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A. Ingria Lo Piccolo, La Palermo dei Florio

Temi e pretesti per parlare della “mia” Palermo rimasta come quella dei Florio,… degli anni 70 e 80…!

di Gianfranco Purpi

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Spunto di questi mie presupposti di discussione e di notazioni storiche e poetiche , è il seguente libro:
– Ingria Anna Maria Lo Piccolo : “LA PALERMO DEI FLORIO” (Herbita Editore , 1993) .
lo_piccoloIl Libro in questione (anche per questo assolutamente valoriale) proietta il lettore,attraverso tanto suggestivi quanto storiograficamente attendibili scenari e paesaggi,oltre le spire del post/moderno,quotidiano,alla ricerca del tempo perduto e di sapori e colori che ancora oggi,chi ne ha fame,può cercare e riscoprire…

…Proprio come chi legge questo libro e proprio come ha “sognato” (immagino…) l’Autrice che lo ha scritto…

…E,con letture come queste, si riesce persino a riassaporare il tenue e sottile,ma sempre esteticamente ed emozionalmente ammaliante,ricordo di notti di mezza estate,quando i valori erano comunque peculiari della persona umana cristianamente fondata e…laddove si riusciva persino a sognare la sera,con un libro in mano e con a fianco lo sfondo di un lungomare “coinvolgente”,tutte le stelle dell’universo…

…Come “figli delle stelle”…

…Come quando …per miracolo… la “ragion pura” kantiana si lasciava intimidire e dolcemente sopraffare dall’ermeneutica folgorante di quell’intuizione della totalità storica (nell’alveo delle “teleologie” belle e care di un intuizionismo tutto bergsoniano…)…entro il lembo di un “pezzo” di quella Palermo dei Florio e,peraltro,di tutti i “figli delle stelle” che in quel paesaggio di autenticità siciliana rinvenivano la sorgente autenticante delle loro virtualità profonde,dinamiche,all’insegna della creatività che … i razionalismi tecnologici di oggi hanno “omologato” sul piano della fredda “ottimizzazione delle risorse””” (… nell’orizzonte teleologico gelido e cinico della pianificazione curricolare…all’insegna dell’efficientismo aziendalistico più riverente ai “giochi linguistici” dei costi,dei ricavi e dei risultati in termini di servizi e di comportamenti osservabili/misurabili/sperimentabili…)…

…Così,il lettore si ritrova (…per una di quelle magie catartiche e transferiali che solo la vera teoreticità artistica romanzata riesce a trasporre sul piano della fabulistica esistenziale)…stordito dal volo inebriante del tempo e dello spazio che sono stati recuperati e rappresentati nel bel mezzo di una temporalizzazione estatica da brivido…

…Ci si ritrova (…leggendo di un fiato le pagine di questo meraviglioso libro!)…in quelle strade affollate e pullulanti di personaggi sempre fecondamente autentici che fanno tutt’uno con l’incommensurabile platea “sistemica” del “popolo” palermitano caleidoscopio del “tempo dei Florio”…

…Si rivedono,con schizzi e pennellate tanto audaci quanto fenomenologicamente valoriali di intenso colore graffiante,…tutti gli “stereotipi” di quella Palermo/dei/Florio,nella loro complessità sociologica,nella loro problematica composizione conviviale e nella sempre loro caustica e tormentata nomenclatura di umori ed amori,di ragioni e di fedi,di passioni e temperanze,di economie sommerse e di lotta per la sopravvivenza,di smaglianti generosità e di sentimenti ed emozioni spinosi come le piante di “ficodindia”,di un rigoglìo comunque irrefrenabile di sogni e di futuro all’insegna della costante ricerca di una antropologica “esigenza di assoluta intellegibilità”…

…Questi uomini e questi paesaggi d’altri tempi salgono così maestosi e oltremodo caricaturali sul palcoscenico di una Storia che…non è quella dei medaglioni di Papi, Principi e Generali vittoriosi (…o perdenti); …ma che è proprio lo schermo proiettore dei genomi delle nostre anime e delle nostre storie e geografie “generative” di Sua Maestà l’Antropologia Filosofica,come risultante “in itinere” esistenziale anche … “mamma cara” di una civiltà quotidiana in cui la secolarizzazione di costumi,valori ed ideologie la fanno ancora a botte con le “debolezze etiche” e con il conseguente “relativismo soggettivistico” assoluto delle pulsionalità vitalistiche sfrenate del Post Moderno neo/globalizzato!

…Ciò…che è saggio non chiamare Antropologia Filosofica…per paura…di “sconfinare” in quel mondo accademico di “falchi intellettuali” che segnavano,ieri,ma anche oggi,lo spartiacque del destino culturale delle identità di formazione di tutti gli uomini di Buona Volontà…;…che,all’inizio della Vita,sono davvero tutti gli “erga omnes” che fiatano e piangono ignari…;…e che poi,spesso (da bambini),si ritrovano vittime di quella “scissione” della Ragione grazie a cui soltanto possono affermarsi le avidità dei poteri,delle violenze,delle ignoranze,delle alienazioni e dei feticismi mistificatori… dei “mostri” del Nostro Tempo -“mostri” che,con vestito più colorato e con atteggiamenti di apparente maggiore empatia solidaristica, c’erano anche al “tempo dei Florio”…

… Questi uomini e questi personaggi ,per magia audace,si trasfigurano “tutti”,trasfigurano “tutto”; …e si mettono a “sedere” …(attraverso le sintassi di una corroborante “pragmatica della linguistica”… che è tipica dell’invenzione narrativa del libro ed anche…della realtà storica che viene raccontata) …nel circolo comunicazionale e di ricerca ipotetica dell’universalizzazione etico/filosofica … attraverso simboli e metafore di eccezionale portata totalizzante di coesione e di crescita comunitarie,a carattere assolutamente “transidisciplinari” e di magica “traducibilità” dei linguaggi di relazione…

…Esempi vibranti di questo “copione” di prassi epocale?…Il “festino” tuonante di Santa Rosalia che si “affratella” anche …ai rombi della “targa Florio” …che “incarnano” la sintesi trascendentale invincibile di stile liberty anglosassone da tecnologia nascente,…da modernità pucciniana,…da motori di frenesia borghese vincente,…da cittadinanza urbanistica da metropoli anonimizzante,…da natura agreste montana madonita ,…e da ogni “quant’altro” di “statu nascenti” novecentesco, …con la voglia tutta popolare e nobiliare,allo stesso tempo,di “azzannare” (affamati) sfincioni e panelle,… a simbolo del bramante appetito di tutti di soffiare il proprio fiato/di/vita/rampante su ogni proprietà che “nobilita” (…sempre ispirati dalla voglia di “possesso” a tutti i costi … di ogni “cosa” e “persona” con già feticistica medesimezza e con le connotazioni di un tribale significato dell’”onore” …); …ed anche per la fame irresistibile di immaginazione creativa (vero e proprio “spostamento” oggettuale di libido…) suscitata da quei paesaggi metropolitani e montani da presepio vivente (…dall’intrinseca voglia di volersi bene “per un qualche interesse” … che purtuttavia si riconosce aporeticamente anche nella pulsionalità vitalistica “profonda” di un “vogliamoci bene” …che non si baratta con niente…)…

…Anche il Parco della Favorita sale alla ribalta quale Eden che si pone terreno mondano “per/tutti” …con le sue folle strabilianti e sempre mimetizzate nel verde luccicante della macchia tipica mediterranea che fa da scrigno … ai colori unici arancioni di quei tramonti che si “stampano” sulla roccia del Monte Pellegrino come tanti dolci di giornata (…che nemmeno gli occhi più frettolosi possono stemperare facilmente nell’immediatezza di una dispersiva percezione visiva …)…

…E,così,salgono sul palco di questo affascinante teatro narrativo anche … il vocìo ed il fruscìo tanto popolari e populistici (…quanto aristocratici d’intenti e di prevaricazioni solidaristiche tutti “a modo loro” … e per “cose nostre”…) dei personaggi caricaturali dei vicoli storici e dei palazzi ottocenteschi da baronaggio fluido e incorniciante anche…”altro da sé”…(con il grugno furbesco del Gattopardo)…

…E,così,prendono corpo i “prodomi” storici e dialettici … di una borghesia urbana strisciante che è sin dalla nascita tanto piccola quanto rampante;… e di una lunga linea grigia di “campieri” …che cercano inesorabilmente (…anche se lentamente!)… di impattare e surrogare i poteri e gli averi dei signorotti di campagna (con il loro sfondo di “lati/fondo”) …per poi andare ad “affollare” prepotentemente la “torre di babele” della città…

…Insomma,il libro in questione ci fa ritrovare,quasi per una di quelle magie da “tempo perduto”, le storie di una Palermo che stringeva in intrigante ed aporetica …(ma realissima) …”ricomposizione dialettica” hegeliana,i molteplici eterogenei e complessi “””dati storici di riferimento al reale”””… quali “modi d’essere” di un Logos e di uno Spirito Assoluto che l’Autrice sembra rinvenire persino sulle palme che fanno da ombra ad un mare turchino risaltante quale “specchio” dell ‘ interiorità di tutti i suoi personaggi…

…Di quei “figli delle stelle” …(che forse ancora oggi,nell’elegìa mnemonica della dolcezza nostalgica straripante e …nell’estasi rappresentativa di una temporalizzazione per forza di cose mistica;…nel ricordo di chi ama e vive la Storia di ciascuno e di tutti…come se fosse sempre quella Sua…)… riescono ad “esserci” anche “oltre” e “lontano”…da quella Palermo/dei/Florio…

…Entro l’alveo di un “attualismo” neo/idealistico (… di un’immanenza sempre da “sirena”) anche come …”misticismo” e come “psicosi dialettica”; …e come voglia irresistibile mistificante di dire agli altri ed al proprio Io “singolarizzante” ..che questo stesso misticismo non conosce né tempo,né spazio e né scienza descrittiva…perché ci fa abbracciare gli “erga omnes” ed il loro Tempo …come se “ieri” o “l’altro ieri”… fossero sempre “oggi” (…in un’Acropoli “ambulante” di filosofia aristotelica “mai superata”…),sempre in ragione dell’Uno che si “ripartisce” solo per finzione mentale nella determinatezza della “distinzione” e nei “ modi di essere” di tutte le persone ed i fatti di questo mondo…

…Ma noi …(da saggi amanti del “personalismo critico”)…sappiamo che … “non è così”; ..e che quella Palermo/dei/Florio…l’Autrice (crediamo di intuire…)…l’abbia voluta raccontare “così” …anche e soprattutto (con impareggiabile acume esteticamente dialettico e di “paidetica” descrittività artisticamente incommensurabile) per “disincantarci” (…dopo averci fatto sognare il Tutto Immanente) e quindi …per fini assolutamente “pedagogici”; id est…di Filosofia in quanto,prima di tutto ed oltre tutto,Filosofia delle Scienze che rinviene nella “pedagogicità” la valenza generativa linguistico/teoretica di ogni proprio costrutto enunciativo di “Teoria/generale/del/divenire”…

…Per suggerirci e sollecitarci -essa Autrice- con garbo e sagacia artistica inimitabile (…nello stesso tempo e per lo stesso motivo)…la tensione alla ricerca storiografica (ma prima di tutto storica e storicistica…)…sempre scientificamente criteriata e sperimentalmente condotta (…e filosoficamente fondata, pedagogicamente prospettata e storicisticamente “limata” da quel pizzico di “ermeneutica” che ci vuole … “quando ci vuole” e “per quanto ci vuole”;…per la genesi di ogni “ipotesi” di questo mondo e di questo “esserci/nel/mondo”…)…

…Al postutto,per suggerirci e sollecitarci una sempre indelebile e tangibile nostra “filosofia della prassi”… sia nella prospettiva teoretica dei saggi accademici, … che nell’antropologia di “vulgata” (…di senso comune!)… di uno Storicismo Assoluto comunque poliedricamente gramsciano,laico/laicista ed,al limite,criticistico… (dunque,con la Praxis e la Teoria di una dialettica della “compenetrazione intersoggettiva” esistenzialistica,comunque ”assieme”,”vive”,”convergenti” e “divergenti”,”ristrutturanti”,”personalizzate” e personalizzanti”,sempre “ulteriori/eccedenti” i condizionamenti storico/esistenziali e naturali dell’Hic et Nunc;… e,quindi, … da “personalismo storico” e “critico”,nello stesso tempo e per lo stesso motivo!)…

…Il nostro maestro Mario Manno forse potrebbe convenire…

Musica nel nuovo curricolo della Scuola primaria

Musica nel nuovo curricolo della Scuola primaria

di Maria Rita Natella e Rosa Maria Cannavale  

Dando uno sguardo ai programmi scolastici del passato l’insegnamento della musica (facoltativo) fu ammesso nel 1861 con un Decreto del Ministro Francesco De Sanctis.

Nel 1888 nei programmi di Gabelli, solo nelle istruzioni generali, e non nei programmi veri e propri, si sosteneva la necessità che la musica entrasse nelle scuole, non tanto per una funzione ricreativa ma anche formativa.

Con la riforma Gentile (1923) sembrava che la musica entrasse finalmente in maniera organica nella scuola, ma fu una illusione, in quanto i programmi del L. Radice non vennero attuati completamente perchè non erano molti gli insegnanti in grado di farlo. A lui però va il merito di considerare questa materia nella sua funzione educativa.

Per anni, quindi la musica è stata considerata quasi la “Cenerentola” della scuola, estranea al complesso ed allo spirito degli altri insegnamenti.

Soltanto due educatori italiani, Maria Montessori e Rosa Agazzi ne hanno realmente compreso l’importanza nell’educazione del fanciullo.

Notevole interesse pedagogico-didattico sono le serie di campanelli con i  suoni corrispondenti alla scala diatonica collocati su un supporto a forma di scala ascendente e discendente, sul quale il bambino deve saper ordinare in corrispondenza  dei 7 gradini in salita e in discesa i rispettivi suoni secondo l’altezza cioè dal più acuto al più grave e viceversa. Al primo grado della scala corrisponde il do, al secondo il re, ecc….. .

Da questo esercizio il bambino può trarre grandi vantaggi per l’ educazione all’orecchio, la comprensione, la discriminazione e l’interiorizzazione dei suoni e degli intervalli più elementari.

Secondo la formulazione dei programmi del ’55 il rapporto del fanciullo con la musica doveva essere di tipo estetico ,sentimentale, emotivo, ma l’invadenza della riproduzione elettronica(disco, cassette, compact disk) ha cambiato il “paesaggio sonoro” facendo della musica un fattore onnipresente nella nostra cultura.

E’ evidente che i programmi si siano dovuti adeguare e abbiano dovuto conferire al mondo musicale un’ importanza  maggiore che nel passato.

La radicale trasformazione in senso pedagogico dell’insegnamento della musica e del canto avviene nel 1962 con la legge istitutiva della scuola media dell’obbligo che parlava di Ed.musicale che deve “….suscitare nell’alunno l’amore verso l’arte dei suoni, intesa anch’essa come forma del linguaggio e dell’espressione”.

Dewyer1 afferma, infatti, che la musica è un linguaggio e in quanto tale può venire utilizzata pedagogicamente.

Trattandosi di un linguaggio universale capace di esprimere particolari sensazioni e stati d’animo, la musica può assumere grande valore anche per aiutare i bambini diversamente abili. La musicoterapia, infatti, attraverso l’ascolto opportunamente scelto, aiuta il bambino ad orientarsi nello spazio, a concentrarsi e a reagire alle stimolazioni emotive.

Il linguaggio musicale è quindi una possibilità comunicativa particolare dell’alfabetizzazione culturale. Esso presenta un suo codice, si parla, infatti ,di “inciso” a proposito dei brani della frase musicale come si parla di inciso o preposizioni incidentali della lingua. Per continuare, anche la musica ha la sua grammatica: le scale, le tonalità, le modalità, le progressioni ecc…. .

Come avviene per tutte le discipline, anche per la musica ogni scuola dovrebbe mettere a disposizione degli allievi un minimo di strumenti, quali: un  pianoforte, una chitarra, uno xilofono, e ancora tamburelli, maracas, legnetti, triangolini ecc…. .

Strumenti necessari per la riproduzione della musica (radio-registratori,computer) oggi   si rendono indispensabili per una proficua lezione.

Dato il grande contributo che l’educazione musicale rende allo sviluppo armonico psico-fisico dell’individuo e all’arricchimento della sua personalità già dalla scuola dell’infanzia si deve dare molto spazio a quest’educazione.

Oltre che al canto corale bisogna finalizzare l’ascolto, la ritmica, l’improvvisazione, l’esecuzione e cercare di farlo non in senso nozionistico e specialistico ma riducendo al minimo indispensabile i tecnicismi dando, invece, libero sfogo all’inventiva del bambino.

In Musica, i traguardi per lo sviluppo delle competenze della scuola primaria, come previsto dall’ articolo 1, comma 4, del Decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n.89,  prevedono che:

  • · L’alunno esplora, discrimina ed elabora eventi sonori dal punto di vista qualitativo, spaziale e in riferimento alla loro fonte.
  • · Esplora diverse possibilità espressive della voce, di oggetti sonori e strumenti musicali, imparando ad ascoltare se stesso e gli altri; fa uso di forme analogiche e codificate.
  • · Articola combinazioni timbriche, ritmiche e melodiche, applicando schemi elementari; le esegue con la voce, il corpo e gli strumenti, ivi compresi quelli della tecnologia informatica.
  • · Improvvisa liberamente e in modo creativo, imparando gradualmente a dominare tecniche e materiali, suoni e silenzi.
  • · Esegue, da solo e in gruppo, semplici brani vocali o strumentali, appartenenti a generi e culture differenti, utilizzando anche strumenti didattici e auto-costruiti.
  • · Riconosce gli elementi costitutivi di un semplice brano musicale, utilizzandoli nella pratica.
  • · Ascolta, interpreta e descrive brani di diverso genere.

 

Il programma di Musica della Scuola Primaria si articola, quindi, su una sequenza che può essere definita

“percezione, comprensione, produzione”.

  • La percezione(ascolto)e la comprensione è chiaro che assumono un ruolo fondamentale.

Ascoltare e comprendere per la Musica sono sinonimi; l’ascolto guidato mette in atto le operazioni dell’intelletto che si esercita ad “attendere, cogliere, rapportare tra loro i vari elementi”.

La comprensione, entro la quale viene a collocarsi anche la capacità d’intendere il linguaggio musicale, è un fatto d’intelligenza, il risultato della combinazione di più fattori mentali.

Ci sarà un primo momento in cui l’attenzione e l’ascolto vengono diretti a discriminare, isolare,  i suoni prodotti nell’ambiente (il suono di una sirena, il rumore di una macchina, il gocciolio di una gronda, il passo di una persona, una canzone che si diffonde nell’aria…..)e un secondo momento in cui l’alunno impara a metterli in ordine e a riprodurli in sequenze, a raggrupparli in base al ritmo, alla durata e all’intensità.

Si farà poi rilevare la differenza dei timbri che, vari suoni, ricavabili percuotendo il legno, il vetro, il metallo, possono avere.

Solo in un secondo momento si  passerà all’ascolto di tutti i vari tipi della produzione musicale(classica, moderna, rock, jazz, afro-americana ecc…) si faranno notare loro le differenze e i vari stili che lo porteranno a conoscere e quindi ad avvicinarlo alla storia e alle tradizioni di altri paesi.

L’insegnante deve scegliere i brani da proporre all’ascolto cercando di rispondere ai bisogni del momento evolutivo vissuto dal discente, deve assicurare una notevole varietà di spunti interessanti (storici, geografici, religiosi, poetici, linguistici) anche per un utile collaborazione interdisciplinare.

Importante è inoltre, a mio avviso, raccontare aneddoti e curiosità che sono il mezzo per far scoccare la scintilla dell’attenzione, per mettere nel necessario stato di attesa l’intera classe.

Di grande importanza è anche l’educazione ritmica.

Già nell’antica  Grecia che considerava il ritmo “ordine del movimento”(dell’io  e del cosmo Platone)viene riconosciuto al ritmo la capacità di influire sul morale, di modificare le sensazioni, di provocare in noi dei movimenti regolari. L’educazione ritmica contribuisce a chiarire nella mente del discente il nesso tra il tempo e l’azione, a risvegliare in lui la “ricettività” che sarebbe  difficilmente raggiungibile con altri mezzi didattici.

Da non sottovalutare anche l’improvvisazione poiché rende il bambino protagonista dell’atto formativo e attivizza il processo educativo.

E’ chiaro che va intesa come il “com-porre”, cioè porre insieme, da parte dell’alunno, secondo il proprio gusto, i suoni e i ritmi appena conosciuti, così come analogamente può fare lo scolaro di prima elementare quando, per la prima volta, timidamente e semmai ortograficamente poco corretti, esprime i suoi primi ed originali pensierini.

Ogni alunno è in grado di improvvisare una melodia con l’aiuto di semplici strumenti, oppure di creare e riprodurre dal nulla uno schema ritmico.

L’importanza di questa esercitazione didattica sta nella possibilità di evidenziare nella mente dell’allievo le sue capacità espressive in un linguaggio universale e di imparare a trarre da sé il frutto originale della sua creatività.

Ricordiamoci che la scuola dell’obbligo non deve educare “alla musica” bensì “con la musica”. Ciò vuol dire che il fine di questo insegnamento non esclude la possibilità di formare anche qualche musicista, ma in primo luogo mira, sostanzialmente, alla formazione della persona umana.

  • Il momento della produzione è organizzato attorno alla voce, agli strumenti musicali e alla notazione musicale.

Voce che parla, voce che canta, voce che ride, piange, grida: la vocalità umana è di per sé stessa un universo musicale. Schopenhauer2 diceva che “Nessun suono va all’anima, muove le passioni ed esalta la sensibilità come la voce umana; la parola va alla mente e all’intelligenza ma il suono della voce va al cuore”.

Fondamentale, quindi, è cantare insieme. Cantando ogni alunno “fa” musica, diventa protagonista e ciò è di fondamentale importanza ai fini educativi, che poi non sono altro che quelli di far prendere coscienza all’educando dell’interdipendenza delle varie parti del coro e quindi dell’importanza di ogni singola voce.

La voce è costituita dall’insieme dei suoni originati a livello di laringe con il concorso di tre apparati:

  • · quello respiratorio (motore) che svolge la funzione di mantice;
  • · la laringe (vibrante) che produce i suoni per mezzo della vibrazione delle corde vocali;
  • · le cavità naturali (risonante) faringe, cavità boccale e cavità nasali che funzionano da risonatori e caratterizzano il timbro della voce.

Il canto non è altro che modulazione della voce in una continuazione di suoni che nel loro insieme costituiscono uno sviluppo melodico.

I suoni bassi  trovano risonanza nella cavità toracica mentre, salendo verso gli acuti, la risonanza si ha al di sopra della laringe, fino alla cavità boccale e nasale, stabilendo le zone di contrasto timbrico corrispondente alle voci o registro di “petto” e di “testa”.

Dovendo far cantare dei ragazzi (voci bianche) occorre educarli subito a contenere l’emissione forzata dei suoni, vale a dire a non gridare e ciò si potrà ottenere impostando il canto sulla voce di testa. Cantare senza forzare facilita l’autocontrollo dell’emissione e nel contempo l’intonazione, dovuta ad un più attento ascolto di sé  e degli altri nelle esecuzioni corali. E’ utile vocalizzare con la sillaba “nu”e iniziare con il “pian(p)” per poi passare al “mezzo forte(mf)” e al “forte(f). Occorrerà distinguere, tra le voci bianche, quelle dei maschi da quelle delle bambine. Quest’ultime si caratterizzano per un timbro più sottile, mentre la voce dei maschietti è più penetrante.

Utile è poter riascoltare l’esecuzione che permette di evidenziare pregi e difetti. In genere sono da preferire melodie diatoniche,mentre sono da evitare gli intervalli cromatici persistenti, le dissonanze armoniche, le note lunghe o ripetute. Importantissima è anche la corretta pronuncia delle parole.

La scelta del repertorio dei canti deve tener presente i principi pedagogici in quanto il canto deve:

  1. adeguarsi alle reali capacità di apprendimento del fanciullo, conformemente al suo grado di sviluppo;
  2. essere elemento di interesse per l’allievo.

Secondo il parere di molti studiosi la preferenza spetta ai canti popolari, ricchi di significati educativi che sgorgano dall’anima popolare e perciò più vicini al modo di “sentire ” del bambino. E’ opportuno che la scelta, l’analisi dei brani sia fatti in collaborazione con gli allievi sulla base di una discreta “rosa” presentata dall’insegnante, selezionata secondo ovvi criteri di opportunità, in rapporto all’età dei discenti, alla classe frequentata, all’ambiente naturale, socio-economico, alle possibili correlazioni interdisciplinari, alle mille altre occasioni offerte quotidianamente dalla cronaca, dalle abitudini, dalle festività ecc… .

L’insegnamento degli elementi della notazione musicale acquista un vero contenuto educativo quando si colloca come risposta al bisogno degli allievi di penetrare i segreti della grafia musicale da utilizzare sia in vista di una più consapevole esecuzione, sia per una eventuale personale proposta creativa sotto forma di improvvisazione ritmico – melodica. Questo è indubbiamente il momento più impegnativo ,ma d’altronde la simbolizzazione musicale non è cosa diversa da quella matematica o linguistica, anzi potrebbe fornire alla maturazione intellettuale del bambino una risorsa risolutiva.

Agli strumenti, infine, si deve giungere ricostruendo le esperienze che hanno portato alla loro costruzione, percuotendo, sfregando, agitando, soffiando, pizzicando, i più svariati materiali nei modi più diversi, così che l’alunno si renda conto dell’inventiva musicale presente non solo nei popoli più evoluti ma anche nelle più povere comunità della Terra.

Per aiutarli a  riconoscere poi i vari strumenti e quindi i vari timbri si potranno far ascoltare :

  • · per gli animali e le voci della natura: di Prokofiev “Pierino e il lupo”, di Saint-Saens:” Il carnevale degli animali”;
  • · per il violino: di Paganini “La campanella”;
  • · per il violoncello: di Saint-Saens “Il cigno”;
  • · per il pianoforte: di Beethoven “Al chiaro di luna”, di Chopin i valzer o le mazurche;
  • · per l’organo: di Bach: “Toccata e fuga in re-;
  • · per la viola: di Mozart” Sinfonia concertante per violino e viola K 364;
  • · per la voce: di Thomas Tallis mottetto per otto cori a cinque voci “Spem in alium”. Di Franz Biber “Messa Salisburghese”.
  • · per chitarra: di Joaquin Rodrigo “Concierto de Aranjuez,Fantasia para un gentlhombre”,di niccolò Paganini “Valzer per chitarra”
  • · ecc……..

(1) In merito alla filosofia di Dewy: “La filosofia e la pedagogia di John Dewy” di Alberto Palmucci.

(2) In merito alla filosofia di Schopenhauer: ” Il mondo come volontà e rappresentazione di Arthur Schopenhauer”.Titolo originale: “Die weet als  wille und vorstellung” ed.integrale. Traduttore Giani G. C. Editore Newton Compton.

 

Mobilità 2013-2014

Calendario Mobilità

a cura di Dario Cillo

Mobilità

Tipo di personale Termine presentazione
domande
Termine acquisizione
domande
Diffusione risultati
Docenti Scuola Infanzia 13 marzo – 11 aprile (1)
3 maggio 5 giugno
Docenti Scuola Primaria 13 marzo – 11 aprile (1)
3 maggio 5 giugno
Docenti Scuola Secondaria I grado 13 marzo – 11 aprile (1)
5 giugno 25 giugno
Docenti Scuola Secondaria Il grado 13 marzo – 11 aprile (1)
25 giugno
9 luglio
Personale Educativo 13 marzo – 11 aprile (2)
24 maggio
3 giugno
Personale ATA 13 maggio – 15 giugno (3)
10 luglio 1 agosto
Personale IRC 8 aprile – 6 maggio (4)
24 giugno 10 luglio

(1) Il dirigente scolastico competente provvede, entro i 15 giorni successivi al termine fissato dall’O.M. per la presentazione delle domande di mobilità, alla formazione e pubblicazione all’albo dell’istituzione scolastica delle graduatorie relative agli insegnanti titolari. Tali graduatorie dovranno contenere, oltre il punteggio complessivo, i punteggi analitici (servizio, famiglia e titoli). (Capo III, CCNI)

(2) Il dirigente scolastico competente, provvede – entro 10 giorni dalla data di pubblicazione della tabella organica – alla formazione e pubblicazione all’albo della direzione delle graduatorie relative al personale educativo interessato al fenomeno delle soppressioni. (art. 40, CCNI)

(3) I dirigenti scolastici, entro i 15 giorni successivi alla scadenza delle domande di trasferimento, formulano e affiggono all’albo le graduatorie per l’individuazione dei perdenti posto. (art. 48, CCNI)

(4) Gli insegnanti di religione cattolica che si vengano a trovare in posizione di soprannumero rispetto alle dotazioni organiche di ogni singola diocesi sono individuati sulla base della graduatoria articolata per ambiti territoriali diocesani, predisposta dall’Ufficio scolastico regionale competente. (Capo VIII, CCNI)

Utilizzazioni e Assegnazioni provvisorie

Tipo di personale Termine presentazione
domande
Personale Docente Scuola Infanzia e Primaria
20 luglio
Personale Docente Scuola Secondaria I e II Grado 25 luglio
Personale Educativo 25 luglio
Personale IRC 25 luglio
Personale ATA 12 agosto

NB: Sono indicate in rosso le date che hanno subito variazioni

Nascondino

Nascondino
Tener segrete debolezze e paure: un errore

 di Adriana Rumbolo

 

You are as sick as you are secret, recita un proverbio inglese.

Che potrebbe essere tradotto con”Il tuo disagio è pari al tuo bisogno di nasconderti”

Una studentessa,  soffriva di una forma non grave ,tenuta sotto controllo dai farmaci, di epilessia e finchè non trovò il coraggio di parlarne con me la sua vita in classe fu un inferno.

Nessuno ne  aveva informato  neanche gli insegnanti finchè lei non ebbe una crisi improvvisa in classe  che gettò nel terrore tutta la scuola.

Parlandone poi  con me e con i compagni  piano  piano partecipò alla vita di gruppo sentendosi , ora, protetta da loro  ,fino alle gite scolastiche.

Non a caso gli psicologi consigliano in genere la trasparenza e la chiarezza  perché  spesso induce anche gli altri a parlare e tutti ne usciamo più tranquilli perché  inevitabilmente scopriamo che tutti abbiamo paure e debolezze.

Se ci si mostra per quello che si è, difficilmente un disagio psicologico potrà crescere sino a raggiungere dimensioni preoccupanti.

“Quando parliamo  di malesseri come appunto i disturbi alimentari o gli attacchi di panico, o ancora i disturbi ossessivo-compulsivi ,rinunciare a occultarli per chiedere aiuto significa offrirsi una grossa opportunità

“La trasparenza, cioè il mostrarsi come si è realmente, è corretta come generale forma di prevenzione di disagio, ma contiene un piccolo paradosso : mostrarsi è facile se siamo in pace con noi stessi, se quello che abbiamo da fare vedere ci piace, ma cosa succede se giudichiamo inaccettabile una parte di noi ?

“La vera trasparenza implica sincerità verso se stessi prima ancora che verso gli altri”

“Noi occultiamo molte cose a noi stessi in maniera inconscia e altre in modo seminconscio  o conscio.

Difficile accorgersi delle prime, ma le seconde possono essere mascherate.

In genere tendiamo a mentire a noi stessi quando qualcosa ci fa stare a disagio. , ci  racconta di noi cose che non ci piacciono”

Negare e nascondere tutto, però,  non è una buona strategia: questo materiale psicologico non sparisce per il solo fatto di non essere riconosciuto, ma anzi sepolto nella psiche porta tensioni, a volte addirittura malattie.

“Inoltre noi tendiamo a  non riconoscere cose che, se guardate con onestà, il più delle volte sono invece accettabilissime: sono i nostri limiti, i nostri errori, le nostre debolezze, perfino le nostre paure.

Se riuscissimo a dire almeno a noi stessi la verità su tutte queste cose, sarebbe anche facile ridimensionarle.

E trasformarle in occasione di crescita.

M. Murgia, L’incontro

Della Sardegna dei buoni

di Antonio Stanca

murgiaE’ nata nel 1972 a Cabras, in  provincia di Oristano, nella Sardegna sud-occidentale, ha compiuto un corso di studi tecnici ed in seguito ha studiato teologia. Molte e diverse attività ha svolto prima di approdare alla scrittura, è stata animatrice nell’Azione Cattolica, venditrice di multiproprietà, dirigente amministrativa, portinaia di notte. Ora ha quarantuno anni e quando ne aveva trentaquattro , nel 2006, scrisse il primo libro Il mondo deve sapere, dove rappresenta, in maniera satirica, la grave condizione economica e psicologica sofferta dai lavoratori delle televendite. Dall’opera sono stati tratti uno spettacolo teatrale ed in seguito un film. La scrittrice è Michela Murgia, una donna che si sposta in continuazione, svolge attività di animatrice culturale, s’impegna in operazioni di recupero di territori e persone che ne hanno bisogno, prende parte a movimenti politici che perseguono l’indipendenza della Sardegna. Tra tanti interessi quelli per la sua isola e per Cabras rimangono i principali anche nel suo lavoro di scrittrice.

Nel 2007 è presente con altri scrittori in “Cartas de logu: scrittori sardi allo specchio”, nel 2008 scrive Viaggio in Sardegna. Undici percorsi nell’isola che non si vede, dove illustra alcuni posti della Sardegna rimasti scarsamente conosciuti, nel 2009 col romanzo Accabadora ricostruisce la Sardegna degli anni Cinquanta agitata dai problemi dell’eutanasia e dell’adozione. Con quest’opera la Murgia vinse nel 2009 il Premio Dessì e nel 2010 il Premio Campiello. Fu un’opera molto tradotta. Del 2011 è il romanzo Ave Mary. E la chiesa inventò la donna che suscita ammirazione  ma anche polemiche. Ha scritto pure racconti quali L’aragosta nel 2012 per l’antologia “Piciocas. Storie di ex bambine dell’Isola che c’è” e nello stesso anno altri per l’antologia “ Presente”. Al 2012 risale il romanzo L’incontro che è comparso prima nella collana “Inediti d’autore” del “Corriere della Sera” ed ora per conto della casa editrice Einaudi di Torino (pp. 102, € 10,00), dalla quale è stata pubblicata la maggior parte delle opere della Murgia. Ne L’incontro ancora la Sardegna e addirittura Cabras, il suo paese natale, sono i luoghi nei quali la scrittrice ambienta le vicende dei tre ragazzi, Maurizio, Giulio e Franco, che, negli anni Ottanta, a Cabras trascorrono le vacanze estive tra giochi di bilie, lanci di fionda, cacce alle lucertole, agli uccelli, immersioni nello stagno, corse sfrenate, confidenze intime, pensieri taciuti, sogni coltivati.

Abile è la Murgia nel rappresentare il piccolo paese della provincia sarda con le sue case, le sue strade, la sua gente, le sue tradizioni, le sue credenze, le sue superstizioni, i suoi costumi e nel collocarvi la vita nuova, diversa dei tre ragazzi di scuola elementare senza mostrarla in contrasto con l’ambiente ma riuscendo a comporre un quadro nel quale le due parti si combinano alla perfezione ognuna conservando se stessa. Facile, chiara è la lingua della scrittrice, sembra di leggere una favola, delle favole ha i toni vivaci, allegri e quelli cupi, grotteschi che mai, però, riescono definitivi. Anche quando la situazione, alla fine, sta per complicarsi poiché le quattro processioni pasquali sfociano tutte nella stessa piazza e si teme uno scontro tra le due fasce della popolazione che seguono due chiese  e due processioni diverse, anche allora sarà il buon senso dei tre ragazzi ad annullare ogni rivalità, ogni tensione ed a far vincere “l’incontro” sullo scontro. Saranno l’entusiasmo della loro età, il bene al quale erano educati, l’amore che cercavano per sé e per gli altri a trionfare sul male, sull’odio che si erano creati a Cabras. E tramite i suoi ragazzi la Murgia riuscirà ad esprimere la convinzione, la forza della sua fede religiosa e civile, la fiducia nelle buone azioni, riuscirà a fare dell’intera narrazione un messaggio di pace.

E’ figlia di una terra antica, ad essa non ha mai rinunciato, della Sardegna dei buoni, delle loro virtù vuole essere la voce, inalterabili le vuole mostrare. Come nella vita così nell’opera la Murgia si rivela erede di antichi valori ed impegnata a farne un modo per rimuovere gli ostacoli, superare i pericoli, combattere il male.

Esiti Esami di Stato 2012-13

Il 27 luglio il MIUR rende noti i primi dati sugli esiti degli Esami di Stato conclusivi del secondo ciclo di Istruzione dell’A.S. 2012/2013

Maturità 2013, scende la percentuale dei non ammessi
Leggero aumento dei 100 e 100 e lode

Aumenta, seppure di poco, la percentuale dei 100 e 100 e lode negli Esami di Stato appena conclusi, cresce il numero degli studenti diplomati con voti compresi tra 81 e 99, diminuiscono i voti tra 60 e 70. Resta invariata la percentuale dei voti tra 71 e 80. E’ questo il quadro della maturità 2013, basato su una percentuale del 90% delle scuole.
I non ammessi all’esame quest’anno diminuiscono: dal 5,6% del 2011/2012 al 4,5% di quest’anno. Gli ammessi dunque sono stati il 95,5%.
Ha superato l’esame il 99,1% dei ragazzi. Di conseguenza i non diplomati sono lo 0,9%.

Votazioni con lode
I diplomati con lode, finora comunicati dalle scuole, sono 2.949, ovvero lo 0,7%. Lo scorso anno invece il dato definitivo è stato di  2.581 lodi, ovvero lo 0,6% dei diplomati. Le Regioni con il maggior numero di 100 e lode sono: Puglia e Umbria (1,6%), Marche (1,2%), Emilia Romagna, Abruzzo e Basilicata (0,8%).

Votazioni con 100
Aumenta anche il numero dei diplomati con 100: 4,4% l’anno scorso, 4,8% quest’anno. La Regione con il maggior numero di 100 è la Calabria (8,1%), seguita dalla Puglia (6,9%), Marche (6,0%), Sicilia e Umbria (5,6%).

Aumentano gli studenti con voti compresi tra 81 e 99
81-90: 18,1% rispetto al 17,4% dell’anno precedente;
91-99: 8,0% rispetto al 7,3%.

Diminuiscono gli studenti con voti compresi tra 60 e 70
60: 9,3% rispetto al 10,1 dell’anno scorso;
61-70: 30,6% rispetto al 31,7%.

Invariata la percentuale degli studenti con voto compreso tra 71 e 80 che resta 28,5%.

Per tipologia di scuola
L’aumento più significativo delle votazioni nella fascia da 91 a 100 si riscontra nei licei.
Diminuiscono gli studenti con voto 60 in particolare negli istituti tecnici e professionali.

Onorare il mandato ricevuto

On. ministro Carrozza, onori il mandato ricevuto

di Enrico Maranzana

 

La separazione dei poteri è un principio fondante lo Stato di diritto:  il potere legislativo, il potere esecutivo e il potere giudiziario ne sono l’articolazione.

 

Il potere esecutivo garantisce il rispetto della legge dello Stato e dirige la pubblica amministrazione: vigila sulla rigorosa applicazione delle regole vigenti e sul fluire del servizio nell’alveo istituzionale.

 

Un adempimento capace di sintonizzare il nostro sistema educativo di istruzione e di formazione alla società contemporanea; un adempimento di semplice e immediata realizzazione, un adempimento inexpensive; un adempimento omesso.

 

Per onorare il mandato ricevuto il ministro può desumere i dati necessari dai Piani dell’Offerta Formativa delle scuole.

Tre i possibili punti d’osservazione.

 

1 – Il sistema organizzativo

Il decreto legislativo 297/94 prevede una pluralità di organismi aventi specifiche responsabilità.

I POF rispondono alle seguenti istanze?

1 – Il consiglio di istituto ha “elaborato e adottato gli indirizzi generali” e li ha espressi sottoforma di competenze generali?

2 – Le competenze generali che il Consiglio ha identificato sono armoniche con quelle espresse nei nuovi regolamenti di riordino del 2010?

3 – Il Consiglio di istituto ha deliberato i “criteri generali della programmazione educativa”?

4 – Il Collegio dei docenti ha “programmato l’azione educativa” per tracciare itinerari atti alla promozione delle competenze generali che il Consiglio di istituto ha elencato?

5 – Sono indicate le modalità che il Collegio dei docenti segue per “valutare periodicamente l’andamento complessivo dell’azione didattica per verificarne l’efficacia in rapporto agli orientamenti e agli obiettivi programmati, proponendo, ove necessario, opportune misure per il miglioramento dell’attività scolastica”?

6 – Sono precisate le modalità operative del Consiglio di classe che “coordina” gli insegnamenti e assicura la loro convergenza sinergica verso la promozione dei traguardi indicati dal collegio?

7 –  Sono predisposte le condizioni affinché la didattica delle singole discipline sia orientata al conseguimento sia delle competenze generali sia delle competenze specifiche?

 

2 – L’autonomia delle istituzioni scolastiche

Il DPR 275/99 pone la progettazione a fondamento della vita delle scuola.

I Pof

1 – contengono l’esatta e circostanziata descrizione del risultato da conseguire?

2 –  forniscono le risultanze delle analisi condotte per identificare il campo del problema?

3 –    descrivono compiutamente le ipotesi risolutive formulate?

4 –    prefigurano procedimenti per la rilevazione degli esiti?

5 –   prevedono la comparazione dei risultati ottenuti con gli esiti attesi e la capitalizzazione degli eventuali scostamenti?

 

 

3 – Orientamento del sistema scuola

La legge 53/2003  finalizza il servizio scolastico alla promozione dell’apprendimento per “sviluppare le capacità e le competenze, attraverso conoscenze e abilità, generali e specifiche”.

La struttura dei Pof si caratterizza per aver indicato:

1    –   le capacità e le competenze generali come nuclei portanti?

2 – le conoscenze e le abilità come “strumento e occasione” d’apprendimento?

3    –   le competenze specifiche come classi sottordinate a quelle generali?

4    –    la valutazione come una fase del feed-back?

Nota ISTAT 24 luglio 2013, SP/388

Istituto Nazionale di Statistica

Ai Direttori Generali Regionali U.S.R.
Loro Sedi
Al Sovrintendente Scolastico per la Provincia di Bolzano
Al Sovrintendente Scolastico per la Provincia di Trento
All’Intendente Scolastico per la Scuola in lingua tedesca
Bolzano
All’Intendente Scolastico per la Scuola Località Ladine
Bolzano
Al Sovrintendente degli studi per la Regione Valle D’Aosta
Aosta
E p.c. alla dr.ssa Carmela Palumbo – MIUR- Direttore Generale per gli
Ordinamenti scolastici e per l’Autonomia scolastica
All’Ufficio di statistica del MIUR

Oggetto: Diffusione della cultura statistica nelle scuole

Per l’Istituto nazionale di statistica (Istat) e il Sistema statistico nazionale (Sistan) la diffusione della cultura statistica rappresenta una linea strategica di azione in quanto, con evidenza crescente nella società della comunicazione e della conoscenza, non disporre di uno strumento per leggere, capire e interpretare le molteplici informazioni/dati che i media offrono quotidianamente può rappresentare un grave handicap per l’esercizio del proprio ruolo di cittadinanza consapevole.

La statistica, pertanto, dovrebbe essere oggetto di insegnamento interdisciplinare, capace di cogliere le interconnessioni tra i diversi saperi, per contribuire ad avviare gli alunni a una visione unitaria delle conoscenze.

Nella convinzione che, per facilitare l’acquisizione di abilità e competenze, occorra avvicinare i contenuti dell’apprendimento agli studenti e alle loro variegate sensibilità e molteplicità di interessi, l’Istat ha progettato e realizzato pacchetti differenziati per l’insegnamento della statistica, che puntano all’utilizzo di metodologie didattiche attive e a un apprendimento centrato sull’esperienza, sullo stimolo alla curiosità e alla soluzione di problemi concreti.

I materiali didattici mirano a supportare gli insegnanti e sono ideati per i tre ordini di scuola: infanzia, secondaria di primo e secondaria di secondo grado.

In coincidenza con l’apertura dell’anno scolastico 2013-2014, saranno disponibili pacchetti didattici differenziati e, in particolare:

  • Kit statistico per le secondarie di primo grado
  • Scuola di statistica-Lab, piattaforma didattica virtuale per le secondarie di secondo grado
  • Pacchetti didattici a supporto di iniziative sul territorio per scuole dell’infanzia, secondarie di primo e secondarie di secondo grado

I prodotti saranno disponibili sulla pagina web dell’Istat – Scuola superiore di statistica.

Ulteriori informazioni potranno essere richieste all’indirizzo e-mail:
nuovegenerazioni@istat.it.

Inoltre, le sedi Istat territoriali presenti nei capoluoghi di Regione saranno a disposizione per ogni utile riflessione in vista della progettazione di iniziative con le scuole: a tal fme è possibile prendere contatti con i responsabili degli Uffici territoriali di cui al prospetto allegato.

Si pregano le SS.LL. di voler dare ampia diffusione della presente alle istituzioni scolastiche dei territori di specifica competenza, anche attraverso il coinvolgimento delle direzioni scolastiche provinciali.

Nel ringraziare per l’attenzione, si porgono i migliori saluti

IL PRESIDENTE f.f.
(Prof. Antonio Golini)

ALLEGATO

Ufficio Territoriale per la Lombardia
Dott.ssa Rosalia Coniglio
Telefono 0646735215
E-mail roconigl@istat.it

Ufficio Territoriale per il Piemonte e la Valle D’Aosta
Dott. Claudio Moriani
Telefono 0646735192
E-mail moriani@istat.it

Ufficio Territoriale per la Liguria
Dott.ssa Anna Militello
Telefono 0646735104
E-mail militell@istat.it

Ufficio Territoriale per il Veneto e il Friuli-Venezia Giulia
Dott.ssa Rosalba Sterzi
Telefono 0646735307 (Venezia); 0646735259 (Trieste)
E-mail sterzi@istat.it

Ufficio Territoriale per l’Emilia Romagna e le Marche
Dott. Marco Ricci
Telefono 0646735350 (Bologna); 3298604102 (Ancona)
E-mail mrmaricC@istat.it

Ufficio Territoriale per la Toscana e l’Umbria
Dott. ssa Bianca Maria Martelli
Telefono 0646735400 (Firenze); 0646735550 (Perugia)
E-mail bmartelli@istat.it

Ufficio Territoriale per il Veneto e il Lazio
Dott. ssa Paola Francesca Cortese
Telefono 0646737534
E-mail pacorteS@istat.it

Ufficio Territoriale per la Campania
Dott. ssa Angela Digrandi
Telefono 0646735679
E-mail digrandi@istat.it

Ufficio Territoriale per l’Abruzzo e il Molise
Dott. Giuseppe Stassi
Telefono 0646735503 (Pescara); 0646735761 (Campobasso)
E-mail stassi@istat.it

Ufficio Territoriale per la Basilicata
Dott.ssa Antonella Bianchino
Telefono 0646735860
E-mail bianchin@istat.it

Ufficio Territoriale per la Puglia
Dott. Cataldo Scarnera
Telefono 0646735625
E-mail scarnera@istat.it

Ufficio Territoriale per la Calabria
Dott. Pasquale Binetti
Telefono 0646735814
E-mail binetti@istat.it

Ufficio Territoriale per la Sicilia
Dott.ssa Francesca Abate
Telefono 0646735902
E-mail abate@istat.it

Ufficio Territoriale per la Sardegna
Dott. ssa Pinella Orrù
Telefono 0646735724
E-mailorru@istat.it

Invalsi vs Miur?

Invalsi vs Miur?

 di Maurizio Tiriticco

L’ho pensato, l’ho detto e l’ho scritto più volte. Con l’avvio dell’autonomia delle istituzioni scolastiche e formative (legge 58/97, dpr 275/99, novellato Titolo V), il Miur avrebbe dovuto darsi funzioni e compiti ben diversi da quelli di sempre. Si pensi alla tradizione ottocentesca, a quella gentiliana (1923) e a quella pervasivamente fascista, quando il Ministero della Pubblica Istruzione era stato rinominato, addirittura, dell’Educazione Nazionale (1929): il regime non lasciava nulla di “scoperto” e ogni alunno doveva sentirsi e dirsi fascista! “Libro e moschetto, fascista perfetto”. Insomma, una tradizione dirigistica annosa e comunque per certi versi e in ceri periodi – si pensi al trentennio 60/80 del secolo scorso – di tutto rispetto!

Quindi, con l’avvio dell’autonomia, il Mpi, o Murst, o Miur, non avrebbe più dovuto varare “programmi ministeriali” e amministrare tutto dalle Alpi al Lilibeo, ma individuare finalità e obiettivi, indicare linee di azione che avrebbero comportato la responsabilità operativa di altri soggetti, non più in quanto “subordinati”, ma autonomamente operativi in un rinnovato scenario: quello di un’amministrazione pubblica ben diversa da quella di sempre, a strutture verticali, ma assolutamente nuova, costruita su livelli di orizzontalità con compiti ben definiti per ciascuna istanza. Tutto ciò all’insegna di un atteso passaggio da uno “Stato verticale” a uno “Stato orizzontale”.

Di fatto, il Ministero avrebbe dovuto indicare e adottare, nell’ottica e con il concorso dei diversi livelli parlamentari, le finalità e gli obiettivi del “Sistema educativo di istruzione e di formazione” (legge 53/03, art. 2, in linea con le indicazioni del Titolo V), quindi dell’istruzione pubblica (statale e paritaria) e dell’istruzione e formazione professionale (regionale). Non è un caso che con il successivo riordino (dlgs 300/99 e ulteriori modifiche) il Miur è stato ristrutturato in tre dipartimenti: a) per l’istruzione; b) per la programmazione e la gestione delle risorse umane finanziarie e strumentali; c) per l’università, l’Alta Formazione Artistica e Musicale e la ricerca. Quindi, nessun rapporto diretto tra ministero e le scuole… pardon, le istituzioni scolastiche autonome di Vigevano o Canicattì!

Di fatto, però, che cosa è successo? Al cambiamento di orizzonte e di linea non è mai corrisposto un cambiamento di fatto. In effetti, la burocrazia ha avuto partita vinta sull’innovazione! Pertanto, se l’autonomia oggi è quella che è (o che non è) a livello delle istituzioni scolastiche, altrettanto dicasi per il livello dirigenziale centrale. Pertanto non abbiamo più un Ministero della Pubblica Istruzione di un tempo, ma non abbiamo neanche un ministero capace di innescare e sostenere l’autonomia.

Ebbene, a questa debolezza del potere centrale e delle istituzioni scolastiche, purtroppo, corrisponde l’arroganza di un Istituto nazionale per la valutazione del sistema di istruzione e formazione che, anche in forza dell’articolo 3 della legge 53/03, intende fare e fa il bello e il cattivo tempo! L’istituto, di norma, è un “ente di ricerca dotato di personalità giuridica di diritto pubblico… sottoposto alla vigilanza del Miur”. Ma, se il vigile non vigila, perché non ne ha la forza o, peggio, “non esiste”, è chiaro che il vigilato può fare e fa il bello e il cattivo tempo!

La questione, in effetti, non è semplice! Non si tratta di cancellare l’Invalsi! Io sono per l’Invalsi e per quella valutazione di sistema di cui abbiamo un disperato bisogno, ma…, in primo luogo occorre restituire al Miur l’autorevolezza che è andato via via perdendo, e concedere veramente alle scuole la possibilità di essere veramente autonome! E’ una questione in primo luogo di volontà politica e di risorse, finanziarie soprattutto, ma occorre anche restaurare poteri e responsabilità che da oltre un decennio sono stati stravolti. Ed è una questione preliminare, prima che l’Invalsi divenga un nuovo Ministero PI, quello dei tempi andati. Nel vuoto dell’autonomia, il dirigismo la fa da padrone!,

In conclusione, non può essere l’Invalsi a dettare alle scuole le finalità e gli obiettivi che devono perseguire e raggiungere! Le prove Invalsi non possono essere quei nuovi “Programmi ministeriali” che con tanta fatica abbiamo cancellato per sempre! Altrimenti le Indicazioni nazionali e le Linee guida rischiano di diventare solo pagine inutili! E ciò che fa testo per le scuole, di fatto, sono le prove Invalsi! Insomma, occorre tornare ai compiti che a ciascuno competono: unicuique suum!

Si tratta di uno squilibrio che rischia di indebolire e non di rafforzare il nostro sistema di istruzione! E occorre intervenire! Se non ora, quando? E il Ministro che pensa, che dice, che fa? Le ho augurato, al momento della sua nomina, di salire veramente in Carrozza! Mah!

L’inadeguatezza culturale dei sindacati scuola

L’inadeguatezza culturale dei sindacati scuola

di Enrico Maranzana

 

Il 17 luglio 2013 i sindacati della scuola [FLC CGIL – CISL SCUOLA – UIL SCUOLA – SNALS CONFSAL – GILDA UNAMS] hanno scritto al ministro Carrozza e ai vertici del MIUR in quanto “credono che Il Governo e il Parlamento debbano avviare un grande confronto con le scuole, le Organizzazioni sindacali, le Associazioni professionali e tutti i soggetti interessati affinché si giunga quanto prima al riordino complessivo degli Organi Collegiali scolastici che risalgono ormai al 1974 e che sono inadeguati alle esigenze della scuola dell’Autonomia”.

Una tesi che non possiede alcun  fondamento scientifico,  un’idea estranea al sistema di regole in cui la scuola è immersa,  una sollecitazione senza prospettiva,  una proposta elaborata senza aver ricercato e individuato le cause del fallimento dei decreti delegati.

Una richiesta che sembra formulata per cavalcare l’onda, per carpire il consenso, per ottenere un posto al tavolo delle decisioni.

L’art. 1 del DPR 275/99 definisce la natura e gli scopi dell’autonomia scolastica “sostanziandola nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione”.

Sorprendente il fatto che le organizzazioni sindacali, unitariamente, abbiano espresso un giudizio definitivo prescindendo dalla verifica della congruità tra la natura e gli scopi dell’autonomia scolastica e la riformulazione dei decreti delegati [T.U 297/1994].

Altrettanto singolare il mancato accertamento della funzionalità della struttura decisionale delle scuole introdotta dalla legge del 74 rispetto all’ideazione, alla realizzazione e al controllo delle attività educative, formative, dell’istruzione.

 

La sequenza formazione-educazione-istruzione è l’architrave dei decreti delegati

Si tratta di un’applicazione del  postulato:  l’individuo trova la propria identità all’interno della società di cui è parte.

Questa l’origine della struttura organizzativa che attribuisce al

  • consiglio di istituto il mandato di gestire il rapporto scuola-società [formazione] “elaborando e adottando gli indirizzi generali” esprimendoli in termini di competenze generali.  L’organismo ha inoltre il compito di deliberare i  “criteri generali della programmazione educativa”;
  • collegio dei docenti la “cura della programmazione dell’azione educativa” che consiste nella definizione dei traguardi sotto forma di capacità [art. 2 legge 53/2003] e nel governo del servizio attraverso la “valutazione periodica dell’andamento complessivo dell’azione didattica per verificarne l’efficacia in rapporto agli orientamenti e agli obiettivi programmati, proponendo, ove necessario, opportune misure per il miglioramento dell’attività scolastica”;
  • consiglio di classe la responsabilità dell’istruzione garantendo la convergenza di tutti gli insegnamenti verso i traguardi indicati dal collegio.

Perfetta la continuità decreti delegati .. autonomia delle istituzioni scolastiche

Sarebbe stato sufficiente che le organizzazioni sindacali navigassero in rete per prendere visione di

  • “Coraggio! Organizziamo le scuole”;
  • “Valutare la democraticità d’una scuola”;
  • “Autonomia .. a sinistra! … Regolamenti di riordino .. a destra!”;
  • “Onorevole ministro Maria Chiara Carrozza, non dimentichi d’esser donna di scienza!”;
  • “Quale formazione per i dirigenti scolastici?”

per inquadrare correttamente la questione, per garantire l’incisività del servizio, per ridar la dignità perduta al lavoro del docente.

 

Con-correre al futuro

Con-correre al futuro:
bellezza e produttività del pensare e del far scuola pensando

di Gabriele Boselli 

 

Confidare che siano il pensiero e il cuore a dirigere gli eventi, non il solo caso e la forza

 

Urgenze e contingenze, necessità ineludibili e assurdità sistemiche, adempimenti burocratici e prove INVALSI ci coinvolgono spesso al punto di non lasciarci pensare alle cose che valgono davvero. Il sentire e il pensare sono schiacciati sul momento, lo sguardo è corto, il pensiero non va molto più lontano e scaviamo buche per riempirle. Non è questo il compito di chi, insegnanti, dirigenti o ispettori, ha per professione il pensare: le scuole, le università e i centri di ricerca dovrebbero essenzialmente insegnare a pensare e lasciar pensare nelle forme antiche come in quelle necessariamente nuove che il mondo dominante e quello emergente e insorgente richiedono. Insegnino la “fatica del concetto” come la gioia della pura attività del conoscere, a leggere del piacere e della sofferenza del costruire. Siano luoghi di formazione sul pensare ri-assuntivo, produttivo e auspicabilmente anche creativo, dunque “bello”.

Se molte istituzioni pubbliche e private e numerosi singoli intellettualmente autonomi lavorano per un pensiero libero, critico e creativo, d’altro lato il sistema informativo globale, nel baricentro assiologico di internet e dei media in genere, fa sì che grandi masse di umanità si smarriscano nella rumorosa ed escludente narrazione del tardo moderno. Troppi finiscono così per perdere coscienza di sé, non acquisendo autentica (scientificamente personale e fondata) conoscenza del mondo; si allontanano da ogni percezione pur indeterminata della sterminata estensione dell’ignoto e della gravità/levità del mistero.

Non riusciamo a educare nel senso di “trar via da…”: dalle favole tardomoderne del profitto, dell’efficienza, dell’efficacia come valori assoluti, dal non-pensiero; mancano desiderio e coraggio per nuotare entro le correnti di senso del pensare occidentale nel loro incontrarsi con pensari di altra origine.

 

Pro-tensione

 

TV, internet e stampa di massa (quella che eccede le 500 copie) presentano agli spettatori-non-lettori un quadro di conoscenze epi-stemico, che “siede”, o pretende di farlo, sopra il fluire degli eventi e dell’attività rappresentatrice dei soggetti individuali e collettivi. Produce e stratifica conoscenze come sospese dal complesso e mutevole campo intenzionale delle soggettualità come dalla pluralità e dalla mutevolezza delle pro-tensioni verso l’alterità. Come dire, prosaicamente: il sapere è fatto e confezionato, prendi su com’è, ricorda e porta a casa.

Credo di poter rilevare come ogni atto di conoscenza -e ogni conoscenza intesa come stratificazione storica di conoscenze, ogni disciplina- derivi in ciascuno di noi da proprie radici e dal proprio ambiente; che sia partigiano, intenzionato e intenzionante. Soprattutto lo sia quando sussista l’ingenua convinzione di esser di fronte alla “cosa in sé” (per lo stato mentale che pone un fenomeno rappresentativo in rapporto a un contenuto, invero, a mio avviso, costituito essenzialmente da una direzione verso un oggetto e poco d’altro) l’atteggiamento epistemico ma non epistemologico fa smarrire coscienza e conoscenza. Negli atti di conoscenza “ingenui” tale oggetto potrà essere o no “reale”; esso è inizialmente percepito non come “la cosa così come rappresentata” ma “la cosa”, la verità incontrovertibile; poi –se andrà bene- verrà la consapevolezza del suo essere solo un epifenomeno variamente connesso al reale.

L’intenzionalità è tendersi verso l’oggetto su di una linea di trascendimento; nel trascendersi il soggetto non può lasciare indietro se stesso ma senza l’atto del trascendersi un se stesso autentico o l’autoconoscenza di una costellazione culturale non possono nemmeno avere autenticamente luogo.

Ma il problema è: quanto l’intenzionalità che crediamo di avere è propria del nostro io e del nostro variamente esteso noi? Quanto una cultura sa di sé e delle condizioni del suo pro-tendersi verso un proprio sapere del campo oggettuale? Ci tendiamo a qualcosa/qualcuno che in effetti ci attende o a un ectoplasma proiettato sulla parete, magari dalle macchine da proiezione dei signori del mondo?

Ad esempio la didattica tardomoderna di sistema (quella che prescinde dai Maestri e dalle Costellazioni culturali ) pretende di fatto che il soggetto dimentichi se stesso per apprendere senz’altro la verità senza soggetto di discipline senza Maestro e senza Discepolo e risponda intenzionalmente non con il prodotto del proprio pensare ma con la ripetizione di quanto pensato da coloro che compilano i non-testi dei test. Una risposta critica o creativa, per sistemi di valutazione come INVALSI od OCSE-PISA, è una risposta sbagliata: quella che vale è l’intenzionalità sistemica. I processi di valutazione sistemici rafforzano un certo tipo di pensiero, quello conformistico, ripetitivo, applicativo; forme di pensiero sempre utili, ma più al sistema committente che al soggetto.

Certo, in fenomenologia la soggettualità è resa altra da ogni oggetto e ogni oggetto è alterato da ogni soggetto; tutto è variamente in-teso da tutto. Non vi è nulla di immediato e ogni atto richiederà la fatica della liberazione dall’indichiarata intenzionalità ambientale, attraverserà pericolosamente e faticosamente un complesso e insidioso terreno di indichiarate e “oggettive” mediazioni anonime.

 

Dis-trarsi dalla chiacchiera

 

L’evidenza accessibile alle masse è prevalentemente quel che deriva dalla manipolazione, un trucco del non-pensiero sistemico per le sue masse-bersaglio. Il sistema informativo globale insegna e rappresenta e soprattutto usa quotidianamente il mito dell’evidenza. Contro le ultime “scuole del sospetto” si tratta di far credere che l’oggetto A, B o C si autodia e si automanifesti originalmente e immediatamente alla visione della coscienza: “l’ho visto in televisione!” o su internet. Le discipline scientifiche e scolastiche sarebbero mere prese d’atto di quel che assolutamente sta; specie da quando la realtà virtuale delle lavagne pseudo-interattive porta i meno provveduti, i meno dotati di capacità critiche, a credere che la realtà rappresentata sia il reale. Saranno rinchiusi a doppia mandata nella caverna platonica.

Nella tradizione idealistica e fenomenologica in cui mi riconosco, l’evidenza non è data assolutamente, si coglie attraverso atti di limitata e parziale riduzione dell’accidentale. Non è nel porsi/imporsi della cosa in sé ma il frutto faticoso di un’attiva azione di apertura al più possibile diretto ma sempre curvato e sfuggente mostrarsi dei fenomeni. E’ aperto all’evidenza l’atto del lasciare che ciò che si manifesta sia (il più possibile) autenticamente visibile, possa divenirlo con il minimo di interventi esterni al soggetto che conduce le operazioni conoscitive. Proporre scientificamente e pedagogicamente qualcosa come evidente comporta sempre, a mio avviso, il dovere della presentazione delle cose negli esplicitati limiti del loro incontrarsi con il soggetto; è discorrerne al congiuntivo. Il lasciar-vedere si sviluppa nel  lasciar essere, nel  costruire un orizzonte di attesa che il soggetto avverta come chiamata a esperire se stesso nel duro confronto con scenari di evidenze senza consistenza, e di evidenze più consistenti, dove però mai l’evidenza sia posta come indipendente dall’ambiente, dal momento storico e dal soggetto che l’avverte e/o la presenta come tale.

L’oggettività del mondo dei saperi istituzionalizzati –l’inestinguibile mito positivistico- non è l’in-sé e il per-sé; è inverabile (criticabile) come l’esser oggetto di operazioni di umana coscienza; fuori di questa non vi sono altri oggetti. Nessuno –credo- ha mai pensato sul serio all’io come creatore della realtà; troppi hanno invece pensato, non sempre con l’orrore necessario, a una “realtà” creatrice dell’io dal nulla. Nella mia visione della fenomenologia l’io/noi è il punto di prospettiva da cui il mondo è configurabile e ogni io ordina i fenomeni secondo le forme dell’intersoggettività e gli statuti disciplinari. Questo è costituire (meglio forse ri-costituire) autenticamente il mondo.

 

Mutazioni

 

Il futuro dell’essere è già vigorosamente cominciato e occorre ben disporsi e proporsi per in-tenderlo, preparandoci anche a una diversa concezione di quel che vale così come posta dalle nuove vicende politiche, economiche e tecnologiche dell’idea. Per un buon futuro personale e collettivo dobbiamo pensare criticamente e creativamente e tener conto di cosa il pensare e il conoscere significhino oggi: le direzioni di senso del pensare come i contenuti e le stesse categorie classiche della conoscenza umana stanno mutando nel nuovo mondo globalizzato e informatizzato, con radicalità e velocità assai maggiori che nel tempo della pura parola o della comunicazione pre-elettronica. I modi e gli schemi in cui veniva rappresentato e ordinato il personale e collettivo vissuto del mondo e progettato il nostro intervenirvi (categorie di soggetto, oggetto, causa, fine, tempo, spazio) stanno divenendo altro. Quelli delle istituzioni economiche e politiche (categorie di territorio, autorità, diritti, efficacia) forse ancora di più, essendo ancor più massicciamente connessi alla globalizzazione.

C’e una nuova “crisi delle scienze europee”, di tipo diverso da quello husserliano, secondaria alla nuova distribuzione dell’economia e della comunicazione politica. Sono entrate in crisi anche le concezioni di spazio, tempo, causa, fine, autorità, diritti, da sempre elementi essenziali dello costruzione dello scenario pedagogico.

La ricerca scolastica e accademica deve pertanto ripensare non solo i contenuti della conoscenza ma anche le tradizionali strutture portanti delle discipline, operare scarti dalle direzioni di senso tradizionali della visione europea del mondo. Preparare a pensare in forme nuove il nuovo mondo.

Nuovi atti ideali, nuovi assemblaggi e disassemblaggi di tradizioni epistemiche ed epistemologiche, concetti altri di autorità e di diritto si formano a livello globale, nazionale e subnazionale, tutti variamente connessi nella complessità dell’universo globale di questo “esperimento naturale” (Sassen) che è la storia. Nella disarticolazione delle costellazioni valoriali, gravità e mondi di vita singolari prevalgono sui tradizionali assetti assiologici ed è difficile pervenire od attuare princìpi condivisi. La teleologia dell’educazione e dell’istruzione deve allora sforzarsi di arricchire il soggetto di quella forza autentica che può farlo aprire all’Intero senza perdere singolarità e volto.

Chi è nell’istruzione o nella ricerca deve operare non solo ex cathedra o in laboratorio ma muoversi nei plurali e pluristratificati mondi della vita politica, morale ed economica. Le strutture istituzionali andranno profondamente ripensate: la tendenza allo svuotamento dello Stato nazionale e della sua capacità di imposizione fiscale priva infatti il sistema/costellazione dell’istruzione e della ricerca di parte rilevante delle sue giustificazioni giuridiche e delle sue basi materiali. Altrimenti la scuola potrebbe scomparire e la ricerca essere condotta solo su obiettivi a breve termine e rapida resa.

Certo, l’istruzione sarà sempre più slegata da luoghi fisici e riferimenti nazionali e locali e sempre più su un mercato globale che prescinde dalle identità, dai tradizionalismi come purtroppo anche dalle tradizioni, dalle memorie e dalle intenzionalità nazionali.

Gli enti sovranazionali sono per ora estremamente deboli e non hanno capacità di orientamento delle economie dei servizi sociali e della scuola. Una coscienza e un impegno politico dei lavoratori della scuola –uniti a una intelligenza fenomenologica ed ermeneutica delle loro élites- sono condizione per la difesa e la conquista dei propri spazi, mezzi e diritti.

Ad es. una nuova geografia, caratterizzata da estrema compressione, distensione e giocabilità dello spazio/tempo, sta nascendo sopra le carte geografiche che abbiamo studiato. Altro esempio: la virtualizzazione del denaro e la sua creazione più o meno truffaldina (hedge funds, futures, ghost banking….) e la ridislocazione di grandi masse di ricchezza a livello internazionale e interno hanno creato forti disagi o agi in rapporto alla collocazione dei soggetti nelle direzioni di flusso. Entrambi i fenomeni sono accentuati anche a seconda di come vengono capiti e affrontati e della capacità di cambiamento e riposizionamento competitivo dei singoli e delle organizzazioni.  Anche di quelle aventi per scopo istruzione e ricerca sono costrette a rispondere alla domanda sul quantum di resa a breve.

Per essere in sintonia con i mutamenti della scienza, dell’economia e dell’etica occorre difendersi dal non-pensiero, seguire la trasformazione del conoscere e possibilmente anticiparne le tappe. Vince chi sa farlo, se ha fortuna; o almeno si salva.

 

Primato dell’ideazione e della speranza, sol dell’avvenire

 

Sono un socialista e dunque credo nel “sol dell’avvenire” e che nell’avvenire le giornate di sole siano più di quelle di tempo cattivo. Per questo cerco di difendermi dalla rappresentazione mediatica del mondo e dalla sua versione per le scuole:  queste ci porterebbero a pensare che la storia proceda per una mera “naturale” meccanica degli eventi basata sul disordine/ordine dell’economia e che l’umanità (lo spirito che s’incarna in ciascuno di noi) abbia abbandonato la fiducia nella possibilità di decidere in che mondo vivere. Ci si vuol far credere che le idee non valgano e comunque non contino, che siano solo chiacchiere vuote e improduttive, mere sovrastrutture del reale; che solo i fatti materiali operino nella costruzione del futuro; che i destini del mondo dipendano solo dalla forza economica o militare. Che una democrazia autentica –si fa capire- sia impossibile, una scienza in atto e non come sedimentazione di statuti consolidati da ignorarsi poichè eretica e sia invece doveroso rassegnarsi a ripetere i pensieri programmati. Altrimenti il sistema decreta: risposta sbagliata, i giovani più brillanti non entrano nelle facoltà desiderate, gli insegnanti intelligenti e creativi vengono esclusi dai concorsi fin dalle prove preliminari (vedi concorso a DS) o la scuola crolla nelle classifiche INVALSI (Istituto Nazionale Vere Assurdità senza Logica nè Intelligenza).

Non può essere così, non sarà sempre così; o meglio non necessariamente. Se la cronaca deriva dalla contingenza, sono le idee che a lungo termine fanno la storia, anche quella materiale, economica o militare, per non dire di quella politica, civile o religiosa. Un aereo che solca maestoso i cieli poco tempo fa era solo nella mente di Leonardo o di Verne, poi degli ingegneri e dei costruttori; un’impresa economica parte dal volgersi di un sogno di un imprenditore in un progetto, in un fabbricato, in una struttura di relazione. Uno Stato da un’idea.

La storia è essenzialmente (generativamente) una realizzazione della produzione ideale, origine, sintesi e frutto dei miliardi di idee che l’uomo ha concepito nei millenni. E poiché le idee e i sentimenti rientrano nella capacità di pensarle e di sentirli che è in ciascuno di noi e in noi tutti (o quasi) insieme, il futuro –a meno che non ce lo lasciamo portar via- è nostro.

 

 

 

Bibliografia

 

G. Gentile Teoria generale dello spirito come atto puro, letto in Opere filosofiche, Garzanti, 1991

AA VV  La svolta relativistica nell’epistemologia contemporanea, F.Angeli, 1988

I. Mancini Tornino i volti,  Marietti,  1989.

M. Heidegger La svolta,  Il Melangolo, 1990

I. Mancini L’Ethos dell’Occidente, Marietti,  1990

M. Heidegger Seminari, Adelphi, Milano 1992 2.a

C. Magris  Utopia e disincanto. Saggi 1974-1998. Milano, Garzanti 1999

Guido Ceronetti  La fragilità del pensare  Rizzoli, Milano, ’99

E. Husserl, Fenomenologia e teoria della conoscenza, Bompiani, Milano, 2000

S. Sassen Territorio, autorità, diritti. Assemblaggi dal Medioevo all’età globale, B. Mondadori, 2008

G. Boselli Non-pensiero. Scenari e volti per un’educazione al pensiero venturo, Erickson, 2008

M. Epis Teologia fondamentale, Queriniana, 2009

R. Esposito Pensiero vivente, Einaudi, 2010

 

J. Otsuka, Venivamo tutte dal mare

Dalla voce dei “vinti”

di Antonio Stanca

otsukaNel 2002 quando scrisse il suo primo romanzo, When the Emperor Was Divine, che in Italia non è stato ancora pubblicato, ebbe molti riconoscimenti. Un classico della letteratura contemporanea fu considerata l’opera. Anche il secondo romanzo, The Buddha in the Attic, scritto nel 2011, è stato premiato nel 2012 col PEN/Faulkner Award for Fiction. Questo è stato ora pubblicato in Italia dalla Bollati Boringhieri di Torino, nella serie “Varianti”, col titolo Venivamo tutte dal mare (traduzione di Silvia Pareschi, pp. 140, € 13,00). La scrittrice è Julie Otsuka, nata in California, laureata in Belle Arti alla Yale University e con un Master of Fine Arts conseguito presso l’Università di Columbia. La Otsuka, che vive e  lavora a New York, è pure pittrice e questa sua attività spiega come in Venivamo tutte dal mare sembra di assistere ad una serie interminabile d’immagini che si susseguono e che, pur se legate dal tema dell’opera, valgono ognuna per proprio conto tanto sono cariche di significato e di effetto. Molto valore e molto colore contengono tali immagini, scrittrice e pittrice si rivela la Otsuka di questo libro che intende riscoprire, recuperare le tante storie delle tante giovani donne giapponesi che nel 1930-40 lasciarono il loro paese per recarsi in America, a San Francisco, dove le attendevano quegli immigrati, pure giapponesi, che prima di loro erano andati alla ricerca di un lavoro. Con questi si sarebbero dovute sposare senza averli mai visti né conosciuti se non mediante le  fotografie e le lettere che avevano ricevuto.
Il viaggio in mare sarà il primo dei loro problemi dal momento che si vedranno collocate in cabine sudicie e scarsamente illuminate, su cuccette maleodoranti ed avranno pochi alimenti a disposizione. Si sentiranno, però, animate dall’idea del matrimonio che hanno da fare, della famiglia che potranno formare. Molti pensieri facevano, molti discorsi correvano tra loro a questo proposito, senza fine risultavano le domande che si ponevano circa gli uomini che le attendevano, i nuovi ambienti, la nuova vita. Gravemente deluse rimarranno poiché niente di quanto avevano immaginato esisteva, gli uomini erano diversi da quelli delle fotografie e delle lettere, più vecchi e spesso prepotenti, le case che avevano sognato non c’erano ma solo baracche in luoghi periferici, non illuminati e non igienici, la vita  che dovevano condurre era quella del lavoro nei campi da fare per tutto il giorno in cambio di pochi soldi. Per sfuggire a questa situazione alcune giungeranno a prostituirsi, altre, le più fortunate, diventeranno domestiche nelle città  vicine. Verranno i figli e sarà difficile metterli al mondo e allevarli tra tanti stenti. Alcune moriranno. Si arriverà all’inizio della seconda guerra mondiale, all’attacco giapponese contro la base navale americana di Pearl Harbour e alla decisione del presidente Roosevelt di considerare nemici tutti i giapponesi presenti sul suolo americano. Si comincerà a deportarli, lo sgomento, la paura, il terrore si diffonderanno tra quelli rimasti e soprattutto tra quelle donne. Decideranno di andarsene insieme ai bambini e agli uomini. Dopo aver formato un lungo corteo partiranno senza che si sappia dove. Così si conclude il libro, con le immagini di questo grande esodo venuto dopo una serie infinita di umiliazioni e tribolazioni. Ancora ad una vita migliore penseranno, tuttavia, le tante donne in cammino ma stavolta non si sa cosa le attende.

Un documento indiscutibile può essere ritenuta l’opera, una testimonianza autentica visto che riporta la voce delle protagoniste, quella che diceva dei loro pensieri, dei loro sentimenti, dei loro dubbi, delle loro speranze, delle circostanze che erano loro occorse nel periodo compreso tra il viaggio d’inizio e quello di fine. Nel libro la Otsuka ha riportato le loro parole senza intervenire, ha fatto di esse il contenuto e la forma dell’opera. Un’idea originale e senz’altro riuscita se si tiene conto che in tal modo è stata recuperata una vicenda della quale poco o nulla si sapeva, la si è fatta rientrare nella storia, diventare un momento, un aspetto di questa.

Un volto, un nome, una voce hanno acquistato con la Otsuka persone che non li avevano mai avuti, dal buio, dal silenzio sono state sottratte, una vita è stata loro riconosciuta, un significato hanno acquistato.

Di alto valore umano e morale è l’operazione compiuta dalla scrittrice, un invito essa rappresenta a ricercare, riscoprire altri casi di vita individuale e collettiva rimasti sepolti nel tempo e restituirli alla loro verità, alla loro luce.

Apprendistato a 14 anni? No! La soluzione è un’altra!

Apprendistato a 14 anni? No! La soluzione è un’altra!

 di Maurizio Tiriticco

La vicenda dell’obbligo di istruzione nel nostro Paese conosce da anni vicende alterne. Di fatto si scontrano due visioni: una, largamente sentita nel centro-sinistra, che sostiene che l’obbligo di istruzione, in quanto tale, debba essere assolto solo nei percorsi dell’istruzione (statale e paritaria, n.d.a); la seconda, largamente sentita nel centro-destra, che sostiene che tale obbligo possa essere assolto anche nei percorsi della formazione (professionale regionale, n.d.a.) e, addirittura nell’apprendistato. Da un lato, si sostiene la necessità che tutti i nostri giovani escano dal sistema di istruzione decennale avendo raggiunto competenze culturali e di cittadinanza tali che consentano consapevoli e ragionate ulteriori scelte di vita, di lavoro e di studio: il che è anche conforme con quanto ci indicano le due Raccomandazioni del Parlamento europeo e del Consiglio, una sulle competenze chiave per l’apprendimento permanente (18 dicembre 2006), l’altra relativa all’istituzione di un Quadro Europeo delle Qualifiche, EQF (23 aprile 2008). Dall’altro lato, è ancora forte un adagio che viene da lontano e che vuole che non tutti siano adatti per lo studio prolungato sui banchi di scuola, per cui è necessario offrire loro percorsi brevi in cui il fare e la manualità siano prevalenti.

Il succedersi delle norme è il seguente.

Il comma 622 dell’articolo 1 della legge 296/06 (finanziaria 2007: governo di centro-sinistra) recita: “L’istruzione impartita per almeno dieci anni è obbligatoria ed è finalizzata a consentire il conseguimento di un titolo di studio di scuola secondaria superiore o di una qualifica professionale di durata almeno triennale entro il diciottesimo anno di età. L’età per l’accesso al lavoro è conseguentemente elevata da quindici a sedici anni”. Di conseguenza, il dm applicativo 139/07 (ministro Fioroni) afferma che “l’adempimento dell’obbligo di istruzione è finalizzato al conseguimento di un titolo di studio di scuola secondaria superiore o di una qualifica professionale di durata almeno triennale entro il 18° anno di età”. Il che è in sintonia con il diritto/dovere “all’istruzione e alla formazione per almeno 12 anni” (legge 53/03, alias “riforma Moratti”, art. 2, punto 1, comma c).

In seguito, con il governo di centro-destra, con le leggi 133/08 e 183/10, si è deciso che l’obbligo può anche assolversi nell’istruzione e formazione professionale regionale e, a partire dai 15 anni di età, anche nei percorsi di apprendistato. In parallelo, con il dm 9/10, a distanza di tre anni dall’innalzamento dell’obbligo di istruzione (sic!), veniva varato il modello di certificazione delle competenze di fine obbligo; in tale modello le competenze relative alla cittadinanza attiva, indicate e suggerite dall’Unione europea e che nel dm 139/07 erano state opportunamente declinate alla nostra realtà scolastica, culturale e civica, venivano di fatto cancellate! Nel dm 9/10, infatti, si afferma semplicemente che “le competenze di base relative agli assi culturali sopra richiamati sono state acquisite dallo studente con riferimento alle competenze chiave di cittadinanza di cui all’allegato 2 del regolamento” (il dm 139/07). In effetti, è più che noto che si tratta di competenze, culturali e civiche, non assimilabili! Abbiamo esempi a iosa di soggetti validissimi sotto il profilo delle competenze culturali, ma sempre pronti a utilizzarle per egoistici tornaconti! E abbiamo anche tanti “buoni e onesti” cittadini, le cui competenze culturali, però, sono di livello “elementare”!

La soluzione non è quella di contrapporre lo studio al lavoro! Nella società della conoscenza il dirottare studenti quindicenni all’apprendistato rivela un pericoloso retro pensiero: che vi siano soggetti “non portati ai libri e allo studio”, destinati a un fallimento culturale e recuperabili solo ad attività lavorative non impegnative, essenzialmente manuali. Il che significa anche riconoscere che una scuola obbligatoria decennale di base non è in grado di educare, istruire e formare e infine garantire il successo formativo a tutti gli alunni! Eppure si tratta di un impegno che abbiamo assunto con il varo dell’autonomia delle istituzioni scolastiche (si veda il dpr 275/99, art. 1, c. 2). Si tratta di un impegno di grande civiltà, a cui a tutt’oggi non abbiamo ancora dato valide risposte. Il quesito che ci dobbiamo porre allora è: vogliamo mantenere questo impegno e conseguentemente rafforzare la nostra istruzione obbligatoria decennale? Oppure è preferibile la via breve: cioè, riconosciamo di non essere in grado di mantenere i nostri impegni educativi e facciamo pagare lo scotto ai soggetti più deboli? E conseguentemente mandiamoli a “lavorare”… e al più presto! E a lavorare dove? E come? Con la crisi che oggi ci attanaglia!?

La via breve sembra trovare un certo consenso, purtroppo! Infatti, è stata presentata recentemente alla Commissione Lavoro del Senato una proposta emendativa al Decreto Lavoro con cui si ipotizza che ai percorsi di apprendistato si possa accedere anche al compimento dei 14 anni di età. Se ciò si realizzasse, svuoteremmo i bienni iniziali del secondo ciclo di istruzione e diremmo addio a un’istruzione di base decennale ampia e forte per tutti! E il divario di sempre tra cittadini che “pensano con la testa” e cittadini che “fanno con le mani” si aggraverebbe! E diremmo addio per sempre a un Paese forte, anche e soprattutto perché tutti i suoi cittadini dovrebbero possedere una cultura di base che permetta a ciascuno di scegliere consapevolmente il suo personale destino professionale. E non saremmo più in grado di garantire a tutti i nostri giovani di acquisire quelle competenze di cittadinanza e culturali di base che sono necessarie per accedere a una società della conoscenza sempre più complessa e che le stesse Raccomandazioni dell’Unione europea sollecitano a tutti i Paesi membri.

Occorre dire no all’apprendistato precoce! La via da intraprendere è un’altra! Si tratta di introdurre nei percorsi dell’istruzione quelle istanze e quei momenti in cui il pensare e il fare si coniugano insieme positivamente. Il che comporterebbe che, anche e soprattutto in forza di una didattica attiva e laboratoriale, largamente proposta in tutti i recenti documenti di riordino dei cicli, istanze e momenti tipici della realtà lavorativa possano e debbano essere introdotti negli stessi percorsi dell’istruzione. E il dlgs 77/05, che definisce le “norme generali relative all’alternanza scuola-lavoro”, suggerisce tutte le indicazioni del caso. Occorre agire in tale direzione, nella consapevolezza che oggi in una scuola orientata alla certificazione delle competenze, non c’è “sapere” senza “fare”, “teoria” senza “techne”. Il che, ovviamente, richiede un profondo ripensamento degli attuali percorsi di studio e in primo luogo, dei tre percorsi, liceali, tecnici e professionali successivi alla scuola media. Tale ripensamento si presenta quanto mai necessario anche nella previsione di un coordinamento maggiore tra primo ciclo di istruzione e conseguente biennio, in chiave di curricolo verticale decennale; e anche nella previsione di un’uscita dal sistema di istruzione a 18 anni di età.

Se queste sono le finalità che ci dobbiamo proporre per rispondere alle necessità culturali e civili di una società della conoscenza e tecnologicamente avanzata, insistere sull’apprendistato significa soltanto avere la vista corta, e per di più dannosa per i nostri cittadini lavoratori di domani, che dovranno essere capaci, come si suol dire, di “pensare con le mani e fare con la testa”!

L’omologazione del pensiero del ministro M.C. Carrozza

L’omologazione del pensiero del ministro M.C. Carrozza

di Enrico Maranzana

 Il ministro M.C. Carrozza in videoforum – Repubblica.it – 18/7-  ha affermato che “Se non diamo una prospettiva .. dove va il sistema di istruzione italiano, che obiettivi si pone .. leggere la contemporaneità .. pensare che i nostri programmi si fermino al novecento, che non si studi la contemporaneità, i problemi economici .. intervenire sulla scuola per metterla in grado di fronteggiare i problemi di questo tempo”.

Abissale la divaricazione tra il  pensiero del ministro e l’art. 2 della legge 53/2003 che orienta il sistema educativo di istruzione e di formazione all’apprendimento, ovvero la promozione di capacità e di competenze, promozione da perseguire con l’utilizzo strumentale di conoscenze e di abilità.

Se non diamo una prospettiva” .. un intendimento che implica la vacuità della volontà del legislatore.

Che obiettivi si pone il sistema di istruzione italiano” ..  asserzione da interpretare: i Pof delle scuole non sono progettati per promuovere le qualità dei giovani ma sono incardinati al contenuto delle singole  discipline.

Il ministro, invece di stigmatizzare i comportamenti devianti, li rinforza!

Pensare che i nostri programmi si fermino al novecento” .. focalizza l’aspetto cognitivo, ponendolo a fondamento del servizio scolastico: l’autonomia scolastica, invece, l’ha ridisegnato costituendolo a partire  dalla progettazione educativa, dalla progettazione formativa, dalla progettazione dell’istruzione.

L’insegnamento è sottordinato a tali processi!

Il ministro non ha valorizzato la mission del sistema educativo di istruzione e di formazione: “E’ molto importante preparare gli studenti al test di ingresso .. dovrebbe essere fatto un intervento di formazione proprio sugli insegnanti perché capiscano l’utilità e l’importanza dei test e preparino i loro studenti, è chiaro che l’insegnante si stente frustrato perché non è coinvolto nel processo .. è molto importante imparare a fare i test .. e prepararsi non tanto nell’ultimo anno ma ancora prima ..”

“E’ molto importante preparare gli studenti ai test” .. un intendimento che avrebbe dovuto aver una connotazione molto, molto differente.

La preparazione alle prove d’accesso alle facoltà universitarie non può e non deve essere la stella polare dell’istituzione: sono le competenze, che qualificano i processi d’apprendimento, la chiave di volta dei test.

Sarebbe sufficiente concretizzare quanto prevede il Decreto legislativo 27/10/2009  n.150 per superare  l’impasse: “L’organo di indirizzo politico-amministrativo di ciascuna amministrazione emana le direttive generali contenenti gli indirizzi strategici”.  Elaborazione da accompagnare con il controllo del POF delle singole scuole per accertare la sua funzionalità rispetto alla promozione delle capacità e delle competenze che qualificano il sistema educativo italiano.

“L’insegnante si stente frustrato perché non è coinvolto nel processo” .. è una tesi inconsistente: la valorizzazione del lavoro scolastico può avvenire solo se i docenti possiedono l’origine e il senso del loro agire.

La loro professionalità vive nell’ideazione, nella concretizzazione e nel controllo d’itinerari educativi-formativi-dell’istruzione.

Pensieri dopo gli Esami di Stato 2012/2013

Pensieri dopo gli Esami di Stato 2012/2013

di Bianca Fasano

Finiti, anche per quest’anno, gli esami di Stato, seppure senza rendersene conto, si “tirano le somme”, in speciale modo se si è stati membri interni agli stessi, vivendo, assieme ai propri allievi, le crisi, le paure, la preparazione delle tesine, dei percorsi d’esame, dell’insieme di cose che conducono un allievo a firmare la “propria camicia”. Camicia, sì: un tempo era davvero grande quanto una camicia, quel foglio burocratico (Burocrazia: dal francese bureau (“ufficio”) connesso al greco krátos (“potere”)), in cui sono trascritti volta per volta i dati degli allievi, da prima crediti e valutazioni, poi i voti degli scritti fino agli orali, i temi trattati, le somme ed eventuali punti di “bonus”.

Per chi, come me, viene da un lontano passato di esami di Stato, è più facile notare come il concetto di “esame di maturità”, relazionato ai tempi passati abbia subito modifiche e che le conseguenze (non voglio valutare se in positivo o in negativo), senza dubbio ci siano state. Il nuovo Ministro della Pubblica Istruzione Maria Chiara Carrozza, dopo aver modificato il bonus, promette di mettere mano anche all’Esame Stato: -“Bisogna ripensare sia l’esame, sia l’ultimo anno delle superiori”- Dimenticando, mi auguro soltanto per ora, che non saranno le modifiche all’esame che potranno migliorare la qualità della scuola italiana, almeno fino a quando Intere classi delle nostre scuole entreranno “alla seconda ora” ed usciranno prima della fine delle lezioni, perché alle scuole è negata la possibilità di nominare, per pochi giorni, i supplenti. Escono? Non sempre: spesso abbiamo classi divise in gruppi e dirette verso professori che se ne assumono il carico e la responsabilità nelle proprie classi, quando non anche classi che restano senza insegnanti per ore intere. Intanto dovremmo essere felici per il progetto “Io Merito” del Miur, che prevede un premio in denaro per i ragazzi che si diplomano alle superiori con 100 e lode. Un discorso iniziato con la legge n. 1 dell’11 gennaio 2007, in cui era stata introdotta la premiazione del merito, ma che, con il decreto ministeriale dell’8 settembre 2011, è partito sotto forma di un programma nazionale di valorizzazione delle eccellenze del ministero. L’anno scorso i ragazzi usciti con 100 e lode hanno ricevuto ben 650 euro, mentre per quest’anno la cifra da destinare sarà resa pubblica ad ottobre. Già: la lode. Qualcosa di sempre più presente “nell’iperuranio di Platone”, giacché i nuovi sistemi del credito (parte dal terzo anno di corso), sono divenuti sempre più passibili di far ottenere crediti bassi, piuttosto che alti. Insomma: per arrivare al cento senza il bonus agli esami di Stato i nostri allievi dovranno DAVVERO divenire delle ECCELLENZE. O noi professori mettere voti altissimi per tutte le materie, dal terzo anno di corso. Tutto questo in contrasto con il “Rapporto Lombardia” che già lamenta forti differenze a livello valutativo tra Nord e Sud, esemplificandolo nelle abissali disuguaglianze dei dati tra Lombardia e Calabria.

In fin dei conti dobbiamo “sentirci felici”, visto che il Ministro Carrozza, intervenuta ad un seminario organizzato da Symbola, la Fondazione per le qualità italiane, ha sostenuto che “la scuola tiene unito questo Paese”, in quanto è fonte di coesione il fatto che i giovani italiani abbiano studiato sugli stessi libri (multimediali, a breve?), ed abbiano le stesse radici culturali. Ha poi aggiunto, allo scopo di elogiarci (?) che: -“Gli insegnanti sono una forza, sebbene malpagati e accusati di non fare niente.”- Accusati, sì, ma da chi? A quale scopo? A quali fini? Mi torna tristemente alla memoria il biasimo lanciato dai tedeschi sugli Ebrei allo scopo di poterli eliminare quali esseri meritevoli di ciò. Naturalmente il paragone (mi perdonino gli Ebrei, che hanno subito ben più tragiche vicende), deve essere preso in senso lato. Il Ministro ha affermato infine che bisogna collegare la cultura alla scuola, perché non esiste cultura senza scuola e ha assicurato fattiva collaborazione tra il ministero dell’Istruzione e quello della Cultura, che in Italia sono separati. Già: che “non si parlino tra di loro” i vari Ministeri è cosa avvalorata dai fatti, anche recenti. Dicevo, dunque: lontano dagli esami. Lontani, sì, anche se da poco e con l’animo pieno di incertezze, pur avendo tentato di dare il meglio di sé. D’altra parti dubbi ed incertezze dovrebbero essere considerati elementi “positivi” per chi ha a che fare con i giovani, nel tentativo di “migliorarsi”, rispetto a loro. C’è un qualcosa che può sembrare strano a chi sia fuori dell’ambito scolastico e cioè che a “lamentarsi” dei voti o del trattamento, non siano i bocciati o quanti sono restati delusi del voto, ma gli amici di questi. Porterò, “estrapolati da ogni riferimento reale che deve essere considerato puramente casuale”, le note tristi di due giovani, di cui uno, promosso, che ha visto bocciati alcuni amici ed una, promossa con il massimo, che “piange” in quanto lo stesso trattamento non si é verificato per un’amica:

Amici bocciati: -“So che i miei amici stanno male! Però quello che pensiamo tutti… è che una volta arrivati li… fateci uscire tutti! In un anno una persona non impara quello che non ha mai imparato in 5 anni! Se sbagliamo spiegateci il perché! ;”-“ Io penso che chiunque sa veramente quanto vale… e se ad un amico, un compagno, una persona con cui hai condiviso milioni di cose, viene regalato qualche voto per salvarlo a me non interessa!”

                                           Amica con il voto inferiore al suo: -“(………………..) Sono venuta a conoscenza del mio voto, ne sono contenta (100. n.d.a.) anche se sono rimasta molto perplessa del 98 di …………., confesso che credevo sarebbe successo l’opposto per me immaginavo al massimo un 97.. (…) infatti penso di non meritare il voto che ho avuto, perché sono tutt’altro che vicina all’eccellenza.. non so quale sia stato il criterio di valutazione e non sto qui a criticarlo, ma credo che, sul piano scolastico, lei sia molto più “diligente” di me (ed è fondamentalmente questo che i professori dovrebbero valutare, insieme a determinate altre caratteristiche di contorno, e non andare certo a simpatia!) ed è per questo che sono un po’ stranita.. al di là della presunta “rivalità” che dovrebbe esserci tra me e lei.. a me dispiace sinceramente e non posso che concordare con alcune “viperate” (senza dubbio contro di me) scritte da alcune persone.. l’unica curiosità che le chiedo di soddisfarmi, sempre se possibile, ovviamente, è: perché io sì e lei no?(…) Lo so, forse sono un po’ contorta.. ma i sensi di colpa ce li ho sempre, un po’ per tutto.(…)”

Bene, lascio un tentativo di risposta ai colleghi insegnanti, ma non ho potuto fare a meno di confrontare queste reazioni con una mia esperienza lontana, che mi ha lasciato un segno: Avevo seguito per quattro anni, una classe in cui c’era una ragazzina malata d’un male incurabile. Insomma: negli anni peggiorava: sulla sedia a rotelle, sempre più incapace di muovere un solo muscolo, nel tempo (si sapeva), sarebbe morta, in quanto i muscoli della respirazione si sarebbero bloccati. Faticava anche a parlare, ma si faceva interrogare ugualmente. In quella classe la ragazzina c’era cresciuta. Sempre con gli stessi “amici”. A turno qualcuno sedeva con lei (era comunque difficile aiutarla), ma aveva un’insegnante di sostegno. In quinta, agli esami scritti di matematica, lei (che riusciva soltanto, con un dito della mano destra, a spostarsi una ciocca di capelli), doveva “dettare” il compito all’insegnante di sostegno che di matematica capiva ben poco. Allora mi rivolsi all’insegnante (membro esterno) della materia e le chiesi di darmi, su di un foglietto, delle indicazioni utili alla ragazza (ma soprattutto all’insegnante di sostegno), perché si instradasse nel compito. Detto fatto, apertamente, diedi il foglietto. Ma, mi sentii chiamare da una mia allieva che mi disse in tono perentorio: “Se lei non si fa ridare il foglietto lo dico alla presidente e faccio invalidare gli esami”. Restai di sasso. Le feci notare che la sua “amica” era nelle condizioni… che conosceva, ma lei risposte caustica:-“Ha detto mio padre che “quelle come lei” ci rubano i posti di lavoro”. Nessuno intervenne sul fatto. Dimenticavo: fece un “buon esame orale”. Chiesi ai colleghi di aumentarle il voto per dare soddisfazione a lei ed ai genitori. Si rifiutarono.

diplomati per votazione conseguitadiplomati con 100

Immagini tratte da: Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca

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