La caratteristica di Emilio

Regione Piemonte

La caratteristica di Emilio: la dislessia dal punto di vista di chi ne è affetto

Realizzato, nell’ambito del progetto #noproblem il documentario “la caratteristica di Emilio”, dove la problematica dei disturbi dell’apprendimento viene narrata dalla viva voce di Emilio, che ci racconta il punto di vista di chi è affetto da DSA.

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Disponibile il video sulla “Didattica inclusiva”

Per un nuovo modo di fare lezione, per il coinvolgimento diretto degli studenti, per contribuire insieme alla costruzione del sapere, per un apprendimento attivo e collaborativo.

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Disponibile il video didattico sulla DISGRAFIA

Le modalità di scrittura sono molte, ad esempio per prendere appunti c’è chi cerca di scrivere tutto, chi sintetizza, chi schematizza ecc. e c’è anche chi, quando torna a casa non riesce a capire nulla dai suoi stessi appunti. E’ solo disordine o può trattarsi di disgrafia?

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NESSUN INVITO A PRESENTARE ESPOSTI ALLA MAGISTRATURA PENALE

AND, NESSUN INVITO A PRESENTARE ESPOSTI ALLA MAGISTRATURA PENALE

L’Associazione Nazionale Docenti non ha predisposto alcun modello da inviare ad alcuna Procura della Repubblica riguardo alla situazione dei docenti della scuola non abilitati.

È quanto affermato dal Presidente prof. Francesco Greco che ha dato mandato ai legali dell’AND di procedere legalmente nei confronti di estensori di comunicati e documenti che vengono diffusi, a mezzo internet, e attribuiti all’Associazione Nazionale Docenti

L’egemonia della cultura pubblicitaria sull’educazione e il suo auspicabile declino

L’egemonia della cultura pubblicitaria sull’educazione e il suo auspicabile declino

di Federico Repetto

 

È molto tempo che è stato abbandonato il dibattito sul presunto potere, da parte dei media, di manipolare il pubblico. Tra le altre, la scuola (marxista) di Birmingham ha mostrato decenni fa come il pubblico sappia ricodificare (reinterpretare) i messaggi secondo le sue esigenze. Ma si parla in genere di un pubblico adulto e unito in comunità culturali coerenti (come i giamaicani neri in Inghilterra, o la classe operaia di una volta). Non del pubblico dei bambini e ragazzi degli anni ottanta, dopo una sconfitta operaia epocale e in un contesto di crisi culturale e politica della sinistra.

Ma neanche in questo caso (che ora affronteremo) il termine “manipolare” è pertinente. Il termine pertinente per i minori è “educare”: quando le ore di tv sono superiori alle ore di lezione, è ovvio che la tv diventi un’importante agenzia educativa, aiutata dalla sua capacità di fornire una gratificazione immediata, mentre la scuola promette solo una gratificazione differita – una promozione sociale, l’accesso a un livello più alto del mondo del lavoro. Promesse che già negli anni ottanta sembravano poco credibili, e poi sempre meno. Ma essere un’agenzia educativa (in questo caso la principale, in competizione anche con famiglia e Chiesa) non rende onnipotenti: l’educazione è sempre un’impresa a rischio, minacciata dalle circostanze più imprevedibili, e in particolare dalla coeducazione tra pari.

Parleremo ora prima dell’apogeo della vincibile egemonia della tv commerciale e poi del suo già iniziato declino.

 

Negli anni della neotelevisione aumenta fortemente la propensione al consumo e l’attenzione alla pubblicità

Il tema del consumismo e della pubblicità soprattutto televisiva come suo fattore propulsivo è stato al centro di grandi polemiche nelle scienze sociali fino alla fine degli anni 70. A partire dagli anni 80, con la diffusione pervasiva del pensiero unico neoliberale, la discussione sui temi di questo tipo è stata praticamente messa da parte.

Contemporaneamente in Italia la “propensione al consumo” aumenta progressivamente e velocemente. L’agenzia Eurisko (oggi Gkf) l’ha monitorata a beneficio degli inserzionisti. Un suo sondaggio del 1993 ci mostra che vari indici di consumismo (impulsività negli acquisti, ricerca dell’ostentazione, piacere nel guardare le vetrine, tendenza ad acquistare cose inutili, o a comprare prodotti nuovi, amore per lo shopping, ecc.) decrescono sensibilmente con l’età: nel confronto tra i ragazzi di 14-17 anni (cresciuti con la neotelevisione) e gli anziani di oltre 64 anni, alcuni indici si riducono ad un terzo o ad un quarto, e tutti hanno una variazione collegata all’età per tutto l’arco demografico considerato: più si è giovani più si è consumisti (Giovani, consumi e consumismo, «Social Trends», 1993, n° 62; per tutti gli altri dati citati in questo articolo cfr. la nota finale).

Se invece guardiamo il primo sondaggio nazionale Eurisko del 1976 troviamo nelle risposte una forte diffidenza verso la pubblicità, le grandi marche, i prodotti industriali, ecc. Gabriele Calvi, il fondatore dell’agenzia, più tardi ha ricordato gli anni ’70 come un’oscura parentesi dopo l’età dell’oro consumistica del periodo pre-’68, tuttavia nella diffidenza del 1976 c’è non solo l’influenza del clima anticapitalistico sessantottino, ma probabilmente anche tracce di una sospettosità contadina o piccolo borghese nei confronti dei grandi oligopoli industriali. Sospettosità che il precedente boom economico forse non aveva eliminato del tutto.

Commenta Calvi nel 1976 (Valori e stili di vita degli italiani. Indagine psicografica nazionale 1976, Isedi, Milano, 1977):

[…] In definitiva, è oggi il 45% degli italiani che preferisce il supermercato al piccolo negozio…

Il grande magazzino ha un’immagine e una desiderabilità più scialbe… due terzi sono netti nell’affermare che non si fiderebbero ad acquistare cose importanti nei grandi magazzini (70%).

Rilevante negli anni ’80-’90 è anche il fenomeno della crescita dell’“attenzione per la pubblicità”: secondo gli indicatori di Eurisko, essa è aumentata quasi ininterrottamente dal 1986 almeno fino al 1995, per un totale del 30% di aumento. Naturalmente, per quanto riguarda la tv, ciò non esclude che molti spettatori che guardavano gli spot lo facessero soprattutto per ragioni estetiche, visto che in questo periodo la pubblicità inventa nuovi linguaggi – e i giovani, destinatari privilegiati, riuscivano meglio degli altri a decifrarli e ad apprezzarli. E non esclude nemmeno che qualcuno di questi giovani esteti andasse alle gigantesche manifestazioni per la pace e l’ambiente. Gli anni ottanta sono un periodo di straordinaria mobilitazione ecopacifista e l’egemonia non è un dato statico e non copre come un tappeto l’intera società.

È interessante la coincidenza tra la crescita parallela dell’“attenzione per la pubblicità” e la propensione al consumo delle giovani generazioni. La cosa è tanto più significativa se si ricorda che l’Italia negli anni ottanta ha avuto il più rapido incremento delle spese pubblicitarie del mondo occidentale avanzato (partendo da un livello molto basso della percentuale di tali spese sul Pil) e, insieme, la crescita più rapida e sregolata delle televisioni commerciali. E tale crescita ha portato alla percentuale di spot più elevata dell’occidente e all’invasione dei programmi da parte delle sponsorizzazioni.

Per concludere citiamo l’opinione trionfalistica del berlusconiano Pilati, nel 1987 (Il nuovo sistema dei media, p. 26):

L’evasione degli spot resta limitata, secondo ricerche specializzate, a quote minoritarie (circa il 30%). Gli atteggiamenti di rifiuto della pubblicità, vivi durante gli anni ’70 in sintonia con il clima ideologico, si dissolvono progressivamente proprio in coincidenza con l’incremento della comunicazione d’impresa e cedono il posto ad un diffuso e partecipe interesse (in alcune fasce, soprattutto giovani, la pubblicità ormai fa moda).

 

La cultura pubblicitaria neotelevisiva e l’educazione

Ma è possibile affermare che gli spot pubblicitari, di breve durata, spesso apprezzati solo per ragioni estetiche, e fissati su di un singolo prodotto, siano portatori di una cultura egemonica? In effetti è solo l’insieme dei palinsesti che può essere considerato una cultura, per quanto abbia contorni articolati e aperti. Tuttavia questo insieme, e in particolare i programmi-contenitore, è progettato per poter ospitare al meglio il messaggio degli inserzionisti.

È forse possibile farsi un’idea di quale sia il centro simbolico della cultura neotelevisiva leggendo le analisi pionieristiche di Francesco Casetti (Tra me e te, ed. Rai, 1988) sui riti neotelevisivi e sui programmi-contenitore. Secondo lui, la neotelevisione commerciale, di cui i “conduttori” sono i rappresentanti e i cerimonieri, entra nella nostra intimità domestica e nella nostra routine abituale, imita i rituali della vita quotidiana e li trasforma in modelli. Il “rituale del commercio” accosta dunque le immagini quotidiane del piccolo commercio al negozio all’angolo, o degli scambi di doni con gli amici, con quelle dello sponsor e della marca, e fa della comparsa dello sponsor un rito quotidiano. Si può aggiungere che questo procedimento serve a rendere accette la grande marca e la grande impresa per associazione (uno dei meccanismi psicologici più usati in pubblicità), associandole appunto con il piccolo commercio della nostra quotidianità: la neo-televisione è stata, si direbbe, il luogo della seduzione soprattutto dei ceti medi produttivi, e anche dei lavoratori con ambizioni di imprenditorialità o di autonomia, da parte dei grandi oligopoli capitalistici.

Quello del commercio è secondo Casetti il rituale dominante (insieme a quello dell’“incontro” e dell’”ospitalità”). Ovviamente tutti i rituali e i patti comunicativi della neotelevisione trattano lo spettatore assolutamente alla pari, come autonomo nelle sue scelte. Ma poiché i piccoli spettatori seguono anche i programmi per adulti, anche loro sono trattati come se fossero realmente autonomi e responsabili.

La tv dunque forma attraverso il suo linguaggio e il suo simbolismo, e costruisce, come direbbe Lakoff, i frame del suo pubblico. La sua azione naturalmente non è affatto irresistibile, se altri formatori alternativi propongono altri linguaggi e messaggi credibili. La sua efficacia è in relazione con la presenza educativa dei genitori o la loro assenza (per scelta di vita o per costrizione economica) e con la loro competenza mediatica, con l’influenza della scuola, del gruppo dei pari, della Chiesa, ecc.

 

Il nuovo millennio: calo della fiducia nella pubblicità e nella televisione

Già il Quinto Rapporto Censis-Ucsi sulla comunicazione in Italia, che paragona i dati del 2005 con quelli del 2001, individua un trend negativo per quanto riguarda la fiducia nella pubblicità da parte dei cittadini. Le opinioni negative sulla pubblicità (è invadente, alimenta una concezione consumistica della vita nei bambini, è diseducativa) aumentano per quasi tutti quanti i media nel periodo 2001-2006, mentre quelle positive (è una fonte insostituibile di finanziamento, aiuta nelle scelte di acquisto) per lo più diminuiscono. Il record negativo è detenuto nel complesso dalla tv. Nel caso specifico del fastidio per la sua invadenza, questo nel 2001 era al 47,2% per quanto riguarda la tv, e sale fino al 52,3% nel 2005, ma è proprio Internet che la batte, passando dal 42,5% al 57,8%.

Nel 2005 si ammette che la tv “aiuti nelle scelte d’acquisto” solo per il 14,1%, (contro il 17,8% del 2001): un livello simile a quello del sondaggio Eurisko del 1976 (il 14,4% tra i giovani). Gli altri media considerati (radio, quotidiani ed Internet) hanno addirittura un punteggio inferiore.

È poi singolare che la convinzione chela pubblicità sia indispensabile per il finanziamento della tv” (la domanda non distingue tra private e Rai) scenda dal già basso 29,9% al 21,8%. Negare questa necessità economica non sembra proprio logico parlando delle tv private, e questo assomiglia tutto sommato ad una protesta contro la troppa pubblicità – in nome della gratuità della Rete?

La tendenza ostile nei confronti della pubblicità in tv sembra in parallelo con il calo continuo di fiducia nelle televisioni in quanto istituzioni, che risulta dai rapporti Iard sui giovani: la televisione pubblica nel 1996 arriva a qualche punto oltre il 50%, mentre nel 2004 scende al 36% circa; la televisione privata dal 45% scende al 32% circa. Ciò avvalora l’idea di chi – come Enrico Menduni – pensa che la partecipazione diretta di Berlusconi alla politica abbia fatto diminuire la fiducia nella sua tv. E la Rai evidentemente è vista sempre più come espressione diretta dei partiti. Già in questo periodo ci sono poi i sintomi di un appannamento dello “splendore” passato della tv generalista e di una disaffezione del pubblico nei confronti dei suoi programmi, che anche secondo gli analisti tendevano a peggiorare.

Il rapporto osserva anche che il notevole aumento dell’insofferenza per la funzione diseducativa della tv, particolarmente diffuso tra le madri e tra le persone adulte e più istruite, sia una reazione alla “strategia delle agenzie pubblicitarie, che mai come in questi anni hanno indirizzato i loro messaggi ai bambini, individuati come persone in grado di incidere notevolmente sulle scelte d’acquisto familiare”. Tuttavia probabilmente c’è una tendenza alla reazione contro la saturazione pubblicitaria dei media di tutti i tipi, che si manifesta particolarmente contro la tv, la cui qualità a partire dalla fine degli anni 90, come si è detto, è andata diminuendo. Anche prima che Sky e Internet insidino direttamente la sua centralità, si avvertono gli scricchiolii del sistema della tv generalista.

Per gli anni successivi, l’undicesimo rapporto Censis-Ucsi sulla comunicazione, pubblicato nel 2013, ci fornisce dati interessanti. Internet prima di tutto ha costretto le aziende a ripensare il tradizionale rapporto unidirezionale dall’alto in basso con il potenziale cliente, e a tentare di instaurare un rapporto diretto e personalizzato. Naturalmente non bisogna dimenticare che, se questo da un lato può aiutare le aziende radicate sul territorio, dall’altro aumenta ulteriormente le spese pubblicitarie, in ultima analisi avvantaggiando a livello nazionale (e globale) le grandi marche, che, con la loro disponibilità di capitali, possono comprare i dati necessari dai diversi database e praticare su grande scala il marketing personalizzato. In tutti i casi, «il 36,6% degli italiani che hanno accesso a Internet dichiarano di essere entrati in contatto con un’azienda che commercializza prodotti o servizi di loro interesse negli ultimi due mesi». In realtà in vari casi si è trattato di un rapporto in gran parte verticale: di essi il 19,9% è entrato nel sito aziendale (in questo caso, se l’iniziativa è dell’utente, non bisogna dimenticare che essa nasce dalla pubblicità e dalla fama dell’azienda stessa), l’11,7% ha ricevuto delle e-mail commerciali ed ha risposto, l’8,2% è andato sulla pagina Facebook dell’azienda e l’1,2% sul suo canale YouTube, il 6,6% è stato contattato dal call center dell’azienda. Esistono anche risposte che configurano iniziative dell’utente di tipo più apertamente critico, come le discussioni sui prodotti svolte in blog e forum tematici, ma si tratta solo del 3,4%. Un altro 7,7% ha visitato pagine Facebook e Youtube sui prodotti create dagli utenti.

Agli intervistati viene poi chiesto quali tipi di aziende sentano più vicine a loro. Naturalmente in tempi di crisi è prima in classifica la risposta «quelle che offrono prodotti a buon mercato» (55,5%), seguita da «quelle i cui prodotti vengono acquistati da sempre nella mia famiglia» (40,2%); viene dopo ancora «quelle che utilizzano parte degli utili per attività sociali» (29,8%). Queste risposte austere richiamano un po’ il sondaggio Eurisko del 1976. Alla passione per il web resta comunque qualche briciola: «quelle che mi danno la possibilità di interagire attraverso Internet» ha il 14,3%, «quelle che ottengono apprezzamenti degli utenti su Internet» il 10% e «quelle molto attive su Internet (sito Web, pagina Facebook, ecc.)» l’8,7%.

Veniamo ora a un punto importante. Quando si chiede: «al momento di procedere ad un acquisto, quali dei seguenti fattori risultano decisivi nell’orientare la sua scelta?», la risposta «l’affidabilità del marchio aziendale» è scelta solo dal 43,1% dei 14/29enni, e la percentuale aumenta per ogni scaglione d’età fino ad arrivare al 59% tra i 65-80enni. Se confrontiamo questi dati con i dati Eurisko dei primi anni ’90 troviamo che adesso i più fiduciosi nel mondo dei consumi capitalistici sono i più vecchi, mentre allora erano i più giovani. Anche la risposta “il consiglio degli amici”, che fa riferimento in modo forte al mondo della vita, è scelta dal 41,3% dei 14/29enni contro il 21-22% di tutti gli altri. Il 19,6% dei giovani risponde “i pareri dei consumatori trovati su Internet” (dato medio: 14,7%). Ciò non significa che i giovani siano dogmaticamente dipendenti da Internet: solo il 6,7% (un po’ meno della media già bassa del 9,3%) è propenso a ispirarsi per i suoi acquisti alle “informazioni aziendali trovate su Internet”; inoltre solo il 6,1 sceglie basandosi sulle “informazioni ricavate dalla pubblicità” (in generale): anche questo dato ci ricorda piuttosto il sondaggio del 1976 che quelli degli anni ’80-’90.

Per i fattori di scelta dell’acquisto, la riposta più frequente è: “il prezzo conveniente”, con il 71,8%, un dato impensabile negli anni ’80-’90. E anche qui i più giovani sono di qualche punto sopra la media. Questa risposta ci ricorda però che, per quanto l’evoluzione del sistema formativo mediale abbia un peso importante, ci sono fatti strutturali, come la crisi globale finanziaria e la mancanza di denaro e di prospettive di lavoro, che incidono ancor di più.

Passiamo ora ad esaminare l’atteggiamento dei preadolescenti, che mostra dei cambiamenti ancora più interessanti in termini di distacco emotivo dal mondo dello spot e della tv. Anche i preadolescenti (studenti di scuola media) molto presto si sono collegati con Internet, senza grandi differenze rispetto agli adolescenti. Nel 2003, secondo un’indagine nazionale svolta annualmente per conto della Società Italiana di Pediatria con la consulenza di Carlo Buzzi, già il 63,7% degli studenti delle medie dichiarava di navigare su Internet. Secondo gli intervistati del 2011-2012, il 69,6% si connetteva tutti i giorni, mentre nel 2013-2014 si trattava dell’80%. La percentuale di chi dichiarava di non farlo mai passava dall’1,4 allo 0,8. Nel 2011-2012 il 79,8% affermava di avere un profilo su Facebook, percentuale lievemente scesa nella successiva rilevazione, probabilmente per la saturazione del social medium e la diffusione di nuove app.

Quanto ai dati sull’ascolto televisivo, dopo un periodo di ondeggiamenti, i ragazzi che dichiaravano di guardare la tv più di tre ore al giorno scendono dal 31% nel 2005, al 24,6% nel 2007, al 22,9% nel 2010, al 17,3% nel 2011-2012, al 13,6% del 2013-2014 (tuttavia certi programmi tv sono seguitissimi via Internet e commentati in gruppo).

In tutti i casi quella che sembra proprio diminuita è la capacità della pubblicità di risvegliare il desiderio della merce. Gli intervistatori dal 2004 hanno chiesto ai ragazzi se “capita loro di desiderare cose viste nella pubblicità in tv”. Mentre in quell’anno le risposte positive erano il 95,2%, e “desidero spesso” raggiungeva il 58,7%, nel 2006 le risposte positive scendevano al 90,8%, nel 2008 all’89,2%, nel 2010 all’88,6, mentre la risposta “spesso” si riduceva allora addirittura all’11,6%.

Parliamo ora dei modelli di consumo delle diverse età giovanili, dai preadolescenti in su. Se ovviamente la crisi economica ha aumentato la tendenza al risparmio, in realtà già da diversi anni il loro stile di acquisto è orientato verso i costi bassi. Come osserva un’esperta del marketing giovanile (Marzia Istria, Marketing dei teen agers, Lupetti 2010), sono loro «i protagonisti di quella rivoluzione low cost dei consumi, oggi prepotentemente alla ribalta». Essi, attraverso la Rete possono «accedere a un intero universo low cost: dai viaggi ai consumi culturali, dalla telefonia alle nuove tecnologie». Per non parlare della musica e della moda “indie”, cioè indipendente, non legate alle grandi star o ai grandi brand, o anche del baratto (swap, per il quale esistono appositi servizi on line), del riciclo e dei servizi Internet gratuiti. In questo target, propenso alla sperimentazione, la fidelizzazione alla marca è più difficile. È molto diffusa nell’abbigliamento e nell’oggettistica anche la mescolanza abituale di prodotti di lusso e non di lusso, di marca e non di marca.

 

Qualche conclusione politica

Si potrebbe ipotizzare che la stessa diffidenza che riguarda la pubblicità, amplificata, riguardi anche la politica spettacolo, che ne è per così dire un’applicazione, e la politica in generale. Essa ha certo origine in un atteggiamento antipolitico che è da tempo nel nostro costume, ed è anche una naturale reazione al comportamento poco credibile dei nostri ceti politici – sia di quelli che hanno un effettivo potere, sia di quelli che non ce l’hanno. Oltre a queste circostanze, la diffidenza verso la politica e le istituzioni deriva certo dalla situazione oggettiva: la politica nazionale è impotente rispetto alla crisi, nonché alle decisioni prese dalle varie istituzioni sovranazionali.

In questo quadro, quanto conta il declino della tv generalista e l’avvento di Internet e dei social media nel mutamento dell’atteggiamento verso la politica?

Indubbiamente questo avvento ha significato un aumento del senso di indipendenza e un rafforzamento dei processi di coeducazione delle nuove generazioni.

Ma forse in qualche modo si sta anche sbriciolando – contro gli scogli della competizione globale e della crisi – il paradigma dell’educazione e della costruzione di se stessi come opera d’arte incoraggiato dal consumismo estetizzante degli anni ’80 e ’90. La cultura pubblicitaria (i palinsesti televisivi – ma anche i testi dei periodici – costruiti in funzione della pubblicità) educava per sua natura al consumo, anche se veicolava insieme i miti attivi del successo (possibilmente grazie all’aspetto e alla seduzione), dell’uomo che “si fa da sé”, del “capitalista di se stesso”. Questi due tipi di messaggio, edonista e produttivista, già tra loro contraddittori, non potevano reggere di fronte alle dure repliche della crisi. E la risposta alla crisi del vecchio sistema dei media, di cui la politica spettacolo è parte, appare sempre meno credibile e sempre più ridicola: ce lo chiede l’Europa, lo vogliono i mercati.

Le nuove generazioni sono state ben presenti nella nuova stagione di movimenti verso il 2007-2011. Ma i movimenti non hanno trovato un’adeguata risposta a sinistra in una soggettività politica strutturata. Il clima attuale sembra così stagnante e depresso e la fiducia nella politica attiva a qualunque livello e con qualunque soggetto è di nuovo scesa fortemente, mentre si diffonde sempre più in modo strisciante un sentimento di protesta anti-istituzionale e antipolitica.

L’impressione che se ne ricava è che la diffidenza verso la pubblicità e verso la politica spettacolo sia estesa anche alla maggior parte delle forze politiche, anche a quelle che condividono gli obiettivi dei movimenti.

Dopo il suo momento di massimo successo nel 2013 perfino il M5S perde voti in termini assoluti a causa dell’aumento dell’astensionismo, e chiunque vinca le elezioni politiche rischia di trovarsi di fronte ad una cittadinanza disgustata e assolutamente diffidente verso le istituzioni, una parte della quale è sensibile ai richiami di forze radicali che propongono politiche nazionaliste e xenofobe, mentre la prospettiva di una guerra è incombente.

Il problema dell’educazione e delle trasformazioni culturali in una situazione del genere rischia di essere messo all’ultimo posto. Dobbiamo cercare di reagire comunque a una nuova strategia educativa che si va disegnando nella legge sulla Buona Scuola. Di fronte all’insensatezza attuale del modello del consumo come costruzione estetica del Sé, Renzi propone la subordinazione culturale della scuola all’offerta capitalistica di lavoro e alla cultura aziendale. In particolare l’alternanza scuola-lavoro, come osserva Acciarini in questo stesso n°, è spesso vuota di contenuti di apprendimento tecnico, ma buona per imparare ad adeguarsi alla gerarchia aziendale (lo studente addetto alle fotocopie), legata com’è a ciò che offre qui ed ora il mercato locale del lavoro. Laddove la risposta più plausibile alla competizione globale sembrerebbe essere invece una formazione generale e flessibile, ad alto contenuto di conoscenza.

 

NOTA SULLE FONTI

I dati e le analisi Eurisko cui alludo non sono facilmente reperibili. Ampie citazioni e precisi riferimenti si trovano nella tesi on line http://tel.archives-ouvertes.fr/tel-00690917 e nel mio Cultura pubblicitaria e berlusconismo, Aracne 2015, a cui rimando anche per gli altri dati e analisi sommariamente presentati in questo articolo.

BONUS PREMIALE: FUOCO INCROCIATO SUI DIRIGENTI SCOLASTICI!

BONUS PREMIALE: FUOCO INCROCIATO SUI DIRIGENTI SCOLASTICI!

 

Gli equilibrismi lessicali e le persistenti reticenze figuranti nella circolare n. 1804/19.04.16 di un’Amministrazione che ha provato a camminare tra le uova, nulla hanno potuto aggiungere alla chiarezza della legge, compresa la chiusa che, in merito alle modalità di assegnazione del bonus da parte del dirigente, è opportuno che venga avviato un coinvolgimento della comunità scolastica nel suo complesso.

E inesorabilmente, come da copione e all’unisono, le cinque sigle sindacali di comparto – quattro di esse parimenti rappresentative della dichiarata controparte padronale – hanno inteso, e preteso, tradurre la levità del termine prescelto dal vellutato linguaggio ministeriale nella ruvida pesantezza dell’obbligo di contrattare sia i previ, elastici, criteri che le, puntuali, modalità di attribuzione di un salario accessorio, che non possono essere rimessi a un indirizzo dirigistico e autoritario – estraneo alla cultura italiana – del preside-sceriffo. E ciò in attesa degli esiti dei quesiti referendari, già depositati in Cassazione, per la sostanziale cancellazione della legge 107/15; tra i quali, oltre all’abrogazione del potere discrezionale del dirigente scolastico di scegliere e di confermare i docenti, spicca quello di scegliere i docenti da premiare economicamente, con grave pregiudizio alla professionalità docente e alla libertà d’insegnamento.

Occorre, davvero, molta fantasia per dedurre dall’invito a coinvolgere la comunità scolastica nel suo complesso che l’erogazione del bonus va contrattata.

Se da una parte l’Amministrazione farebbe bene a evitare frasi aventi il solo scopo di liberarsi dalle pressioni delle OO.SS. , che proprio non vogliono rassegnarsi alla perdita di quel potere tracimante, già fortemente ridotto dal D. Lgs. 150/09, dall’altra queste farebbero bene a leggere anche gli altri richiami e rinvii normativi contenuti nella predetta circolare:

-Attività di assegnazione del bonus di competenza del dirigente scolastico;

-Sarà il dirigente scolastico ad individuare i destinatari del bonus, sulla base dei criteri del Comitato di valutazione e motivando la sua decisione.

Ma è evidente che, a questo punto, dobbiamo rinunciare ad ogni interlocuzione con chi alla forza della ragione – che poi significa il dovuto rispetto della, codificata, volontà del Legislatore – sostituisce le ragioni della forza, che spregiudicatamente si accinge a rivolgere al ventre molle del sistema.

Difatti, se son vere le anticipazioni riferiteci, dopo essere stati reiteratamente investiti dei più volgari epiteti, a breve i dirigenti scolastici saranno destinatari, su appositi predisposti modelli, di una richiesta di apertura di un tavolo di confronto, di un verbale di riunione di un tavolo di concertazione, di una diffida in caso di illegittima omissione di convocazione e partecipazione. Siamo, insomma, a metà strada tra le blandizie per guadagnarli alla causa democratica e la minaccia, neanche tanto velata, di denuncia per comportamento antisindacale.

La sede penale è stata invece direttamente evocata nella rubrica settimanale dedicata alla scuola di un quotidiano a diffusione nazionale. Dopo aver – tra le altre amenità – reso partecipe il colto e l’inclita dei faraonici compensi stanziati dalla Buona scuola ai dirigenti, e subito peritandosi di sottolineare che invece per i docenti non c’era il becco d’un quattrino, questa stampa pseudo-specializzata ha ora coniato una nuova fattispecie dell’abuso d’ufficio, per semplice e generica violazione di legge (rischio inesistente quando la materia era regolata dal contratto: sic!), una volta che sia stato attribuito il bonus; naturalmente al di fuori di quella normata dall’articolo 323 del codice di rito, che punisce con la reclusione da uno a quattro anni il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, intenzionalmente (= con dolo) procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto.

Anziché spargere terrorismo psicologico, forse sarebbe stato il caso di ricordare ai propri lettori che la legge ( art. 17, d.lgs. 165/01) impone ad ogni dirigente pubblico la valutazione del personale assegnato ai propri uffici, nel rispetto del principio del merito, ai fini della progressione economica e tra le aree, nonché della corresponsione di indennità e premi incentivanti: obbligo che la legge 107/15 (comma 127) ora rende esplicito per il dirigente scolastico e statuendo l’ inefficacia di eventuali difformi disposizioni contrattuali (comma 196).

E sarebbe stato pure il caso di aggiungere che uno degli elementi considerati nella valutazione del dirigente scolastico è la dimostrata-documentata sua capacità di valutazione, selettiva, dell’impegno e dei meriti professionali del personale, sia sotto il profilo individuale che negli ambiti collegiali.

I dirigenti scolastici non si lasceranno certamente intimidire dai colpi di coda di chi non vuole rassegnarsi alla perdita di un potere malgestito e rispetteranno solo ed unicamente la legge, senza piegarsi a ricatti o a implausibili minacce.

DIRIGENTISCUOLA, in ogni caso, offrirà loro le necessarie tutele e il doveroso sostegno. Ma non riesce a comprendere come sia ancora possibile che anche un solo dirigente scolastico possa continuare a dare fiducia a OO.SS. nemiche dichiarate della categoria.

Il futuro del liceo classico e la disputa sulle traduzioni dal latino e dal greco

dal Corriere della Sera

Il futuro del liceo classico e la disputa sulle traduzioni dal latino e dal greco 

Da un lato chi propone una prova di maturità che punti meno sulla traduzione e più sul commento, dall’altro i sostenitori della centralità della traduzione pura e semplice. E il Miur prende appunti in vista della riforma dell’esame di Stato prevista dalla legge 107

di Orsola Riva

Un po’ «querelle des anciens et des modernes», un po’ baruffa goldoniana. Certo è che sul futuro del liceo classico, sempre più in crisi (ormai solo 6 studenti su 100 lo scelgono, anche se nell’ultimo anno c’è stata una leggera ripresa:da 5,9 a 6,1%), si è accesa una disputa molto animata. Da un lato i sostenitori della necessità di un rinnovamento radicale, pena la morte del liceo stesso, capeggiati da Maurizio Bettini, ordinario di Filologia classica e Antropologia del Mondo Classico a Siena, e sostenuti dall’ex ministro dell’Istruzione Luigi Berlinguer. Dall’altra un manipolo molto agguerrito di docenti di greco (fra gli altri, il presidente della Consulta universitaria di greco Mauro Tulli, Walter Lapini dell’università di Genova, Antonietta Porro e Mario Cantilena della Cattolica di Milano, Giuseppe Zanetto della Statale e Renzo Tosi dell’Alma Mater di Bologna) che intravvedono nel dibattito in corso il rischio di uno snaturamento dell’identità del liceo e addirittura sospettano che si voglia arrivare ad eliminare il greco dalle materie di studio (un po’ come si è già fatto con il latino in quella variante del liceo scientifico che si chiama delle «scienze applicate»).

La proposta del professor Bettini

L’ultimo episodio di questa disfida si è svolto durante un convegno, ospitato ieri e oggi dal Politecnico di Milano, intitolato «Il liceo classico del futuro». In queste ultime settimane si sono susseguiti tali e tanti malumori e voci da spingere il professor Bettini, che era anche uno degli oratori invitati al convegno, a precisare, proprio in apertura del suo intervento, che lui non è mai stato intenzionato a chiedere che il greco diventasse una materia opzionale. Ma come è cominciato tutto? Dalla proposta, lanciata un anno fa dallo stesso Bettini al ministro Giannini, di riformare la seconda prova della maturità classica e rilanciata da una petizione online su Change.org. «Mica voglio abolire la traccia dal latino o dal greco – spiega Bettini -. Ho solo proposto di offrire ai candidati una rosa di testi, opportunamente contestualizzati e magari un po’ più brevi di quelli odierni, e di affiancare la traduzione pura e semplice con delle domande che vertano non solo sugli aspetti linguistici, ma anche sulla cultura classica. Se per esempio do da tradurre il “De brevitate vitae” di Seneca, sarebbe opportuno fare delle domande sul contenuto filosofico del testo che permettano al candidato di dimostrare quanto ha appreso e amato nel corso dei cinque anni di studio».

Traduzione e «problem solving»

Del resto anche il liceo scientifico già dall’anno scorso ha sperimentato una nuova seconda prova basata sulla possibilità per il candidato di scegliere fra un problema classico, astratto, e uno contestualizzato che chiedeva ai candidati di destreggiarsi fra diverse offerte di tariffe telefoniche. «Giusto. Ma il liceo classico questo lo fa da sempre – obietta la professoressa Porro -. Io proprio non riesco a immaginare una situazione più vicina a quello che oggi si chiama “problem solving” di un candidato solo con il suo vocabolario, la sua intelligenza e la sua cultura di fronte al problema di decifrare un testo classico». Taglia corto la scrittrice Paola Mastrocola (il suo ultimo romanzo uscito da Guanda si intitola L’anno che non caddero le foglie), a lungo docente di italiano e latino allo scientifico: «Se snaturiamo la seconda prova ammazziamo il liceo classico. Il liceo classico è traduzione. E la traduzione è quel meccanismo diabolico di logica e sintassi che ci dà un allenamento mentale e cognitivo unico». Non a caso i diplomati classici hanno ottimi risultati nelle facoltà scientifiche, come ha riconosciuto lo stesso rettore del Politecnico Giovanni Azzone. «La linguistica moderna però – nota Bettini – va in direzione opposta. Tant’è che nei licei linguistici alla maturità il candidato deve rispondere a delle domande di comprensione e fare un riassunto, mica la traduzione del testo originale che in quanto tale viene considerata un esercizio abbastanza stupido. Lo stesso vale per le lingue classiche. Cicerone non può essere ridotto a delle relative col congiuntivo!».

La posizione del Miur

Ma il ministero dell’Istruzione come la pensa, visto che fra le tante deleghe previste dalla legge 107 c’è anche la revisione dell’esame di maturità a partire dal 2017? «Al momento i documenti che abbiamo elaborato sono ancora in fase tecnica, l’ultima parola poi andrà alla politica – precisa Carmela Palumbo, direttore generale per gli ordinamenti scolastici e la Valutazione del sistema nazionale d’istruzione – . E di sicuro un convegno non è il luogo in cui discutere di revisioni ordinamentali o tanto meno prendere delle decisioni. Posso solo dire che da alcuni anni stiamo portando avanti una sperimentazione importante con le Olimpiadi di lingue e civiltà classiche: in questo laboratorio di eccellenze, oltre alla traduzione di un testo dal latino o dal greco chiediamo ai ragazzi anche una contestualizzazione con domande specifiche».

Il concorso e le domande in inglese per i nuovi prof di latino e greco

Su una cosa, però, si trovano tutti d’accordo. Che molto dipende dalla qualità degli insegnanti. «Il tecnicismo non piace a nessuno. Tutto sta all’intelligenza del docente», dice ancora Mastrocola. E qui si apre un altro capitolo spinoso, perché come segnalato già qualche mese fa dal Corriere, e ribadito in un commento allarmato di Tullio Gregory uscito sull’ultimo domenicale del Sole24ore, il prossimo concorso per oltre 63 mila nuovi prof, essendo riservato ai docenti già in possesso dell’abilitazione, non prevede nessuna traduzione in latino o dal greco ma solo dei quesiti e una lezione simulata. «Se è davvero così, è gravissimo», commenta Bettini. In Italia, infatti, non esiste uno standard unico per l’abilitazione: un conto è la selezione durissima di chi ha fatto un Tirocino formativo attivo, tutt’altro le abilitazioni ottenute seguendo un corso online…

LA BUONA SCUOLA I NODI E LE ATTESE

LA BUONA SCUOLA I NODI E LE ATTESE

Franco Buccino

da La Repubblica Ed. Napoli
1° Maggio 2016

In questo primo anno di buona scuola si parla solo dei docenti e, di riflesso, del dirigente scolastico. Rare volte si parla del personale Ata, il cui numero cala sempre di più, di organi collegiali, famiglie, e, quel che è peggio, quasi mai di studenti. A parte prove Invalsi ed esami, non ci sono altri argomenti; neanche le occupazioni hanno fatto notizia in questo anno scolastico che sembra scivolare addosso agli alunni senza lasciar traccia.

Certo, si è voluto affrontare il problema del precariato. Prima stabilizzando una notevole quantità di docenti, e ora preparandosi a selezionarne con il prossimo concorso un altro consistente numero. Bisogna dire che le cose, finora, sono state pensate e gestite in modo pessimo. Con molta superficialità si è proceduto in operazioni delicatissime, perdendo un’occasione storica, quella di sistemare i precari dando, contemporaneamente, maggiori chances alle scuole di migliorare e diversificare l’offerta formativa. Non si è provveduto a fare l’anagrafe dei precari, censendo altri titoli di studio, competenze, esperienze: un incredibile serbatoio di risorse a disposizione delle scuole; non si sono rivisitate preliminarmente e accuratamente le classi di concorso e non si è pensato a coraggiosi ambiti disciplinari, presupposto di ogni organico funzionale o, come si dice adesso, potenziato; non si è voluto metter mano all’orario e all’organizzazione del lavoro dei docenti, piena di contraddittorie rigidità anacronistiche e burocratiche; non si è voluto fare un reclutamento a livello territoriale, come pure sembrava scontato, dopo precedenti concorsi regionali e ruoli provinciali. Soprattutto, cocciutamente, non si sono voluti stabilizzare i precari con trentasei mesi di servizio, in applicazione della sentenza della corte di Strasburgo.

I risultati sono sotto gli occhi di tutti: alcune migliaia di persone sono passate di ruolo senza aver mai messo piede in un’aula. Ma anche per tutti gli altri e sul loro utilizzo ci sono molti dubbi: i più sono destinati al potenziamento, oggetto misterioso che suscita timore ed evoca pomeriggi a scuola, che a tutto fa pensare fuor che all’insegnamento della propria disciplina. Dal punto di vista della distribuzione geografica delle immissioni in ruolo, al centro-sud si sono coperte quasi tutte le cattedre e i posti di potenziamento, al nord ci sono vistosi vuoti sia nelle une che negli altri. Mentre tanti precari sono rimasti fuori perché non stanno nelle graduatorie ad esaurimento o perché non sono abilitati. Fuori dai ruoli, ma l’amministrazione continua, imperterrita, ad utilizzarli a suo piacimento, in dispregio di norme universalmente valide nelle legislazioni lavoristiche. E a breve le cose si complicheranno ancora di più con le prossime due operazioni: la mobilità nazionale del personale docente di ruolo e il concorso regionale riservato ai docenti non di ruolo e forniti di abilitazione. Le due azioni libereranno cattedre e posti al nord e creeranno un ingolfamento al centrosud. Al nord continueranno a insegnare docenti senza la fatidica abilitazione perché l’Amministrazione non gliela fa conseguire, mentre al centro e al sud i precari si sfideranno a suon di lauree, master e abilitazioni per una supplenza.

Due anelli legano la mobilità al concorso, i docenti stabilizzati a quelli precari. Il primo è il ricorso. Ricorrono in massa i precari esclusi dal concorso, quelli senza abilitazione, quelli di ruolo, quelli che ancora non hanno conseguito il titolo di sostegno, e tante altre sottocategorie. E il tar Lazio comincia ad ammetterli con riserva, per la gioia degli studi legali. Si preparano a ricorrere i docenti di ruolo interessati alla mobilità. Già normalmente, in materia di trasferimenti, è un succedersi di ricorsi, controricorsi, decreti di rettifica. Quest’anno gli interessati al trasferimento saranno in numero dieci volte maggiore rispetto al solito e forse paralizzeranno l’Amministrazione. L’altro anello di congiunzione sono i titoli. Come aggiungere fino a sei punti alla domanda di trasferimento o come potersi far valutare un master didattico o un perfezionamento nel concorso; come conseguire in tempo utile un’altra laurea o l’agognato titolo di sostegno? Basta rivolgersi ai noti istituti e università telematiche che vedono ormai nei docenti i loro migliori clienti.

I neoimmessi in ruolo hanno in comune con i precari non solo lo strumento del ricorso e la fame di titoli, ma anche un gramo destino di marginalità e subalternità all’interno della scuola. Questo è il loro anno di prova. Subiscono tutto: riunioni durante le vacanze, ore aggiuntive, supplenze d’ogni genere, sostituzione di colleghi che a volte semplicemente bivaccano nelle stanze della vicepresidenza, le bizze e gli umori di qualche capo d’istituto che rimedia con l’autorità alle sue ormai troppo datate competenze didattiche. Ma, nonostante tutto, le cose più rilevanti nelle scuole, di attività e di programmazione, li vede, in gran parte, protagonisti, insieme a un nucleo sempre significativo di colleghi, a cominciare proprio dai precari, e, perfino, di dirigenti scolastici. Sono preoccupati del loro futuro e, tutti insieme, del futuro della scuola. Mobilità incerta: ambito, provincia, regione, fuori regione; destino professionale ancora più incerto: potenziamento o tappabuchi, mattina o pomeriggio, docenti o “educatori”. Ma niente e nessuno li può distogliere dal loro impegno prioritario che è quello di rispondere alle esigenze formative dei loro alunni, che ogni mattina li interpellano con uno sguardo carico di speranza.

G. van Straten, Storie di libri perduti

Alla ricerca dei “libri perduti”

di Antonio Stanca

vanstratenPresso la casa editrice Giuseppe Laterza & Figli, Roma-Bari, nella serie “i Robinson/Letture”, a Marzo del 2016 è uscita la prima edizione dell’opera Storie di libri perduti (pp.126, €14,00) di Giorgio van Straten, scrittore, intellettuale e studioso italiano di origine ebreo-olandese. E’ nato a Firenze nel 1955, ha sessantuno anni, è uno dei direttori della rivista letteraria “Nuovi Argomenti” e direttore dell’Istituto Italiano di Cultura a New York.

Nel 1987, a trentadue anni, van Straten esordì come scrittore col romanzo Generazione e nel 2000 con Il mio nome a memoria, dove ricostruiva la storia della sua famiglia, vinse il Premio Viareggio. Altri romanzi, oltre a racconti, avrebbe scritto in seguito, altri riconoscimenti avrebbe ottenuto e all’attività dello scrittore avrebbe aggiunto quella dell’intellettuale impegnato in tanti modi. Ha curato la pubblicazione di importanti opere di narrativa, di storia, di saggistica, ha tradotto in italiano romanzi di famosi autori stranieri, è stato autore di testi musicali e di teatro musicale, ha ricoperto incarichi di rilievo, da Direttore dell’Istituto Gramsci Toscano a Consigliere d’amministrazione della Biennale di Venezia, da Sovrintendente della Fondazione Teatro del Maggio Musicale Fiorentino a Membro del Consiglio d’Amministrazione della RAI. Ampi sono stati i suoi interessi, estese le conoscenze che ne ha ricavato, vasta la cultura che gli è provenuta. Si è mosso in continuazione van Straten: è stato in molti posti, ha avuto contatti con molti ambienti, ha saputo di molte cose successe in Italia e all’estero, in ambito pubblico e privato, culturale, artistico e sociale, politico e religioso. Da questa vasta e varia attività, da questa attitudine a conoscere, scoprire, da questa instancabile volontà di fare è venuta l’idea della recente opera nella quale si mostra impegnato a ricostruire la storia di alcuni libri scritti da importanti autori del passato, italiano e straniero, e andati perduti per motivi che finora erano rimasti completamente sconosciuti e che egli cerca di portare alla luce. Di tutto si servirà van Straten in questa operazione, niente trascurerà, per ogni libro compirà un’indagine, la condurrà con la perizia, la meticolosità di un investigatore e la riporterà con le qualità di uno scrittore. Sempre chiara, sempre facile sarà la sua lingua anche quando dirà di situazioni oscure, complicate, misteriose. Le sue ricerche non lo condurranno sempre alla scoperta ultima, a quella della verità definitiva ma utili saranno perché molto faranno sapere di vicende ancora inesplorate. Molte città, molte strade, molte case, molte persone, molte situazioni avrebbero fatto riemergere dal passato quelle ricerche. Messosi sulle tracce dei “libri perduti” van Straten giungerà a quei libri, a chi li aveva scritti, conosciuti, letti, ai loro contenuti, alle loro forme espressive, a come erano vissuti i loro autori, come erano morti, alle loro intimità, ai loro vizi, problemi, drammi, a tutto quanto era stato loro, era successo intorno a loro. Ad un processo di resurrezione sembrerà di assistere leggendo quest’opera che van Straten ha dedicato a otto celebri casi di libri scomparsi. I loro autori erano stati l’italiano Romano Bilenchi (1909-1989), gli inglesi George Byron (1788-1824) e Malcolm Lowry (1909-1957), gli americani Ernest Hemingway (1899-1961) e Sylvia Plath (1932-1963), il polacco Bruno Schulz (1892-1942), il russo Nikolaj Gogol’ (1809-1852) e il tedesco Walter Benjamin (1892-1940). Di ognuno di questi autori un libro è andato perduto, non è stato mai trovato e alla sua ricerca si è messo van Straten. Di quel libro è riuscito a sapere tante cose, il tempo, il luogo della sua scrittura, il titolo, ha saputo se era stato completato o rimasto interrotto, se era stato mostrato dall’autore a persone a lui vicine o dai suoi familiari ad altre persone quando era ancora un manoscritto, se era stato pubblicato interamente o in parte, se aveva avuto veri e propri lettori e quanti. Tutto ha scoperto del libro perduto, per ognuno ha fatto la sua storia e l’ha scritta in maniera tanto ricca di particolari, sorprese, rivelazioni da coinvolgere il lettore fin dalle prime pagine. Il mondo intero del secolo scorso e di quello precedente sembra di percorrere al seguito di un van Straten che nelle sue ricerche dice pure della cultura, dell’arte, della vita, della società, della storia del paese di ogni autore presentato. Sembra di partecipare ad un continuo movimento, di compiere un viaggio che procede senza soste e che fa sapere come la scomparsa di quei libri abbia spiegazioni multiple. A volte può essere attribuita al loro autore, al suo bisogno di perfezione che in quel libro non era stato capace di soddisfare, alla sua paura che si sapesse all’esterno di situazioni intime, gravi che nel libro erano state trasposte e che lo avrebbero rovinato presso l’opinione pubblica, altre volte a rancori, rivalità di persone a lui vicine, problemi editoriali, sviste, distrazioni, circostanze particolari. Ma nonostante la minuziosa ricerca compiuta van Straten rimane sempre nell’ambito delle supposizioni, non si mostra mai completamente sicuro di aver scoperto la verità, non rinuncia mai all’idea che altre cose ancora possono venire alla luce circa i casi esaminati. Non tanto la scoperta ultima quanto il percorso compiuto sembra aver interessato van Straten in quest’opera, non tanto il piacere della rivelazione quanto quello della ricerca, della prova, cioè, delle sue infinite conoscenze e della maniera di usarle.

Il diritto e dovere di impartire orientamento e consigli

Il diritto e dovere di impartire orientamento e consigli

di Margherita Marzario

Abstract: “Orientare, volgere verso oriente, dove sorge il sole”, anche questo può formare oggetto di un diritto che è dovere di chi ha il compito di indirizzare la vita di chi viene al mondo

 

Tra le varie disposizioni indicative, nell’art. 144 cod. civ. si parla di “indirizzo della vita familiare”, ma nella vita quotidiana capita sempre più spesso di perdere la rotta e di ricorrere a figure terze, come l’orientatore esistenziale o il consulente filosofico. Ex ante sarebbe preferibile per genitori e adulti un processo di consapevolizzazione e responsabilizzazione partendo dall’art. 5 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia che recita: “Gli Stati parti rispettano le responsabilità, i diritti e i doveri dei genitori o, all’occorrenza, dei membri della famiglia allargata o della comunità secondo quanto previsto dalle usanze locali, dei tutori o delle altre persone legalmente responsabili del fanciullo, di impartire a quest’ultimo, in modo consono alle sue capacità evolutive, l’orientamento ed i consigli necessari all’esercizio dei diritti che gli riconosce la presente Convenzione”. In quest’articolo compare il binomio efficace ed essenziale “orientamento e consigli”, che non è presente in altro atto normativo e che si può generalizzare come diritto e dovere degli adulti nei confronti di bambini e ragazzi.

“Orientamento” ha la stessa origine di “oriente” e “orizzonte”: ai bambini bisogna indicare la strada verso la propria vita che sorge e verso i propri orizzonti che si intravedono. In tal modo si ha anche la cosiddetta educazione dello sguardo e allo sguardo. Il filosofo francese Oscar Brenifier afferma: “Soprattutto, Socrate insegnava che c’è un tale (che poi siamo noi) che si chiama “Uomo”, che se ne va in giro per il mondo e si relaziona con persone, oggetti, circostanze e ha un atteggiamento critico verso l’esistenza, si pone domande autonome, tenta risposte, lo fa in prima persona, lo fa senza molti mezzi ma con un grande potere, quello dell’intelletto. Socrate non insegnava le regole, ma offriva l’occasione di comprendere (e assumere) un metodo di analisi, indicando anche la direzione nella quale applicarlo”[1]. Gli adulti ed in particolare i genitori dovrebbero tornare a fare proprio il metodo socratico, conosciuto come “arte della maieutica”. Questo metodo presuppone il dialogo (accompagnato dall’ironia), perché l’uomo, secondo il filosofo greco, non può scoprire da solo la verità, ma può venirne a capo solo dialogando con gli altri come con se stesso. Questa laboriosa scoperta può perfezionarsi solo mediante una serie di sempre nuove domande e risposte. Così la relazione genitori-figli si deve basare sul dialogo, parola formata da “dia” che significa “tra, attraverso”, perché i genitori devono fare da “ponte” su precipizi, asperità o altro e far sì che i figli vadano oltre seguendo la propria via e vita. Perché, come scriveva la poetessa Alda Merini: “Pensiamo al bambino: lo si può dirigere, ma non stabilire la sua vita. La sua stella è già nel cielo, il suo destino lui già lo possiede. Si deve prepararlo ad affrontare la sorte, ma non pretendere che ci assomigli, anche se nei tratti somatici ricorda il genitore”. I genitori devono dare e non devono dimenticare di dare ai figli “orientamento e consigli”, anche perché in tal modo si discute con i figli e ci si mette in discussione come genitori. I giovani hanno bisogno di servizio e compagnia: non solo dare ai giovani e dire ai giovani, ma essere per i giovani e con i giovani. Dialogare deve significare mantenere il giusto equilibrio tra silenzio e segreti, perché, come dice la psicologa dell’età evolutiva Anna Oliviero Ferraris[2], il silenzio non è d’oro e, al tempo stesso, non bisogna svelare tutti i segreti (i genitori non devono esplicare la propria vita sessuale, per varie ragioni di opportunità e di natura psicologica, anche per non confondere la coppia coniugale o di conviventi con la coppia genitoriale) né nascondere quelli che possono segnare la vita altrui e diventare fardello che si trasmette come il patrimonio genetico. Orientamento e consigli sono tra i bisogni psicologici dei bambini che per crescere non hanno bisogno solo di amore (parafrasando il pensiero della psicologa Oliviero Ferraris) che, comunque, ha le sue “leggi”.

Lo psicologo Ezio Aceti aggiunge: “La relazione è più importante della regola, ma la relazione comunque sfocerà in regola, perché la regola è utile per convivere assieme agli altri. C’è, però, un secondo aspetto: ciò che conta non è dare regole. Ci sono migliaia di bambini e ragazzi che ricevono un sacco di regole ma non ne rispettano nessuna. Le ragioni sono due. Primo: non hanno avuto nessun motivo per interiorizzarle, per renderle parte di sé. Secondo: nessuno gliele ha mai comunicate chiaramente. Le regole s’interiorizzano solo se io ho un rapporto con una persona significativa e sono quindi disposto a portare dentro di me ciò che lui mi dice”. Orientare, “volgersi verso l’oriente” e consigliare, da “saltare insieme” (dal latino “con-salire”) o “fare insieme silenzio” (dal latino “con-silere”) implicano una condivisione: solo così si interiorizzano e si seguono le regole. Se si volge lo sguardo verso lo stesso orizzonte e ci si incammina insieme, anche se con tempi, ritmi ed esperienze differenti e pur non arrivando insieme.

Talvolta nella funzione genitoriale ed in genere in quella educativa è necessario rimproverare (secondo alcuni etimologi da “riprovare”): “Avendo tutto a disposizione, poi, il bambino rimanda sempre più la sua maturazione. Negli Stati Uniti i piccoli portano ancora il pannolino a quattro anni: in Italia ci avviciniamo a questa età. Andando di questo passo, nel 2050 ci saranno “pampers” per liceali” (il pedagogista e sociologo Pino Pellegrino). Il bambino è tale, non deve essere né “puerilizzato”, né “adultizzato”. Secondo un proverbio cinese, però, “Basta poco per rimproverare un uomo, ma occorre molto tempo per dimenticare un rimprovero”, per cui il miglior orientamento è l’esempio che consente la libertà di scelta. I figli sono della vita che arriva sempre prima di tutto e di tutti ed ogni esempio dato costituisce una possibilità di scelta. Anche perché, come sostiene la francescana teologa e scrittrice Roberta Vinerba: “I nostri figli non chiedono ai genitori di essere super-eroi, quanto di restare fedeli nella fatica e sentinelle della speranza di potercela fare, di divenire costruttori per se stessi e per altri, di una vita che abbia senso”.

Per orientare e consigliare sono validi strumenti non solo il dialogo e l’esempio, ma anche le favole. A tale proposito l’esperta di psicologia dello sviluppo, Ada Fonzi, asserisce: “[…] riflettendo su come il libro possa costituire un veicolo straordinario di comunicazione tra l’adulto e il bambino, un filo segreto che li unisce entrambi per trasportarli in un mondo di fantasia, di immaginazione, dove è possibile navigare in sicurezza. Perché le ambiguità, spesso, sono scomparse e i buoni sono veramente buoni e i cattivi sono veramente cattivi. Paradossalmente questo mondo immaginario, anziché disorientare per la sua scarsa aderenza alla realtà, diventa un approdo sicuro dal quale partire per molti viaggi. E tanto meglio se l’impresa non la si affronta da soli”. Bisogna recuperare e rafforzare la lettura delle fiabe perché, oltre ad essere un valido strumento di orientamento e di consigli, hanno una plurivalenza, da quella catartica a quella psicologica di proiezione, e sono, pertanto, necessarie nella formazione dei bambini alla vita e alla loro scelta di vita.

Per impartire orientamento e consigli è necessario ascoltare (art. 12 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia), guidare (art. 14 Convenzione) e farsi guidare (art. 18 Convenzione) tenendo conto del significato etimologico di questi importanti verbi di vita (“ascoltare”, da “porgere l’orecchio”; “guidare”, da “osservare, vegliare”) e delle capacità evolutive, età e grado di maturità dei figli o ragazzi che si hanno di fronte.

È bene che i ragazzi crescano secondo orientamento e consigli perché acquisiscano altresì la maturità e la responsabilità di ricevere e dispensare consigli tra coetanei, come spesso avviene nei gruppi dei pari. Lo psicologo e psicoterapeuta Fabrizio Fantoni spiega: “Alcuni ragazzi caricano sulle spalle dei loro coetanei segreti pesanti come massi, che poi sono difficili da gestire. Il segreto è un legame: condividerlo significa anche costruire un rapporto più forte con l’altra persona, donarle qualcosa di proprio. Chi lo riceve deve essere grato, ma deve anche poter valutare se davvero è bene mantenere riservata un’informazione, o se la gravità del contenuto richieda che ci si consigli con qualcun altro”.

L’economista Luigino Bruni dichiara: “Non abbiamo più sogni perché la scienza ci ha «disincantati». Il mondo antico aveva più registri per accedere alla realtà: uno di questi era il sogno. L’uomo antico è simbolico, non gli basta il mondo che vede, vuole l’invisibile. Oggi ci mancano anche interpreti dei sogni che svolgano questo ruolo per gratuità. […] Mancano «interpreti dei sogni» per vocazione (e non per mestiere). Il mondo educativo (scuola, università) dovrebbe essere molto più popolato da persone sagge che sanno ascoltare i giovani e interpretare i loro sogni per gratuità”. Come pure espresso in un detto americano: “I giovani cercano l’impossibile e, generazione dopo generazione, lo conseguono”. Orientare e consigliare: interpretare e invogliare i grandi sogni e progetti dei piccoli, come passaggio di testimone di generazione in generazione. Così si fa comunità e il ragazzo si sente comunità (termine che compare tre volte nella Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, nel Preambolo e negli articoli 5 e 24).

Indicazioni si rinvengono anche nel codice civile e precisamente negli articoli 147 e 315 bis. Da seguire in particolare l’assistenza morale da dare ai figli e la disposizione in cui si legge: “Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti” (art. 315 bis comma 2). Rapporti significativi sono tali quando danno senso e significato alla vita, quando fanno da bussola nella selva della vita.

Genitore, colui che genera vita, che fa nascere la vita; orientare, volgere verso oriente, dove sorge il sole. Orientare, perciò, è iscritto nell’essere genitore: indicare la vita, incanalare la vita, indirizzare la vita. È necessario che i genitori si riapproprino di questa peculiarità aiutandosi a vicenda oppure facendosi aiutare, ma senza delegare o depauperare i loro compiti o l’essenziale funzione familiare (mutuando le locuzioni usate negli artt. 31 e 37 della Costituzione).

Avere luce, dare luce, essere luce! Avere speranza, dare speranza, essere speranza! La speranza è qualcosa di intangibile come la luce: ci si accorge del suo valore solo quando non c’è! Così dovrebbe essere la famiglia: luce e speranza, illuminare la strada, indicare la strada.

[1] O. Brenifier, “Il libro dei grandi contrari filosofici”, Isbn Edizioni, 2008

[2] Anche a Matera, il 17 marzo 2016, durante la presentazione del libro “La donna che scambiò suo marito per un gatto. Psicologia di coppia e di famiglia”, ed. Piemme 2015

La riforma della scuola a Trento: partecipazione e consultazione

La riforma della scuola a Trento: partecipazione e consultazione

di Cinzia Olivieri

 

Disegno di legge di riforma a Trento

Anche la Provincia di Trento ha presentato il proprio disegno di legge in materia di scuola, approvato con Del. n. 587 del 18/04/2016

Come si legge nel verbale di deliberazione della giunta provinciale, la legge n. 107 del 2015 ha previsto due clausole di salvaguardia, una con riferimento al fabbisogno dell’organico e l’altra alla normativa in generale. Infatti al comma 77 ha disposto che per la regione Valle d’Aosta e per le province autonome di Trento e Bolzano restassero salve le diverse determinazioni che esse “hanno adottato e che possono adottare in materia di assunzione del personale docente ed educativo in considerazione delle rispettive specifiche esigenze riferite agli organici regionali e provinciali” ed al comma 211 che le sue disposizioni si applicassero “nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le norme dei rispettivi statuti e con le relative norme di attuazione”. La Giunta provinciale quindi, con tale proposta di riforma, si propone di armonizzare l’ordinamento provinciale con i principi delle norme statali, introducendo altresì nuove ed ulteriori disposizioni per migliorare il servizio scolastico provinciale.Questa innovazione si incentra su quattro tematiche chiave, rappresentante nelle slide pubblicate:

1) potenziamento dell’autonomia scolastica

2) qualificazione dell’offerta formativa;

3) valorizzazione del personale scolastico, potenziamento dell’organico, valutazione e reclutamento;

4) trasparenza e semplificazione degli strumenti di partecipazione.

Si evince dalla Relazione illustrativa al disegno di legge concernente “Modificazioni della legge provinciale 7 agosto 2006, n. 5 (legge provinciale sulla scuola)” che si è “perseguito l’obiettivo di semplificazione dell’ordinamento scolastico, promuovendo la trasparenza e la partecipazione di tutti i soggetti”. Per l’effetto, gli articoli 12 e 13 del Disegno di legge prevedono la soppressione dell’articolo 38 la modifica dell’articolo 39 delle legge provinciale n. 5 del 2006.

 

La riforma degli organi di partecipazione al governo del sistema educativo provinciale

 

In pratica, dei due organi di partecipazione che rappresentano le autonomie scolastiche in ambito provinciale dovrebbe restare (modificato) il Consiglio del sistema educativo provinciale ed essere soppresso il Consiglio delle autonomie scolastiche e formative (disciplinato appunto dall’art. 38). Quest’ultimo èorgano rappresentativo dell’autonomia delle istituzioni scolastiche e formative provinciali e paritarie con funzioni consultive e propositive” sulle scelte di innovazioni ordinamentali relative alla:

  1. a)    organizzazione delle attività scolastiche complementari e dei servizi extra scolastici;
  2. b)    offerta scolastica e formativa provinciale;
  3. c)    valutazione dei risultati del sistema educativo provinciale.””

Attualmente la norma prevede che  il Consiglio delle autonomie scolastiche e formative sia composto da quindici presidenti dei consigli delle istituzioni e da quindici dirigenti delle istituzioni, designati rispettivamente dai presidenti dei consigli e dai dirigenti delle istituzioni, con le modalità previste dal regolamento, oltre che dal Presidente del consiglio della scuola ladina e dal dirigente preposto all’istituzione scolastica e formativa ladina.

I suoi organi, di durata triennale, non contemplati dalla norma ma disciplinati con proprio regolamento di funzionamento, sono:

  1. il presidente, eletto tra i presidenti dei consigli delle istituzioni;
  2. il vicepresidente, eletto tra i dirigenti scolastici;
  3. il comitato dei delegati composto di 28 membri, di cui 14 presidenti dei consigli delle istituzioni e 14 dirigenti scolastici rappresentativi di tutte le istituzioni provinciali e paritarie a cui viene delegata dal Consiglio la facoltà e la responsabilità di deliberare su alcune materie tenendo comunque conto delle indicazioni vincolanti da esso impartite;
  4. il comitato di coordinamento, che favorisce il funzionamento del Consiglio e del comitato dei delegati, supportandone l’organizzazione dell’attività.

Il Consiglio del sistema educativo provinciale dell’art. 39 è “organo di partecipazione e di rappresentanza delle componenti della comunità scolastica” che resta in carica per la durata della legislatura.

Il disegno di legge modifica anche alcune sue competenze. In genere, esso esprime parere sugli atti provinciali d’indirizzo e di programmazione in varie materie tra cui autonomia delle istituzioni scolastiche e formative e piano provinciale per il sistema educativo e distribuzione dell’offerta formativa, anche in relazione a percorsi d’integrazione tra istruzione e formazione professionale. Inoltre svolge attività consultiva e di supporto su altri temi di interesse ed esprime pareri sui disegni di legge provinciale attinenti il sistema educativo provinciale. Ai suoi componenti è riconosciuto un gettone di presenza e il rimborso delle spese nella misura massima stabilita dalla normativa provinciale in materia di organi collegiali.

Per effetto della semplificazione, il numero dei componenti ordinari sarebbe ridotto a:

  1. a)   due rappresentanti (in luogo di tre) dei dirigenti delle istituzioni scolastiche e formative provinciali;
  2. b)    un rappresentante dei docenti delle scuole dell’infanzia provinciali e uno dei docenti delle scuole dell’infanzia paritarie;
  3. c) sei (il luogo di dieci) rappresentanti dei docenti delle istituzioni scolastiche e formative provinciali, di cui due (in luogo di cinque) del primo ciclo e due (in luogo di cinque) del secondo ciclo di istruzione; ed ora anche un rappresentante dell’istruzione e formazione professionale e uno in rappresentanza degli insegnanti di sostegno (a cui prima era riservato un posto tra i dieci rappresentanti)
  4. d)    un (in luogo di due) rappresentante del personale amministrativo, tecnico, ausiliario e assistente educatore;
  5. e)    un (in luogo di due) rappresentante del personale direttivo e   uno (in luogo di due) del personale docente delle istituzioni paritarie;
  6. f)     due (in luogo di quattro) rappresentanti dei genitori senza più la riserva del rappresentante delle associazioni riconosciute dei genitori;
  7. g)    due (in luogo di quattro) rappresentanti degli studenti del secondo ciclo.

I suoi membri sono eletti a seguito di un procedimento (Del. n. 2306 del 25/09/2009) che coinvolge tutte le componenti delle scuole della provincia (a differenza che per il consiglio delle autonomie scolastiche e formative). La proposta di riforma non prevede più la partecipazione di altri componenti (lettere h) – l) del testo vigente designati o individuati per specifiche funzioni).

Il consiglio del sistema educativo provinciale, a seguito della elezione e nomina dei suoi componenti, nel 2010, ha sostituito il consiglio provinciale dell’istruzione. Nonostante la correlazione alla durata della legislatura, dal portale non si evincono dal portale elezioni successive.

C’è da aggiungere che il comma 9 dell’art. 39 dispone che il presidente del consiglio del sistema educativo provinciale sia “scelto tra i membri della componente dei docenti delle istituzioni scolastiche e formative” ed il vicepresidente tra le componenti elettive (art. 3 Del. n. 2306 del 25/09/2009). Invece nel consiglio delle autonomie scolastiche e formative il presidente è un genitore eletto tra i presidenti dei consigli delle istituzioni mentre il vicepresidente è eletto tra i dirigenti scolastici.

Altro dato da segnalare è che anche a Trento tra gli Organi di partecipazione al governo del sistema educativo provinciale  è contemplata la sola Consulta Provinciale degli Studenti e manca quella dei genitori.

Intanto, dopo le Linee guida per le Consulte dei genitori degli Istituti Comprensivi trentini, nel 2013 sono state pubblicate le Linee Guida per le Consulte dei Genitori delle Scuole Superiori Trentine ed è stato presentato l’Atto Costitutivo dell’associazione delle Consulte dei Genitori delle Scuole Trentine, proprio evidentemente per dare rappresentanza e coordinamento a livello provinciale alle consulte costituite a livello di istituto (art. 29 LP 5/06).

 

La consultazione on line

Queste notizie possono interessare anche i genitori che volessero contribuire al cambiamento con le loro proposte, perché fino al 20 maggio è possibile partecipare alla consultazione on line (diversa nelle sue modalità da quella proposta a livello nazionale) inviando libere idee, osservazioni e suggerimenti all’indirizzo di posta elettronica  scuolatrentina@provincia.tn.it.

I documenti sono consultabili qui https://www.vivoscuola.it/scuola-trentina-alpassocoitempi

IMPRONTE DIGITALI PER ENTRARE A SCUOLA

da La Repubblica
1 maggio 2016

IMPRONTE DIGITALI PER ENTRARE A SCUOLA

Bari, troppi ritardi alla prima campanella: la svolta decisa dal Preside della scuola media Duse

“Così terremo sotto controllo i comportamenti degli studenti e avviseremo i genitori in tempo reale.

Silvia Dipinto

Bari. Una mano sullo scanner che rileva le impronte digitali all’ingresso della scuola. E in automatico, in caso di un ritardo anche di pochi minuti, parte il messaggino al genitore. Gerardo Marchitelli, il preside hi-tech dell’Istituto Comprensivo Duse di Bari, lo chiama” cartellino orario dell’alunno”. Un sistema per identificare gli studenti e aggiornare le mamme e i papà senza aspettare la fine della prima ora di lezione. Il meccanismo entrerà in funzione dal prossimo settembre. Il bando di gara è pronto. “Ci costerà meno del registro elettronico, e comunque non più di seimila euro”, spiega il Dirigente, pronto ad affrontare il confronto con le famiglie. “Saranno tutti d’accordo: quale genitore non vuole sapere cosa faccia il figlio di undici anni, in un quartiere come il nostro?”

Milletrecento alunni, dalla scuola dell’Infanzia alle medie, l’istituto Duse è il fiore all’occhiello del rione San Girolamo, a nord della città col fronte mare in corso di riqualificazione e le case popolari da abbattere e ricostruire. “Ho immaginato questo meccanismo per i quattrocento studenti delle medie -racconta Marchitelli- O meglio, per le ragazzine: molti dei nostri ex alunni non continuano gli studi dopo l’età dell’obbligo, e la mattina gironzolano intorno alla scuola”. I primi amori, qualche fidanzatino a minare la puntualità delle studentesse. “Il classico sms avvisa i genitori dell’ingresso alla seconda ora, e magari arriva a mezzogiorno: a me interessa, trattandosi di minorenni, che le famiglie siano informate in tempo reale anche dei 20 minuti di ritardo, che altrimenti passerebbero inosservati, ma spesso sono sistematici”. Da qui l’idea di un sistema inedito, da sperimentare con chi darà il proprio consenso. Il budget c’è. E sarà subito impegnato per la realizzazione del software, in modo da partire con l’inizio del prossimo anno. Oltre al monitor all’ingresso, sarà attivato un servizio web per consentire ai genitori di accedere al cartellino orario. “Chiederemo di rispondere all’ sms, direttamente con la giustificazione. Sembra complicato, ma è più facile a farsi che a dirsi”.

Nelle scuole baresi Marchitelli lo conoscono tutti. E’ sua la realizzazione di dodici e-book che consentono alle famiglie di risparmiare un centinaio di euro all’anno sulle spese per l’acquisto dei libri. “Abbiamo il registro su una app e le lezioni via streaming, almeno dieci a settimana”, rimarca con orgoglio il Dirigente Scolastico. Dal sito della scuola chiunque può vedere i ragazzi riferire di storia, matematica e italiano. “I professori prenotano lo streaming e i genitori all’atto dell’iscrizione autorizzano la trasmissione dei video”. Ad animare la scuola è proprio il comitato delle mamme e dei papà, che hanno tinteggiato le aule e vinto un bando della “Fondazione con il Sud” che permetterà di rifare tutte le porte.

“Sono certo che nessuno solleverà problemi di privacy. Anche l’Ufficio Scolastico Regionale in passato mi ha sempre sostenuto”. Una discussione vera tra i genitori ancora non c’è stata. “La decisione spetta alla scuola – commenta l’assessore all’Istruzione del Comune di Bari Paola Romano – Anche no, nei nidi comunali, abbiamo avviato un sistema sms che avvisa subito i genitori dell’arrivo del bambino, soprattutto quando accompagnato da nonni o baby sitter”.

Con il diploma di Maturità i ragazzi riceveranno anche il “passaporto” Ue delle competenze

da La Stampa

Con il diploma di Maturità i ragazzi riceveranno anche il “passaporto” Ue delle competenze

Un documento diffuso e riconosciuto dall’Unione Europea che descrive le competenze degli studenti e le attività professionali cui possono accedere

Da quest’anno con il diploma di maturità arriva anche il «passaporto» Ue delle competenze.

Entro il prossimo 15 maggio i consigli di classe dovranno predisporre il documento da consegnare alle commissioni con tutte le indicazioni relative al percorso formativo seguito dai loro studenti, con quegli elementi che potranno essere valorizzati, in particolare, nella terza prova o in sede di colloquio. La prima riunione plenaria delle commissioni è fissata per lunedì 20 giugno alle ore 8.30.

La prima prova scritta della Maturità, italiano, è in calendario per mercoledì 22 giugno (alle ore 8.30, per una durata massima di 6 ore). La seconda prova si svolgerà giovedì 23 giugno, sempre alle ore 8.30. La durata è per tutti di 6 ore, tranne che per alcuni indirizzi come il Liceo musicale, coreutico, artistico, dove la prova si svolge in due o più giorni. La terza prova, diversa per ciascuna scuola, è prevista per lunedì 27 giugno (8.30).

Anche quest’anno la commissione, nella predisposizione della terza prova, potrà tenere conto, ai fini dell’accertamento delle competenze, abilità e conoscenze, anche delle esperienze condotte in alternanza scuola lavoro, stage e tirocinio, e della disciplina non linguistica insegnata tramite la metodologia Clil. Il colloquio orale potrà partire da eventuali esperienze condotte in alternanza o in tirocinio.

Novità del 2016 è appunto la consegna ai neodiplomati, insieme al diploma, del Supplemento Europass al Certificato, un documento diffuso e riconosciuto dall’Unione Europea che descrive le competenze degli studenti e le attività professionali cui possono accedere.

I Supplementi, diversi per ciascun indirizzo di studio ed elaborati per l’Italia dal Miur e dal Centro Nazionale Europass presso l’Isfol, favoriranno la mobilità per motivi di studio o di lavoro anche al di fuori dell’Italia. Non sostituiscono il titolo di studio o la certificazione delle competenze, ma – spiega il ministero – renderanno il percorso di studio più chiaro e il diploma finale più comprensibile e più spendibile nel mondo del lavoro.

Volontariato sui banchi, 470mila euro per attuarlo: le scuole hanno tempo fino al 24 maggio

da La Tecnica della Scuola

Volontariato sui banchi, 470mila euro per attuarlo: le scuole hanno tempo fino al 24 maggio

Arrivano oltre 470.000 euro per promuovere il volontariato nelle scuole.

I fondi sono previsti da un protocollo d’Intesa siglato tra il sottosegretario al Lavoro Luigi Bobba e il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini, dal titolo: “Bando di partecipazione per la realizzazione di Laboratori di cittadinanza democratica condivisa e partecipata: educazione al volontariato sociale ed alla legalità corresponsabile”.

I fondi sono destinati a promuovere la cultura del volontariato, l’educazione e formazione alla legalità e alla corresponsabilità, la prevenzione e il contrasto delle dipendenze, la tutela lo  sviluppo e la  valorizzazione dei beni comuni, il sostegno e la promozione dei principi di pari opportunità e non discriminazione, nonché il contrasto alla fragilità, marginalità ed esclusione.

Le singole istituzioni scolastiche statali del secondo ciclo di istruzione, organizzate anche in rete, hanno tempo fino al prossimo 24 maggio per presentare  –  in partenariato con le organizzazioni di volontariato e di Terzo settore – progetti  da avviare con immediatezza.

Tutte le Scuole secondarie di II grado, singolarmente o in rete, sono invitate a presentare progetti per Laboratori, in partenariato con organizzazioni di volontariato e di terzo settore e/o con i Centri di servizio per il volontariato, nei seguenti ambiti d’azione: Promozione della cultura del volontariato; Educazione e formazione a legalità e corresponsabilità; Prevenzione e contrasto delle dipendenze, inclusa la ludopatia, il gioco d’azzardo e il cyberbullismo; Tutela, sviluppo e valorizzazione dei beni comuni; Sostegno e promozione dei principi di pari opportunità e non discriminazione; Contrasto a fragilità, marginalità ed esclusione sociale. I Progetti dovranno essere avviati entro l’a.s. 2015/2016 e dovranno concludersi entro l’anno scolastico successivo.

L’iniziativa rientra negli obiettivi strategici del Miur di promozione della partecipazione studentesca e del protagonismo dei ragazzi. In particolare, attua concretamente gli obiettivi della Carta di Intenti sottoscritta da Miur e ministero del Lavoro nel novembre 2014 e l’Accordo di collaborazione del dicembre 2015 tra Miur, Ministero del Lavoro e Dipartimento della Gioventù – Presidenza del Consiglio dei Ministri con l’obiettivo di sviluppare il volontariato scolastico.

Per il ministro Giannini, “solo una scuola aperta, capace di collegarsi col mondo esterno, può far crescere buoni cittadini oltre che bravi studenti”.

Abbiamo bisogno – continua il responsabile del Miur – del terzo settore per una scuola più vivace e inclusiva, per un welfare partecipato e accogliente. Sono tanti i progetti pensati e realizzati dalle associazioni, ad esempio, contro la dispersione scolastica. L’alternanza scuola-lavoro rappresenta un ulteriore e nuovo strumento per moltiplicare le opportunità di scambio, di inclusione ed apprendimento nel mondo del volontariato. Non si pensi, infatti, che il modello di alternanza che abbiamo immaginato riguardi solo le aziende. I nostri ragazzi saranno più ricchi e forti se orientati alle competenze che si sviluppano nel settore no profit, alla promozione e alla gestione intelligente e credibile dell’immenso flusso di generosità che il nostro Paese ha sempre saputo alimentare”.

“Sono davvero soddisfatto per questa iniziativa volta a sviluppare il volontariato scolastico come esperienza di cittadinanza attiva, strumento di integrazione e inclusione sociale, nonché di valorizzazione delle competenze non formali dei giovani”, ha detto il sottosegretario Bobba.

“I progetti – continua Bobba –  sono altresì destinati a promuovere percorsi di contrasto alla dispersione scolastica e alla promozione della creatività degli studenti, con l’obiettivo di favorire  la costruzione di spazi  di crescita umana e civile. Quelli ritenuti idonei potranno contare su un finanziamento fino ad un massimo di 30 mila euro ciascuno.”

“L’iniziativa – conclude il sottosegretario – assegna un ruolo di fondamentale importanza alle Associazioni che operano nel campo del volontariato, in linea con le indicazioni contenute nella Legge “La Buona Scuola” e con la Riforma del Terzo settore, considerandole partner privilegiati della  scuola per la sensibilizzazione, formazione ed educazione degli  studenti  alla cittadinanza attiva e corresponsabile. E’ quindi un’occasione da non perdere – per scuole e per  Associazioni di volontariato – che hanno così l’opportunità di  sperimentare sul campo percorsi innovativi di collaborazione e di scambio in favore delle giovani generazioni”.

Piano digitale, tutte le novità che interessano le scuole

da La Tecnica della Scuola

Piano digitale, tutte le novità che interessano le scuole

È stato presentato dal Miur il consuntivo relativo al primo semestre di attività del Piano Nazionale della Scuola Digitale.

Del piano lanciato ad ottobre del 2015 per un valore complessivo di 1, 1 Miliardi di euro sono stati avviati i primi diciannove cantieri sui 35 previsti dal progetto iniziale con un avanzamento attuativo complessivo del 60%. Per tutte le altre azioni previste dal piano l’avvio avverrà in ogni caso entro la fine del 2016.

Tra i temi maggiormente significativi sono da segnalare sicuramente la connettività a banda larga, con i primi 700 comuni coperti entro il 2016 su Abruzzo, Sardegna, Toscana, Lazio, Lombardia Calabria, Marche e Puglia : a seguire saranno lanciati i bandi sulle altre regioni. Per facilitare l’eliminazione del Digital Divide sono stati attuati inoltre interventi sui cablaggi interni agli edifici scolastici con connessioni LAN in grado di portare Internet su più punti all’interno della scuola, per un totale complessivo di 88,5 mln euro.

È previsto inoltre un contributo di 10 mln di euro destinato come fondo per la diminuzione del canone di connettività delle scuole.

Un altro aspetto importante del PNSD è quello relativo agli ambienti digitali, che prevede la creazione di spazi alternativi per l’apprendimento (attività diversificate interclasse, rimodulazione continua degli spazi, arredi con tecnologie per la fruizione individuale); laboratori mobili multidisciplinari a disposizione di tutta la scuola in grado di trasformare un’aula normale in uno spazio multimediale interattivo; aule “arricchite” dalla tecnologia  per la fruizione collettiva ed individuale tramite collegamenti wifi . Per questo piano di azioni spesi al momento 138 mln di euro in totale su 5.938 scuole finanziate.

Per il piano di apprendimento pratico sono stati consegnati 531 progetti di cui ammessi alla seconda fase 151. I 60 progetti ritenuti migliori saranno co-finanziati per un totale massimo di 750.000 euro ciascuno. Entro fine 2016 è prevista la chiusura del bando per laboratori professionalizzati in chiave digitalizzata per tutte le scuole secondarie.

Relativamente al tema dell’identità digitale ancora non si registrano azioni concrete , sia il sistema di autenticazione unico al sito web del MIUR che il profilo digitale per ogni docente sono work in progress.

Un’ulteriore azione rilevante ai fini della digitalizzazione è l’idea di biblioteca scolastica digitalizzata con l’idea di connettere tra di loro 500 di esse. Per questo piano sono previsti 4,2 mln da utilizzare nel bando di gara di prossima pubblicazione.

Infine come ultimo punto ma non in termini di importanza segnaliamo la nomina di 8.300 animatori digitali e l’avvio della relativa formazione che avranno il compito di fungere da esperti per il proprio Istituto con l’obiettivo di accrescere il know how a tutto il personale docente sui temi innovativi. Questi docenti svolgeranno il ruolo delicato di far crescere la digitalizzazione nelle scuole.

Senza la cultura “del digitale”, infatti, nessun investimento o progetto saranno realmente efficaci.

Maria Falcone: grazie ai sindacati per il rinvio dello sciopero

da La Tecnica della Scuola

Maria Falcone: grazie ai sindacati per il rinvio dello sciopero

“Ho apprezzato la sensibilità delle rappresentanze sindacali e la loro attenzione ai temi della legalità”.

Esprime contentezza Maria Falcone, sorella del magistrato ucciso dalla mafia 24 anni fa, per la decisione dei sindacati del comparto scuola di rinviare lo sciopero generale, inizialmente previsto per il 23 maggio, giorno della commemorazione della strage di Capaci.

“Colgo l’occasione per ringraziare le istituzioni, le associazioni e le migliaia di scuole che anche quest’anno si stanno adoperando per la riuscita della giornata a Palermo, così come delle numerose iniziative che coinvolgeranno gli studenti in tutta Italia”, ha detto ancora Maria Falcone.