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Incontro con Luigi Ballerini

Incontro con Luigi Ballerini

di Mario Coviello

ballerini1Per la seconda fase del Torneo di Lettura fra dieci scuole in rete della provincia di Potenza, il professor Mario Priore, responsabile della bibliomediateca dell’I.C.di Bella ha scelto “La signorina Euforbia” di Luigi Ballerini, San Paolo editore, 2014.

Lo abbiamo incontrato.

Luigi Ballerini è nato a Sarzana, vicino a La Spezia, e vive a Milano con la moglie Daniela e i loro quattro figli: Anna, Francesco, Michele e Chiara. Medico e psicoanalista, è membro del Consiglio della società Amici del Pensiero, presidente Giacomo B. Contri, alla cui Scuola si è formato. Si ritiene fortunato per l’opportunità che ha di incontrare molti giovani, sia nel suo studio professionale per le consulenze che gli richiedono, sia presso scuole o centri culturali in occasione di incontri con l’autore e corsi di scrittura per ragazzi. Giornalista, è editorialista per Avvenire dove cura anche la rubrica Giovani Sto rie. Collabora ad organizzare gli eventi per i ragazzi al Meeting di Rimini. Il suo ultimo libro è “ Io sono zero”, Il Castoro, 2015, per lettori dai 12 anni.”

“ La Signorina Euforbia” ha vinto il Premio Andersen 2014. Miglior libro 9/12 anni, con questa motivazione: Per aver saputo raccontare uno spaccato di adolescenza ritraendone sapientemente dinamiche e sentimenti.
Per l’abilità narrativa con cui l’autore riesce a intessere una trama scorrevole e divertente, capace di affiancare ai tempi comici l’occasione per riflessioni più profonde.

Il libro racconta di Marta che ha 12 anni e vive sola con il padre insegnante perché la mamma è morta. Di lei si occupa la nonna, ed è proprio in sua compagnia che l’ultimo giorno di scuola si imbatte in una strana pasticceria. La proprietaria è la signorina Euforbia che fa solo pasticcini su misura. Marta – che ha il dono speciale di saper capire se fidarsi di una persona – rimane conquistata da Euforbia e decide di iscriversi al suo corso intensivo di pasticceria , vincendo le resistenze dei suoi. Con lei Matteo in cui Marta non tarda a riconoscere il ragazzo bocciato e scavezzacollo, allievo preferito di suo padre. I due sotto la guida di Euforbia imparano l’arte della pasticceria ma soprattutto a osservare attentamente e domandarsi di che cosa le persone hanno realmente bisogno. La settimana di corso passa in fretta e Marta e Matteo diventano amici. Saranno loro ad aiutare Euforbia a risolvere il problema dello sfratto del negozio ricorrendo proprio al sistema dei pasticcini e con un colpo di scena finale.

Ecco le nostre domande :

“Cosa ci facesse negli anni duemila la Signorina Euforbia era difficile a dirsi. Già il nome suonava di un altro tempo….” è così che il suo romanzo inizia. Euforbia è il nome di “ una piantina verde sconosciuta..” e dalla maestra pasticciera “ nascevano fiori insoliti che solo i veri intenditori sanno riconoscere..” Da subito racconta del buon tempo antico, di un tempo senza fretta nel quale le insegne dei negozi erano dipinte a mano; il tempo delle botteghe minuscole che si demoliscono per costruire supermercati che si chiamano “ cattedrale “
– Perché questa scelta ?

Mi piaceva mettere Euforbia in una situazione atemporale, come segno dell’universalità e permanenza di ciò in cui crede: rispetto dei ragazzi, stima per il loro pensiero, passione per il proprio lavoro

La pasticceria di Euforbia ha un bancone completamente vuoto e solo una scritta “ a mano di inchiostro verde….Dalla Signorina Euforbia: pasticcini su misura..” e l’imbarazzo di Marta, la protagonista della sua storia, e soprattutto di sua nonna, è grande quando Euforbia “…magrissima ( nonostante trafficasse tutto il giorno con panna, cioccolato e creme ) …molto alta..occhi grandi,capelli rossi…propone il pasticcino potrebbe-venirmi-una –buona-idea il più indicato nelle situazioni di incertezza…

-Il primo maggio si apre l’Expo a Milano dedicato a cibo e vita, imperversano sui canali televisivi e sul web cuochi e vivande a tutte le ore del giorno e della notte e Lei racconta già dal 2014 di “ dolci su misura “. Cosa vuole suggerire ai suoi lettori ?

ballerini2L’approccio di Euforbia è da boutique, non da grande catena. Lei personalizza, considera ogni persona che entra nel suo negozio unica. Proprio lei, maestra di ricette, non ne ha di preconfezionate, prima viene l’incontro e l’ascolto, poi la preparazione guidata da ciò che le piace e ritiene opportuno. Euforbia guarda al singolo, non al gruppo o alla massa.

E parliamo di Marta “Tatina” per il papà professore. Marta che ha perso la madre in un incidente stradale e che deve tenere a bada una nonna “gendarme”, tanto cara, ma tanto ingombrante. Marta ha appena finito la scuola e deve impiegare il suo tempo libero ed Euforbia è la risposta. Marta cresce, scopre se stessa, diventa più sicura preparando i dolci con Euforbia che le dà del lei e la rispetta, la ascolta, la incoraggia. Cresce usando le mani, scoprendo odori, sapori, creando dolci. Vediamo i nostri adolescenti “attaccati” ai cellulari e al computer, nel suo libro solo un i-pod per ascoltare musica e un cellulare che fa foto provvidenziali.

-Perché questa scelta ?

La conoscenza è sempre via esperienza. E si fa col corpo, soprattutto da bambini. Vedo sempre più bambini, anche molto piccoli, “disegnare” sui tablet. Eppure non è disegnare quello. Il primato non può andare solo alla vista e al tatto, peraltro ridotto in maniera parziale. Colorare significa stringere in mano una matita, un pastello a cera, calibrare la pressione così da non rompere il foglio, sporcarsi le dita, annusare i colori… Non solo tablet e vrituale, quindi. Nel mio ultimo libro, dedicato agli adolescenti “Io sono zero, appena uscito per Il Castoro, tratto proprio il tema del virtuale e del reale, affermando che quest’ultimo è mille volte più soddisfacente. È un tema che mi sta molto a cuore, frequentando i ragazzi. Occorre recuperare il valore del corpo, animato dal pensiero, nel suo rapporto con il reale.

Con Marta Matteo, bocciato a scuola, ribelle abituato solo ai divieti e alle sconfitte. Preparando i dolci di Euforbia Matteo acquista sicurezza, risolve situazioni difficili e non balbetta più.

Lo scrittore e psicologo Ballerini con Matteo che cosa ha voluto suggerire ai docenti che bocciano (“….professori da chiudere nello sgabuzzino delle scope e buttar via la chiave…”), ai genitori che non sanno come comportarsi con i figli adolescenti e ribelli?

A nessun ragazzo piace andare male a scuola. Noi a volte ci limitiamo a correggere i comportamenti senza indagare su cosa li mantiene. Le difficoltà scolastiche spesso hanno origine al di fuori della scuola, l’impegno scolastico non è che un punto di applicazione. Non si parte mai dalle macerie, si riparte solo dai successi. Per ogni ragazzo in difficoltà occorre trovare un punto di ripartenza, che magari è lontano da ciò che desideriamo secondo i nostri schemi.

Alla scuola di Euforbia con il grembiule con il proprio nome ricamato a mano   si impara “ a fare le cose con più cura…senza la maledetta fretta….perchè tutto è un delicato equilibrio di consistenza, volumi,proporzioni,sapori…” Si apprende che”…. la buona idea è quella non costretta in rigidi schemi ma capace di trasformarsi, modificarsi e prendere la forma che meglio si addice alla situazione…”

-Negli incontri con i suoi lettori nelle scuole e nelle librerie con il suo libro vuole forse suggerire ai genitori e ai docenti cosa sono veramente e come si possono insegnare “ le competenze” di cui si fa un gran parlare da qualche anno..?

In qualche incontro fra insegnanti mi sono sorpreso nel vederli accapigliarsi su competenze e conoscenze. Non riesco pertanto a entrare in questo dibattito, credo di non averne le… competenze! So però che l’apprendere è un prendere vero e proprio. Lo vediamo nel bambino piccolo, che sta bene: è capace di fare man bassa del reale. Per prendere qualcosa però devo avere idea di cosa me ne posso fare. Ecco a scuola talora manca questa prospettiva, il sapere sembra fine a se stesso, privo di nessi con il reale.

“ La realtà va sempre riconosciuta e abbracciata perché e più grande e più forte di noi…” e Marta, anche grazie al padre professore che “ la porta sempre con sé a scuola” e all’amicizia di Matteo finalmente si perdona per aver bisticciato con la madre l’ultima volta che l’ha vista. Ed Euforbia decide che può aprire una nuova pasticceria da qualche altra parte perché quello che la rende speciale sono i suoi giovani allievi che ci portano dentro ….” i desideri, la passione..i sogni..” . E Matteo decide di non mollare…

-Dottor Ballerini con il suo libro ci suggerisce che per tutti “ arriva il momento di ricominciare ?

Propongo che si può sempre ripartire, che non esiste precondizione che ci costringa all’infelicità. In ogni momento possiamo recuperare: gli insuccessi non sono fallimenti e gli accadimenti tristi non dicono l’ultima parola, a meno che noi non gliela facciamo dire chiudendoci in una posizione melanconica.

-Un’ultima domanda: con quattro figli, la professione di psicoanalista che lo assorbe perché ha bisogno di continuare a scrivere così bene libri per ragazzi e non solo ?    

Lo faccio perché mi piace. Noi scrittori per ragazzi non diventiamo né famosi né ricchi, ma abbiamo una straordinaria opportunità: incontrare i nostri lettori, nelle scuole, in libreria, in biblioteca, nei festival. È un’esperienza di ricchezza cui solo uno stolto rinuncerebbe. E non ho intenzione di farlo.

F. Kay, La corsa del vento

Ancora tempo di grandi scrittori

di Antonio Stanca

kayDella scrittrice di lingua inglese Francesca Kay si sa soltanto che è cresciuta tra il Sud-Est asiatico e l’India, che in seguito è stata in Giamaica, negli Stati Uniti, in Germania, in Irlanda e che attualmente vive con la famiglia, il marito e tre figli, ad Oxford.

La corsa del vento è stato il suo primo romanzo nel 2009. In Italia è stato pubblicato nel 2011 dalla casa editrice Bollati Boringhieri di Torino e a Gennaio del 2015 è stato ristampato dalla stessa casa editrice nella serie “Le Piccole Varianti”. La traduzione è di Giulio Lupieri. Altri romanzi ha scritto la Kay e come nel primo centrale risulterà in essi la figura femminile, la donna vista nel rapporto con l’uomo, l’amore, la famiglia, la religione, la vita, la storia in un periodo, il XX secolo, che tanti cambiamenti ha comportato, tanto ha significato per lei, per i suoi diritti, le sue esigenze, il suo riscatto dalla condizione di dipendenza dall’uomo che durava fin dall’antichità. Una donna libera, nuova, una donna animata da proprie aspirazioni, ambizioni, dagli entusiasmi che i tempi moderni avevano diffuso ovunque vorrebbe rappresentare la Kay nelle sue opere ma deve constatare che non ancora completata è quella liberazione, non ancora la donna, pur se giunta al XX secolo, può dirsi del tutto affrancata dai pesi che per tanto tempo sono gravati su di lei. Sospesa si trova tra antico e nuovo, dipendenza e libertà, obbedienza e rifiuto, secondo e primo piano e in questa condizione la scrittrice mostra le sue donne, intorno ad esse costruisce vicende articolate, complesse e le esprime con un linguaggio così sicuro, appropriato, aderente alle tante situazioni rappresentate, alle loro tante particolarità da farle apparire vere, naturali, farle scorrere con facilità, farle sentire vicine a chi legge, fargliele vivere.

Questo avviene pure ne La corsa del vento, anzi per la giovane protagonista inglese Jennet ancora più grave è lo stato di sospensione, di divisione tra vecchi e nuovi tempi, tra i richiami, i doveri di figlia, moglie, madre e il suo bisogno di evasione. Più delle altre donne della Kay soffre Jennet poiché fin da bambina si è istintivamente sentita incline a disegnare, dipingere, tradurre in colori, in immagini, in figure quanto le si offriva allo sguardo e fin da allora ha lottato per avere il tempo, il luogo, il modo necessario per farlo. Sposerà David già noto per la sua attività pittorica, già molto stimato per i suoi quadri negli ambienti culturali londinesi, avrà dei figli, vivrà con la famiglia a Londra e poi in altri posti della sua Inghilterra. Vi si trasferirà quando, diventata anche lei pittrice di successo, cercherà i luoghi, le condizioni ideali per dipingere . La sua pittura rifletterà i vari momenti, ambienti della sua vita, li rappresenterà, li tradurrà in immagini, colori che ne faranno dei simboli dal significato esteso, universale. Opere d’arte diventeranno i quadri di Jennet, le commissioni, le mostre si susseguiranno con un ritmo sempre crescente e in città sempre diverse. Diventerà famosa anche oltre i confini inglesi ma intanto si ripresenteranno i problemi della famiglia e le chiederanno tempo e applicazione nonostante i suoi impegni. In casa c’erano situazioni particolari, il marito era indifferente, estraneo ad ogni responsabilità e ormai vittima dell’alcol, una figlia cresceva male, i genitori erano invecchiati, ammalati e lontani. Ma anche se artista di fama mondiale, anche se sola Jennet non si sottrarrà a questi doveri, li svolgerà mostrando che l’amore per sé, per la sua arte, non superava quello per gli altri, per la vita. Continuerà ad amare anche il marito che tanto l’aveva delusa, negherà l’evidenza, crederà sempre possibile recuperare i loro vecchi tempi, i loro passati entusiasmi e ricostruire il loro rapporto, la loro famiglia. Un amore così vasto era simile a quello che Jennet aveva per la pittura, per i suoi paesaggi, per le luci, i colori dei suoi cieli, dei suoi mari, dei suoi fiumi, dei suoi laghi, dei suoi boschi, dei suoi monti, delle sue valli, delle sue albe, dei suoi tramonti. Questi spazi infiniti aveva sognato da bambina ed ora li aveva raggiunti non solo come artista ma anche come donna, non solo nei quadri ma anche nella vita. Senza limiti era diventato il suo amore, a nessuno lo voleva negare, di tutti voleva essere, nessuna divisione ammetteva, nessuna differenza poneva. E soltanto in nome di tanto amore si spiegano gli altri uomini che Jennet accoglierà nella sua vita, non saranno amanti perché solo amore lei cercherà.

Morirà dipingendo Jennet, morirà amando e con la sua fine la Kay concluderà il romanzo. Una biografia romanzata di Jennet risulterà questo, tutta la sua vita ha voluto percorrere la scrittrice senza tralasciare quella del suo tempo. Un’epoca intera, dalla prima alla seconda guerra mondiale agli anni ‘90, scorrerà nell’opera insieme alle vicende della protagonista. Uniche e multiple saranno queste, un’immensa costruzione sarà La corsa del vento, un’opera dalle alte qualità di contenuto e di forma quale poteva venire solo da una grande scrittrice, di quelle capaci di raggiungere effetti lirici, visivi, musicali pur nella prosa narrativa.

Nel passato del Salento

Nel passato del Salento

di Antonio Stanca

fotoLa sera di Martedì 31 Marzo a Sternatia (Lecce), presso i locali del Centro Studi “Chora-Ma”, da anni diretto da Donato Indino ed impegnato, tra l’altro, nel recupero delle tradizioni popolari, c’è stata la rappresentazione della “Passione di Cristo” (“I Passiùna tu Christù”) svolta con i canti in griko e con la musica del gruppo Astéria.

All’inizio uno dei cantori, Giorgio Filieri, si è soffermato ad illustrare brevemente la storia di questa rappresentazione. Ha detto che risale a tempi molto antichi, che i testi dei canti, prima scritti in greco bizantino e poi in latino, erano da attribuire a persone colte mentre i cantori erano stati generalmente dei popolani che si esibivano durante il periodo pasquale. Per Sternatia la rappresentazione è una delle più importanti tradizioni popolari e il gruppo Astéria ha voluto recuperarla e proporla anche in altri posti riscuotendo un notevole successo. Martedì sera c’era molta gente accorsa per ascoltare i due cantori del gruppo. Degli altri tre componenti uno accompagnava con la fisarmonica e due erano portatori di palme d’ulivo.

Partecipazione e commozione ha mostrato il pubblico per quel che ascoltava e per il suo valore storico. Sono manifestazioni che rientrano nella più ampia operazione oggi condotta nel Salento al fine di recuperare il passato di quest’area geografica sempre considerata “minore” e dimostrare come essa abbia avuto una sua storia, come sia stata collegata con la storia più nota.

A questa operazione di recupero Sternatia, tramite “Chora-Ma”, ha portato il suo contributo.

Incontro con Lodovia Cima

Incontro con Lodovia Cima

di Mario Coviello

 

questasonoio“Questa sono io” di Lodovica Cima e Annalisa Strada – Il Castoro 2014

L’ottava edizione del Torneo di lettura fra dieci scuole in rete della provincia di Potenza è alla sua seconda fase. Per gli alunni delle scuole medie di Bella,Atella,Ripacandida,Rionero, che hanno superato la fase eliminatoria è stato scelto dal Comitato dei lettori il romanzo di Lodovica Cima e Annalisa Strada “ Questa sono io”-Il Castoro 2014.

Viola ha 13 anni ed una vita apparentemente tranquilla. Eppure c’è quella sensazione spiacevole di qualcosa che sfugge, di essere invisibile agli occhi di sua madre e suo padre. Sua madre non c’è quasi mai, fa la costumista teatrale ed è sempre molto impegnata, suo padre è ancora più assente, è attore ed è sempre in tournée. C’è la nonna che pensa a lei, in tutto. Perchè loro tre non sono mai stati una vera famiglia? Con l’aiuto dell’amica del cuore, Arianna, scopre un segreto familiare che ridefinirà per sempre la sua esistenza e il rapporto con se stessa e con gli altri.

Abbiamo intervistato Lodovica Cima.

-“Viola fece tutto quello che ci si aspettava da lei : mangiò…..,sparecchiò….diede una pulita al tavolo….. “ Viola si ritira quasi sempre in camera… A Viola arrivano dai genitori regali mai chiesti… Viola scopre la verità su suo padre, ma non ha la forza di affrontarlo…. Sono così le giovani adolescenti che incontri nelle scuole e nelle librerie o somigliano di più ad Arianna la decisa che sa sempre cosa fare, super organizzata, o a Cecilia..”una vera carogna : tutta impegnata a non farne passare una liscia a nessuno” ?

Questi sono alcune tipologie di ragazzi che ho immaginato. Ogni personaggio nasce da spunti veri raccolti in quasi 25 anni di incontri con i ragazzi e di lavoro su storie dedicate a loro. Non posso dire se siano corrispondenti a una persona piuttosto a un’altra che ho incontrato, sicuramente sono costruiti dalla mia immaginazione attingendo a caratteristiche vere, reali, mixate insieme.Sono sicura che ci sono altri ragazzi, migliori, peggiori, che portano magari una maschera di apparenza, come Cecilia, e poi sotto sotto sono diversi. È un’età difficile in cui si prendono le misure con se stessi.

  • E poi c’è Michele..”uno che si faceva notare…lo sguardo azzurro trasparente, il sorriso abbozzato che gli dava l’aria di giusta sufficienza e Francesco, il suo amico, “un ragazzo tranquillo con gli occhi profondi” … Sono così i giovani adolescenti di oggi, importanti per l’universo femminile che racconti nel tuo romanzo , ma solo comparse, che rimangono sullo sfondo?

Non direi solo comparse, direi un po’ distanti. Io ho immaginato che Viola avesse timore ad avvicinarsi troppo, proprio per il suo continuo senso di inadeguatezza. Non ho volutamente scrutato dentro l’animo di Michele, l’ho lasciato “integro” nel suo essere un maschio misterioso e di poche parole, perché ero concentrata sulle emozioni di Viola. Si potrebbe forse riscrivere la storia specularmente, prendendo il punto di vista di Michele, sarebbe interessante!

  • E gli adulti ? Ci sono i genitori di Viola, padre e madre, evanescenti, presi dal lavoro, dalla carriera, sempre di corsa e con mille impegni. Genitori che non hanno tempo per guardare negli occhi la loro figlia… E’ stato difficile raccontare dei genitori così ….?

Sì è stato difficile perché di norma non sono una persona che ama giudicare gli altri e che sa perfettamente che fare i genitori è davvero difficile. Però quando si hanno dei figli le priorità sono loro, questo non cambia per nessuno. Quindi mi sono messa d’impegno e ho cercato di ritrarre due persone incompiute. Esistono, non possiamo essere così ingenui da non considerarlo.

Tra l’altro, colgo l’occasione per raccontare che la storia di Viola nasce da uno spunto vero. Annalisa Strada ed io abbiamo ascoltato, aspettando su un binario di una stazione italiana, una conversazione altrui senza volerlo. Era un uomo a parlare e raccontava con grande naturalezza al vicino di avere una famiglia “regolare” e una amante in un’altra città. Quest’amante aveva appena avuto un figlio da lui e, diceva sempre l’uomo, questo era un vero inconveniente, che rompeva i suoi equilibri. Quindi avevano deciso di affidare il neonato alla nonna. Annalisa ed io siamo rimaste colpite dalla disinvoltura dell’uomo nel risolvere il problema! Così abbiamo deciso di immaginare quella creatura nell’età dell’adolescenza. Ecco come è nata la storia di Viola. Avevamo sentito quella storia insieme e abbiamo deciso lì per lì di scriverla insieme.

cima– Per fortuna ci sono gli adulti positivi: i genitori adottivi di Arianna, l’amica del cuore di Viola, e soprattutto Rollo , il gelataio dai baffoni grandi che respira le persone, fa le domande giuste, e porge un aiuto. E la nonna di Viola che non ha un nome proprio. La nonna che è madre per Viola e “gli ha garantito una vita stabile..l’ha amata dal prima istante che l’ha vista…e col nonno sperava di dare a Viola un po’ di famiglia..” Gli adulti che sostengono nel tuo romanzo sono due anziani. Perché questa scelta ?

Proprio questi adulti sostengono la nostra convinzione che se non puoi avere i genitori che desideri (o di cui avresti bisogno per crescere bene), ti prendi ciò che ti serve da altri adulti che le lo offrono. Nella vita di ognuno di noi esiste un adulto che ci ha dato qualcosa di importante senza essere nostro genitore. Per me i nonni sono stati importantissimi, ecco forse il perché della scelta. Rollo infine è una persona che esiste veramente. L’ho conosciuto, l’ho frequentato e gli ho affidato i miei figli. Non faceva proprio il gelataio, ma si occupava di ristorazione. Questo personaggio è un omaggio al vero Rollo. Infine i genitori adottivi di Arianna, che passano un po’ in ombra, quelli sono veri, anche loro. Ho in mente i due genitori reali da cui ho preso spunto e li ammiro tantissimo per la loro dedizione discreta.

  • Il sentimento più forte in “Questa sono io “ è l’amicizia. Quanto è importante per Lodovica Cima l’amicizia ?

Sì, credo che l’amicizia, insieme all’amore, sia una delle cose più belle della vita. Un’amicizia va custodita, accudita, sostenuta per tutta la vita, sempre che ne valga la pena! Per me l’amicizia è davvero importante. Da adolescente ho fatto fatica a trovare amici veri: me li sono sudati!

  • Anche la scuola nel tuo romanzo rimane sullo sfondo. E’ luogo di vita ma ci sono solo professoresse che interrogano, presidi che terrorizzano. La vita dei ragazzi e delle ragazze è fuori dalla scuola, lontano. E’ così ?

No, la scuola è una parte importante della vita dei ragazzi, ma quando si scrive una storia bisogna scegliere e, in questo caso, ho preferito usare come ambiente la cittadina di lago. Anche i professori non intervengono direttamente per scelta, perché la partita di Viola va giocata in prima persona. È una partita intima che deve vincere con se stessa e con i suoi affetti più stretti.

  • Mi è piaciuta molto la tua scrittura asciutta, il tuo linguaggio visivo, fatto di odori, colori, sapori. E poi le pause, i silenzi….il lento divenire, così diverso dalla velocità e dai rumori che imperversano. Hai forse voluto raccomandare a tutti noi tuoi lettori di darci tempo, tempo di vita…?

Direi che ricevere una domanda così non è da tutti i giorni. Intanto grazie per l’analisi stilistica e per l’apprezzamento. Sono davvero contenta che i miei sforzi siano stati notati. È esattamente quello che cerco di fare scrivendo: usare il linguaggio visivo e degli altri sensi, e poi giocare sulla semplicità, non sulla semplificazione. È difficile raggiungerla,costa revisioni, riletture e ancora riletture, ma quando ce la fai sei molto più efficace.

-E’ stato difficile lavorare a quattro mani con Annalisa Strada ?

Abbiamo fatto viaggiare il file della storia tra in nostri computer per due anni. Avanti e indietro aggiungendo togliendo, e soprattutto stratificando. Il risultato è che la scrittura non è più mia o di Annalisa, è diventata una terza cosa… Ora stiamo scrivendo un’altra storia insieme, ci abbiamo preso gusto. Ma questa volta abbiamo fatto uno schema molto più dettagliato e abbiamo deciso di scrivere ognuna con la voce di un diverso personaggio. In questo modo ognuna di noi avrà la possibilità di mettere in campo la sua cifra stilistica. È la storia di una ragazza che passa un’estate in una casa per artisti, una sorta di cohousing creativo in cui sarà costretta a convivere con tipi molto interessanti e imprevedibili… ma non voglio svelare troppo. Siamo ancora all’inizio.

R. Piumini, Recenti decadenze

“Decadere” non è “finire”

di Antonio Stanca

piuminiE’ stato insegnante, attore e poi è diventato scrittore per ragazzi e per adulti. Molto ha scritto e di genere diverso è stata la sua scrittura. Particolarmente interessato al mondo dei più giovani ha prodotto per essi libri di racconti, di favole, di poesia, testi teatrali, programmi radiofonici e televisivi, ha tradotto opere classiche, mitologiche riducendole, adattandole al gusto, alla comprensione dei ragazzi. Molti riconoscimenti ha ottenuto fin dal suo primo apparire, nel 1978, con la raccolta di racconti per ragazzi Il giovane che entrava nel palazzo. Anche per adulti ha scritto ed anche per questa produzione è stato più volte premiato. 

Si tratta di Roberto Piumini, nato a Edolo, in provincia di Brescia, nel 1947 e diventato, già a trent’anni, un noto personaggio dei nostri ambienti culturali, artistici e di comunicazione di massa. Oggi sembra sia presente ovunque tanti sono i suoi interessi, tanti i modi con i quali sa esprimerli. È laureato in Pedagogia, è molto colto ed è animato da uno spirito che lo porta a comunicare, trasmettere, far sapere agli altri i risultati del suo lavoro. Sarà questo intento a muoverlo verso tante direzioni quasi cercasse la migliore, la più adatta per realizzarlo. 

Piumini scrive ma è come se parlasse poiché soprattutto parlare vuole e soprattutto ai ragazzi, rapporti ravvicinati con questi cerca. Una vasta operazione di carattere educativo, formativo, moralesembra perseguire e il suo metodo potrebbe riuscire valido in un periodo come l’attuale che assiste alla crisi di ogni didattica. 

A sessantotto anni ha provato tanti contenuti, tante forme espressive che difficile sarebbe ridurre Piumini ad un’unica definizione, comprenderlo in un solo giudizio se non si accettasse quello di carattere pedagogico. Il suo bisogno di parlare, di dire, provato anche dal lavoro di recitazione dei propri testi, è spesso da lui attribuito ai personaggi delle sue opere. In essi Piumini si trasferisce e cosi avviene pure con i protagonisti dei tre racconti compresi nella raccolta intitolata recenti decadenze e pubblicata a Ottobre del 2014 da Barney Edizioni, Ariccia (RM), pp. 130, € 14,50.  È tra i libri che Piumini ha scritto per adulti, tra quelli, cioè, impegnati a riflettere su particolari situazioni umane e sociali, su quanto d’insolito può avvenire nel pensiero, nell’anima del singolo e sulle conseguenze che possono esserci per il contesto al quale appartiene. Attenta, profonda è l’analisi che lo scrittore mostra di saper compiere, sicuro, chiaro il linguaggio che usa.

In questi racconti i tre protagonisti amano parlare di sé agli altri, vogliono dire di quanto succede nella loro vita, delle strane vicende che hanno vissuto o stanno vivendo. Nel primo, “L’amatore”, protagonista è un maturo signore, Marcel, che nella Parigi del 1955 racconta ad un giovane proprietario di una bancarella di libri usati collocata, insieme a tante altre, lungo i litorali della Senna, che da molti anni vive una storia d’amore col famoso scrittore Lavètre e che questi gli ha confidato che si sarebbe suicidato se avesse scoperto che i suoi libri o alcuni di essi fossero finiti su una bancarella poiché avrebbe significato che era tanto scaduto l’interesse dei lettori per le sue opere da indurli a svenderle ai bancarellai. Pertanto Marcel si era premurato di controllare ogni giorno tutte le bancarelle intorno alla loro casa, che erano anche quelle intorno alla Senna, per far scomparire comprandoli i libri dello scrittore amante che eventualmente vi avessetrovato. Gli era successo, quindi, di comprare gli stessi libri e per molto tempo suscitando la curiosità di molti bancarellai. Ma era pure successo che lo scrittore Lavètre avesse fatto un giorno uno dei suoi rari giri tra le bancarelle e su una collocata in un posto più distante avesse visto un suo libro. Quel giorno si era suicidato. Ora Marcel ne parlava al giovane bancarellaio del quale era diventato amico ed entrambi non riuscivano a spiegarsi quanto eraaccaduto, non capivano come fosse possibile che un autore così importante, così noto potesse consideraretanto grave il fatto che uno o più lettori non amassero le sue opere e se ne disfacessero. Non troveranno risposta e sospeso rimarrà il loro giudizio. Così avverrà pure negli altri due racconti, “L’ombrello” e “Gli sguardi”. Anche i loro protagonisti, Paolo e Lorenz, vivranno esperienze strane, imprevedibili, ne soffriranno, anche loro ne parleranno con gli amici, li renderanno partecipi. Nessuno di questi, però, saprà trovare una spiegazione e farà rientrare quelle esperienze tra gli infiniti risvolti che la vita può assumere. Nessuno penserà che una vicenda per quanto sorprendente, inspiegabile, offensiva possa arrestare o modificare il corso della vita. Tutti converranno che bisogna imparare a stare insieme, a convivere anche con i problemi, le delusioni, le privazioni, le perdite, le “decadenze” perché fanno parte della vita e perché decadere non significa “finire”.

Per adulti è il libro ma neanche in questo l’autore ha saputo rinunciare, tra l’altro, al suo eterno proposito d’insegnare.

S. Nocera, Il diritto alla partecipazione scolastica

nocera_-_il_diritto_alla_partecipazione_scolastica_immagine_500SALVATORE NOCERA
(già vicepresidente nazionale della FISH, attualmente responsabile del settore legale dell’Osservatorio scolastico dell’AIPD)

IL DIRITTO ALLA PARTECIPAZIONE SCOLASTICA
Normativa e Giurisprudenza per la piena partecipazione scolastica degli alunni con disabilità

L’ebook cerca di offrire agli operatori del diritto ed alle famiglie gli strumenti conoscitivi di carattere normativo e giurisprudenziale che aiutino a rimuovere, con la personalizzazione degli interventi, gli ostacoli alla realizzazione dei bisogni educativi e delle aspirazioni esistenziali degli alunni con disabilità.


 

Ho scritto   questo libretto in forma elettronica e cartacea, poichè ormai i diritti degli alunni con disabilità si realizzano sempre meno per applicazione spontanea delle norme, ma a seguito di sentenze dei TAR. Ho quindi voluto tentare una sintesi sistematica delle norme, lette e commentate, talora anche criticamente, alla luce delle sentenze della Magistratura. Sono queste sentenze che nei casi di conflitto con l’Amministrazione che non riconosce i diritti degli alunni con disabilità, a realizzarli in concreto caso per caso.
Ho cercato di descrivere in modo semplice e comprensibile per tutti i diritti che si snodano lungo l’arco della durata di un anno scolastico, partendo dalla programmazione degli interventi inclusivi, passando per la gestione del progetto di inclusione e pervenendo alla valutazione finale sia del merito dei singoli alunni, sia del livello di qualità inclusiva realizzata nelle singole classi.
Ci sono , spesso in nota, accenti critici contro sentenze anche della Cassazione, che non ha interpretato correttamente la normativa inclusiva, favorendo l’insorgere di problemi gravi per le famiglie, come quello concernente quale ufficio giudiziario debba decidere i ricorsi, se i TAR, cosa che si era ormai consolidata, oppure i Tribunali civili, novità dovuta ad una cattiva interpretazione da parte di alcuni TAR di una recente sentenza della  stessa Cassazione a sezioni unite, ; ciò sta arrecando gravi danni di tempo e di denaro alle famiglie che sono costrette ad andare dal  TAR al tribunale civile e, se entrambi si dichiarano incompetenti, dovrebbero fare ricorso per Cassazione per regolamento di competenza; ciò per un verso allunga paurosamente i tempi per avere, ad es. le ore di sostegno in deroga, e crea un notevole aggravio economico.
Mi auguro che il libretto sia utile anche ai colleghi avvocati e, sperabilmente anche ai magistrati giudicanti.

Salvatore Nocera


Il presente e-book cerca di offrire agli operatori del diritto ed alle famiglie gli strumenti conoscitivi di carattere normativo e giurisprudenziale che aiutino a rimuovere, con la personalizzazione degli interventi, gli ostacoli alla realizzazione dei bisogni educativi e delle aspirazioni esistenziali degli alunni con disabilità

Esso quindi in un primo capitolo si sofferma sulla normativa costituzionale che ha delineato, dopo incertezze della giurisprudenza ordinaria anche di legittimità, il profilo e la natura di diritto soggettivo costituzionalmente rafforzato allo studio degli alunni con disabilità.

In un secondo capitolo passa in rassegna la normativa relativa alla programmazione del processo di partecipazione scolastica fin dall’iscrizione , passando per gli atti normativi e pedagogici personalizzati fondamentali , pervenendo a cenni sulla programmazione territoriale.

Il capitolo terzo si diffonde sugli strumenti della programmazione per la realizzazione dei singoli diritti che riempiono il contenuto del diritto allo studio; ci si sofferma quindi non solo sul ben noto ed abusato diritto alle ore di sostegno didattico, ma anche a quelli più importanti a carico dell’Amministrazione scolastica , come la composizione delle classi, o a carico degli enti locali, come il trasporto gratuito e la nomina di assistenti per l’autonomia e la comunicazione; qui si colloca la questione aperta, temo ancora per qualche anno, su tali competenze sino al 2014 alle Province ed ora con la l. n. 56/2014, passate non si sa bene a chi.

Il capitolo quarto descrive il percorso di gestione del progetto partecipativo e la fase conclusiva della valutazione individuale dei singoli alunni e collettiva sulla qualità del sistema scolastico inclusivo e partecipativo.

INDICE

 

Premessa

 

Capitolo Primo

NATURA E CONTENUTO DEL DIRITTO

 

  1. Qualificazione del diritto soggettivo perfetto – 2. Diritto costituzionalmente garantito – 3. Diritto allo studio solo tramite l’inclusione nelle classi comuni delle scuole ordinarie – 4. A chi spetta la giurisdizione relativa alla tutela del diritto – 5. Doveri delle famiglie e degli alunni con disabilità

 

Capitolo Secondo

LA PROGRAMMAZIONE DEL PROCESSO INCLUSIVO

 

  1. L’accesso al diritto – 1.1 La certificazione medico-legale, l’iscrizione e le tasse scolastiche – 1.2 La diagnosi funzionale redatta solo dall’ASL – 1.3 Scarsa rilevanza in Giurisprudenza degli aspetti pedagogici rispetto a quelli sanitari – 2. La programmazione del progetto inclusivo – 2.1 Formulazione del PEI – 2.2 Tempi di programmazione di tutte le risorse – 2.3 Gli accordi di programma e i piani di zona

 

Capitolo Terzo

GLI STRUMENTI PER L’INCLUSIONE

 

  1. I gruppi di lavoro per l’inclusione scolastica – 2. Diritto al docente per il sostegno – 2.1 Eccessiva rilevanza data a questa risorsa – 2.2 Assegnazione di ore di sostegno per discriminazione – 2.3 Valutazione dei danni e rifusione delle spese di causa – 2.4 Effettività del diritto al sostegno – 2.5 Il problema del sostegno nelle scuole paritarie – 2.5.1 Quadro normativo d’insieme – 2.5.2 I contrastanti interventi della magistratura – 3. I docenti curricolari – 4. Diritto a classi non numerose – 5. Il supporto organizzativo degli enti locali – 5.1 Il trasporto – 5.2 L’assistenza per l’autonomia e la comunicazione – 5.3 La legge 56/2014 e le competenze provinciali – 5.4 L’eliminazione delle barriere architettoniche e sensopercettive, l’accessibilità ai siti web e i libri di testo adattati – 6. L’assistenza igienica per gli alunni con disabilità

 

Capitolo Quarto

LA GESTIONE E LA VALUTAZIONE DEL PERCORSO INCLUSIVO

 

  1. La gestione del progetto inclusivo – 1.1 Le visite d’istruzione – 1.2 La somministrazione dei farmaci a scuola – 1.3. L’istruzione domiciliare – 2. La valutazione degli alunni con disabilità – 2.1 Scuola dell’infanzia e inizio dell’obbligo scolastico – 2.2 Primo ciclo di istruzione – 2.3 Secondo ciclo di istruzione – 2.4 Le prove INVALSI – 2.5 La valutazione da parte dei docenti per il sostegno – 3. La valutazione della qualità inclusiva nelle singole classi e nella scuola – 3.1 L’autovalutazione e il DPR 80/2013 – 3.2 Cenni su altre forme di controllo e valutazione – 4. Conclusioni

 

 

M. Franzoso, Il bambino indaco

Guai in famiglia

di Antonio Stanca

franzosoA Dicembre del 2014 presso Einaudi, nella serie “Super ET”, è uscita una ristampa del breve romanzo Il bambino indaco di Marco Franzoso. Era stato pubblicato nel 2012 sempre da Einaudi e poi era diventato un film di Sergio Costanzo.

Franzoso è nato nel 1965 in provincia di Venezia e qui vive. Ha cominciato a scrivere nel 1995, quando aveva trent’anni. Allora scriveva racconti. Al 1998 risale il primo romanzo, Westwood dee-jay, scritto in dialetto veneto e ridotto per il teatro. Nel 2002 verrà Edisol-M. Water Solubile ma sarà con Tu non sai cos’è l’amore, romanzo del 2006, che Franzoso inizierà ad orientare la sua narrativa verso temi di carattere familiare, verso i problemi che ai giorni nostri possono verificarsi in una famiglia a causa delle mutate condizioni di vita. Alla storia di Elisabetta, che in Tu non sai cos’è l’amore è vittima di un antico malessere e che abbandona improvvisamente il marito e il figlio per tornare dai genitori, seguirà quella di Isabel, che ne Il bambino indaco per perseguire l’idea di purificarsi da tutto ciò che è materiale, terreno, elimina ogni alimento tradizionale dalla sua e dalla dieta del figlio appena nato e lo fa giungere in fin di vita. Ed ancora nell’ultimo romanzo, Gli invincibili, del 2014 si vedrà Franzoso impegnato a narrare di un padre quarantenne che rimasto solo col suo bambino è costretto ad accudirlo. All’inizio pensa di non farcela ma il tempo, la pazienza e la volontà lo aiuteranno al punto da fargli imparare tutto ciò che serve per un simile compito e da procurargli il piacere di veder diventare adulto il bambino grazie alle sue cure.

In un’intervista lo scrittore ha dichiarato che il proposito di trattare, nelle opere più recenti, della famiglia, di quanto in essa oggi può succedere e delle gravi conseguenze che ci possono essere per tutti, adulti, giovani, bambini, gli è derivato dall’osservazione di come attualmente si sia complicata la vita in casa e dall’intenzione di ritrarre situazioni familiari difficili, di fare dei suoi personaggi gli esempi, i simboli di realtà che si sono venute sempre più determinando e imponendo. Delle registrazioni vuol fare Franzoso con le sue opere, di problemi che a volte diventano assurdi vuol dire, dell’impossibilità di risolverli, della violenza che possono provocare.

Ne Il bambino indaco il caso della madre Isabel che intende fare di sé e del suo neonato degli spiriti eletti che non hanno bisogno di cibo, diventerà tanto grave, le ossessioni, le manie della donna diventeranno così estreme da portare il marito ad un tale stato di confusione da farlo assistere impotente ad un bambino che piange per la fame. A tanto orrore non resisterà la suocera che, esasperata, compirà un gesto improvviso, inaspettato. La vecchia sparerà contro Isabel, la ucciderà, accetterà la pena per la sua colpa e la sconterà senza soffrire perché contenta di aver liberato il bambino da quella che sembrava avviarsi a diventare una condanna a morte e il figlio dallo smarrimento, dai terrori che lo avevano assalito e reso incapace di reagire a quanto stava succedendo in casa.

Abile è stato il Franzoso nel rendere le diverse psicologie dei personaggi, acuto nell’osservarli e ritrarli pur nei pensieri più riposti. Sempre chiaro riesce lo scrittore nel suo discorso, non lo appesantisce, non lo complica nonostante dica di vicende così complesse. E’ il segno della certezza che possiede riguardo a tali argomenti, della chiarezza che cerca nei suoi lavori. Atti di accusa, denunce possono essere definiti essi di quanto si nasconde dietro le apparenze, dei gravi risvolti che i tempi moderni hanno comportato per la famiglia. Quello di Franzoso è un grido d’allarme, un richiamo all’attenzione. I casi che egli rappresenta tramite i suoi romanzi segnalano come oggi la diffusa condizione di crisi si sia riflessa anche nelle famiglie. Nessuna indicazione proviene, però, dallo scrittore circa quanto si dovrebbe o potrebbe fare per combattere il problema. Egli si limita a constatare i suoi effetti. Di troppo, in effetti, la gravità del fenomeno ha superato le capacità, le forze del singolo, troppo debole è diventato questi di fronte ad esso, sconfitto è destinato a rimanere e forse per sempre.

F. Tarantino, C’era una volta… una fiaba lunga un anno

“C’era una volta…una fiaba lunga un anno“ di Filomena Tarantino
edizioni Ecogeses AIMC 2015

di Mario Coviello

 

tarantinoFresco di stampa,nella collana “ Profumo di gesso” delle edizioni Ecogeses dell’Associazione Italiana Maestri Cattolici, è uscito in questa settimana “ C’era una volta…una fiaba lunga un anno” di Filomena Tarantino. Arricchito da una introduzione di Graziano Biraghi, presidente dell’ECOGESES, il libro racconta “ la buona scuola “ e può, come sottolinea Biraghi “ diventare un valido strumento di formazione e di crescita sia degli studenti universitari …che dei docenti impegnati nell’anno di formazione del periodo di prova o nelle attività di formazione in servizio.”

Filomena Tarantino è un’insegnante di scuola dell’infanzia e dedica il libro, che è la sua relazione dell’anno di prova nell’ Istituto Comprensivo di Bella ( Potenza), ai suoi bambini della sezione B.

Lo introduce con una frase tratta dal romanzo ” La maestra e’ un capitano “, Coccolebooks di Antonio Ferrara, premio Andersen 2012 e amico della bibliomediateca della scuola “….se ci credi, nei bambini, loro possono diventare qualsiasi cosa..”.

Ed è proprio questo il senso più profondo del libro perché l’autrice dimostra che i bambini imparano, crescono se si ripone in loro una grande fiducia.

La leva per la crescita dei suoi piccoli Filomena l’ha scoperta nella fantasia o meglio in servetta Fantasia di pirandelliana memoria. Come docente di lettere nella scuola media aveva notato che gli adolescenti preferiscono scrivere una lettera,raccontare un fatto mentre Filomena ricorda ancora con affetto la sua maestra che gli raccontava fiabe ogni giorno.

Le fiabe hanno consentito ai suoi ventuno piccoli alunni di prendere confidenza con il mondo e i suoi aspetti luminosi come la gioia e la curiosità e quelli più oscuri : la paura, la malattia, la morte.

E con convinzione afferma che ” le piacerebbe che in tutti i gradi dell’ istruzione si riscoprisse la dimensione fantastico-emotiva dell’educazione, che si costruissero curricula colorati di gioco e costituiti non solo di ciò’ che serve ma anche di ciò’ che piace”.

L’autrice con Rodari e Morin ci ricorda che la musica e la poesia, il teatro e lo sport servono all’uomo completo che è’ ” sapiens e demens ,faber e ludens…

Le fiabe sono state il filo conduttore della programmazione annuale delle quattro sezioni della scuola dell’infanzia di Bella e Filomena racconta la sua esperienza come una fiaba

…” C’era una volta una maestra, una giovane maestra che aveva deciso fin da piccola di fare questo lavoro perché aveva la mamma maestra e una maestra nella scuola elementare che per cinque anni l’aveva fatta crescere con le storie.”

Vincitrice di concorso viene a Bella e con garbo racconta del suo approccio con il paese,la scuola il dirigente,le colleghe e soprattutto con i bambini.

Racconta che la sua storia ” non si svolge in fastosi castelli, ne’ in boschi e foreste incantate, ma al secondo piano a scendere di un edificio che di piani ne ha nove. La accoglie un ampio salone, un terrazzo baciato dal sole e un’aula spaziosa e colorata e soprattutto ventuno bambini curiosi provenienti non solo da Bella ma anche dall’Africa,dalla Romania,dall’Albania perché la scuola , da una ventina di anni e’ una scuola a colori e l’autrice con una valigia piena di sorprese, un orsacchiotto e una chitarra e soprattutto con tante fiabe cresce con i suoi piccoli.

I primi giorni di settembre sono stati, ” inquieti e carichi di tensione”. Con la collega di sezione che l’ha subito “adottata”, ha preparato l’aula e i suoi angoli e programmato l’attività’ di accoglienza.

Il primo giorno di scuola qualcuno dei piccoli, anche se è al secondo anno piange perché ..” nel passaggio da casa a scuola ci sono braccia che lasciano andare ma anche braccia che prendono,che accolgono,che sostengono ..”

E anche Filomena ha aperto le braccia…” Si sono precipitati verso di me, lasciandomi senza parole: mi ero tanto preoccupata e invece sono stati loro ad accogliermi..”

Ed è’ stato questo l’inizio di un viaggio..” Un viaggio faticoso, costellato di imprevisti, in cui mi è’ forse capitato di sbagliare strada, perché’ io da inesperto capitano quale sono, non sempre conoscevo bene le tappe per arrivare alla meta..”

Il viaggio si intitola ” Maestra raccontami una storia ” e in cinque tappe porta i piccoli e la loro maestra alla scoperta del bosco con Cappuccetto Rosso, nel castello di Biancaneve, al bacio del principe che sveglia la Bella addormentata e ad una emozionante unica,fantastica rappresentazione teatrale di fine anno scolastico con canti,balli,musica e sorprese…

Filomena descrive in modo affascinante le tappe del suo percorso. Racconta la ricerca sulle definizione delle competenze per gli alunni della scuola dell’infanzia, attraverso lo studio delle Indicazioni Nazionali e la costruzione di rubriche valutative per la verifica e valutazione delle unità’ di apprendimento.

Il libro e’ arricchito dai disegni dei bambini, da foto a colori dei momenti di vita in classe e in biblioteca. La maestra racconta gli incontri con nonno Ninuccio, depositario di storie e con gli anziani dei Centri Sociali di Bella e Baragiano. Narra la visita al bosco con le guardie forestali, guide preziose, e come ha affrontato lo studio delle parti del corpo, come il corpo e’ divenuto scoperta,appropriazione,identità’.

Con i piccoli questa maestra non si è fatta mancare niente ed ha pigiato l’ uva e preparato il vino e fatto conoscere a tutti i piccoli della scuola di Bella l’orsacchiotto Jim che ha insegnato, accompagnato con la chitarra , come si saluta , come si chiamano i cibi…. in inglese.

Con la valigia della fantasia, una vecchia valigia di cartone piena di domande, l’ insegnante Tarantino ha risposto ad una domanda che una mattina Elia le ha fatto “..Maestra..come nascono le storie?”

E la maestra non ha più’ raccontato storie come faceva ogni mattina, ma seduta in cerchio con gli altri piccoli, piano piano li ha incoraggiati a turno a raccontare , utilizzando i libri illustrati della biblioteca , Propp   e la vita di tutti i giorni di bambini, sempre piena di meraviglie, dubbi, domande.

Le storie narrate sono diventate momenti di vita e i piccoli hanno tirato fuori paure, gioie..dubbi..Hanno raccontato,disegnato e i disegni sono diventati storie su grandi cartelloni colorati che hanno fatto scoprire i piccoli ai loro genitori.

Nel libro troverete la valigia delle storie e le loro foto .Cose semplici, esempi illuminanti che possono aiutare a fare meglio il difficile meraviglioso lavoro di insegnante della scuola dell’infanzia.

Come in tutte le fiabe il libro che ha avuto inizio con… “C’era una volta “..termina con “ e vissero tutti felici e contenti” perché Filomena Tarantino, raccontando un anno di scuola, appassiona per la ricerca nel far bene, e con le foto, i disegni , il racconto della sua esperienza arricchisce il cuore e la mente dei suoi lettori che mi auguro numerosi.

E. Filieri, Aedo delle Muse

Un altro esempio di “Italianità”

di Antonio Stanca

filieriVenerdì 6 Febbraio presso il Centro Studi “Chora-Ma” di Sternatia (Lecce), diretto da Donato Indino e impegnato, tra l’altro, a testimoniare della cultura, della letteratura che si sono verificate e si verificano nel territorio salentino, è avvenuta la presentazione del libro Aedo delle Muse. F. Morelli tra Otto e Novecento con Antologia poetica di Emilio Filieri, titolare di Letteratura Italiana II per il corso di Scienze di Beni Culturali di Taranto (Polo Ionico-Università di Bari). L’opera è stata pubblicata nel 2014 dall’editore Maffei di Trepuzzi (Lecce) e rientra in “Cultura & Storia”, Collana della Società di Storia Patria- Sezione di Lecce- diretta da Mario Spedicato.

In apertura il Presidente Indino ha illustrato brevemente l’attività svolta dal Centro durante i tanti anni della sua presenza e si è soffermato sui motivi di quella serata. Ad introdurre il discorso sull’opera del Filieri è intervenuta la Dottoressa Loredana Viola dell’Università del Salento. Ha messo in risalto la ricchezza di particolari che caratterizza il libro e che deriva da un lungo e attento lavoro di ricerca da parte dell’ autore. Di seguito il Filieri ha parlato della sua opera, ne ha chiarito gli aspetti specifici, ha evidenziato alcune parti per trarne gli esempi necessari a far intendere il procedimento usato, le finalità perseguite. Egli non è nuovo in questi lavori, già altre volte, con altre opere, si era mostrato impegnato a ripercorrere momenti, a recuperare personaggi, a ricostruire opere che hanno fatto parte del passato salentino, a rintracciarvi i segni di quanto avveniva nella storia, nella cultura, nella letteratura, nell’arte della nazione, a collegarli con queste ed a mostrarli come un aspetto dal quale non si poteva prescindere. Grazie a tali studi il Salento sta finendo di rimanere sconosciuto rispetto all’Italia più nota di uno, due secoli fa e sta acquistando il diritto di appartenere ad essa, di avere una sua funzione, un suo valore.

Parte da lontano lo studioso per arrivare al centro, dalla periferia muove e giunge alla capitale. Così ha fatto anche in quest’ultimo lavoro. Da un poeta di Squinzano, comune della provincia di Lecce, ha preso le mosse, da Francesco Morelli, a Squinzano vissuto dal 1878 al 1965, dalla sua ampia produzione ha avviato un percorso che gli ha fatto scoprire quanto essa abbia risentito del clima culturale, artistico allora diffuso nella penisola, come possa essere con esso collegata, perché vi debba essere inclusa.

Molte sono le raccolte poetiche del Morelli, le prime in dialetto, le seconde in lingua, e ovunque egli ha risentito delle sue conoscenze, della sua cultura. Si era formato da solo e nei suoi versi non è difficile scorgere quanto gli era giunto dalla tradizione poetica salentina in dialetto, dai poemi classici antichi, dai poeti latini, da Dante, dagli Stilnovisti, dal Petrarca, dai Romantici, dal Carducci, dal Pascoli, dal D’Annunzio fino a Trilussa. E tutti questi richiami, questi collegamenti è riuscito il Filieri ad individuare e chiarire nel suo lavoro. Lo ha fatto nei saggi che costituiscono la prima parte dell’opera mentre la seconda è dedicata all’antologia poetica. Nei saggi ha trattato delle raccolte poetiche del Morelli, dalle prime alle ultime, ha analizzato in ogni particolare alcuni loro testi, li ha commentati, spiegati e al tempo stesso li ha riferiti agli altri della raccolta in esame e ai modelli che operavano nella mente del poeta. Un procedimento ampio, complesso, plurimo è stato condotto dallo studioso, un’operazione alla quale non è sfuggito niente e che nonostante la sua vastità è stata svolta con determinazione perché sicuro si è mostrato dei suoi mezzi chi l’ha compiuta. Né è stato trascurato, tra tanto movimento, il compito di evidenziare che il Morelli non è solo un poeta colto dal momento che sa egli riportare quanto gli viene dalla sua cultura ad una dimensione, ad una linea propria. Giudizi positivi per la sua opera aveva egli ottenuto dal Pascoli e da Trilussa, case editrici non più meridionali si erano interessate alle raccolte poetiche della sua maturità. La sua formazione si riflette nel suo lavoro ma non gli impedisce di andare oltre, di raggiungere una propria autonomia, di essere un artista. A lui va riconosciuta una voce propria, un modo proprio di essere poeta. Ci sono motivi che ricorrono nella poesia del Morelli, nota il Filieri, motivi che percorrono l’intera produzione morelliana e che vanno individuati nel bisogno di rappresentare la vita, le sue persone, i loro luoghi, i loro tempi. Attento all’individuo è il poeta ma anche alla società, volto a cogliere quanto di intimo si muove nell’anima dei suoi personaggi, impegnato a fare della semplicità, della spontaneità, del bene, dell’amore un patrimonio comune, un motivo d’incontro, di unione, al quale potersi sempre riferire. Di carattere individuale e sociale è la morale che egli persegue, all’uomo guarda perché umana sia la dimensione della vita, della storia. E quando tale condizione sembrerà minacciata dai tempi moderni a causa dei costumi sopravvenuti e diffusisi all’insegna di valori estranei a quelli dell’anima, il Morelli più convinto si mostrerà, come nelle ultime raccolte, che soltanto la moralità, la spiritualità sempre perseguite potranno salvare da tali pericoli. Allora farà della donna il simbolo di questi principi, la identificherà con i valori della casa, della famiglia, la indicherà come una possibilità di salvezza in un mondo invaso dal male, la trasformerà in un riferimento sicuro, inalterabile, eterno per una vita che voglia rimanere a misura d’uomo.

Di tanti temi mostra il Filieri composta la poesia del Morelli e in nome di essi le riconosce una voce autonoma nel contesto suo contemporaneo, le attribuisce il merito di aver superato i limiti del suo territorio, di far parte della letteratura italiana.

Un altro esempio di “Italianità” ha indicato lo studioso con quest’opera, un altro motivo perchè il Salento non sia più considerato periferia ha scoperto.

L’ampia antologia poetica che viene dopo i saggi è testimonianza di tale raggiunta verità.

K. Hamsun, Per i sentieri dove cresce l’erba

Hamsun, l’uomo primitivo

di Antonio Stanca

hamsunNel 1949, quando terminò il romanzo Per i sentieri dove cresce l’erba, che ad Ottobre dell’anno scorso è stato pubblicato dall’Editore Fazi di Roma, nella serie “Le Strade” e con la traduzione di Maria Valeria D’Avino, il norvegese Knut Hamsun aveva novant’anni. Sarebbe morto tre anni dopo, nel 1952, dopo una vita dedicata quasi completamente all’attività letteraria. Aveva scritto di narrativa, di poesia, di teatro, di saggistica e molto aveva viaggiato.

Era nato a Lom, Gudbransdal, nel 1859 da una famiglia contadina, povera. Aveva sofferto questa condizione fino a giovane. Aveva svolto diversi mestieri sia in Norvegia sia in America. Dopo molti tentativi malriusciti era giunto al successo letterario nel 1890 col romanzo Fame. Si sposerà due volte e la seconda moglie, l’attrice Marie Andersen, rinuncerà alla sua carriera per rimanergli vicina anche quando si trasferiranno a Sud della Norvegia, a Larvik. Qui si stabilirono in una vecchia fattoria, acquistata e restaurata, dove Hamsun si dedicò alla sua attività di scrittore anche se amava scrivere negli altri luoghi e nelle altre città che raggiungeva con i suoi viaggi.

Dopo Fame sarebbero venute molte altre opere, narrative, teatrali, in versi. Hamsun sarebbe diventato un autore molto noto in patria e all’estero, nel 1917 avrebbe scritto Il risveglio della Terra, il romanzo che è considerato il suo capolavoro e che nel 1920 gli procurò l’assegnazione del Premio Nobel. Anche in quest’opera ritornano i temi che erano comparsi nei romanzi d’inizio e che segneranno l’intera produzione dello scrittore. I protagonisti delle sue narrazioni sono uomini che vivono da soli o insieme a una compagna e che ricavano da se stessi, dal proprio corpo, dalla propria mente le risorse necessarie per vivere, per affrontare i problemi, i pericoli della vita, per combatterli e vincerli. Nel loro animo scende lo scrittore e scopre quanto di segreto, di nascosto avviene, lo porta alla luce, oltre i limiti dell’evidenza egli procede sicuro che ci sia molto da sapere, nella vita dei sogni, nei misteri dello spirito penetra. Per questa sua maniera una novità rappresentò Hamsun già con Fame poiché già allora mostrò di volersi distinguere dalla tradizione letteraria norvegese che era di carattere realista. Con Hamsun l’opera diventò soggettiva, psicologico diventò il suo genere, la vita dello spirito formò il suo contenuto. E forte era questo spirito, capace di sopportare le avversità era l’uomo che lo possedeva, di resistere al male, di trovare nell’ambiente naturale quanto gli serviva, di scambiare, comunicare con esso poiché come lui era vero, autentico, non guastato dai problemi che con i tempi moderni, con la civiltà delle macchine si erano addensati ed avevano ridotto la vita ad una serie di convenzioni. Lontano dalla società dei consumi, libero dalla massificazione sceglie di vivere l’eroe di Hamsun, a contatto con i boschi, le foreste, le montagne, i fiumi, il mare, i ghiacciai di quella Norvegia tanto amata dallo scrittore e tanto descritta nelle sue opere. La forza del suo uomo trova completamento in quella della natura e insieme sono sicure di poter costituire la vera dimensione dell’esistenza. Quest’aspirazione il suo eroe realizzerà andando in giro, facendo il girovago, vagando tra le piccole comunità rurali della Norvegia, comparendo e scomparendo come la luce delle verità che reca con sé, trasformandosi egli stesso in un elemento della natura, in un aspetto della terra.

In questi tratti del suo personaggio, in questa ricerca di una vita primitiva può essere facilmente riconosciuto l’autore, in ogni sua opera possono essere riscontrati motivi autobiografici, sempre Hamsun vuol dire di sé, dei suoi pensieri, dei suoi bisogni, dei suoi ideali e lo farà fino all’ultimo, fin quando, a novant’anni, scriverà Per i sentieri dove cresce l’erba. In verità quest’opera voleva essere di carattere polemico, in essa l’autore voleva ripercorrere gli anni dal 1945 al 1948 quando aveva subìto un lungo processo poiché accusato di aver collaborato con i tedeschi di Hitler quando avevano occupato la Norvegia durante la Seconda Guerra Mondiale. Scrivendo voleva discolparsi dalle accuse che gli erano state attribuite e che lo avevano fatto rinchiudere prima in una casa di cura e poi in un ospedale psichiatrico. Il processo si sarebbe concluso dopo molto tempo, Hamsun sarebbe stato assolto e il pagamento di una pena pecuniaria sarebbe stata l’unica condanna. Scrisse, quindi, il romanzo per difendersi ma nonostante queste intenzioni lo scrittore finì col rientrare tra i suoi modi, col tornare sui propri passi. Stavolta è chiaramente lui l’eroe convinto di sé e capace di resistere a quanto di cattivo la vita gli ha riservato, è lui che entra in comunione con la natura dei luoghi dove viene tenuto, è lui che si trova spesso col girovago Martin, che s’identifica con i suoi pensieri, i suoi modi di essere, di fare, le sue parole, le sue verità. Anche quando vuole fare polemica Hamsun non rinuncia al suo spirito, alla vita che ha sempre sognato. Anche allora il suo stile, il suo linguaggio rimane semplice, chiaro tanto da procurare alla narrazione un’atmosfera di serenità, da farla assomigliare ad una favola sempre esistita.

Un maestro di scrittura è stato anche considerato Hamsun sia dai contemporanei sia dai posteri, una lezione è stata ritenuta la sua lingua.

Incontro con Daniela Valente

Occhio a Marta! di Daniela Valente.
Intervista all
autrice di Mario Coviello

valenteOcchio a Marta!  Coccole books, di Daniela Valente è il diario di Andrea, un ragazzo di 13 anni amico di Marta una ragazza diversamente abile che ha quindici anni ma a volte ne dimostra cinque o tre.

Abbiamo intervistato l’autrice.

Dopo “ Mamma Farfalla” libro nel quale hai affrontato il tema del cancro in “ Occhio a Marta !” scrivi dell’handicap, di quelli che definiamo “diversamente abili “. Marta capisce tutto ma non sa parlare bene, va a scuola come gli altri ma non fa i loro stessi esercizi, ama stare con i compagni ma difficilmente viene persa di vista dai genitori. Marta è un’amica “con il silenzio in testa”, un’amica che cresce accanto ad Andrea, il protagonista del tuo libro, ma con un ritmo tutto suo e seguendo un binario che porta altrove. Perché hai voluto raccontare la sua storia?

Occhio a Marta ! vuole dare voce al vissuto di molti ragazzi e ragazze e alle loro famiglie che ogni giorno affrontano una battaglia durissima per riuscire ad essere riconosciuti e aiutati. Spesso la diversabilitá è un problema che rimane all’interno del nucleo familiare. Non si possono lasciare le famiglie da sole a gestire non solo praticamente, ma anche emotivamente queste situazioni. Il capitale sociale non è in grado da solo, se e quando esiste in contesti sociali e culturali adatti, di supportare casi del genere.

Nel libro ho cercato di raccontare ladolescenza come un momento della crescita in cui ci si può sentire quasi disabili o disadattati, ma ladolescenza passa e si lascia dietro embrioni di uomini e donne, la diversabilità no e senza nessuno accanto diventa un peso troppo difficile da sostenere.

A lungo nel tuo libro racconti della vita di Marta a scuola. Più volte ripeti che Marta ama stare a scuola. Dalla tua esperienza di madre, scrittrice, formatrice che lavora con i ragazzi delle scuole in giro per l’Italia, ti sembra adeguata la risposta che la scuola pubblica italiana dà ai diversamente abili e alle loro famiglie ?

La scuola rappresenta in questi casi molto spesso l’unico sostegno su cui le famiglie possono contare, l’unica istituzione pubblica che garantisce una continuità, un impegno per il disabile, per un certo numero di anni anche relativamente lunghi rispetto, alcune volte, alle effettive capacità di apprendimento. La scuola a Marta offre quella vitale e necessaria socializzazione che in famiglia non avrebbe mai. Ma con la stessa onestà dico che parlare di reale integrazione a scuola come nella società è ancora un miraggio, soprattutto quando l’handicap comporta un ritardo nell’apprendimento o un forte disagio comportamentale in grado di condizionare il lavoro dell’intero gruppo classe e questo nonostante l’ impegno dei docenti e dei dirigenti attenti e interessati.

valente2Chi è Andrea “rumoroso silenzio” al quale hai dedicato “Occhio a Marta !”?

Andrea è un adolescente come tanti che sta cambiando… un po’ è curioso, un po’ ha paura e non sa cosa fare. Un ragazzo che scopre quante forme diverse può avere l’amore: quello per Marta, quello per Luisa, quello per suo fratello, per i suoi genitori, per la natura, per le piccole cose, come il saluto a chi è più grande di lui. Ma è tutto nell’ordine delle cose. Sono gli adulti che non si rassegnano facilmente a mutismi, sbalzi di umore, ribellioni o disobbedienza. A tredici anni i ragazzi diventano più complicati di un bambino e una bambina, ancora bisognosi di accudimento e per i quali ci sentiamo ancora indispensabili. E in questo momento, in questa età così complessa e insieme così naturale, che dovremmo non rassegnarci ai loro silenzi e riuscire a sentire il grande rumore che stanno facendo crescendo.

L’amico di Marta è Andrea è un ragazzino di 13 anni che “ certi giorni ha la testa pieni di pensieri disordinati che si rincorrono come le foglie del cortile della scuola quando c’è vento “. Andrea si porta appresso tutto il carico di dubbi, interrogativi, scoperte, desideri e timori tipici della sua età. Nel passaggio dalla terza media alla prima liceo viene fotografato minuziosamente dalla tua penna che ne registra i pensieri e le emozioni.” Occhio a Marta!  è un diario che racconta la crescita in un momento tanto delicato quale è l’adolescenza. Com’era Daniela Valente adolescente? In cosa somigliava ad Andrea e per quali aspetti, invece, era diversa ?

Daniela da adolescente era uguale ad Andrea nella consapevolezza del suo cambiamento, nella paura del tempo che passava, incerta come lui sulle scelte da fare. Diversa però perché sempre impegnata a fare qualcosa, con un tempo molto meno dilatato e sempre pienissimo di attività, meno digitale,fatto di incontri e di viaggi. Un tempo della crescita in fondo non molto diverso, se non perché vissuto in un periodo diverso.

Andrea ha un buon rapporto con i suoi genitori che lo aiutano a crescere mentre improvvisamente arriva a un metro e ottanta e non vede l’ora di farsi la barba con il rasoio di papà. Come madre e scrittrice come si devono comportare i genitori con i loro figli adolescenti?

L’adolescenza ci obbliga alla pazienza, ci mostra l’autorevolezza che siamo riusciti a costruire, ma ci chiede anche di aprire gli occhi sugli errori che abbiamo fatto come educatori. Anche quando pensiamo di essere stati bravi abbiamo comunque commesso qualche sbaglio. Il rischio più forte oggi, in questa corsa ad un tempo in cui dobbiamo sempre rimanere giovani e giovanili, è quello di approcciarci ai ragazzi alla pari o peggio tentare di diventare loro amici o complici, trasformandoci, al contrario, in modelli negativi. I genitori, gli educatori sono adulti che accompagnano, con lobbligo di esserci sempre facendo finta di non esserci. Soprattutto disposti a diventare anche impopolari se questo serve a guidarli verso comportamenti corretti verso la famiglia, la scuola e la società.

Nel tuo libro racconti il rapporto di Andrea con il fratello più piccolo David,” precisino” che fa tutti i compiti e quando studia “ deve sapere tutto anche le note “ e, a volte “rompe”. Il rapporto tra i due fratelli è solido e cresce con il tempo e le prove che la vita chiede di affrontare. Hai anche tu fratelli e sorelle ? Quali sono stati i tuoi rapporti con loro quando avevi l’età di Andrea?

Io ho solo un fratello e la differenza di età tra noi non ci ha permesso di giocare molto insieme. In compenso ho avuto intorno a me da bambina e poi da adolescente, gruppi di pari(cugini prima e compagni di classe dopo) con cui ho condiviso moltissime esperienze e che continuano a rappresentare nella mia vita punti di riferimento importanti. E anche vero che le amicizie cambiano con noi, ma le più importanti, quelle fatte a 13 anni, ci segnano profondamente nel bene e nel male. Non a caso sarà Marta a ricordare sempre ad Andrea se stesso bambino.

Con delicatezza in “Occhio a Marta” racconti l’innamoramento di Andrea per una coetanea. Andrea si sente goffo, diventa rosso, ammutolisce quando si trova di fronte la sua Lisa. Mi sembra che con il ritmo piano della tua scrittura voglia dire ai tuoi lettori adolescenti che devono darsi tempo,non avere fretta di crescere. E’ così ?

La storia di Andrea, non è fatta di eventi folgoranti, accidenti, o imprevisti che impongono una crisi nel protagonista. La sua età è la crisi della narrazione. Il protagonista ne viene fuori senza azioni particolari o grandi stravolgimenti, ma semplicemente vivendo la quotidianità. La sua sensibilità, il suo modo di interrogarsi sulle cose, la sua paura, il segno che resta dentro di lui delle cose che vede e che vive segnano la sua crescita, il suo cambiamento. In un tempo in cui la fretta di fare le cose fa perdere il gusto per le cose stesse, io vorrei richiamare solo lattenzione su questo meraviglioso quanto difficile tempo di crescere.

Nell’ultimo capitolo del tuo libro che intitoli “ In volo” Andrea dice “Io avrò mille cose da scoprire, nuovi posti da vedere nuovi amici. Di una cosa sono certo: se vorrò ricordarmi dei bambini e di come si può imparare l’amore , mi basterà stare con lei ( Marta) un’ora, parlare la sua lingua, guardare i suoi occhi, ascoltare i suoi silenzi e i suoi sorrisi.”

Non so se hai avuto modo Daniela di parlare con genitori di bambini e ragazzi “diversamente abili” che hanno letto il tuo libro. Io che ho vissuto nella scuola per 46 anni come insegnante, professore e preside, leggendo il tuo libro anche a nome di Manuel, Giada, Pierpaolo e i loro genitori ti dico grazie.

J.-C. Rufin, Il collare rosso

Rufin, non più guerre

di Antonio Stanca

rufinIl francese Jean-Christophe Rufin è un medico di sessantatré anni, è nato a Bourges nel 1952, è cresciuto con i nonni in un paese di provincia, ha studiato a Parigi, ha preso parte a missioni umanitarie nei paesi sottosviluppati, è stato consulente del Segretario di Stato Francese per i diritti umani, ha fondato il movimento “Medici senza Frontiere”, è membro dell’Académie Française, è stato ambasciatore in Senegal, è l’autore del “Rapporto Rufin”, un’analisi dettagliata circa il fenomeno dell’antisemitismo in Francia, ed è anche un giornalista, un saggista ed uno scrittore. Il suo primo libro, La trappola umanitaria, è un saggio che risale al 1986, il primo romanzo, L’Abissino, è del 1997, quando aveva quarantacinque anni, e nel 2001 col romanzo Rosso Brasile vinse il Premio Goncourt. Altri riconoscimenti ha ottenuto Rufin per la sua attività in ambito sociale e per quella in ambito letterario. Tra le due non c’è differenza perché animate sono dagli stessi principi, mosse dalle stesse aspirazioni, quelle di operare per il bene comune, d’intervenire in situazioni difficili, di lottare in nome della giustizia, della libertà dell’individuo e dei popoli, di compiere azioni che servano ad aiutare e che valgano come esempio. Questo ha fatto finora Rufin e di questo ha pure scritto. Servizi umanitari ha reso e valori umani ha perseguito nelle sue opere letterarie. Eroi sono i protagonisti dei suoi romanzi, per gli altri si sacrificano, l’amore, il bene, la pace vogliono per tutti, le distanze, le differenze, le barriere, le guerre vogliono che finiscano. Moderni, attuali sono per questa loro volontà di cambiare il mondo, di renderlo migliore pur essendo a volte le loro vicende ambientate nel passato.

Anche nel romanzo più recente, Il collare rosso, pubblicato nel 2014 in Francia dalle Éditions Gallimard di Parigi e in Italia dalle Edizioni E/O di Roma, il protagonista, Jacques Morlac, è un eroe. Egli ha partecipato alla Prima Guerra Mondiale, è stato sul fronte orientale con gli alleati russi e contro i nemici bulgari. Nonostante la situazione ha cercato di avviare un rapporto di scambio, di comunicazione anche con gli avversari, ha pensato di estenderlo a tutti i soldati presenti sul fronte. Ha operato, si è impegnato perché finissero di scontrarsi, di uccidersi, abbandonassero le armi e si unissero, formassero un corpo unico all’insegna della fratellanza, dell’amore, della pace. Il progetto non riuscirà a causa di un imprevisto e di questo Morlac si farà una colpa tale da giungere ad offendere, durante una manifestazione pubblica, gli alti rappresentanti della nazione francese venuti nel suo paese a guerra finita. Li accuserà di essere, insieme a quelli delle altre nazioni, i veri responsabili delle guerre, delle morti di migliaia di persone, di alimentare con le guerre le proprie ambizioni di potenza, di ricchezza, di ostacolare ogni iniziativa che potrebbe portare alla fine degli scontri armati. Sarà imprigionato ma non rinuncerà mai ai suoi ideali anche se questo lo farebbe assolvere, anche se il giudice glielo consiglia. Fedele rimarrà ad essi come fedele gli è rimasto il suo cane dal “collare rosso”. Fuori dalla prigione ha abbaiato in continuazione, giorno e notte, fino a finire stremato.

Un’altra vicenda commovente, poetica che coinvolge il lettore già dall’inizio, che diventa un lungo, interminabile dialogo tra l’imputato e il giudice, che sorprende con le sue continue rivelazioni, che si risolve in nome di una fedeltà ancora maggiore, ha costruito Rufin. Un altro eroe ha creato, un altro interprete di quei principi, di quei valori altamente umani, profondamente morali che sono pure suoi, che egli persegue. Tramite i personaggi ai quali li fa impersonare nei romanzi Rufin vuole diffonderli, vuole farli giungere ovunque e ci sta riuscendo se si tiene conto che Il collare rosso è un romanzo che in Francia sta ai primi posti nella classifica delle opere più lette.

J. Marías, Mentre le donne dormono

Oltre i limiti

di Antonio Stanca

mariasComparsa, in versione originale, nel 1990 e nel 2014 pubblicata dalla casa editrice Einaudi di Torino nella serie “L’Arcipelago”, con la traduzione di Valerio Nardoni, la raccolta di racconti Mentre le donne dormono è dello spagnolo Javier Marías. Lo scrittore è uno dei maggiori rappresentanti della narrativa spagnola contemporanea ed in essa si è distinto fin dall’inizio della sua attività.

Marías è nato a Madrid nel 1951, ha sessantaquattro anni, è stato docente universitario in Inghilterra, in America e in Spagna, ha scritto romanzi, racconti, saggi, relazioni, è stato traduttore e giornalista. In molte direzioni si è impegnato, uomo di cultura e di genio si è rivelato. Ora vive a Madrid ed è noto sia in Spagna sia all’estero soprattutto per la sua produzione narrativa. E’ molto tradotta e molti riconoscimenti gli ha procurato. Fin dal primo romanzo, I territori del lupo, scritto tra i diciassette e i diciannove anni, Marías si era fatto notare per la sua capacità di riuscire nuovo, diverso rispetto alle tendenze, ai gusti, al linguaggio che fino a quel momento avevano caratterizzato la narrativa spagnola. Era stato capace di rompere con le regole costituite, di percorrere altre vie e raggiungere risultati, significati altamente validi. La sua è stata una scrittura sempre mossa, animata, sempre alla ricerca di quanto nella vita sorprende, attrae perché rimasto celato, nascosto dalle apparenze. Un instancabile ricercatore di realtà diverse, di situazioni insolite, di effetti particolari è stato il Marías scrittore. E non solo nei romanzi lo ha fatto ma anche nei racconti. Quando scrisse Mentre le donne dormono aveva trentanove anni e l’opera oltre a confermare la sua maniera lo faceva vedere completo nelle realtà e nei significati perseguiti. In essa dice che nell’Istituto Britannico di Madrid intorno agli anni ’70 il vecchio dirigente, Mr Bayo, ha tanto pensato alle dimissioni di un insegnante degli anni passati da essersi convinto che suo è il fantasma del quale ogni sera sente i passi e ogni mattina vede la lettera di dimissioni, che vera è la vicenda riportata da un colonnello dei tempi recenti circa un ufficiale dell’esercito napoleonico che, convintosi di valere e potere molto, durante la campagna in Russia si era lanciato a cavallo da solo contro le truppe nemiche accettando una sorte della quale non si è mai saputo con precisione, che le maledizioni di un mendicante si sono avverate perché erano entrate a far parte della vita, dei pensieri di chi le aveva ricevute, che un anziano signore, che convive con una giovane e bella ragazza, la fotografa, la filma ogni giorno mentre stanno sulla spiaggia convinto che la bellezza è un processo che si rinnova, che migliora in continuazione e che solo se non farà invecchiare la ragazza, solo se la farà morire uccidendola potrà rimanere bella. Altre volte, in altri racconti di Mentre le donne dormono, ci saranno figure provenienti dal mondo degli estinti. Compariranno, acquisteranno esse una loro presenza, faranno parte della vita dei vivi. Con Marías sembrano caduti, finiti i confini tra realtà e immaginazione, presente e passato, vita e altra vita anche se per giungere a tanto lo scrittore muove sempre da situazioni quotidiane. Di queste dice ma soprattutto delle altre, di quelle che stanno oltre l’evidenza perché prodotte da quanto pensato, immaginato, dalle convinzioni, dalle ossessioni proprie di alcune persone, dai loro segreti, dalle loro intimità. Di tali misteri scrive in questi racconti e dei comportamenti, delle azioni che ne derivano. Quanto pensato, ricordato, sognato diventa una realtà dalla quale non si può prescindere, produce fenomeni che pur se assurdi sono vissuti come normali. Molto altro della vita fa sapere la scrittura di Marías, oltre i limiti del visto, del conosciuto va essa, altri aspetti, altri modi di esistere rivela. Quella rappresentata dallo scrittore è una vita che comprende anche quanto non c’è, non si vede, è la vita del pensiero. A questa dà egli la possibilità di prendere corpo, a questa offre ragione d’essere.

E non solo quanto divenuto vero perché pensato c’è in Marías ma anche quanto non è stato pensato ed è rimasto affidato al caso, all’imprevisto, quanto può sopravvenire all’improvviso, all’insaputa e guastare, interrompere quel che si stava facendo o si era fatto. A tanti fallimenti fa assistere nei racconti lo scrittore e questo diviene un altro suo modo per dimostrare come la vita sia un’esperienza priva di ogni limite, come niente vi sia in essa di certo, sicuro, stabilito, determinato.

Un congegno privo di regole, macchinoso è la vita per Marías e tale è la sua scrittura che ad essa aderisce per renderla in modo autentico. Tanto c’è in Mentre le donne dormono e tanto ci sarebbe stato in altre opere. Come quelli di questi racconti sarebbero stati i contenuti di altri e insieme al linguaggio avrebbero costituito gli elementi che hanno distinto lo scrittore nel contesto della contemporanea letteratura spagnola e nell’ambito della letteratura mondiale.

Incontro con Alessandro Gallo

Incontro con Alessandro Gallo, autore di “Andrea torna a settembre”, Navarra Editore

di Mario Coviello

galloIl 16 e 17 gennaio 2015 Alessandro Gallo con “Andrea torna a settembre “ Navarra editore, il suo secondo romanzo , incontra gli alunni delle scuole di Bella, Rionero e Potenza nell’ambito dell’ottava edizione del torneo di lettura fra dieci scuole in rete della provincia di Potenza. Il giovane autore napoletano, torna in libreria con un nuovo appassionante romanzo ambientato tra la Campania e la Sicilia: da Castelvolturno e la Terra dei fuochi, territorio di camorra e rifiuti tossici, a Pozzallo e il ragusano dalle belle spiagge dove ogni anno sbarcano centinaia di migranti. Dopo il successo di” Scimmie”, romanzo di formazione nato dalla dura esperienza di vita dell’autore la cui famiglia è stata legata a doppio filo con la camorra, che anche i ragazzi delle scuole di Bella, Muro , Avigliano e Potenza con quelli di tutta l’Italia hanno amato, Gallo propone un romanzo che intreccia la tematica della criminalità organizzata a quella dell’immigrazione e che appassiona i lettori più giovani, e non solo.

E’ la storia di   una donna di nome Andrea che ha imparato a guardare, dal punto più alto, il suo mondo: il Villaggio Coppola e la Domitiana. Con lei Maria che è muta. Ugo che lotta con una pelle scura. Martino pieno di occhi e di speranza. Vincenzo Il lungo e Vincenzo Il corto, il doppio delle mani quando non basta ad allontanare il fuoco di una terra. Assuntina che non capisce ma non s’arrende. Castelvolturno: un mondo dentro cui si muovono i sentimenti e le relazioni di Andrea, fino a quando non inizia il suo viaggio verso Pozzallo, verso l’amore, verso una spiaggia abituata a ricevere cadaveri. Andrea è una donna che urla, bacia e guarisce tutti. Una donna che si spoglia davanti agli uomini e davanti al mare, pur di non rinunciare alla libertà e alla bellezza dell’esistenza. La macchia di un’umanità che vive ovunque e dentro chiunque lotti con tenerezza, forza e rabbia per la vita.

Abbiamo intervistato Alessandro Gallo per capire meglio le ragioni del suo impegno civile con la scrittura e il teatro.

gallo2Dopo il tuo primo romanzo “ Scimmie” sei alla tua seconda “fatica”.Ti senti cresciuto come scrittore ? Quali somiglianze e differenze ci sono tra le due opere ?

Si, sento di essere cresciuto come scrittore ma credo anche come uomo. Credo che i due romanzi si somiglino nello stile della scrittura (breve, scorrevole a tratti ironica e sarcastica) ma raccontano due mondi diversi: in “Scimmie” l’educazione criminale di tre adolescenti di periferia che cercano di “scimmiottare” i grandi, al contrario in Andrea racconto una storia di amore e odio di una donna che non ha voglia di crescere, vuole restare una ragazzina e scappare dai problemi quotidiani.

“Andrea torna a settembre” è ambientato nel “Villaggio Coppola”che si trova nella” terra dei fuochi”, un tuo luogo di impegno civile. Perché dopo Napoli hai deciso di raccontare CastelVolturno in Campania e la Sicilia di Pozzallo ?

Avevo voglia di raccontare storie di luoghi spesso trascurati o, peggio ancora, raccontati male, raccontati da un solo punto di vista. La Terra dei fuochi è anche una Campania Felix dove esistono comunità che stanno costruendo bellezze. In Andrea è questo che ho scelto di raccontare: quelle bellezze che spesso si fa finta di non vedere.

Come in “ Scimmie” i tuoi personaggi vivono e crescono come gruppo. Andrea , la tua protagonista, viene raccontata con Ugo, Mariolino, Assuntina, Maria e tante altre figure significative positive e negative. Perché ami questo modo di raccontare ? Cosa rappresenta e significa ciascuno di questi personaggi nel romanzo? Quali aspetti di te ciascuno di essi racconta ?

Sono del parere che il protagonista di un romanzo per renderlo tale c’è bisogno che attorno al suo mondo, al suo vissuto, ci siano altri protagonisti che l’accompagnano lungo tutto il percorso della storia. Questi sono per Andrea Mariolino (il ragazzo timido) Ugo (il pugile di colore arrabbiato con se stesso e con il mondo) Assuntina( la ragazzina che nessuno vuole come amica e come fidanzata) Maria (la piccola e fragile dal cuore tenero e dal sorriso incantevole). Questi ragazzi, assieme ad Andrea rappresentano una generazione troppo spesso trascurata, lasciata sola davanti alle mille difficoltà quotidiane. Una generazione che spesso quando cade fa fatica a rialzarsi, fa fatica a ripartire da zero.

Andrea chi è? Quanto in Andrea c’è di Alessandro Gallo, ragazzo di quindici anni che scopre il padre legato alla camorra e Gallo attore, scrittore, educatore di oggi ?

In Andrea, al contrario di Scimmie, non c’è nulla di autobiografico. Andrea vuole rappresentare la fragilità femminile davanti ad un mondo dove il maschio sembra vincere sempre su tutto, ma non sarà così per questo romanzo.

Andrea decide di crescere quando abbandona il suo terrazzo da dove affermava sugli abitanti del villaggio Coppola “ li spio di notte e li servo di giorno” e accetta il consiglio di Raffaele “ Vivi bene Andrea, un passo alla volta, lavora per un presente diverso e vedrai che ti sentirai meglio..”. Alle migliaia di giovani che incontri nelle scuole con i tuoi libri e i tuoi spettacoli, se ho capito bene, è proprio questo che vuoi raccomandare..?

Assolutamente si.

galloIl tuo romanzo è attraversato dal contrasto tra bellezza e schifo, verità e menzogna,realtà e finzione. Andrea grida ai suoi amici impegnati “ Scappo dalla vostra insopportabile voglia di vedere sempre il bello in questo schifo”. E in effetti nel romanzo non ti fai mancare niente, camorra, droga,usura , tratta degli immigrati, combattimenti clandestini che possono portare alla morte, stupro quotidiano di una giovane vittima, soprattutto un ambiente inquinato, malato, la sporcizia, il sudore. E quindi possibile trovare e vivere la bellezza, il sorriso, i colori anche nel villaggio Coppola e a Pozzallo ?

Certo. Siamo ormai abituati a credere che la bellezza sia solo una questione di forma ma non è così. Castel Volturno, come Pozzallo e come qualsiasi altro luogo di una provincia sperduta di questo paese nasconde bellezze rare, sta a noi, sensibili narratori, scovarle e raccontarle.

Le famiglie che racconti sono famiglie in crisi e dedichi il tuo libro a Francesco e Raffaella, i tuoi figli se non sbaglio, che chiami “gioie mie “ E allora ?

Raffaella è mia moglie e Francesco (un anno e mezzo) è mio figlio. Ho dedicato questo romanzo a loro perché per me questo romanzo rappresenta l’inizio di un percorso nel raccontare storie che nessuno vuole raccontare e ho bisogno di averli sempre al mio fianco. Posso rinunciare a tutto ma non al loro amore.

Il tuo romanzo mi ha emozionato e coinvolto. Lo porti nelle scuole, come ho visto su Youtube ,con grande successo. Anche tu come Andrea con la tua vita vuoi dirci “ Questo Villaggio bisogna viverlo faccia a terra, strofinare le mani e il viso sull’asfalto…..?

Da qui bisogna partire: dai ragazzi. Ogni altro tentativo di divulgazione della scrittura e della lettura sembra sia inutile per me.

Hai raccontato che riesci a scrivere solo della realtà che vivi. Perchè ci racconti le persone di Castelvolturno che hai conosciuto in “Andrea torna a settembre”, come Salvatore, Marcello che ha fatto la copertina del libro, il barista, il bidello…..?

Ho pensato che sia giusto e più utile far sì che tutte le storie e i personaggi positivi del romanzo fossero veri e far sì che la realtà possa superare la finzione.

Raccontaci come scrivi. Sei metodico, rileggi, correggi, hai un tuo primo lettore di cui ti fidi?

Amo scrivere la mattina presto o a notte inoltrata. Ho bisogno di silenzio. Quando scrivo non amo rileggere subito ma far passare del tempo, allontanarmi un attimo dalla storia e rientrarci di nuovo a mente lucida.

Ed infine la tua scrittura spezzata, rotta, nervosa, fulminante e i titoli dei tuoi capitoli, come nascono, quali sono i tuoi punti di riferimento letterari.

Non ho riferimenti letterari ma amo pensare ai miei racconti, ai miei romanzi, come dei copioni. E’ il teatro il mio luogo dal quale partire per raccontare storie, in particolare la narrazione, la scrittura orale: ascoltare, narrarle e poi trascriverle. Non mi sento uno scrittore, ma un narratore.

J. Didion, Democracy

Tra la vita e la storia

di Antonio Stanca

didionHa ottantuno anni e vive a New York sola dopo aver perso il marito, John Gregory Dunne, nel 2003 e in seguito la figlia adottiva, Quintana. Dalle due dolorose esperienze sono derivati due suoi memoir, L’anno del pensiero magico e Blue nights, divenuti famosi in poco tempo.

Si tratta di Joan Didion che è nata in California, a Sacramento, nel 1934 ed è stata una figura di rilievo nell’ambito della contemporanea cultura americana. Giornalista, saggista, scrittrice e sceneggiatrice di successo è stata la Didion. Ha cominciato come giornalista ed è giunta a scrivere per importanti testate ed a risultare tra i maggiori esponenti del New Journalism, di quel giornalismo americano che si verificò negli anni ’70 e si distinse perché di carattere soggettivo e più vicino alla narrazione che alla cronaca. Come giornalista la Didion ha partecipato attivamente alla vita politica del suo paese prima dalla parte dei conservatori poi dalla parte dei progressisti. Come scrittrice ha esordito nel 1963, quando aveva ventinove anni, col romanzo Run, River.  Già allora scriveva per i giornali e tra giornalismo, suo interesse primario, narrativa, saggistica e sceneggiatura ha continuato a muoversi ininterrottamente insieme al marito, pure lui scrittore. Ha ottenuto numerosi riconoscimenti, tra gli ultimi la National Humanities Medal ricevuta nel 2013 da Barack Obama. E’ considerata una delle maggiori giornaliste e scrittrici americane viventi.

Nella sua scrittura narrativa va notata la tendenza a collocare in una prospettiva storica più ampia la vicenda rappresentata, a mostrare quanto di particolare, di personale, di intimo può avvenire mentre grandi, gravi avvenimenti si stanno verificando nel mondo, nella società, nella politica, a collegare, a far procedere insieme i due elementi combinandoli in modo tale da far diventare difficile, a volte, seguirli. Altra nota distintiva della Didion scrittrice è la sua presenza nel narrato, la sua partecipazione a quanto nei romanzi viene rappresentato. Lo fa, ha dichiarato, perché vuole chiarire, ordinare le vicende delle quali scrive. Scrivere per lei, ha pure detto in un’intervista, significa cercare di mettere ordine in quel confuso movimento di idee che avviene nella sua mente ogni volta che pensa ad un romanzo.

E’ questo il motivo che la muove a comparire in prima persona nelle sue narrazioni anche se il linguaggio che usa è generalmente di tipo sentenzioso, cioè conciso, lapidario, e spesso non procura la chiarezza voluta. Così avviene pure in Democracy , quarto romanzo della Didion. Lo pubblicò nel 1984 e nello stesso anno comparve in Italia per i tipi della casa editrice Frassinelli. Recentemente è stato pubblicato dalla E/O di Roma con la traduzione di Rossella Bernascone. Anche in Democracy accanto alla storia maggiore si svolge una minore che con essa si combina in un intrico che la scrittrice si propone di spiegare e per questo compie delle ricerche, rintraccia, interroga, come fa vedere nell’opera, i protagonisti o alcuni di essi. Solo alla fine, però, si saprà quanto è avvenuto nel Sud-Est asiatico durante quei famosi secondi anni ’60 e primi anni ’70 quando, mentre nel Vietnam si combatteva, mentre grossi interessi internazionali si confrontavano a spese di altre popolazioni e di altri territori, si svolgeva pure la vicenda amorosa tra l’affascinante Inez Victor, moglie del senatore americano e probabile candidato alla Casa Bianca Harry Victor, e Jack Lovett, uomo d’affari intento a trarre grossi guadagni da quanto stava allora succedendo in quella parte dell’Asia, dalla guerra che si stava combattendo, dai traffici ai quali era interessato. In questi luoghi, tra le zone direttamente coinvolte negli scontri armati e le altre circostanti comprese le infinite isole dell’Oceania con i loro cieli, i loro mari, le loro albe, i loro tramonti, le loro luci, i loro colori, nasce l’amore di Inez e di Jack. Tra i tanti familiari di lei, tra le loro tante case, i loro costumi, i loro discorsi, le loro serate, i loro lussi, i loro vizi, i loro sprechi, le loro vanità, le loro esibizioni, tra tutto quanto può rientrare nella vita di una ricca e potente famiglia americana e gli interessi, i calcoli, i guadagni di persone ad essa vicine che possono gestire i destini di intere popolazioni sottosviluppate, si svolge una vicenda intima, propria del sentimento. Nell’opera sono tante le situazioni, le presenze, tanti i luoghi, i tempi che difficile risulta il suo percorso. Tanto, tutto vuol dire la Didion di certi ambienti, di certa vita, di certi eventi, li vuole mostrare in ogni loro risvolto, vuole cogliere ogni pensiero, azione, parola di chi vi fa parte quasi stesse facendo una registrazione. Non si capisce, infatti, se la sua indagine serva a farle formulare un giudizio circa quanto mostrato, circa la clandestinità, il malcostume scoperti, oppure se voglia rimanere soltanto una registrazione. Non è mai chiaro cosa la Didion persegue tramite le ricerche che con i suoi romanzi si propone di fare nella vita, nella storia, non si capisce se vuole esprimere delle valutazioni, assegnare delle responsabilità, attribuire delle colpe, riconoscere dei meriti o soltanto soddisfare il suo bisogno di sapere, di conoscere quanti aspetti possono assumere quella vita, quella storia. Assente, distaccata rimane la scrittrice davanti a quel che scopre, l’importante sembra averlo scoperto, averne scritto. Come la sua Inez la Didion di questo romanzo assiste al crollo di ogni certezza, alla fine di ogni aspirazione, all’uccisione della sorella e del suo amico da parte del padre, alla morte improvvisa di Jack, alle drammatiche conseguenze della guerra, come lei rimane sola di fronte ad una vita simile, ad una storia simile senza far sapere cosa pensa.