA, il decreto è in GU ma gli effetti sono ancora incerti
A quarantott’ore dalla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, non sono ancora del tutto chiari gli effetti normativi e soprattutto quali conseguenze, anche indirette, potranno aver i provvedimenti approvati dal CdM sul comparto Scuola. Per ora le uniche certezze sono quelle dello stop alle deroghe alle pensioni di vecchiaia e il dimezzamento dei distacchi sindacali.
Come preannunciato, il 24 giugno è stato pubblicato il Decreto Legge n. 90 contenente “Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari”. Solo che a quarantott’ore dalla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, non sono ancora del tutto chiari gli effetti normativi della riforma della pubblica amministrazione. E soprattutto quali conseguenze, anche indirette, potranno aver i provvedimenti approvati dal CdM sul comparto Scuola.
Tra le tante anticipazioni e interpretazioni fornite dai media, c’è n’è anche una fornita in chiave scolastica. A realizzarla è stata la Uil Scuola premettendo che “l’ambito di applicazione del decreto sul personale della scuola non è ancora chiaro” e che ” il Governo ha preannunciato uno specifico intervento legislativo riguardante la scuola per il mese di luglio”, il sindacato guidato da Massimo Di Menna fornisce alcune anticipazioni che riportiamo.
Per ora, una delle poche certezze è quella che vuole coinvolto anche il comparto Scuola nello stop alle concessioni per rimanere in servizio due anni oltre l’età di pensione di vecchiaia.
Entra in vigore, però, anche una novità legislativa che riguarda le pensioni di anzianità: chi ha raggiunto la soglia dei 40 anni di contributi versati può infatti essere collocato in quiescenza, con 6 mesi di preavviso.
Scatta la mobilità intercompartimentale ministeriale di tipo volontario, per la quale però è indispensabile la disponibilità di posti da parte dell’amministrazione accogliente.
La mobilità può diventare “obbligatoria” per il personale in sovrannumero e il cui trasferimento, comunque entro i 50 chilometri, sia funzionale al comparto che accoglie il lavoratore. A tal fine vengono stanziati 15 milioni di euro per l’anno in corso e 30 milioni per il prossimo.
Disco rosso, invece, agli incarichi “di consulenza e di studio” ai pensionati.
Confermato, anche se prorogato di un mese, dall’1 agosto all’1 settembre 2014, il dimezzamento dei distacchi sindacali.
Per il momento ci fermiamo qui: per avere informazioni più precise occorre ora esaminare gli allegati ai decreti. Tenendo sempre conto che i decreti potrebbero subire ulteriori modifiche in fase di conversione di legge parlamentare.
Troppe donne in cattedra
da tecnicadellascuola.it
Troppe donne in cattedra
Tra i dati dell’Ocse sulla scuola italiana, spunta, ma lo sapevamo, anche quello relativo alla eccessiva femminilizzazione della nostra scuola
Il corpo insegnante italiano è decisamente più femminilizzato rispetto alla media internazionale. Infatti, con il 79% di donne insegnanti l’Italia si colloca al quinto posto nella graduatoria complessiva del tasso di femminilizzazione. Se poi si considerano solo i paesi più industrializzati, il corpo docente italiano è quello più femminilizzato.
Le donne sono esattamente il 78,5 per cento contro il 63,2 per cento delle scuole inglesi e il 66 per cento di quelle francesi; in Olanda sono metà e metà e in Giappone addirittura le donne sono in minoranza.
Su quali possano essere i motivi, si potrebbero fare molte ipotesi e a tale riguardo c’è anche una vastissima letteratura, talvolta anche persino conflittuale.
Per taluni sarebbe dovuto al fatto che è un lavoro, quello dell’insegnate, che, consentendo molto tempo libero, permette alle donne di dedicarsi alla famiglia, per cui appare una delle poche opportunità abbastanza allettanti. Non si scordi fra l’altro che la stessa Matilde Serao, all’inizio del secolo scorso, scrivesse come il lavoro della maestra fosse l’unico per lo più consentito perché non determinava scandalo fra la piccola borghesia.
Per altri ancora, ma potrebbe essere conseguenziale, l’eccessiva femminilizzazione impedisce anche una più decisa battaglia salariale e normativa accanto ai sindacati che devono registrare ad ogni sciopero presenze assai basse di partecipazione. Infatti lo stipendio servirebbe come aggiunta al salario del coniuge e non come prima fonte di guadagno. La scarsa considerazione sociale dunque nascerebbe pure dalla mancata compattezza “politica” di un corpo docenti lacerato persino negli obiettivi più importanti, contrariamente, per esempio, agli scioperi massicci che gli altri comparti registrano quando soprattutto si tratta di paga e di salario.
Ma c’è pure un’atra teoria secondo la quale già nei libri delle elementari si indirizzerebbe la scelta lavorativa futura dei bambini, considerato che, nelle letture, i babbi sono sempre medici, avvocati, ingegneri e male che vada operai o artigiani, mentre le madri delle famiglie tipo descritte svolgono la mansione di infermiera o di maestra o di casalinga. Mai comunque al contrario, catalogando così una perfetta divisione sessista della società che poi andrebbe a condizionare le scelte.
Che del resto, nel corso degli anni, si è avuta una lenta ma inesorabile ascesa della presenza femminile nelle scuole è un dato inoppugnabile, mentre nelle aule appare importante avere entrambi i sessi rappresentati, anche ai fini educativi e dei modelli di riferimento della società agli occhi dei ragazzi.
Nello stesso tempo è stato evidenziato che nelle scuole d’infanzia ed elementari la presenza di docenti donne raggiunge oltre il 90% e poi lentamente cala fino alla secondaria superiore dove però sono sempre le donne, da qualche decennio a questa parte, ad avere la maggioranza.
È comunque questo, come l’indagine Talis registra, un fenomeno particolare dell’Italia e non presente, o in misura molto minore, tra i paesi dell’occidente europeo, per cui appare evidente che dovrà pure aver una sua motivazione e spiegazione.
Motivazione che però si trova per esempio sul primato della classe insegnante più anziana: 6 anni in più rispetto alla media TALIS, benchè a ciò corrisponda un maggior patrimonio di esperienza professionale, valutata mediamente a 20 anni di esperienza di insegnamento.
Censis: “Scuola inutile per il lavoro”
da tecnicadellascuola.it
Censis: “Scuola inutile per il lavoro”
Il Censis certifica che la scuola è percepita non solo come incapace di attivare un ascensore sociale, ma addirittura come inutile: si lavora o non si lavora indipendentemente da quanto si è studiato
Tra i ventenni che sono riusciti a trovare un lavoro solo il 16,4% ha surclassato le condione della famiglia di provenienza, mentre il 29,5% è però sceso al di sotto: dunque ascensore sociale al contrario.
I ragazzi in pratica, dice il Censis, non credono più alla scuola, e al sapere in generale, quindi si iscrivono sempre meno e abbandonano sempre di più.
Il 27,7% dei ragazzi all’interno di un percorso scolastico abbandona prima di concludere gli studi e che rappresenta 10 punti in più della media Ue con indici in crescita.
Il Censis calcola che siano stati 164 mila i ragazzi che hanno lasciato la scuola nell’ultimo anno e ben 2,8 milioni negli ultimi 15 anni: una massa di non-qualificati enorme con una età inferiore a 30 anni.
e costituiscono un problema sociale e una immensa perdita di risorse umane per la collettività.
Ad abbandonare gli studi, inoltre, sono soprattutto i ragazzi provenienti da famiglie con baso titolo di studio. Su 100 abbandoni, 28 riguardano ragazzi che hanno genitori con la terza media, e solo meno di 3 ragazzi con genitori laureati.
Più studio uguale più lavoro o lavoro migliore appare dunque irreale, mentre il mercato dice il contrario: i lavori non qualificati sono gli unici ad essere aumentati negli anni della crisi, dal 2009 a oggi, essendo cresciuti del 16,8%. Per contro, quelli che richiedevano una qualificazione media (per esempio il diploma) sono scesi del 3,9% e quelli per soli laureati del 9,9%. Un diplomato su tre che abbia un’occupazione, fa un lavoro dequalificato rispetto al suo titolo di studio e la percentuale sale a quasi il 37 per i laureati.
Il Censis dice inoltre che la sottoccupazione riguarda il 43,7% dei laureati in «discipline deboli» come lettere, sociologia, scienze politiche e simili, ma il 57,3% riguarda invece le lauree spendibili come economia e statistica e addirittura il 33% ingegneria.
«Tra i 30-34enni, gli italiani laureati sono il 20,3% contro una media europea del 34,6% – dice la ricerca – E l’andamento delle immatricolazioni mostra un significativo calo negli ultimi anni. Rispetto all’anno precedente, nell’anno accademico 2011/2012 si sono registrate circa 9.400 immatricolazioni in meno (-3,3%). Il tasso di passaggio dalla scuola all’università tra i 18-19enni è sceso dal 50,8% del 2009/2010 al 47,3% del 2011/2012. Anche tra chi si iscrive all’università emergono presto segni di stanchezza e disaffezione. Nel 2011/2012 ha abbandonato gli studi tra il primo e il secondo anno il 15,4% degli iscritti alle lauree triennali e il 10% degli iscritti alle lauree a ciclo unico. Solo uno studente su quattro arriva a conseguire il titolo alla fine dei tre anni canonici e il 43,6% si laurea in un corso diverso da quello di immatricolazione. La quota di immatricolati che arrivano a conseguire il titolo triennale è ancora molto bassa, intorno al 55%, mentre nei Paesi dell’Ocse si arriva in media al 70%».
Paradossalmente tuttavia chi può manda i figli a studiare nelle scuole straniere o direttamente all’estero, tra il 2007 e il 2011, è aumentato e il numero di studenti italiani iscritti in università straniere è cresciuto del 51,2%, passando da 41.394 a 62.580. In pratica quando si dice che solo il 10% della popolazione italiana detiene il 50% della ricchezza, è un dato che anche sugli ambiti della cultura e della formazione trova conferma
Gazzetta ufficiale – Serie Generale n. 147
Gazzetta Ufficiale
n. 147 del 27-6-2014
n. 147 del 27-06-2014 (S.S. n° 8)
Sommario
LEGGI ED ALTRI ATTI NORMATIVI
DECRETO-LEGGE 26 giugno 2014, n. 92
Pag. 1
ATTI DEGLI ORGANI COSTITUZIONALI
CAMERA DEI DEPUTATI
CONVOCAZIONE
Convocazione del Parlamento in seduta comune (14A04980)
Pag. 4
DECRETI PRESIDENZIALI
DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 21 novembre 2013
Pag. 5
DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 6 giugno 2014
Nomina del dott. Piero Gnudi a Commissario straordinario per la ILVA
S.p.A., in Milano. (14A04857)
Pag. 7
DECRETI, DELIBERE E ORDINANZE MINISTERIALI
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE
DECRETO 19 giugno 2014
Indicazione del prezzo medio dei buoni ordinari del Tesoro a 364
giorni. (14A04808)
Pag. 8
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA
DECRETO 13 maggio 2014
Pag. 8
DECRETO 13 maggio 2014
Pag. 9
MINISTERO DELLA SALUTE
DECRETO 13 giugno 2014
Pag. 10
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
DECRETO 12 giugno 2014
Pag. 11
MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI
DECRETO 5 giugno 2014
Pag. 12
DECRETO 5 giugno 2014
Pag. 16
DECRETO 5 giugno 2014
Pag. 17
DECRETO 20 giugno 2014
Pag. 18
DECRETO 20 giugno 2014
Pag. 20
DECRETI E DELIBERE DI ALTRE AUTORITA’
AGENZIA ITALIANA DEL FARMACO
DETERMINA 10 giugno 2014
Pag. 21
DETERMINA 23 giugno 2014
Pag. 22
DETERMINA 23 giugno 2014
Pag. 24
AUTORITA’ PER LA VIGILANZA SUI CONTRATTI PUBBLICI DI LAVORI, SERVIZI E FORNITURE
DETERMINA 6 giugno 2014
Pag. 25
CONFERENZA UNIFICATA
INTESA 15 maggio 2014
Pag. 27
ESTRATTI, SUNTI E COMUNICATI
AGENZIA ITALIANA DEL FARMACO
COMUNICATO
Pag. 49
COMUNICATO
Pag. 49
COMUNICATO
Comunicato relativo al medicinale per uso umano «Eylea». (14A04769)
Pag. 49
COMUNICATO
Pag. 49
COMUNICATO
Pag. 49
MINISTERO DELLA SALUTE
COMUNICATO
Revoca della registrazione di presidio medico chirurgico «Promise
Zanzaout Gel». (14A04800)
Pag. 50
COMUNICATO
Revoca della registrazione di presidio medico chirurgico «Kenovax».
(14A04801)
Pag. 50
COMUNICATO
Pag. 50
COMUNICATO
Pag. 50
COMUNICATO
Pag. 51
COMUNICATO
Pag. 51
COMUNICATO
Pag. 51
MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI
COMUNICATO
Pag. 52
SUPPLEMENTI STRAORDINARI
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE
COMUNICATO
Conto riassuntivo del Tesoro al 30 aprile 2014. Situazione del
bilancio dello Stato. (14A04308)
(Suppl. Straordinario n. 8)
Il vuoto della sfiducia crescente nella scuola
Al Censis il terzo dei quattro incontri del tradizionale appuntamento di riflessione di giugno «Un mese di sociale», dedicato quest’anno a «I vuoti che crescono»
Aumenta la sfiducia nella scuola come strumento di mobilità sociale
Al primo impiego solo il 16,4% dei ventenni è salito nella scala sociale rispetto alla famiglia di provenienza. Abbandonano gli studi i figli svantaggiati (27,7%) più dei figli dei laureati (2,9%). Ormai passa dalla scuola all’università solo il 47,3% degli studenti. E chi può va a studiare all’estero: +51% di iscrizioni in atenei stranieri in quattro anni
Roma, 26 giugno 2014 – Studiare non funziona più da ascensore sociale. Una volta si studiava per migliorare la propria posizione sociale. Ma oggi il sistema educativo sta perdendo la tradizionale capacità di garantire opportunità occupazionali e di funzionare come strumento di ascensione sociale. Al primo ingresso nel mondo del lavoro, solo il 16,4% dei nati tra il 1980 e il 1984 è salito nella scala sociale rispetto alla condizione di provenienza, il 29,5% ha invece sperimentato una mobilità discendente rispetto alla famiglia di origine. E la scuola non riesce a svolgere la funzione di riequilibrio sociale per i ragazzi provenienti da famiglie svantaggiate. L’abbandono scolastico tra i figli dei laureati è un fenomeno marginale (riguarda solo il 2,9%), sale al 7,8% tra i figli dei diplomati, ma interessa quasi uno studente su tre (il 27,7%) se i genitori hanno frequentato solo la scuola dell’obbligo. L’uscita precoce dai circuiti scolastici riguarda il 31,2% degli studenti i cui genitori svolgono professioni non qualificate, contro appena il 3,9% di quelli con genitori che svolgono invece professioni qualificate. Tra il 2008 e il 2013 la domanda di lavoro in Italia ha continuato a concentrarsi soprattutto sui livelli di studio bassi, gli unici a registrare un andamento positivo (+16,8%), a scapito sia dei titoli medi (-3,9%), sia di quelli più elevati (-9,9%). In questo periodo sono aumentati del 32,7% i diplomati e del 36,6% i laureati occupati in professioni che richiedono bassi skill. Il fenomeno dell’«overeducation» nel mercato del lavoro riguarda sia le lauree considerate deboli, come quelle in scienze sociali e umanistiche (43,7%), sia le lauree ritenute più forti, come quelle in scienze economiche e statistiche (57,3%), e tocca anche un ingegnere su tre. Di fatto, oggi in Europa due terzi dei giovani tra 18 e 29 anni si dichiarano ottimisti verso il futuro, in Italia la percentuale si ferma al 47,8%.
Fiducia in crisi sin dall’asilo. Solo il 55% dei comuni italiani ha attivato servizi per l’infanzia (asili nido e servizi integrativi), arrivando a soddisfare appena il 13,5% dell’utenza potenziale. Nei comuni capoluogo di regione la domanda insoddisfatta è pari al 35,2%. I comuni con i dati peggiori sono Palermo (71,9%) e Roma (67,3%), mentre sul versante opposto ci sono Torino (che riesce a soddisfare l’intera domanda effettiva) e Milano (solo il 4,9% di domanda insoddisfatta). Problemi organizzativi, carenza di posti disponibili, scarsità di risorse finanziarie, aumento dei costi da sostenere per rette e servizi di mensa, necessità di supplire ai bisogni quotidiani di materiali didattici e non finiscono per incrinare il rapporto fiduciario tra famiglie e sistema scolastico.
La sfiducia favorisce gli abbandoni scolastici. Nell’anno scolastico 2013/2014 risulta «disperso» nell’arco di un quinquennio il 27,9% degli studenti, pari a circa 164mila giovani. Complessivamente, si può stimare che la scuola statale ha perso nel giro di 15 anni circa 2,8 milioni di giovani, di cui solo 700mila hanno poi proseguito gli studi nella scuola non statale o nella formazione professionale, oppure hanno trovato un lavoro. Durante la frequenza l’11,4% degli studenti abbandona gli studi tra il primo e il secondo anno, e un altro 2,5% tra il secondo e il terzo anno. Non a caso, nel 2013 il 77,9% dei giovani italiani di 20-24 anni risulta in possesso di un diploma, contro una media europea molto più alta, pari all’81,1%.
L’insostenibile pesantezza del rapporto insegnanti-genitori. Nel settore dell’istruzione aumentano i ricorsi al Tar. Nel 2012 sono stati depositati 1.558 procedimenti amministrativi, con un incremento del 17,1% rispetto all’anno precedente. Solo il 10% dei genitori partecipa alle elezioni degli organi collegiali. Il 33,5% dei dirigenti scolastici lamenta che nel proprio istituto l’atteggiamento ormai prevalente tra il personale è la demotivazione e la sfiducia, mentre il 24,6% sottolinea che l’atteggiamento collaborativo da parte delle famiglie è diminuito in maniera significativa.
E l’università perde iscritti. Tra i 30-34enni, gli italiani laureati sono il 20,3% contro una media europea del 34,6%. E l’andamento delle immatricolazioni mostra un significativo calo negli ultimi anni. Rispetto all’anno precedente, nell’anno accademico 2011/2012 si sono registrate circa 9.400 immatricolazioni in meno (-3,3%). Il tasso di passaggio dalla scuola all’università tra i 18-19enni è sceso dal 50,8% del 2009/2010 al 47,3% del 2011/2012. Anche tra chi si iscrive all’università emergono presto segni di stanchezza e disaffezione. Nel 2011/2012 ha abbandonato gli studi tra il primo e il secondo anno il 15,4% degli iscritti alle lauree triennali e il 10% degli iscritti alle lauree a ciclo unico. Solo uno studente su quattro arriva a conseguire il titolo alla fine dei tre anni canonici e il 43,6% si laurea in un corso diverso da quello di immatricolazione. La quota di immatricolati che arrivano a conseguire il titolo triennale è ancora molto bassa, intorno al 55%, mentre nei Paesi dell’Ocse si arriva in media al 70%.
Chi può va a studiare all’estero. Complice il prolungarsi della crisi, la disillusione verso l’università ha polarizzato maggiormente i fenomeni di mobilità studentesca sulla direttrice Nord-Sud. Ma è in forte crescita anche la mobilità verso l’estero da parte di chi è alla ricerca di un’offerta di qualità migliore e con maggiori opportunità occupazionali. Tra il 2007 e il 2011 il numero di studenti italiani iscritti in università straniere è aumentato del 51,2%, passando da 41.394 a 62.580. Chi può si rivolge sempre più oltreconfine per trovare quelle opportunità di realizzazione sociale che non trova in Italia.
«Il vuoto della sfiducia crescente nella scuola» è l’argomento di cui si è parlato oggi al Censis, a partire da un testo elaborato nell’ambito dell’annuale appuntamento di riflessione di giugno «Un mese di sociale», giunto alla XXVI edizione, dedicato quest’anno al tema «I vuoti che crescono». Sono intervenuti il Presidente del Censis Giuseppe De Rita, il Direttore Generale Giuseppe Roma, la responsabile del settore Formazione Claudia Donati, Luigi Berlinguer, Presidente del Comitato per lo sviluppo della cultura scientifica e tecnologica del Miur, Angelo Deiana, Presidente di Confassociazioni, e Stefano Molina, dirigente di ricerca della Fondazione Giovanni Agnelli.
La valutazione e il paradosso italiano
da Corriere.it
radiografia della scuola media/ocse-Talis 2013
Maturità, conta dei voti per arrivare alla promozione
da La Stampa
Maturità, conta dei voti per arrivare alla promozione
roma
Tutti puntano ad avvicinarsi il più possibile ai 60 punti in questi risultati parziali, per arrivare all’orale ben corazzati contro una possibile scena muta. Ma anche nel caso in cui non tutto è andato come doveva andare, i maturandi che sono giunti già ai due terzi del loro percorso devono continuare a combattere per guadagnarsi la meritata vacanza.
Uun colloquio orale da almeno 22 punti, rileva il sito specializzato Skuola.net, può essere infatti decisivo anche per chi è crollato sotto il 10 in una delle prove.
Anche avendo ottenuto il punteggio minimo in tutte le voci di voto dell’esame, infatti, rimangono 2 punti di margine da giocarsi per le lievi insufficienze. E se poi i propri compagni di classe hanno fatto i fuochi di artificio e raggiungono i 40 punti e più, non bisogna considerarsi una pecora nera se si arriva intorno al 33: nel 2013, la maggioranza dei promossi è uscito con una media tra gli 11 e i 12 punti per ogni prova scritta.
Anche se i quadri agli scritti non sono stati brillanti, c’è sempre la carta dell’exploit all’orale. Ma se questo non basta per rassicurare l’animo del maturando in crisi, è importante sapere che, calcolatrice alla mano, se anche avesse preso il minimo del punteggio in tutte le voci di voto, cosa del resto ben rara, può arrivare ad essere promosso con 62. Ben 2 punti di margine, quindi, nel caso qualcuno degli scritti fosse proprio un disastro e andasse sotto al 10.
Il massimo punteggio acquisibile agli scritti è 45, ma nel caso in cui i quadri riportino nella propria casellina un inesorabile 33 in mezzo a tanti 40 e più, i maturandi non devono pensare di aver fatto una brutta figura: in realtà, questo è il voto che la grandissima parte degli studenti acquisisce agli scritti degli esami di maturità.
Basti pensare che, nel 2013, la media dei maturandi di tutti gli indirizzi scolastici è stata 11.7 alla prima prova, 11 alla seconda prova, 11.4 alla terza prova. Con un voto discreto all’orale e una media poco più che sufficiente nei tre anni del liceo, si può arrivare ad un dignitoso 70, o anche più.
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.