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L’alleanza educativa passa anche attraverso il “patto” sulla mensa

L’alleanza educativa passa anche attraverso il “patto” sulla mensa

di Cinzia Olivieri

Le modifiche allo Statuto delle Studentesse e degli Studenti, apportate con il Dpr 235/07 che ha introdotto il Patto educativo di corresponsabilità (art. 5-bis), sono state guidate dall’indefettibile presupposto che scuola e famiglia costituiscano “la risorsa più idonea” per la diffusione di una cultura dell’osservanza delle regole e del “rispetto degli altrui diritti” (nota 31 luglio 2008).

Ispirato al “contratto formativo” della carta dei servizi scolastici di cui al DPCM 7 giugno 1995, destinatari naturali del patto sono i genitori, su cui incombe il dovere di educare i figli (art. 30 Cost., artt. 147, 155, 317 bis c.c.), al fine di impegnarli sin dall’iscrizione “a condividere” l’azione educativa.

Tuttavia appare inefficace alla realizzazione dell’auspicata alleanza educativa il richiamo dei tre attori: scuola – genitori – studenti, alle reciproche responsabilità, laddove tale strumento pattizio costituisca non il risultato di un effettivo generalizzato coinvolgimento e di un procedimento ampiamente condiviso, ma solo una mera formalità da adempiere all’iscrizione.

Da qui la necessità di una innovazione.

Tra scuola e famiglia c’è profonda crisi di dialogo, testimoniata dalla cronaca quotidiana ed i conflitti finiscono per essere rimessi alle aule di un tribunale o alla forza…

Significativa è la perdurante difficoltà nel condividere un momento naturale ed aggregante come il tempo mensa, nel rispetto della corresponsabilità e quindi delle scelte delle famiglie, considerate piuttosto responsabili di una scorretta educazione alimentare laddove non vogliano aderire al servizio dell’ente locale scegliendo il pasto domestico.

Tanto è ritenuta deteriore tale opzione, che si preferisce parlare piuttosto e riduttivamente del “panino da casa”.

Così, dopo il diffuso contenzioso in sede civile a seguito della chiara sentenza della Corte di Appello di Torino n. 1049/2016 ed in attesa della pronuncia anche della Suprema Corte, nonostante i chiari principi di diritto espressi dalla summenzionata sentenza, spetterà al Consiglio di Stato, all’udienza fissata al 5 luglio p.v.,   decidere il cautelare ed il merito dell’appello proposto dal Comune di Benevento avverso la sentenza del TAR Campania N. 1566/2018, che ha annullato il regolamento emanato dall’ente locale che sanciva l’obbligatorietà del   servizio di ristorazione scolastica (art.1) con conseguente onere da parte del genitore non aderente di prelevare lo studente per il pranzo e riportarlo “all’inizio dell’orario delle attività pomeridiane secondo le indicazioni impartite dal dirigente scolastico” (art. 3).

Il TAR ha ritenuto che la asserita preoccupazione che il consumo di un pasto domestico nei locali scolastici “potrebbe rappresentare un comportamento non corretto dal punto di vista nutrizionale, oltre che una possibile fonte di rischio igienico-sanitario” non possa legittimamente “fondare le disposizioni avversate”, anche perché il regolamento comunale non appare strumento idoneo e sufficiente di per sé ad escludere a priori la “sicurezza igienica degli alimenti esterni”, che va piuttosto contestualizzata e valutata caso per caso.

Rileva il Tribunale amministrativo che invece “non appare inibito agli alunni il consumo di merende portate da casa, durante l’orario scolastico, ponendosi anche per queste –a tutto concedere- la eventuale problematica del rischio igienico- sanitario”. È chiaro che con tale asserzione non si vuole certo interdire l’ingresso a scuola delle merendine, ma solo evidenziare la palese contraddizione che emerge dalle condotte e dall’affermazione di un presunto rischio sanitario per nulla dimostrato e comunque che non può essere escluso neanche dal regolamento.

Premesso che  il tempo mensa è parte integrante del tempo scuola, realizzando un continuum tra attività mattutine e pomeridiane in orario curricolare, per cui non appare legittimo privarne chi l’ha scelto, la sentenza del TAR Campania ha ribadito il pacifico principio (confermato da ultimo dal Dlgs 63/2017) che la ristorazione scolastica è un servizio pubblico locale a domanda individuale, attivabile a richiesta degli interessati, quindi non obbligatorio né per l’ente né per gli utenti ed ha rilevato come l’aggravio ed il disagio logistico per le famiglie, laddove costrette al ritiro del proprio figlio in caso di mancata adesione al servizio, non sia efficace a determinare un ripensamento.

Traspare comunque che, in considerazione della normata autonomia scolastica, tali questioni potrebbero essere risolte efficacemente a livello di singola istituzione attraverso il coinvolgimento delle componenti.

E mentre si attende si esprimano i più alti gradi della giurisdizione civile ad amministrativa l’impugnata sentenza del Tar Campania ci ricorda che già la nota MIUR, n. 348 del 3 marzo 2017, in considerazione del riconoscimento giurisprudenziale del diritto a consumare il pasto domestico negli stesso locali destinati alla refezione, aveva fornito indicazione, concordata anche con il Ministero della salute, “di adottare, in presenza di alunni o studenti ammessi a consumare cibi preparati da casa, precauzioni analoghe a quelle adottate nell’ipotesi di somministrazione dei cd pasti speciali”, raccomandando ai Direttori degli uffici scolastici regionali di “mantenere con le scuole un confronto costante e produttivo supportandole affinché nella gestione dell’erogazione del servizio per gli aspetti di competenza, non si discostino dalle pronunce della Magistratura, (…) così come pare opportuno favorire e sostenere l’interlocuzione serena e costruttiva con le famiglie, raccogliendone ove possibile, segnalazioni e richieste al fine di contemperare le opposte esigenze di tutte le alunne e gli alunni”.

Senza questo dialogo, che invece tuttora evidentemente manca, il patto è violato.

Senza il rispetto delle scelte, così come avviene normalmente in caso di menù alternativi, non c’è alleanza.

Ed è negato il valore del tempo mensa come momento educativo in cui si consuma insieme il proprio pasto, anche nel rispetto delle differenze, giacché “Non c’è nulla che sia ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali(don Milani: Lettera a una professoressa ).

Dunque è forse legittimo pensare che il problema prima che giuridico sia relazionale.

Poiché siamo incapaci a quanto pare di condividere soluzioni fuori dalle aule di un tribunale, non resta che attendere le ulteriori pronunce della giurisprudenza. Ma non è su queste che si costruisce l’alleanza.

Patto di corresponsabilità educativa

Scuola-famiglia, sottoscritta la proposta di revisione del Patto di corresponsabilità educativa. Fedeli: “Lavoriamo per rafforzare partecipazione e trasparenza”

(Giovedì, 01 marzo 2018) Rafforzare la collaborazione tra scuola e famiglia, anche attraverso la definizione di modalità, tempi e ambiti sempre più precisi di partecipazione alla vita scolastica. A partire dalla possibilità, per i genitori e gli studenti, di fare proposte per arricchire l’offerta formativa. Massima trasparenza e informazione sulle attività e la progettualità degli istituti scolastici. Maggiore condivisione degli interventi di formazione e prevenzione in materia di bullismo e cyberbullismo. Estensione del Patto di corresponsabilità educativa anche alla scuola primaria. Istituzione della “Giornata della corresponsabilità”, come momento per consolidare il clima di cooperazione tra tutti coloro che compongono la comunità educante. Sono questi i principali obiettivi e contenuti della proposta di revisione del Patto di corresponsabilità educativa sottoscritta all’unanimità dal FONAGS, il Forum nazionale delle associazioni dei genitori della scuola, a seguito di numerosi incontri all’interno del tavolo tecnico, istituito presso il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, che sta curando anche i lavori per la definizione della riforma della rappresentanza. La proposta sarà ora oggetto di confronto con tutti gli attori a vario titolo coinvolti e con il Forum delle studentesse e degli studenti. Il Patto di corresponsabilità educativa, voluto dall’allora Ministro Giuseppe Fioroni, ha compiuto dieci anni lo scorso 21 novembre.

“Si tratta di un importante passo in avanti – ha dichiarato la Ministra Valeria Fedeli – verso il rilancio del Patto di corresponsabilità educativa, che dà concretezza all’azione che come MIUR abbiamo voluto intraprendere il 21 novembre scorso, in occasione del suo decimo anniversario. E questo è fondamentale in un momento, come quello attuale, in cui le cronache raccontano episodi di contrapposizione o addirittura di violenza tra genitori e insegnanti. Episodi che mai avremmo voluto vedere e che dobbiamo impegnarci a contrastare. Questa proposta di revisione del Patto è una risposta di responsabilità a queste vicende: è la base per la costruzione di una scuola sempre più collaborativa, che mette al centro le studentesse e gli studenti, in un clima di unione di intenti, di condivisione, di rinnovata alleanza con le famiglie e con quanti sono parte attiva della comunità educante”.

“A dieci anni di distanza dall’emanazione, tutte le Associazioni aderenti al FONAGS – ha spiegato Giovanni Sanfilippo, Coordinatore del FONAGS – hanno collaborato alla revisione e sottoscritto all’unanimità la proposta di modifica del Patto di Corresponsabilità. La condivisione, la partecipazione e l’alleanza devono essere al centro degli sforzi e dell’impegno di tutta la comunità educante e in particolare delle famiglie e della scuola. Il Patto di Corresponsabilità educativa definisce in modo più puntuale e dettagliato modalità e tempi della partecipazione alla vita scolastica e sottolinea gli obblighi di trasparenza, indispensabili per garantire e tutelare i diritti e i doveri dei genitori e della scuola nel rispetto reciproco”.

Secondo il documento sottoscritto, i genitori dovranno aderire, contestualmente all’iscrizione a scuola, al Patto di corresponsabilità educativa, il cui obiettivo è definire in maniera dettagliata e condivisa diritti e doveri nel rapporto tra istituzione scolastica autonoma, studenti e famiglie e a stabilire chiaramente modalità, tempi e ambiti di partecipazione alla vita scolastica. Nel Patto sono descritti i modi e i termini ai quali rappresentanti degli organi collegiali, dei genitori e degli studenti, nel caso delle secondarie di secondo grado, dovranno attenersi per presentare proposte per la redazione o l’aggiornamento del Piano triennale dell’offerta formativa (PTOF) delle loro scuole. Proposte che dovranno pervenire al dirigente scolastico entro il 15 ottobre di ogni anno. Il documento prevede la condivisione degli interventi di informazione e prevenzione relativi al cyberbullismo, previsti dalla legge 71 del 2017, e la progettazione curricolare ed extracurricolare dei singoli istituti. I rappresentanti eletti negli organi collegiali, gli organismi e le associazioni dei genitori e degli studenti potranno presentare al dirigente scolastico le proprie proposte ed esprimere i propri pareri anche relativamente allo stesso Patto di corresponsabilità, che viene definito ed approvato dal Consiglio di istituto e portato a conoscenza delle famiglie al momento dell’iscrizione. Annualmente, su richiesta degli studenti o dei genitori, il Consiglio di istituto potrà valutare e deliberare modifiche al Patto. Solo in caso di modifica sarà richiesta ai firmatari una nuova adesione.

I progetti inseriti nel PTOF, i bandi rivolti ai giovani, il regolamento interno della scuola, lo Statuto delle studentesse e degli studenti, il Patto stesso: tutto verrà pubblicato sul sito web di ogni istituto scolastico, nell’ottica della massima trasparenza e per far sì che si consolidino la condivisione della responsabilità educativa e il rapporto di fiducia tra scuole e famiglie.

La proposta prevede, infine, l’istituzione della “Giornata della corresponsabilità” e la creazione di un portale della rappresentanza, uno spazio destinato alla pubblicazione di materiale informativo per i rappresentanti degli organi collegiali, del Forum delle associazioni degli studenti e di quello dei genitori.

Le associazioni aderenti al FONAGS che hanno sottoscritto all’unanimità il documento di revisione sono: AGE (Associazione Italiana Genitori), AGESC (Associazione Genitori Scuole Cattoliche), CGD (Coordinamento Genitori Democratici), FAES (Famiglia e Scuola), il MOIGE (Movimento Italiano Genitori), CARE (Coordinamento delle Associazioni Familiari Adottive e Affidatarie in Rete), l’AGEDO (Associazione Genitori di Omosessuali).

“La proposta sottoscritta dal Forum delle associazioni dei genitori è partecipata e spinge a una sempre maggiore partecipazione, dà voce a chi la scuola la fa e la vive ogni giorno, stabilisce chiaramente le responsabilità, i diritti e i doveri di tutti coloro che sono parte della comunità educante. Famiglie comprese. Stiamo lavorando per migliorare la comunicazione tra giovani, genitori e scuole e rafforzare la partecipazione responsabile di tutti i soggetti di fronte alla nuove sfide educative. L’obiettivo della nostra azione è comune: il pieno e libero sviluppo delle nostre studentesse e dei nostri studenti. In linea e in ottemperanza con quanto stabilito dall’articolo 3 della nostra Costituzione. Il rilancio del Patto di corresponsabilità educativa è un passo importante in questa direzione. E sta avvenendo in un clima di positiva e rinnovata alleanza. Guardando ai nostri giovani – ha concluso la Ministra – non solo in quanto destinatari della nostra azione, ma anche in quanto co-protagonisti attivi”.

Ma il docente può essere rappresentante di classe?

Ma il docente può essere rappresentante di classe?

di Cinzia Olivieri

Le operazioni per le elezioni annuali dei consigli di classe, interclasse ed intersezione nonché di quelli di istituto giunti a scadenza restano disciplinate dall’OM 215/91, precedente all’autonomia scolastica, che, sebbene modificata successivamente dall’OM 267/95 e dall’OM 277/98, necessiterebbe di opportuno adeguamento e chiarimento.

Tra le disposizioni controverse l’art. 16, in materia di incompatibilità, il cui comma 2 dispone: “Gli elettori che facciano parte di più componenti (es. docente genitore di un alunno) esercitano l’elettorato attivo e passivo per tutte le componenti a cui partecipano”.

Dunque il presupposto generale è che il docente o l’ATA che sia anche genitore di un alunno può votare, candidarsi ed essere potenzialmente eletto per tutte le componenti di cui fa parte.

Tale principio, come innanzi espresso, non distingue tra consigli di classe/interclasse/intersezione o di istituto nonostante le differenze. Ad esempio mentre per le elezioni del consiglio di istituto si adotta il sistema delle liste contrapposte, composte da un numero massimo di candidati che rappresenteranno quella componente nell’organo, ed è unico per l’intera scuola, le elezioni dei rappresentanti dei genitori e degli alunni nei consigli di classe, interclasse e intersezione “hanno luogo per ciascuna componente sulla base di una unica lista comprendente tutti gli elettori in ordine alfabetico” di quella classe/sezione (art. 22 comma 7) che appartengono alla sola componente genitori/studenti. Inoltre in ogni scuola vi sono tanti rappresentanti per quante classi/sezioni e tutti i genitori/alunni della classe sono elettori, eleggibili e candidati. I rappresentanti in consiglio di istituto sono nel numero determinato dalla legge, eletti dall’intero istituto tra i candidati in lista.

Si evidenzia altresì:

a) nei consigli di classe, interclasse ed intersezione le uniche componenti elettive sono quelle dei genitori e degli studenti (nel secondo grado). I docenti ne fanno parte di diritto e l’appartenenza contemporanea alla doppia componente si realizza solo con riferimento a quella classe/sezione in cui il docente è anche genitore. Cioè si può essere contemporaneamente genitore eleggibile e docente nel consiglio della classe/sezione dove è iscritto il proprio figlio (per quanto in tal caso sorgono problematiche di altro tipo);

b) ai consigli  di classe, interclasse ed intersezione non partecipa il personale ATA che quindi non costituisce una componente eleggibile nel suo seno;

c) in consiglio di istituto invece tutte le componenti: genitori, docenti, ATA e nel secondo grado studenti,  esercitano l’elettorato attivo e passivo e l’appartenenza alle componenti si valuta con riferimento all’intero istituto. Solo il dirigente è membro di diritto.

Prosegue il comma 3: “Gli elettori suddetti che siano stati eletti in rappresentanza di più componenti nello stesso organo collegiale, devono optare per una delle rappresentanze”.

Dunque se si è eletti per più componenti (docenti/genitori;  ata/genitori) nell’ambito dello stesso organo collegiale (consiglio di classe/interclasse/intersezione o di istituto) occorre optare per una delle due cariche.

A prescindere dalle ragioni di inopportunità collegate alla contemporanea partecipazione a componenti diverse e potenzialmente contrapposte nell’ambito di un unico organismo, la necessità di opzione, che spetta all’eletto, è motivata dall’ovvia circostanza che non è ipotizzabile un organismo in cui un solo membro rappresenti due componenti diverse, voti per due ed occupi da solo due posti, anche con tutti i possibili effetti per il calcolo dei quorum.

Abbiamo visto però che nel consiglio di classe, interclasse ed intersezione si può essere eletti solo per la  componente genitori/studenti perché i docenti sono membri di diritto (come il dirigente) ma la predetta disposizione parla genericamente e senza distinzione di “stesso organo collegiale”.

Tuttavia soltanto nel consiglio di istituto è possibile essere “eletti” per più componenti, in quanto appunto nei consigli di classe, interclasse ed intersezione non partecipa il personale ATA e la componente docente non costituisce una categoria di eleggibili.

Inoltre la precisazione del secondo capoverso: “Tuttavia il candidato eletto in più consigli di circolo e di istituto anche se per la stessa componente non deve presentare opzione e fa parte di entrambi i consigli”, oltre che apparire superflua, determina dubbi sulla corretta interpretazione dell’espressione “stesso organo collegiale”, lasciando peraltro irrisolta  la questione relativa ai consigli di classe, interclasse ed intersezione.

Infatti non si può dubitare sulla possibilità di far parte di più consigli di istituto in scuole diverse, giacché ogni scuola ha il suo consiglio e non è lo “stesso” consiglio. Sono organi collegiali diversi  appartenenti a scuole diverse.

Sempre ragionando per assurdo non solo le istituzioni scolastiche sarebbero costrette a verifiche impossibili, impensabili ed estremamente onerose laddove dovessero accertare l’eventuale carica posseduta in organi collegiali di istituti diversi ma non si comprenderebbe la ragione di tale incompatibilità.

Del resto l’appartenenza all’elettorato si valuta rispetto alla stessa classe/sezione (per il consiglio di classe, interclasse, intersezione) ovvero alla stessa scuola (per il consiglio di istituto). Infatti gli elenchi degli elettori sono formati con riferimento agli iscritti (alla classe/sezione/scuola) ovvero a coloro che prestano servizio nella istituzione scolastica (art. 27).

Inoltre mentre “I genitori di più alunni iscritti a classi diverse dello stesso circolo o istituto votano una sola volta per il consiglio di circolo o istituto” (art. 27 comma 8), per i consigli di classe/sezione il genitore che ha più figli iscritti in una scuola è incluso negli elenchi ed esercita l’elettorato attivo e passivo in ciascuna classe/interclasse/intersezione.

In assenza di una espressa incompatibilità deve ritenersi possibile essere eletti in più consigli di classe/interclasse/intersezione nell’ambito della stessa scuola (salvo porsi questioni di opportunità organizzativa ad esempio laddove i consigli si svolgano alla stessa ora con conseguente impossibilità di essere contemporaneamente presente) ed a maggior ragione in istituti diversi. La norma non prevede l’esercizio di ulteriori opzioni né si comprenderebbero le ragioni di una tale interdizione.

Il comma 4 non può essere interpretato che alla luce di quanto precede: “I docenti in ogni caso devono rinunciare all’eventuale carica elettiva, ottenuta come appartenenti alla componente genitori, in seno ai consigli di interclasse e di classe e ai consigli di intersezione”.

Come si è detto l’incompatibilità deve valutarsi nell’ambito dello “stesso” organo collegiale e cioè con riferimento a quella classe/sezione in cui il genitore/docente è inserito nell’elenco degli elettori.

L’espressione “in ogni caso” deve essere intesa quindi  come assenza di possibilità di opzione per l’ovvia ragione che il docente è membro di diritto del consiglio di quella classe/sezione e non può che parteciparvi con quel ruolo né gli è possibile rinunciarvi e non quale divieto per un docente di  essere eletto come genitore in classi diverse dalla propria nella stessa scuola, altrimenti sarebbe contraddetto l’assunto di partenza. In sintesi il docente non può esercitare opzione, non ha possibilità di scelta.

Non vi è ragione plausibile (se non magari di opportunità organizzativa – pensiamo a consigli che si svolgano allo stesso orario ed in cui sia contemporaneamente richiesta nell’uno la presenza come docente e nell’altro come genitore – e di salvaguardia dei rapporti interni) di vietare ad un docente in quanto tale di poter essere eletto come genitore in una classe in cui non presta servizio, altrimenti di fatto non potrebbe mai partecipare alle elezioni come rappresentante di classe per la componente genitori. In pratica il docente/genitore non potrebbe mai ricoprire il ruolo di rappresentante di classe/sezione in quella scuola (se non addirittura in ogni istituto se intendiamo in senso assoluto l’espressione “in ogni caso”). Una simile incompatibilità, tanto pregnante ed assoluta, dovrebbe essere inequivocabilmente espressa.

Dunque, si ribadisce, solo nella propria classe i docenti devono rinunciare alla carica elettiva.

La norma ovviamente nulla dice a riguardo del dirigente genitore di uno studente nell’ambito della stessa scuola da questi diretta, in quanto è evidente che quale membro di diritto dell’organo collegiale non si pone mai ed in nessun caso la possibilità di scelta, ma nulla gli impedirebbe di acquisire questo ruolo in altra scuola.

Quanto al comma 5 “Il docente con incarico di presidenza sostituisce il preside anche negli organi collegiali; egli non può esercitare, pertanto, l’elettorato attivo e passivo nelle elezioni dei rappresentanti dei docenti negli organi collegiali. Il docente eletto nel consiglio di istituto decade dalla carica qualora sia successivamente nominato preside incaricato”, esso deve ritenersi anacronistico e superato con il venir meno della figura del “preside” e quindi del “docente con incarico di presidenza”. Oggi, infatti, ai sensi dell’art. 25, comma 5, del DLGS n.165/2001, “il dirigente scolastico può avvalersi, nello svolgimento delle proprie funzioni organizzative ed amministrative, di docenti da lui individuati ai quali possono essere delegati specifici compiti” che, per l’art. 34 del CCNL sono “riferibili a due unità di personale docente”. In quanto “collaboratori” e non più “sostituti” viene meno la predetta incompatibilità. Per la verità, in considerazione delle attuali responsabilità connesse alla sua qualifica, la presenza del dirigente alle riunioni del consiglio di istituto appare imprescindibile (oltre che non sostituibile).

Poiché non sembra imminente una riforma degli organi collegiali, sarebbe auspicabile una modifica dell’ordinanza che tenga anche conto degli istituti omnicomprensivi, dove ancora ad oggi opera il commissario straordinario e manca il consiglio di istituto.

Linee guida diritto studio alunni fuori dalla famiglia di origine

Siglate l’11 dicembre 2017 al MIUR le Linee guida per il diritto allo studio delle alunne e degli alunni fuori dalla famiglia di origine


La Ministra dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Valeria Fedeli, e la garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, Filomena Albano, hanno siglato l’11 dicembre 2017 al MIUR le Linee guida per il diritto allo studio delle alunne e degli alunni fuori dalla famiglia di origine frutto di un Protocollo sottoscritto a maggio per garantire “Pari opportunità nell’istruzione per le persone minori d’età”.

Le Linee guida sono dedicate a tutte quelle alunne e quegli alunni che si trovano, per ragioni diverse, a volte in modo definitivo e talvolta solo provvisoriamente, fuori dalla famiglia d’origine. Si tratta quindi di: bambine e bambini, ragazze e ragazze che sono in affidamento familiare per difficoltà della famiglia di origine a prendersi cura dei figli; alunne e alunni che sono ospiti, provvisoriamente, nelle strutture dei sistemi di protezione (comunità familiari, case famiglia, comunità educative, comunità sociosanitarie) perché non è possibile disporre di un affidamento familiare; minori stranieri non accompagnati, in forte aumento negli ultimi tre anni; ragazze e ragazzi sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria minorile in ambito penale.

A queste alunne e a questi alunni viene per la prima volta dedicato uno strumento specifico per l’accoglienza all’interno del sistema di istruzione, una cassetta degli attrezzi, una bussola pedagogica per le e gli insegnanti sulla via dell’inclusione. Un modello educativo che si basa sulla convinzione che la presenza di alunne e alunni provenienti da contesti sociali e biografici di complessità diverse può essere un’opportunità e un’occasione di cambiamento per tutta la scuola.

“Le Linee guida siglate oggi – sottolinea la Ministra Fedeli – sono il frutto di un impegno preso insieme all’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza. Questa firma rappresenta un momento importante: stabiliamo interventi operativi per strutturare percorsi didattici ed educativi che mirino al pieno sviluppo di ogni giovane, al di là della sua storia personale, delle condizione economiche della sua famiglia, della sua provenienza geografica. E confermiamo che confermare la straordinarietà del nostro sistema di istruzione e formazione: un sistema che accoglie, include, non lascia indietro nessuno, ponendo le basi di società di eguali diritti e pari opportunità, in cui i valori fondanti della nostra Costituzione – e faccio riferimento in particolare all’articolo 3 di questa – non rimangono enunciazioni di principio, ma trovano concreta attuazione nella vita delle cittadine e dei cittadini”.

“Numerosi e diversificati sono gli ostacoli che rendono difficile, alle ragazze e ai ragazzi allontanati dalla propria famiglia di origine, il poter realizzare il proprio percorso di istruzione e formazione. Queste Linee guida possono contribuire a superarne alcuni – sottolinea la Garante Filomena Albano -. In primo luogo  offrendo al personale scolastico elementi di conoscenza generali sul funzionamento del sistema di tutela dei minorenni. Accanto a ciò fornendo utili indicazioni per semplificare, rendere possibili e strettamente aderenti alle necessità individuali, le attività connesse alle varie fasi del percorso scolastico (iscrizione; scelta della classe d’ingresso; definizione dei tempi di inserimento, scelta dell’orientamento scolastico). Con la speranza – prosegue Albano – di ridurre il più possibile, se non proprio di eliminare, quegli elementi discriminatori che contribuiscono ad aggravare una situazione di per sé complessa e confidando nello spirito di resilienza e consapevolezza che i bambini e i ragazzi dimostrano di avere”.

Le Linee guida sono state elaborate  e redatte da un gruppo composto da rappresentanti del Miur e dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza con l’apporto prezioso e partecipato delle principali associazioni impegnate su queste tematiche. Contengono indicazioni e suggerimenti concreti, a tutti i livelli, dalla governance tra istituzioni diverse, con una chiara e necessaria definizione di  “chi fa che cosa”, alla gestione della classe e delle relazioni tra gli allievi, agli aspetti pratici e amministrativi relativi all’iscrizione a scuola, all’inserimento in classe, alla documentazione del percorso scolastico, spesso molto frammentato, all’orientamento scolastico e al bisogno di percorsi di avviamento al lavoro.  Pertanto la peculiarità di questo documento è di aver posto l’attenzione sulle alunne e gli alunni fuori famiglia a conferma dell’attenzione  della scuola italiana alla centralità della persona in relazione con l’altro.

Gli emendamenti in materia di uscita autonoma

Gli emendamenti in materia di uscita autonoma

di Cinzia Olivieri

 

Sono stati presentati gli emendamenti al disegno di legge AS 2942 – «Conversione del decreto-legge 16 ottobre 2017, n. 148, recante disposizioni urgenti in materia finanziaria e per esigenze indifferibili». Tra i numerosi proposti, quelli in materia di uscita autonoma degli alunni da scuola.

Non può dubitarsi si tratti di esigenza indifferibile a seguito del vero e proprio panico generalizzato determinato dall’ordinanza della Cassazione – terza Sezione Civile – n. 21593/2017, la quale, per la precisione, ha respinto tanto il ricorso principale proposto in sede civile dal MIUR quanto quello incidentale dei familiari del minore che aveva perso la vita all’uscita da scuola, investito da un autobus di linea e relativamente al quale tragico evento le sentenze di condanna, sia in sede penale che civile, erano state pronunciate diversi anni addietro.

Inutile rilevare che nel caso di specie non ricorreva alcun caso di “uscita autonoma”.

Anzi, l Tribunale, già con sentenza 654 del 2009, aveva dichiarato che la responsabilità del sinistro era da ascriversi per un residuo 20% al Ministero, sulla base di quanto emerso nel processo penale, svolto sui medesimi fatti a carico dell’insegnante dell’ultima ora e della preside nel corso del giudizio civile, “perché ai sensi dell’articolo 3 del regolamento d’istituto non doveva essere interrotta la vigilanza della scuola fino all’affidamento dei minori al personale di trasporto o, in mancanza di questo, a soggetti pubblici responsabili. Nel caso di specie invece i ragazzi appena usciti dalla scuola sarebbero stati lasciati liberi sulla strada pubblica.

Sebbene dunque palesemente non sussistesse alcuna autorizzazione all’uscita in autonomia, ma piuttosto fosse stato riscontrato un caso di difetto di vigilanza in contrasto ad una obbligazione contrattuale, improvvisamente le pratiche consolidate delle scuole sono state messe in crisi, così che timori sempre più diffusi hanno portato tantissimi istituti scolastici a richiedere la necessaria riconsegna del minore ai genitori, quanto meno fino a tutta la secondaria di primo grado.

Si è fatto richiamo, tra l’altro, anche all’art. 591 c.p., sebbene non ricorresse abbandono ed il limite dei 14 anni imporrebbe la presenza dei genitori di fatto quanto meno fino al primo anno della secondaria di secondo grado.

Comunque sembra ormai che l’unica soluzione sia di natura normativa.

Sulle proposte di seguito riportate, di emendamento al cd. “Decreto Fiscale”, si fondano quindi le speranze di risoluzione della questione:

Proposta di modifica n. 19.0.2 al DDL n. 2942

19.0.2

GUERRA, RICCHIUTI, FORNARO, PEGORER, CORSINI,CASSON

Dopo l’articolo, inserire il seguente:

«Art. 19-bis.

(Autorizzazione a consentire l’uscita autonoma dei minori dai locali scolastici)

  1. I genitori esercenti la responsabilità genitoriale e i tutori dei minori possono autorizzare per iscritto, con nota indirizzata al dirigente preposto, l’Istituto scolastico a consentire l’uscita autonoma ed indipendente del minori dai locali della scuola e comunque dal perimetro scolastico al termine dell’orario delle lezioni e, in generale di ogni attività riconducibile alla didattica che si svolge all’interno dei suddetti locali.
  2. L’autorizzazione di cui al comma 1 dev’essere confermata all’inizio di ogni anno scolastico ovvero, in caso di trasferimento del minore ad altro Istituto scolastico, trasmessa al nuovo Istituto.
  3. L’autorizzazione di cui al comma 1 esonera il personale scolastico, ivi compreso quello non docente, da ogni responsabilità civile e penale connessa all’adempimento dell’obbligo di vigilanza, custodia e cura sui minori, a prescindere da quanto eventualmente previsto e disciplinato dal Regolamento dell’Istituto scolastico.
  4. Al fine dell’esonero dalle responsabilità di cui al comma 3, l’Istituto scolastico deve rifiutare l’autorizzazione ovvero concederla a determinate, specifiche condizioni, con nota scritta motivata indirizza ai genitori ed ai tutori, in ogni ipotesi in cui la predetta autorizzazione sia contraria agli interessi di sicurezza ed incolumità del minore, tenuto conto della sua età e del suo grado di autonomia nonché del contesto e di ogni altra circostanza idonea a comprimere e limitare il processo di autoresponsabilizzazione del minore stesso».

Proposta di modifica n. 19.0.3 al DDL n. 2942

19.0.3

MARCUCCI, PUGLISI, ELENA FERRARA, DI GIORGI, DEL BARBA, IDEM, MARTINI, TOCCI, ZAVOLI, SAGGESE, SPILABOTTE, VALENTINI, FASIOLO, MATTESINI, CANTINI, MORGONI, SANTINI, ZANONI

Dopo l’articolo, inserire il seguente:

«Art. 19-bis.

(Disposizioni in materia di uscita dei minori di 14 anni dai locali scolastici)

  1. I genitori esercenti la responsabilità genitoriale, i tutori e i soggetti affidatari ai sensi della legge 4 maggio 1983, n. 184, dei minori di 14 anni, in considerazione dell’età di questi ultimi, del loro grado di autonomia e dello specifico contesto, nell’ambito di un processo di loro autoresponsabilizzazione, possono autorizzare le istituzioni del sistema nazionale di istruzione a consentire l’uscita autonoma dei minori di 14 anni dai locali scolastici al termine dell’orario delle lezioni.
  2. L’autorizzazione di cui al comma 1 esonera il personale scolastico dalla responsabilità connessa all’adempimento dell’obbligo di vigilanza».

 

Proposta di modifica n. 19.0.4 al DDL n. 2942

19.0.4

PUGLISI, MARCUCCI, ELENA FERRARA, DI GIORGI, IDEM, MARTINI, TOCCI, ZAVOLI, MATTESINI, FASIOLO

Dopo l’articolo, inserire il seguente:

«Art. 19-bis.

(Modifica all’articolo 10 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, in materia di uscita autonoma degli alunni dalla scuola)

  1. All’articolo 10, comma 3, del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, la lettera a) è sostituita dalla seguente:

a) adozione del regolamento interno del circolo o dell’istituto che stabilisce anche le modalità per il funzionamento della biblioteca e per l’uso delle attrezzature culturali, didattiche e sportive, per la partecipazione del pubblico alle sedute del consiglio ai sensi dell’articolo 42, per la vigilanza degli alunni durante l’ingresso e la permanenza nella scuola, nonché durante l’uscita dalla medesima, anche autonoma, sulla base della valutazione degli elementi soggettivi e di contesto in condivisione con le famiglie ed in considerazione delle scelte educative dalle stesse formulate. Il regolamento interno ha potere deliberante, altresì, per la partecipazione del pubblico alle sedute del consiglio ai sensi dell’articolo 42″».

 

Proposta di modifica n. 19.0.4 al DDL n. 2942

19.0.4 (testo 2)

PUGLISI, MARCUCCI, ELENA FERRARA, DI GIORGI, IDEM, MARTINI, TOCCI, ZAVOLI, MATTESINI, FASIOLO, FABBRI, SANTINI

Dopo l’articolo, inserire il seguente:

«Art. 19-bis.

(Modifica all’articolo 10 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, in materia di uscita autonoma degli alunni dalla scuola)

  1. All’articolo 10, comma 3, del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, la lettera a) è sostituita dalla seguente:

a) adozione del regolamento interno del circolo o dell’istituto che stabilisce anche le modalità per il funzionamento della biblioteca e per l’uso delle attrezzature culturali, didattiche e sportive, per la partecipazione del pubblico alle sedute del consiglio ai sensi dell’articolo 42. Lo stesso regolamento disciplina la vigilanza degli alunni durante l’ingresso e la permanenza nella scuola, l’uscita dalla medesima e il trasporto scolastico. Per i minori di anni 14 l’uscita dalla scuola e dai mezzi di trasporto scolastico può essere agita in autonomia sulla base della valutazione degli elementi soggettivi e di contesto in condivisione con le famiglie ed in considerazione delle scelte educative dalle stesse formulate. Il regolamento interno ha potere deliberante, altresì, per la partecipazione del pubblico alle sedute del consiglio ai sensi dell’articolo 42″».

Uscita autonoma: leggi reali e presunte e nuove soluzioni normative

Uscita autonoma: leggi reali e presunte e nuove soluzioni normative

di Cinzia Olivieri

 

Poiché sembra ormai che solo una soluzione normativa possa fornire idonea risposta all’uscita autonoma, mentre dilaga il panico e si vaga nel buio alla ricerca di rassicurazioni, giunge una nuova proposta legislativa.

Annuncia infatti l’on. Malpezzi, anche attraverso il profilo facebook, una proposta di legge (un articolo costituito da due comma) che riconosce la possibilità ai “genitori esercenti la responsabilità genitoriale e i tutori dei minori di 14 anni, in considerazione dell’età, del grado di autonomia e dello specifico contesto, nell’ambito di un processo di autoresponsabilizzazione”, di autorizzarne l’uscita autonoma esonerando così la scuola dall’obbligo di vigilanza. L’autorizzazione del primo comma è dunque funzionale all’esonero di responsabilità per il personale scolastico previsto al secondo.

Essendoci ancora margini temporali per effettuare un aggiustamento, si evidenziano nella formulazione del testo alcuni aspetti da chiarire: perché si esclude una ipotesi di responsabilità per gli ultra quattordicenni (considerato che trattasi comunque di minori)? Da quale età minima può essere consentita l’autorizzazione? La valutazione è rimessa alla sola famiglia? E se vi sono situazioni di pericolo non considerate dalla famiglia? Fino a che punto si estende l’esonero di responsabilità del personale scolastico in relazione alle norme civili e penali vigenti?

Diventa necessario allora soffermarsi sulla tanto richiamata sentenza della Cassazione,Sezione I, del 30 marzo 1999, n. 3074, che legge non è (come anche la recente ordinanza della Cassazione – terza Sezione Civile – n. 21593/2017) ma costituisce un mero precedente autorevole relativo al caso concreto sottoposto all’esame del Giudicante.

Ebbene, il fatto storico riguarda uno studente minorenne (ma, attenzione, frequentante un istituto tecnico statale), lasciato uscire anticipatamente, cioè prima del previsto termine delle lezioni, con tutta la classe per l’assenza dell’insegnante dell’ultima ora, accoltellato durante il rientro da giovani rimasti ignoti.

Il Tribunale di Roma, con sentenza del 1992 (perciò oltre 20 anni fa…sebbene nel mentre non si è invocata così forte una norma che disciplini la questione) aveva condannato l’Istituto, decisione poi confermata dalla Corte d’Appello di Roma, sul presupposto che “grava sull’istituto scolastico il dovere di sorvegliare gli allievi minorenni per tutto il tempo in cui sono affidati e fino al subentro, almeno potenziale, della vigilanza dei genitori o di chi per loro”.

Si rilevava inoltre ad abundantiam che all’assenza dell’insegnante doveva ovviarsi in casi estremi con il ricorso al personale ausiliario o anche accorpando più classi ma ovviamente mai lasciando uscire gli alunni per decisione unilaterale prima della fine dell’orario scolastico. Per l’effetto si era realizzata da parte della scuola una sorta “di cooperazione colposa nel fatto doloso altrui, perché l’evento è stato reso possibile anche per l’imprudenza e la violazione di norme da parte dell’amministrazione scolastica”. Invero “il ferimento si era verificato in un quartiere periferico privo di case e in cui episodi del genere … erano abbastanza frequenti” e “non si sarebbe verificato se non fosse stato violato il dovere di vigilanza, in quanto, come accadeva tutti i giorni, il ragazzo alla fine delle lezioni sarebbe stato prelevato dalla madre che aveva manifestato appunto il timore che il figlio potesse essere aggredito fuori delle scuola”.

La Cassazione ha rigettato tutti i motivi di ricorso formulati dall’amministrazione, affermando che “in conformità con l’orientamento costante di questa Corte (Cass. 5424/86, 18 maggio 1982, Albano), il principio generale, che l’istituto di istruzione ha il dovere di provvedere alla sorveglianza degli allievi minorenni per tutto il tempo in cui le sono affidati e quindi fino al momento del subentro almeno potenziale della vigilanza dei genitori o di chi per loro.” L’adempimento di tale “dovere di sorveglianza degli alunni minorenni, dunque anche ultraquattordicenni, “resta di carattere generale e assoluto, tanto che, come ritenuto dalla citata sentenza n. 5424/86, non viene meno neppure in caso di disposizioni impartite dai genitori di lasciare il minore senza sorveglianza in luogo dove possa trovarsi in situazione di pericolo. Tale dovere pertanto permane per tutta la durata del servizio scolastico, servizio che non può essere interrotto per la semplice assenza dell’insegnante che dovrebbe tenere la lezione, in quanto, contrariamente a quanto assume la ricorrente, tale assenza non costituisce certamente un fatto eccezionale, ma normale e prevedibile”.

Dunque ci troviamo dinanzi al caso di uno studente minorenne che durante il servizio scolastico, quindi durante il tempo il cui il minore era affidato alla vigilanza della scuola e prima che questo potesse dirsi terminato, era stato fatto uscire anticipatamente, senza così realizzare le condizioni per il passaggio di responsabilità “almeno potenziale” dalla scuola al genitore, il quale “ogni giorno andava a prelevare il figlio a scuola proprio perché temeva che potesse essere oggetto di aggressioni”. La scuola non ha quindi rispettato la scelta educativa della famiglia in merito al rientro.

Tanto dovrebbe servire anche a far maggiore luce sull’aggettivo “potenziale”, anche perché la Cassazione non entra nel merito se sia legittima o meno l’uscita autonoma di un minore.

Pertanto in sintesi e riguardo alla proposta summenzionata

  • La responsabilità si estende ai “minorenni” e non si limita ai minori di 14 anni.

La capacità di intendere e volere (art. 85 c.p.) richiesta per l’imputabilità si acquisisce con la maggiore età. Ne può tuttavia essere valutata la sussistenza nel maggiore degli anni 14 (art. 98 c.p.). In considerazione della incapacità è punito chi lascia in condizioni di abbandono un minore di anni 14 (art. 591 c.p.). Nessuna delle norme summenzionate vieta l’uscita autonoma di un minore né ravvede in essa automaticamente una condizione di abbandono, che va accertato. Ma, come detto, gli obblighi di vigilanza sono connessi alla minore età (si veda anche art. 2048 c.c.) e non necessariamente al superamento degli anni 14. Anzi, con la sentenza 11751/2013 la Cassazione ha riconosciuto la responsabilità anche in caso di studente maggiorenne.

  • Nel caso di specie si tratta di una uscita anticipata in condizioni di pericolo ed in contrasto con le scelte educative delle famiglie. Le modalità di uscita vanno concordate e valutate anche dalla scuola. La responsabilità non sarebbe esclusa comunque a priori dalla norma proposta, che non supera le questioni oggi poste con riferimento alle norme civili e penali, specie se la valutazione della pericolosità è rimessa ai soli esercenti la responsabilità sul minore. Il riferimento alla sentenza della Cassazione del 1986 è chiaro. Laddove anche il genitore autorizzasse l’uscita autonoma in condizioni di evidente pericolosità la scuola non si liberebbe dalla responsabilità. Pertanto la scuola non potrebbe autorizzare l’uscita autonoma allorquando il genitore chiedesse di “lasciare il minore senza sorveglianza in luogo dove possa trovarsi in situazione di pericolo”. Ciò non rende inutilizzabile ogni “liberatoria” ma quella che non preserva il minore.

Questi sono alcuni degli aspetti più critici.

Le disposizioni civili e penali richiamate non vietano l’uscita autonoma ma affermano un principio incontestabile: del minore è responsabile il genitore o il personale scolastico in orario di servizio.

Ciò posto, considerato che una modifica normativa richiede i necessari tempi di approvazione, la questione attiene alla responsabilità e non può risolversi con generalizzazioni e senza la necessaria condivisione con le famiglie.

Abbiamo gli strumenti: regolamento e patti di corresponsabilità a cui però non diamo adeguata importanza, pur avendo natura contrattuale.

Vorrei rammentare che già nel 1995, la carta dei servizi scolastici parlava di “contratto formativo” chiedendo ai genitori di: esprimere pareri e proposte e collaborare nelle attività.

Autonomia è responsabilità.

L’uscita autonoma, i Regolamenti scolastici ed il timore dell’abbandono

L’uscita autonoma, i Regolamenti scolastici ed il timore dell’abbandono

di Cinzia Olivieri

 

Da quando l’ordinanza della Cassazione (terza Sezione Civile) 21593/2017 ha rigettato i ricorsi proposti avverso la sentenza della Corte d’Appello di Firenze in merito ad una vicenda giudiziaria (penale e civile) cominciata nel 2003 a seguito della morte di un alunno di 11 anni, investito all’uscita da scuola da un autobus, la questione desta particolare interesse.

In particolare cagiona apprensione la paventata condanna per abbandono in caso di uscita autonoma del minore, che ha indotto molti dirigenti a disporne il divieto nel primo grado, suscitando le proteste delle famiglie.

Il reato disciplinato dall’art. 591 c.p., si configura nei confronti di: Chiunque abbandona una persona minore degli anni quattordici, ovvero una persona incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a se stessa, e della quale abbia la custodia o debba avere cura.

L’uscita autonoma dei minori infraquattordicenni, quindi, non costituisce di per sé un reato (né la norma in esame, a tutela del minore e dell’incapace, testualmente la vieta) ma potrebbe essere sanzionata laddove costituisca abbandono, situazione che va accertata nello specifico caso.

Del resto, se essa fosse interdetta sempre e comunque, sarebbero già fioccate denunce nei confronti di genitori (che prevalentemente vi optano, specie dalla secondaria di primo grado) ed istituzioni scolastiche.

Peraltro l’art. 10 del Dlgs 297/94 rimette ai regolamenti delle scuole le modalità della “vigilanza degli alunni durante l’ingresso e la permanenza nella scuola nonché durante l’uscita dalla medesima”.

Nel caso in premessa, la responsabilità del Ministero, nella persona del dirigente scolastico e del docente dell’ultima ora, è stata accertata e dichiarata sulla base di altri presupposti: “sussiste un obbligo di vigilanza in capo all’amministrazione scolastica con conseguente responsabilità ministeriale sulla base di quanto disposto all’art. 3 lettere d) ed f) del Regolamento di istituto. Le norme ora richiamate, infatti, rispettivamente pongono a carico del personale scolastico l’obbligo di far salire e scendere dai mezzi di trasporto davanti al portone della scuola gli alunni, compresi quelli delle scuole medie, e demandando al personale medesimo la vigilanza nel caso in cui i mezzi di trasporto ritardino…” (Cass. 21593/2017)”

Dunque determinante è stata la violazione di norme “contrattuali”, rappresentate anche dal regolamento di istituto.

È ormai orientamento consolidato della Cassazione che con l’accoglimento della domanda di iscrizione si realizza infatti “un vincolo giuridico tra l’allievo e l’istituto, da cui scaturisce, a carico dei dipendenti di questo,… accanto all’obbligo principale di istruire ed educare, quello accessorio di proteggere e vigilare sull’incolumità fisica e sulla sicurezza degli allievi, sia per fatto proprio, adottando tutte le precauzioni del caso, che di terzi, fornendo le relative indicazioni ed impartendo le conseguenti prescrizioni” (Cassazione, sez. III Civile, n. 11751/2013).

Da tale obbligo contrattuale deriva anche il dovere di assicurare l’osservanza del regolamento e di adottare le idonee misure organizzative e disciplinari per eliminare una situazione di rischio.

Ogni responsabilità va accertata con riferimento al caso concreto.

Tanto la previsione del DDL S325 del 2013, che proponeva di aggiungere un ultimo periodo della lettera a) dell’art. 10 del Dlgs 297/94 «Il rispetto del regolamento interno del circolo o dell’istituto esenta i docenti da qualsiasi responsabilità civile o penale nei confronti degli studenti», quanto quella di una modifica all’art. 591 c.p. che escluda l’ipotesi di abbandono in caso di uscita autonoma, appaiono troppo generiche e potenzialmente inefficaci, giacché non tutte le norme regolamentari possono ritenersi in quanto tali legittime né può scongiurarsi così in ogni caso quella situazione di pericolo che caratterizza il reato di abbandono. Tanto inoltre non escluderebbe a priori per la scuola la possibilità di essere convenuta in giudizio per l’accertamento della responsabilità in caso di eventi lesivi o potenziale contestato “abbandono” dell’allievo.

La giurisprudenza (tra le diverse: Cassazione, sez. V Penale, n. 11655/2012) ha riconosciuto sussistente il reato di cui all’art. 591 c.p. in capo ai responsabili del servizio di trasporto scolastico che avevano lasciato che il minore “scendesse dal pullman prima del pervenimento all’edificio scolastico e prima dell’affidamento al personale didattico, sì che il giovane – attese le condizioni precarie di viabilità per una recente nevicata – cadde per terra procurandosi lesioni al volto” (così anche Cass. n. 8833/2004). L’ha escluso invece in un caso in cui era stato invocato persino durante la permanenza a scuola (Cass. Pen., Sez. V, n. 24849/2011).

Certo sarebbe utile una disposizione “speciale” che, sebbene astrattamente potrebbe non impedire qualsiasi potenziale ipotesi di responsabilità, intervenga, per la scuola, quanto meno a riconoscere espressamente la possibilità di uscita autonoma del minore e delle sue condizioni minime, anche in considerazione dell’età, del grado di istruzione, delle scelte educative formulate dalla famiglia, della situazione logistica, del grado di autonomia raggiunto ed auspicabile.

Allo stato, per quanto possa apparire una soluzione non soddisfacente e siano d’altra parte comprensibili le richieste indicazioni normative di carattere generale o comunque a livello ministeriale, non si può prescindere da una condivisione con le famiglie anche attraverso documenti quale il regolamento ed il patto educativo di corresponsabilità, tanto anche accompagnato da una adeguata valutazione dei potenziali pericoli all’uscita nonché da pratiche progettuali come quelle del “pedibus” che educano appunto all’autonomia nel percorso di rientro.

Difficilmente potrebbe prospettarsi un “abbandono” se concertato e con il previsto passaggio di responsabilità.

Il TAR riscatterà il panino?

Il TAR riscatterà il panino?

di Cinzia Olivieri

 

Com’è noto il Tribunale di Napoli, con Ordinanza del 10 luglio 2017, ha riconosciuto la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle questioni organizzative afferenti la mensa scolastica, respingendo il reclamo proposto e confermando con tale diversa motivazione l’Ordinanza di rigetto emessa dal Tribunale di Napoli il 25 maggio 2017.

In pratica il Tribunale del reclamo, prescindendo da qualsiasi valutazione relativa al merito della questione, ha ritenuto insussistente la giurisdizione anche nel procedimento cautelare ex art. 700 c.p.c., per l’effetto confermando il rigetto del ricorso ma con diversa motivazione e quindi non anche le argomentazioni formulate a sostegno di tale pronuncia.

L’occasione di interpellare il giudice amministrativo si è presentata quasi subito, allorquando il Comune di Benevento, anche evidentemente sulla scorta della predetta ordinanza di maggio, ha sancito il principio di obbligatorietà della mensa scolastica.

Avverso tale decisione è stato presentato ricorso innanzi al Tar Campania che, con decreto del 25 settembre 2017, ha accolto l’istanza cautelare formulata nell’ambito del procedimento proposto per l’annullamento della deliberazione del Consiglio Comunale n. 21 del 10 luglio 2017, nonché degli artt. 1, 2, 3 e 4 del “regolamento servizio di ristorazione scolastica”.

Nelle more della decisione collegiale, il TAR Campania ha riconosciuto che “sussistono i requisiti di estrema urgenza per la sospensione della disposizione impugnata, ove si fa divieto “tout court” di consumare cibi diversi da quelli forniti dalla ditta appaltatrice del servizio-mensa nei locali di refezione scolastica, ferma restando la possibilità in capo ai singoli dirigenti scolastici di impartire specifiche prescrizioni di salvaguardia igienica (proporzionate e non disagevoli), per l’introduzione di alimenti esterni nelle scuole di riferimento”.

La motivazione è sintetica ma ricca di contenuti, potendosene desumere che anche le scuole possono in autonomia organizzare il momento della mensa attraverso disposizioni di carattere igienico che non siano disagevoli e quindi non giungano a vietare il consumo di pasto domestico nei locali destinati alla refezione.

Per la trattazione collegiale è stata fissata la camera di consiglio dell’11.10.2017 a cui sarà rimessa la decisione definitiva, ma intanto il Tribunale Amministrativo ha ritenuto sussistere sia il requisito del fumus boni iuris, cioè la “parvenza di buon diritto”, la concreta possibilità di sussistenza del diritto vantato, sia quello del periculum in mora e cioè il pericolo attuale che nel tempo intercorrente fino alla discussione sul merito tale diritto possa subire un pregiudizio irreparabile.

Intanto la discussione in IX commissione senato sul DDL 2037 in materia di ristorazione collettiva, che pure sembra affermare il principio contestato dal giudice amministrativo, dopo la seduta del 25 luglio è stata aggiornata al 20 settembre solo per rinviare il seguito dell’esame al 3 ottobre.

Si attende quindi l’11 ottobre per ulteriori novità.

La difficile soluzione normativa per gli omnicomprensivi

La difficile soluzione normativa per gli omnicomprensivi

di Cinzia Olivieri

E’ stata finalmente pubblicata la circolare annuale (n. 11642 del 26/09/2017) che ha confermato le istruzioni per le elezioni degli organi collegiali a livello di istituzione scolastica per l’anno 2017-2018 dettate dalle OO.MM. 215/1991; 267/95 e 277/98.

Entro il 31 ottobre dovranno concludersi le operazioni di voto per gli organi di durata annuale e per il rinnovo annuale delle rappresentanze studentesche nei consigli di istituto delle istituzioni scolastiche di istruzione secondaria di II grado non giunti a scadenza.

Intanto, in attesa che gli Uffici Scolastici Regionali indichino le date delle votazioni per il rinnovo dei consigli di istituto scaduti o per le suppletive, che comunque dovranno avvenire entro il termine ultimo dei giorni 26-27 novembre 2017, bisogna attivare le procedure prodromiche, quali quella della nomina della commissione elettorale (ove necessario, non oltre il 45° giorno antecedente a quello fissato per le votazioni) e della formazione ed aggiornamento degli elenchi degli elettori i cui nominativi devono essere comunicati alla commissione elettorale entro il 35° giorno antecedente a quello fissato per le votazioni.

Fumata nera invece anche quest’anno per le elezioni dei consigli di istituto “nelle istituzioni scolastiche che comprendono al loro interno sia scuole dell’infanzia, primarie e/o secondarie di I grado, sia scuole secondarie di II grado”, che restano commissariate non essendo ancora stata trovata “una soluzione normativa circa la composizione del consiglio di istituto delle scuole in questione”.

 

Ebbene, il Dlgs 297/94 all’articolo 8 prevede solo la composizione di quest’organo distintamente nel primo e nel secondo grado.

Dunque può non ritenersi necessaria una norma di pari grado per disciplinarla negli omnicomprensivi perché in assenza di previsione non c’è contrasto.

Del resto facilmente si è trovata una soluzione per adeguare la composizione, attraverso una semplice ordinanza, non solo del consiglio di istituto dei comprensivi e nei casi di aggregazione di istituti scolastici di istruzione secondaria superiore, anche di diverso ordine e tipo, e di sezioni staccate e/o sedi coordinate (OO.MM. 267/95 e 277/98.), ma anche del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione. Infatti allorquando si è dovuto provvedere alla sua costituzione a seguito delle sentenze del Consiglio di Stato (866/14 e 834/15), l’OM 150/15 ha modificato la composizione stabilita dal Dlgs 233/99, essendo impossibile eleggere i quindici membri nell’ambito della componente elettiva che rappresenta il personale delle scuole statali nel consigli scolastici locali, mai istituiti.

Così poi, sebbene l’O.M. 215/1991 preveda che “le elezioni suppletive, per motivi di opportunità, debbono essere indette, di norma, all’inizio dell’anno scolastico successivo all’esaurimento delle liste, contestualmente alle elezioni annuali” (art.53), la circolare ministeriale detta indicazione che esse siano svolte insieme a quelle dei consigli scaduti.

Si desume quindi che la difficoltà nella ricerca di una soluzione normativa non sta nello strumento giuridico da utilizzare per proporla, ma nel rispetto degli attuali equilibri numerici.

Invero nel consiglio di istituto:

  • il numero dei genitori è uguale a quello dei docenti nel primo grado
  • il numero dei genitori è diviso con gli studenti nel secondo grado, restando invariato il rapporto con i docenti e tra componenti scuola/famiglia.

Dividere i posti in parti uguali tra studenti e genitori negli omnicomprensivi risulterebbe iniquo, considerando che i genitori sono a rappresentare anche gli interessi degli alunni del primo grado.

Tuttavia, palesemente, i rapporti numerici all’interno del consiglio non sono stati determinati tenendo conto della consistenza totale delle componenti, giacché sicuramente il numero dei docenti (per non parlare di quello degli ATA) in una scuola non è comparabile a quello degli studenti e soprattutto dei genitori.

Pertanto nessun calcolo matematico risulterebbe soddisfacente, trattandosi di una scelta di carattere ideologico.

È questione di equilibri.

Se una riduzione del numero attuale degli studenti rischia di mortificarne il ruolo, si potrebbe anche prevedere un aumento totale della composizione, inserendo ad esempio uno/due genitori, sebbene ciò riduca i rapporti di forza tra scuola e famiglia…

Ma osare è necessario perché un commissario è straordinario per definizione e perché si conserva una situazione di sostanziale disparità tra scuole con mancanza di rappresentanza democratica negli omnicomprensivi.

Del tutto superabile invece ogni questione relativa all’interesse degli studenti per le materie che riguardano anche il primo grado.

Tale rilievo potrebbe valere anche per le altre componenti e comunque gli alunni potrebbero potenzialmente restare per tutto il loro corso di studi in un istituto che, non dimentichiamo, è unitario ed una composizione variabile per materia non rispetterebbe tale unicità.

Restiamo quindi in attesa di soluzioni.

Vaccini: Moratoria ed incongruenze

Vaccini: Moratoria ed incongruenze
Accesso ai servizi e sanzioni. Il pagamento estingue l’obbligo

di Cinzia Olivieri

La regione Veneto, dopo aver proposto ricorso per questione di legittimità costituzionale avverso il DL 73/2017 convertito dalla L 119/2017, rilevate incongruenze nel testo normativo, ha comunicato una moratoria nell’applicazione di misure di restrizione della frequenza fino al 2019, allorquando opererà la decadenza prevista dall’articolo 3 bis.

Si rileva infatti che mentre all’articolo 3 comma 3, quale principio generale e non collegato espressamente alla fase transitoria (le disposizioni dell’art.5 riguardano soprattutto la modalità tempistica), è disposto che “Per i servizi educativi   per   l’infanzia   e   le   scuole dell’infanzia, ivi incluse quelle private   non   paritarie,   la presentazione della documentazione di cui al comma 1 costituisce requisito di accesso”, senza però prevedere nel contempo alcuna restrizione alla frequenza, all’articolo 3 bis, che introduce le misure di semplificazione a decorrere dal 2019, è invece previsto: “Per i servizi educativi   per   l’infanzia   e   le   scuole dell’infanzia, ivi incluse quelle private non paritarie, la mancata presentazione della documentazione di cui al comma 3 nei termini previsti comporta la decadenza dall’iscrizione”.

Per la verità la decadenza, in quanto determinante l’estinzione del diritto per mancato esercizio in un tempo stabilito, appare forse un concetto giuridico poco calzante al caso, operando nei riguardi di alunni già iscritti ed a cui è stato riconosciuto previamente l’accesso. A tanto si aggiunge che, per i suoi effetti, cagiona una restrizione alla frequenza non transitoria.

In proposito la circolare congiunta del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e del Ministero della Salute pubblicata il 1 settembre, ha stabilito invece che “il minore non in regola con gli adempimenti vaccinali sarà escluso dai servizi ma rimarrà iscritto per essere nuovamente ammesso successivamente alla presentazione della documentazione richiesta” (restrizione transitoria), ove il genitore/tutore/affidatario non provveda a consegnare la documentazione comprovante l’adempimento dell’obbligo vaccinale, l’immunizzazione, l’omissione, il differimento ovvero la prenotazione entro l’11 settembre 2017 o, nel caso di dichiarazione sostitutiva ove consentita, entro il 10 marzo 2018.

La norma non individua il soggetto chiamato ad emettere il provvedimento (motivato) di esclusione (ovvero di decadenza) ma, in assenza di previsione esplicita, essendo mera conseguenza dell’accertamento della mancata consegna della documentazione e riguardando il rapporto scuola-famiglia, è desumibile esso spetti al dirigente scolastico.

La restrizione alla frequenza non è connessa direttamente all’inadempimento vaccinale ma alla mancata presentazione della documentazione, giacché i dirigenti scolastici non possono operare “valutazioni di merito”, ma comunque numerosi restano i soggetti non vaccinati o non (ancora) in regola con gli obblighi vaccinali tuttavia ammessi avendo provveduto a regolare adempimento.

Infatti, superata facilmente con la produzione della documentazione richiesta l’ipotesi del minore escluso dal servizio, sebbene regolarmente vaccinato, a causa dell’intempestiva o erronea consegna, avrà accesso il bambino il cui genitore/tutore/affidatario presenti entro l’11 settembre dichiarazione sostitutiva (salvo esclusione dopo il 10 marzo 2018 in assenza di attestazione che accerti l’osservanza dell’obbligo vaccinale) ovvero prenotazione della vaccinazione (quindi ancora non regolarmente vaccinato).

Tanto non appare conciliarsi perfettamente con la tutela della salute.

Il provvedimento restrittivo oggettivamente risulta il fattore di dissuasione all’inadempimento più determinante, considerando che il procedimento sanzionatorio appare lungo e sotto certi aspetti debole.

Infatti ai sensi dell’art. 3 comma 2 in difetto di presentazione della documentazione nei termini previsti i dirigenti scolastici sono tenuti a segnalare la circostanza “entro i successivi dieci giorniall’azienda sanitaria locale che ….provvede   agli adempimenti di competenza e, ricorrendone i presupposti, a quelli di cui all’articolo l, comma 4” per il quale, accertata l’inosservanza dell’obbligo vaccinale “i genitori esercenti la   responsabilità genitoriale, i tutori o i soggetti affidatari sono convocati dall’azienda sanitaria locale territorialmente competente per un colloquio al fine   di   fornire   ulteriori informazioni   sulle vaccinazioni e di sollecitarne l’effettuazione. In caso di mancata effettuazione delle vaccinazioni è comminata la sanzione amministrativa pecuniaria da euro cento a euro cinquecento” salvo che “a seguito di contestazione da parte dell’azienda sanitaria locale territorialmente competente, provvedano, nel termine indicato nell’atto di contestazione, a far somministrare al minore il vaccino ovvero la prima dose del ciclo vaccinale”.

La Circolare 16 agosto 2017 del Ministero della Salute precisa che l’ASL, accertato l’inadempimento, ”convoca i genitori esercenti la responsabilità genitoriale, i tutori o i soggetti affidatari, rivolgendo loro un invito scritto alla vaccinazione, eventualmente corredato di materiale informativo. Nel caso in cui non rispondano all’invito, i genitori, i tutori o i soggetti affidatari vengono nuovamente convocati, con raccomandata AR, per un colloquio, al fine di comprendere le motivazioni della mancata vaccinazione e di fornire – eventualmente anche con il coinvolgimento del Pediatra di Libera Scelta o del Medico di Medicina Generale – una corretta informazione sull’obiettivo individuale e collettivo della pratica vaccinale e i rischi derivanti dalla mancata prevenzione. Nell’ipotesi in cui i genitori esercenti la responsabilità genitoriale, i tutori o i soggetti affidatari non si presentino al colloquio ovvero, all’esito dell’interlocuzione, non facciano somministrare il vaccino al minore, la ASL contesta loro formalmente l’inadempimento dell’obbligo vaccinale, con l’avvertimento che se non dovessero far somministrare al minore il vaccino o iniziare/completare il ciclo … entro il termine fissato dall’azienda sanitaria medesima, sarà loro comminata la sanzione amministrativa pecuniaria da euro cento a euro cinquecento. La contestazione dell’inadempienza nei confronti di un minore che abbia iniziato a frequentare il servizio educativo dell’infanzia in attesa di vaccinazione, che però non viene successivamente effettuata per motivi non imputabili all’organizzazione del servizio vaccinale o a intervenuti problemi di salute del bambino, tali da controindicare la vaccinazione stessa, rappresenta motivo di esclusione dal servizio educativo”.

La Circolare quindi, a seguito peraltro di un procedimento non di breve durata, contempla l’ipotesi del minore che acceda al servizio in attesa di vaccino e poi non lo esegua e continui a frequentare fino al persistente rifiuto a seguito di contestazione di inadempienza.

La sanzione amministrativa, poi, è compresa tra un limite minimo ed un massimo (rif. art. 10 della L 689/81).

Dalla lettura dell’art. 8 L 689/81 si evince che con l’inadempimento all’obbligo vaccinale non si commettono più violazioni della stessa disposizione, perciò la Circolare 16 agosto 2017 ha chiarito: “Ai genitori esercenti la responsabilità genitoriale ai tutori e ai soggetti affidatari, a seguito di accertamento della violazione dell’obbligo di vaccinazione, è applicata una sola sanzione, a prescindere dal numero di vaccinazioni omesse. Difatti, ai sensi dell’articolo 8 della legge 24 novembre 1981, n. 689, a chi commette più violazioni della medesima disposizione viene comminata una sanzione maggiorata (e non un numero di sanzioni pari alle violazioni commesse). Di conseguenza, ove a seguito di contestazione da parte della ASL, i genitori, i tutori e i soggetti affidatari non provvedano a far somministrare al minore il vaccino o i vaccini omessi, soggiaceranno all’applicazione di un’unica sanzione, ai fini della determinazione della quale si terrà conto del numero degli obblighi vaccinali non adempiuti. La sanzione per la medesima violazione non sarà comminata nuovamente all’inizio di ogni anno scolastico. Solo nell’ipotesi in cui i genitori o i tutori o i soggetti affidatari incorrano, successivamente, nella violazione di un nuovo e diverso obbligo vaccinale, singolo o coniugato (ad esempio, omettano di sottoporre il minore a un diverso vaccino previsto a una età seguente), agli stessi sarà comminata una nuova sanzione. La sanzione sarà comminata anche nel caso in cui l’omissione riguardi un richiamo vaccinale. …. La sanzione estingue l’obbligo della vaccinazione, ma non permette comunque la frequenza, da parte del minore, dei servizi educativi dell’infanzia, sia pubblici sia privati, non solo per l’anno di accertamento dell’inadempimento, ma anche per quelli successivi, salvo che il genitore non provveda all’adempimento dell’obbligo vaccinale.

In sintesi, tenendo conto che nessuna sospensione dalla frequenza potrà essere prevista nella scuola dell’obbligo:

– è applicata una sola sanzione a prescindere dal numero di vaccinazioni omesse di cui si tiene conto solo ai fini di una maggiorazione della stessa;

– la sanzione non è comminata all’inizio di ogni anno scolastico;

– la sanzione estingue l’obbligo vaccinale ma non permette la frequenza solo nel sistema 0-6.

La nuova circolare vaccini

La nuova circolare vaccini
ed il paradosso della esclusione dall’accesso ai servizi

di Cinzia Olivieri

La circolare congiunta del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e del Ministero della Salute pubblicata il 1 settembre, premesso che ai sensi dell’art. 3 comma 3 del testo coordinato del DL 73/2017 la presentazione della documentazione richiesta è requisito di accesso per i servizi educativi per l’infanzia e le scuole dell’infanzia, anche private non paritarie, ha previsto espressamente che, ove il genitore/tutore/affidatario non vi provveda entro l’11 settembre 2017 o, nel caso di dichiarazione sostitutiva, entro il 10 marzo 2018 il minore sarà escluso appunto dall’accesso ai servizi (a cui in questo caso peraltro ha già avuto accesso fino a quel momento).

Ove quindi nei termini indicati non pervenga idonea documentazione comprovante l’effettuazione delle vaccinazioni obbligatorie, l’avvenuta immunizzazione per malattia naturale con conseguente esonero, l’omissione ovvero il differimento nonché la richiesta di vaccinazione all’Asl territorialmente competente, il diniego all’accesso sarà comunicato formalmente con provvedimento motivato. Tuttavia “il minore non in regola con gli adempimenti vaccinali ed escluso dall’accesso ai servizi rimarrà iscritto ai servizi educativi per l’infanzia ed alle scuole dell’infanzia” per essere poi “nuovamente ammesso ai servizi, successivamente alla presentazione della documentazione richiesta”.

Dunque in tal caso non si ha “decadenza” dalla iscrizione.

Tale previsione è motivo di qualche perplessità.

Il primo rilievo di palmare evidenza ma di opportuna precisazione è che requisito di accesso è la presentazione della documentazione non l’accertato inadempimento all’obbligo vaccinale.

Del resto, come prevede la stessa circolare al punto 2, la scuola non è chiamata ad “effettuare alcuna preventiva valutazione di merito” limitandosi eventualmente a trasmettere all’azienda sanitaria la documentazione ricevuta.

Tuttavia in teoria non può escludersi la regolarità vaccinale pure in mancanza del deposito di documentazione che la comprovi.

Si può ipotizzare il caso limite del genitore/tutore/affidatario che per disattenzione o difficoltà personali non effettui la consegna tempestivamente. L’alunno sarebbe doppiamente penalizzato per inosservanza non dell’obbligo vaccinale ma documentale e per l’effetto escluso dal servizio sebbene regolarmente vaccinato.

La stessa circolare dispone (punto 2.) poi che, in caso il genitore/tutore/affidatario presenti entro l’11 settembre dichiarazione sostitutiva, il minore avrà accesso ai servizi (iscrizione/frequenza) salvo poi esserne escluso ormai prossimi alla fine dell’anno scolastico ove non pervenga idonea documentazione entro il 10 marzo 2018, e sempre a prescindere dall’accertata inosservanza dell’obbligo vaccinale.

Insomma con la dichiarazione sostitutiva non si ha certezza dell’adempimento dell’obbligo vaccinale eppure l’alunno non sarà escluso dai servizi fino a al 10 marzo 2018. Inoltre, non è esplicato cosa accade in caso di consegna di documentazione incoerente con la dichiarazione sostitutiva, evidenziando ad esempio un adempimento parziale.

Avranno accesso inoltre ai servizi gli alunni per i quali il genitore/tutore/affidatario avrà regolarmente presentato alla scuola “copia della formale richiesta di vaccinazione alla ASL territorialmente competente” ovvero dichiarazione sostitutiva, per l’a.s. 2017/2018, entro l’11 settembre (in quest’ultimo caso ovviamente se entro il 10 marzo 2018 non sarà presentata la copia formale della prenotazione, ne sarà successivamente escluso) sebbene, nel caso di specie, l’alunno non sia evidentemente ancora in regola con l’obbligo vaccinale.

La Circolare del Ministero della Salute del 16 agosto 2017 ha precisato al punto 4. che il recupero dei non vaccinati o dei vaccinati parzialmente “necessita di una valutazione da parte del sanitario, che dovrà, in particolare, tenere in considerazione diversi elementi, quali: vaccini e numero di dosi già somministrati, età del minore, numero di dosi necessarie a completare ciascun ciclo a seconda dell’età e della presenza di eventuali condizioni cliniche, intervallo tra le dosi raccomandato in scheda tecnica e tra vaccini diversi, esistenza di prodotti combinati, possibilità di associare nella stessa seduta più vaccini”. Per l’effetto non sono determinabili i tempi di regolarizzazione.

Intanto essi avranno accesso ai servizi considerando altresì che, una volta presentata alla scuola la documentazione attestante la prenotazione, non sono previsti adempimenti successivi, essendo investita della questione l’Asl territorialmente competente.

È chiaro che tanto rileva anche in considerazione dell’osservanza degli adempimenti di cui all’art. 4 per il quale i minori che si trovano nelle condizioni di omissione o differimento dell’obbligo vaccinale “sono inseriti, di norma, in classi nelle quali sono presenti solo minori vaccinati o immunizzati” in numero non superiore a due, giacché anch’essi devono considerarsi non “ancora” vaccinati. Infatti il comma 2 del medesimo articolo prevede che i dirigenti scolastici “comunicano all’azienda sanitaria locale, entro il 31 ottobre di ogni anno, le classi nelle quali sono presenti più di due minori non vaccinati”.

L’ipotesi della temporanea esclusione dall’accesso ai servizi non è per la verità contemplata dal testo coordinato del DL 73/2017.

L’articolo 3 bis comma 5 dispone soltanto che la mancata presentazione della documentazione nei termini previsti comporterà la decadenza dall’iscrizione solo a decorrere dall’anno scolastico 2019/2020.

Ma chi dovrà emettere e comunicare il provvedimento di esclusione (ovvero di decadenza)?

Certo non è indicato tra gli adempimenti a carico dei dirigenti scolastici, i quali, ai sensi dell’art. 3 comma 2 sono semplicemente tenuti a segnalare all’azienda sanitaria la mancata presentazione della documentazione nei termini previsti entro i successivi dieci giorni.

Sarà l’Asl ad attivarsi poi per gli “adempimenti di competenza”.

Il dirigente scolastico quindi si limita ad acquisire la documentazione senza ulteriori verifiche, non essendo tenuto ad accertare un eventuale inadempimento all’obbligo vaccinale (né avendo strumenti adeguati per farlo) ed in caso di mancata presentazione della stessa nei termini ne informa nei successivi 10 giorni l’asl territorialmente competente che provvede come per legge.

Si avvia quindi una prima fase interlocutoria (art. 1 comma 4) per cui l’azienda sanitaria convoca il genitore/tutore/affidatario per un colloquio e solo laddove successivamente a contestazione non provveda alla vaccinazione nel termine indicato dalla stessa è comminata la prevista sanzione pecuniaria.

Neanche in tal caso vi è alcun riferimento all’esclusione dall’accesso nelle more (che potrebbero essere anche di lunga durata) ma è da ritenersi che il provvedimento dovrebbe essere posto a carico dell’Asl ovvero, solo previa indicazione della stessa, al dirigente scolastico.

Peraltro anche la previsione di successiva decadenza dall’iscrizione dell’art. 3 bis cagiona ulteriori dubbi in considerazione che per l’art. 3 comma 3 del testo coordinato del DL 73/2017 la presentazione della documentazione richiesta è requisito di “accesso”. La decadenza costituisce un istituto giuridico per il quale un soggetto deve compiere una determinata attività entro un termine perentorio altrimenti l’esercizio di un diritto viene precluso. L’art. 3 bis prevede l’invio degli elenchi “degli iscritti” all’Asl territorialmente competente e pertanto l’iscrizione deve intendersi perfezionata mentre a luglio non è ancora iniziata la frequenza.

Onde evitare quindi ulteriori inevitabili contenziosi e ridurre la conflittualità scuola-famiglia, considerate le evidenti incongruenze, sarebbero opportune ulteriori chiare istruzioni.

Una nuova estate torrida per il panino

Una nuova estate torrida per il panino

di Cinzia Olivieri

 

Uno dei “tormentoni scolastici” estivi è l’annunciata prossima dipartita del “panino da casa” ad opera del ddl 2037 per la disciplina dei “servizi di ristorazione collettiva”, in discussione in sede referente in 9^ Commissione Senato.

Se lo scorso anno, dopo la sentenza della Corte d’Appello di Torino del 21 giugno 2016, faceva parlare di sé con le prime ordinanze del 13 agosto 2016 e quelle successive di settembre, sempre del Tribunale di Torino, di cui due del Collegio in sede di reclamo, che confermavano (tutte le 17) il diritto dei ricorrenti di scegliere “tra la refezione scolastica e il pasto preparato a casa da consumare presso la scuola nell’orario destinato alla refezione”, da quando, nel resoconto della seduta del 18 luglio 2017, è stato pubblicato un emendamento all’art. 5 del ddl 2037 che renderebbe obbligatoria la refezione scolastica, quasi quotidianamente si legge notizia dell’imminente estremo saluto del “panino”.

Il periodo che porrebbe fine alla querelle sul pasto domestico, nell’attesa della pronuncia della Cassazione e dopo che il Tribunale di Napoli in sede di reclamo, senza entrare nel merito della questione, ha declinato la propria giurisdizione in favore del giudice amministrativo, è stato aggiunto al comma 1 dell’art. 5 del ddl 2037 e recita: “I servizi di ristorazione scolastica sono parte integrante delle attività formative ed educative erogate dalle istituzioni scolastiche”.

Se appare singolare, sotto il profilo logico e giuridico, che un servizio avente ad oggetto “l’attività di approvvigionamento, preparazione, conservazione, distribuzione e somministrazione di pasti, definita da un contratto stipulato tra il fornitore del servizio e un soggetto privato o una pubblica amministrazione in qualità di committenti” (art. 2 comma 1 lett. a)) assurga a “parte integrante” di attività formative ed educative, giacché sarebbero da esplicitare i profili pedagogici di un appalto di servizi a pagamento, si impongono ulteriori riflessioni.

Non vi è dubbio che il tempo mensa, di cui sarebbe più corretto parlare, costituisca uno dei tre segmenti orari che, insieme al monte ore obbligatorio e quello facoltativo opzionale “rappresentano il tempo complessivo di erogazione del servizio scolastico”. Tanto è chiaramente affermato dalla CM 29/04, esplicativa del Dlgs 59/04. È dunque “tempo scuola” funzionale allo svolgimento delle “attività educative e didattiche”, che si svolgono nell’ambito dell’orario annuale obbligatorio e di quello facoltativo opzionale.

Gli articoli 7 e 10 del Dlgs 59/04, nel disciplinare appunto le “Attività educative e didattiche” nella scuola primaria e secondaria di primo grado, fanno riferimento al primo comma all’orario (obbligatorio) annuale delle lezioni ed al secondo a quello facoltativo e opzionale, la cui frequenza, precisa la norma, è GRATUITA così come l’orario obbligatorio, nel rispetto dei principi costituzionali (art. 34 Cost.).

È nell’ambito di questi due segmenti orari che si esplicano le “attività educative e didattiche”, tanto che il comma successivo continua: “L’orario di cui ai commi 1 e 2 non comprende il tempo eventualmente dedicato alla mensa”.

Il tempo mensa dunque è tempo scuola “eventualmente” occorrente “per garantire lo svolgimento delle attività educative e didattiche” (punti 2.3 e 3.1 della CM 29/04) e per l’effetto “I servizi di mensa … sono erogati con l’assistenza educativa del personale docente”.

È il docente che fornisce “assistenza educativa” nell’ambito di un servizio locale, a domanda individuale ed a pagamento, laddove l’ente locale lo istituisca e l’utente decida di aderirvi, così come previsto dal D.M. 31 dicembre 1983 e confermato da ultimo dal recente Dlgs 63/2017 che ha disciplinato, all’art. 6, i servizi di mensa tra quelli “attivabili a richiesta degli interessati”.

Peraltro il Dlgs 59/04 pone grande attenzione alle scelte delle famiglie, le quali “contribuiscono, in maniera attiva e partecipata, alla definizione dei percorsi formativi dei propri figli, nel rispetto delle loro vocazioni, capacità, attitudini ed inclinazioni” (punti 2.2 e 3.1 CM 29/04). Ma nessun riferimento alle decisioni genitoriali appare nel ddl 2037.

Anzi, per la verità non si nasconde in genere una visione piuttosto critica sulle scelte alimentari operate appunto dalle famiglie.

Ad ogni buon conto, da quanto predetto non può che desumersi che un servizio mensa obbligatorio, anche superate le prefate questioni, dovrebbe essere gratuito, al pari degli altri segmenti del tempo scuola.

Tanto però non risulta previsto dal ddl 2037. Anzi è stato presentato un emendamento con cui si “impegna il Governo: a porre in essere, nell’ambito delle proprie competenze, appositi atti al fine di prevedere che il costo del pasto a carico dell’utente del servizio di ristorazione non sia superiore ai 5 euro”.

Giacché il costo è posto a carico “dell’utente del servizio” non può dubitarsi che esso debba essere corrisposto dalle famiglie.

Peraltro con un siffatto limite, sebbene contenitivo, si profila il rischio inverso di un innalzamento delle tariffe, laddove tale importo sia più basso.

Il ddl 2037, come si legge nella relazione illustrativa, risponde all’esigenza, premessa la diffusione della ristorazione collettiva, di ridurre gli ingenti sprechi dovuti “principalmente ad acquisti e ordinazioni errate, a interruzione delle catene di conservazione e in particolare ad una errata impostazione dei menù previsti nei capitolati d’appalto, sia in termini quantitativi … sia in termini di gradimento, soprattutto per quanto riguarda la ristorazione scolastica”, in un settore penalizzato “dalla riduzione costante di risorse pubbliche, ritardi dei pagamenti della pubblica amministrazione, nonché crescente ricorso a gare al massimo ribasso e dall’altro dall’aumentata esigenza di rispondere a funzioni di carattere nutrizionale sempre più stringenti, mediante l’utilizzo di prodotti di alta qualità adeguati agli standard di una sana alimentazione” e quindi “dalla necessità di realizzare una buona politica di ristorazione”.

In tale ottica risultano coerenti e positivi gli emendamenti in cui è prevista l’istituzione di commissioni mensa, anche con la partecipazione di genitori, ma non l’obbligatorietà di un servizio a pagamento, assimilato ad attività educativa, nella scuola dell’obbligo gratuita.

Non si può evitare di chiedersi perché, in un disegno di legge destinato a disciplinare una attività economica di rilievo pubblico anche extrascolastico, in quanto relativo altresì alla ristorazione ospedaliera ed assistenziale, si intervenga nei suddetti termini sul diritto di scelta delle famiglie ed in merito a questioni di carattere organizzativo e didattico delle scuole autonome.

C’è ancora tempo per rivedere tali posizioni, considerando che il seguito dell’esame del ddl 2037 in 9a Commissione Senato sede referente risulta rinviato al 13 settembre, dopo la pubblicazione nel resoconto della seduta del 25 luglio dei subemendamenti agli emendamenti proposti.

Tra questi, oltre il richiamo al “momento sociale e di continuità didattica basato sulla condivisione”, proprio del tempo mensa piuttosto che del servizio, nonché alla finalità di educazione alimentare per rafforzarne l’inserimento tra le “attività didattiche e formative”, la proposta di inserimento di un nuovo comma all’art. 5 (1 bis) che riconosca al Ministero la facoltà di impartire “indicazione ai dirigenti scolastici affinché gli stessi operino per garantire in ogni caso la finalità di educazione alimentare nonché i livelli di qualità promossi con la presente legge, anche, ove necessario, negando l’autorizzazione a diverse modalità di consumazione del pasto in ambito scolastico, ogni volta che le condizioni oggettive rendano necessario affermare la prevalenza di diritti della collettività, quali il diritto alla salute, all’educazione alimentare, all’uguaglianza, rispetto a diritti individualmente rivendicati”.

Tuttavia proprio la previsione di un diniego al pasto domestico in presenza di determinate condizioni, di fatto sconfessa l’obbligatorietà del servizio sulla base del comma precedente, giacché se fosse davvero sufficiente il primo apparirebbe superfluo quello successivo.

Insomma, se la finalità è chiara: negare il diritto di scelta al pasto domestico, è ancora presto per dichiarare il prematuro decesso del povero “panino”, giacché sotto il profilo normativo diversi restano gli aspetti da chiarire ed il percorso di approvazione della norma non può dirsi certo concluso, dovendo continuare ancora in commissione e quindi in aula.

Le novità sul DDL2037

Le novità sul DDL2037, oltre il “no al panino”

di Cinzia Olivieri

In 9ª Commissione permanente Senato è proseguito, durante la seduta del 18/07/2017 l’esame, sospeso il 13 giugno, del DDL 2037 Disposizioni in materia di servizi di ristorazione collettiva. Sono stati illustrati gli emendamenti ed è stato fissato un termine per i subemendamenti agli emendamenti per venerdì 21 luglio.

Dall’allegato al resoconto si evincono gli ordini del giorno e le proposte di emendamento che forniscono informazioni interessanti.

Tra gli aspetti più rilevanti, si è impegnato il Governo a porre in atto iniziative per rimediare alla frequente mancanza, negli istituti scolastici, di locali adeguati o dedicati alla refezione, ragione per cui tanti alunni, in particolare al sud, sono costretti a consumare il pasto nella propria aula e sul proprio banco; a prevedere che il costo del pasto a carico dell’utente non sia superiore ai 5 euro ed a valutare l’opportunità di favorire convenzioni tra le istituzioni scolastiche e gli istituti professionali per i servizi alberghieri e ristorativi per la gestione e/o l’erogazione del servizio mensa.

Tra gli emendamenti: il coinvolgimento delle «organizzazioni civiche e i coordinamenti di commissioni mensa di comprovata esperienza e competenza individuati sulla base di criteri oggettivi predefiniti» nella elaborazione delle linee guida; l’introduzione della celiachia tra le patologie da considerare; la previsione, tra i criteri standard minimi, dell’impiego, nella scuola dell’infanzia e primaria, “di appositi locali attrezzati all’interno delle strutture scolastiche per la preparazione dei pasti in loco» (art. 3); nonché il divieto di stoviglie monouso anche quale criterio di aggiudicazione.

Al primo comma dell’art. 5 è stato proposto di inserire il contestato periodo (che qualcuno però chiede di abolire): “I servizi di ristorazione scolastica sono parte integrante delle attività formative ed educative erogate dalle istituzioni scolastiche”, a cui si attribuisce l’introduzione, ad opera del DDL 2037, dell’obbligatorierà del servizio di refezione.

Ma la norma non si esprime in termini di obbligo, come invece il legislatore ha fatto nel Dlgs 59/04 allorquando ha precisato che nell’orario annuale obbligatorio delle lezioni, non è compreso “il tempo eventualmente dedicato alla mensa” (artt. 7 e 10).

Da prestare attenzione anche al riferimento al “tempo” mensa e non al “servizio”, giacché è davvero difficile considerare una “attività di approvvigionamento, preparazione, conservazione, distribuzione e somministrazione di pasti, definita da un contratto” quale “attività formativa ed educativa”.

La CM 29/04 espressamente opera tale distinzione allorquando afferma che i “servizi di mensa, necessari per garantire lo svolgimento delle attività educative e didattiche, … vengono erogati utilizzando l’assistenza educativa del personale docente, che si intende riferita anche al tempo riservato al “dopo mensa””.

Per l’effetto la previsione di un eventuale obbligo di adesione ad un servizio a domanda individuale (Dlgs 63/2017) ed a pagamento in fascia d’obbligo dovrebbe essere ben più chiaramente esplicitata, con tutte le conseguenti implicazioni.

Tanto a maggior ragione nel momento in cui lo stesso disegno di legge pone attenzione alle esigenze dell’utenza, creando un collegamento con il servizio di ristorazione scolastica attraverso la espressa previsione della partecipazione anche dei genitori oltre che del personale scolastico nelle commissioni mensa (ultimo comma articolo 5 o anche art. 5 bis).

E’ decisamente limitativo dunque fermarsi ad analizzare di questo provvedimento solo il presunto “no al panino”.

Intanto la discussione prosegue. L’iter di approvazione del testo non si è certo concluso.