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Z. Bauman, La scienza della libertà

Le Edizioni Erickson presentano il nuovo libro di Zygmunt Bauman
La scienza della libertà. A cosa serve la sociologia?

baumanZygmunt Bauman, La scienza della libertà. A cosa serve la sociologia?
Introduzione di Mauro Magatti, traduzione di Riccardo Mazzeo
Edizioni Erickson

 

Attraverso una serie di fluide e scorrevoli conversazioni con Michael Hviid Jacobsen e Keith Tester, svoltesi tra il gennaio 2012 e il marzo 2013, il famoso sociologo affronta una tematica quanto mai attuale: la crisi della sociologia.
Partendo dall’affermazione che oggi la sociologia viene considerata di poco valore e affrontata con estremo scetticismo Zygmunt Bauman ci consegna un libro che è una dichiarazione appassionata, militante e cruciale dell’utilità delle scienze sociali.

(…) se la sociologia vuole essere rilevante, è necessario che si apra alle persone e che cominci a pensare nuovamente come faceva quando io ero uno studente di sociologia: che siamo qui per raccogliere le evidenze e impegnarci in un dialogo continuo con l’esperienza e per cercare di aiutare le persone nella loro lotta contro la doppia piaga dell’ignoranza e dell’impotenza.

Zygmunt Bauman si fa portavoce di una sociologia che non si chiude nell’autoreferenzialità accademica e che non si dimentica di concepire l’essere umano, oggetto dei suoi studi, come un soggetto attivo, capace di compiere scelte autonome.

I sociologi, se vogliono essere all’altezza della propria missione, non devono limitarsi a condurre studi «oggettivi» e quantificabili come i fisici e i geologi, ma devono invece guardare al vissuto più intimo delle persone e, entrando in conversazione con loro, aiutarle a comprendere come le loro vicende umane vissute singolarmente si riflettano in contesti sociali più ampi e ne siano irrimediabilmente influenzate.

La sociologia può rendere la gente felice?
Può – se capire il mondo che plasmiamo per plasmare ta nostra condizione ci rende più felici di quanto lo saremmo nel caso contrario. Per contro, vi sono poche probabilità di essere felici nel chiudere gli occhi o nel volgere lo sguardo dall altra parte ed è una probabilità, quest’ultima, davvero effimera, come quella offerta dall’ubriachezza o dalle droghe – con un prezzo salato da pagare. Nella valuta della frustrazione, al momento in cui si smaltisce la sbornia.

Perché a questo serve, in fondo, la sociologia, ad aumentare la consapevolezza delle persone e, in tal modo, la loro libertà.

Scheda libro: http://bit.ly/LaScienzaDellaLiberta_Bauman

Zygmunt Bauman Uno dei più importanti e amati pensatori viventi del mondo, il sociologo polacco ha insegnato all’università di Leeds dagli anni Settanta e si è affermato dapprima come teorico della postmodernità e, dal Duemila, con i suoi scritti sulla modernità liquida. Fra i suoi ultimi libri, Conversazioni sull’educazione e Le sorgenti del male, Edizioni Erickson.

D. Cillo – F. Sansotta, Fare il dirigente scolastico

DIRIGERE COME

 di Maurizio Tiriticco

fare_dsDario Cillo ha voluto regalare ai suoi colleghi dirigenti scolastici un meraviglioso libello! Il diminutivo non intende togliere valore alla pubblicazione! Il fatto è che Dario è così avanti nelle nuove tecniche di lettura e scrittura, quali indotte dalle TIC, che riesce a dire… cose grandi con parole piccole! Con quante pubblicazioni ci siamo imbattuti recentemente sul dirigente scolastico, soprattutto in vista dei recenti concorsi? Volumi grossi così: anche perché chi scriveva doveva dire tutto di tutto, stante l’enciclopedismo dei programmi d’esame e delle competenze richieste alla nuova dirigenza: dalla cultura organizzativa alla puntuale conoscenza dell’amministrazione pubblica e della sempre più copiosa normativa relativa alla scuola. In effetti, non si doveva più formare un direttore didattico o un preside: altre professionalità per una scuola altra, non autonoma. Oggi un dirigente pubblico che operi in uno Stato rivisitato e corretto da un novellato Titolo V, in una scuola rivisitata e riformata da un regolamento sull’autonomia è tutt’un’altra cosa!

Per non dire poi del quotidiano lavoro concreto, o meglio delle molteplici mansioni che competono a un dirigente pubblico, responsabile di una scuola che, in quanto “autonoma”, deve darsi le “leggi” da sola! E non è un’esagerazione! Agire sul territorio, operando in una scuola a tempo pieno e a spazio aperto non è affatto cosa facile! Per queste ragioni il lavoro è tanto e si esplicita in più direzioni. Riassumere questa complessità in un libello – inteso nel suo etimo, ripeto – non è compito agevole, ma… Occorreva una lunga esperienza, di insegnamento, di direzione e di insegnamento a tanti neodirigenti. Per non dire, poi, della esperienza più che decennale alla direzione della prima rivista online tutta dedicata alla scuola: edscuola.it è sul web dal lontano 1996 e contiene tutto di tutto ciò che riguarda il funzionamento del “sistema educativo di istruzione e formazione”. Occorreva questo ricco insieme di conoscenze, abilità e competenze – per dirla con un’espressione oggi familiare – per produrre questo manuale – proprio nel senso di maneggevole – intitolato “Fare il dirigente scolastico”, edito da Uil Scuola e da Educazione & Scuola.

Lo vedo sulla scrivana di ogni dirigente, pronto ad essere aperto e consultato per ciascuno delle miriadi di problemi a cui un dirigente scolastico deve dare risposta minuto dopo minuto: e non è un’iperbole. In effetti si tratta di un manuale… quotidiano, nel senso letterale del termine: da aprirsi, cioè, giorno dopo giorno. Dario Cillo e Franco Sansotta, sindacalista dell’Uil-Scuola, noto ai lettori per una sua pregevole ricerca, “Dal Congresso di Vienna alla proclamazione del Regno d’Italia”, del 2011, l’anno del Centenario, hanno voluto seguire la via diaristica, o meglio del quotidiano lavoro a cui si trova di fronte il dirigente, dal primo all’ultimo giorno di scuola. Ciascuna operazione è sostenuta dall’adempimento normativo, primario o secondario che sia, per cui il dirigente è sempre confortato dalla legittimità dell’operazione che è tenuto ad eseguire.

Particolare importanza assume l’appendice, in cui sono richiamate e riportate tutte le funzioni che nella scuola autonoma competono non solo al dirigente scolastico, ma a tutte le altre componenti: il Dsga, il Consiglio di Istituto, la Giunta esecutiva, il Collegio dei docenti, i Consigli di classe. Dirigere una scuola in regime di autonomia non è cosa facile: le componenti che attendono a più funzioni sono numerose e il lavoro di coordinamento, direzione vigile e responsabile, autorevole e non autoritaria, non è affatto facile. So per esperienza che a volte la “paura di sbagliare” – anche perché l’insieme delle norme a volte costituisce una vera e propria selva selvaggia – finisce con il rallentare l’azione. Oggi, con l’agile manuale sempre pronto sulla scrivania questo rischio non si corre! E’ per tutte queste ragioni che questo libello dalla copertina azzurra – è il colore che simboleggia la riflessione e la produttiva capacità di comunicare con gli altri – avrà la fortuna che merita. E alla fine dell’anno scolastico ogni pagina avrà la sua orecchia! Ciascuna per ogni giorno di consultazione.

Ma i nostri dirigenti possono stare tranquilli! A settembre, a ogni inizio di anno scolastico, avremo una nuova edizione! Perché anno dopo anno le norme crescono, forse più di numero che di qualità: ma questo è un altro discorso. Comunque, un’edizione anno dopo anno la riterrei necessaria! E non so se chiudere con un punto esclamativo o un punto interrogativo! Dipende da Dario e da Franco! Un augurio e un impegno? Non so! Io e tutti i nostri dirigenti sono in attesa, settembre dopo settembre…

L. Levi, La notte dell’oblio

Degli Ebrei sempre sospesi…

di Antonio Stanca

fotoLia Levi ha ottantatré anni, vive a Roma dove è giunta nel 1938, quando aveva sette anni, con la famiglia di origine ebrea. Era nata a Pisa nel 1931. A Roma ha studiato, si è laureata, si è sposata, ha avuto figli, ha svolto la sua attività di giornalista, sceneggiatrice, scrittrice. Per molti anni ha diretto “Shalom”, la rivista mensile degli Ebrei di Roma che lei ha fondato. Al 1994, quando era sessantenne, risale l’inizio della sua produzione narrativa. L’ha continuata fino a tempi recenti scrivendo anche libri per ragazzi e ottenendo numerosi riconoscimenti. Del 2012  è uno degli ultimi romanzi, La notte dell’oblio, che nel 2013 è stato ristampato dalla casa editrice E/O di Roma nella serie Tascabili (pp. 193, € 9,00). Anche qui ritorna quella che è sempre stata la sua maniera di scrivere, cioè “il racconto della storia”. La Levi tende a dire, nella sua narrativa, di quanto è successo agli Ebrei presenti in Italia durante la prima metà del Novecento, delle tristi situazioni che hanno vissuto dopo le leggi razziali del 1938 che limitavano la loro vita in ogni aspetto e preparavano quella che sarebbe stata una vera persecuzione. Erano state anche le situazioni vissute da lei fin da bambina, dalla sua famiglia e spesso queste si possono intravedere nei romanzi, spesso una nota autobiografica è da essi contenuta. Non è rimasta, però, la sua narrativa un semplice riflesso della realtà, non si è limitata ad una funzione di trascrizione, di riporto di vicende accadute dal momento che le ha sempre mostrate percorse, animate da idealità, aspirazioni diverse. Ha sempre avviato un confronto la Levi tra quanto avveniva e quanto si sarebbe voluto che avvenisse, tra rassegnazione e speranza, necessità del corpo e voci dell’anima, urgenza della realtà e richiami dell’idea. E’ stata la rappresentazione di questo confronto e del disagio che procurava a chi lo soffriva a far superare al suo “racconto della storia” quei limiti che lo avrebbero fatto rimanere una semplice cronaca. Era il disagio sofferto dagli Ebrei, da gente che viveva lontano da quanto era suo, che doveva adattarsi a circostanze nuove e quello avrebbe mosso la scrittura della Levi, l’avrebbe trasformata in un’indagine continua di pensieri e sentimenti. In qualunque posto siano giunti gli Ebrei hanno mostrato di volersi ritrovare, riunire. Così potevano continuare a praticare i loro usi, i loro costumi, coltivare la loro fede, salvare le loro cose dall’esterno che le minacciava. Questa condizione sospesa tra sé e gli altri ha voluto rendere la scrittrice con la sua opera, di essa ha voluto fare il suo motivo ricorrente.

Anche ne La notte dell’oblio la Levi dice di una famiglia ebrea, i genitori, Giacomo ed Elsa, e due ragazze adolescenti, Milena e Dora, che vivono nella Roma fascista, che hanno sofferto le privazioni iniziate con le leggi razziali e che ora, durante la seconda guerra mondiale, sono fuggiti, si sono nascosti in una canonica non molto distante dalla città. Questa è occupata dai tedeschi che, considerandosi traditi dagli alleati italiani, commettono ogni genere di efferatezza. Giacomo ha un negozio a Roma e col commesso continua ad avere rapporti anche per ricevere da lui quanto gli spetta delle entrate del negozio perché necessario al mantenimento della famiglia. Si reca, quindi, di nascosto ogni mese nella città per avere dal commesso la sua parte dei guadagni ma una volta viene scoperto dai tedeschi, arrestato e deportato. Di lui non si saprà più niente, la famiglia perderà il negozio che diventerà proprietà del commesso. Si sospetterà di questi. Alcuni parenti vorrebbero fare delle indagini ma Elsa li ferma perché è convinta che in tal modo si creerebbe in casa un’atmosfera di misteri, sospetti, paure, rivelazioni e che questa sarebbe dannosa per la crescita e la formazione delle figlie. Rinuncia, quindi, e fa rinunciare gli altri ad ogni tipo d’inchiesta e affronta il disagio economico che ne è conseguito iniziando a lavorare da sarta. Continuerà a farlo quando, liberata Roma dalla forze alleate, tornerà con le figlie nella loro casa romana. Si farà conoscere Elsa per il suo lavoro, sarà apprezzata, la sua diventerà una sartoria nota e grazie ai guadagni le ragazze potranno studiare. Dopo le scuole superiori Milena, la più bella, la più sicura di sé, si sposerà, contro i voleri della madre, con un uomo d’età avanzata e di condizioni agiate. Dopo pochi anni, però, dopo la fiammata iniziale il matrimonio naufragherà né servirà a salvarlo la nascita di un figlio. Dora, più timida, più schiva, più remissiva, continuerà a studiare, completerà gli studi universitari, inizierà a svolgere qualche lavoro ed infine s’innamorerà di Fabrizio, un ragazzo molto semplice, molto spontaneo. Col tempo penseranno di sposarsi ma la scoperta che Fabrizio era figlio di quel lontano commesso che aveva fatto arrestare Giacomo sconvolgerà Dora, l’intera famiglia e lo stesso Fabrizio. Cesserà ogni pensiero relativo al matrimonio, ne deriverà una situazione sospesa, indefinita e così si concluderà l’opera.

Ancora una volta le vicende vissute da una famiglia ebrea e da quanti, congiunti ed altri, le erano vicini nell’Italia del primo Novecento erano state dalla Levi narrate con il suo linguaggio semplice, chiaro, molto scorrevole, ancora una volta le aspirazioni di alcuni Ebrei erano venute a confrontarsi con una realtà ben diversa, erano state da questa sopraffatte. Non sarebbero, tuttavia, cambiate, identiche sarebbero rimaste poiché rispetto a quella realtà erano più forti, venivano da lontano, erano di gente antica, l’avevano sempre distinta e non avrebbero accettato di modificarsi pur a costo di far rimanere eternamente sospeso chi le nutriva.

USR Puglia, Praticare l’Europa

PRATICARE L’EUROPA: LA DIMENSIONE DELL’INSEGNAMENTO DEL XXI SECOLO

di CARLO DE NITTI

praticareCon il volume Praticare l’Europa, pubblicato per i tipi delle “edizioni la meridiana”, l’Ufficio Scolastico Regionale per la Puglia avvia – come scrive, nella sua Prefazione, La comunicazione nella società della conoscenza. Il ruolo strategico della Scuola (pp. 7 – 10), il Direttore Generale, FRANCO INGLESE – “l’attivazione di un processo di informazione/ documentazione/diffusione/riflessione del <fare Scuola>, ma anche dell’<essere Scuola>, in un contesto che si riconduce geograficamente al territorio pugliese – di qui il titolo della collana Puglia@scuola -, ma che si propone di intercettare la dimensione europeistica e, ancora oltre, la dimensione internazionale del pensiero nel suo continuo evolversi” (p. 8).

Una finalità nobile ed un progetto giustamente ambizioso che sono “frutto di una riflessione, elaborata in questi anni, sulle possibilità di mettere in atto strategie e, unitamente, azioni che possano coniugare il bisogno di innovazione, quale prospettiva di sviluppo della società, della quale la Scuola è parte come elemento-motore, ma anche bisogno di riflessività sui processi di innovazione in atto” (pp. 7-8). Comunicare nella scuola del XXI secolo significa implementare le otto competenze chiave di base e trasversali così come definite nelle Raccomandazioni dell’Unione Europea  del 2006 nell’ambito del Lifelong e Lifewide Learning.

In questa prospettiva, l’Ufficio Scolastico Regionale per la Puglia ha dato alle stampe, curato da ROSSELLA DIANA, il volume Praticare l’Europa: esso è diviso in due parti (Il contesto e Le pratiche) e corredato da un’Appendice di documenti. Tematizza, a partire dall’Introduzione di ANNA CAMMALLERI, La Scuola laboratorio d’Europa. Un’analisi sulla scuola pugliese, la dimensione europea dell’insegnamento/apprendimento a partire dagli obiettivi fissati per Europa 2020 – “migliorare la qualità e l’efficacia dei sistemi di istruzione e formazione nell’UE, facilitare a tutti l’accesso ai sistemi di istruzione e formazione; aprire i sistemi d’istruzione e formazione al resto del mondo” (p. 12) – attraverso le pratiche della scuola di Puglia (cfr. pp. 14 – 21), “terra fertile nell’elaborazione di processi di coesione e solidarietà, terra disponibile alle idee nuove” (p. 13).

La Puglia si è sempre distinta positivamente nell’interazione con l’Europa, innovando contenuti e metodologie di lavoro, formando i docenti, ampliando l’offerta formativa ed implementando l’uso delle tecnologie: l’Europa ha modificato profondamente l’approccio delle scuole italiane alla progettualità e di quelle pugliesi in particolare.

E’ il modo migliore – argomenta DONATELLA AMATUCCI, nel suo contributo Internazionalizzazione: una sfida per la scuola italiana – per trasformare l’economia europea (ed italiana) e consentirle di uscire dalla crisi mediante strategie prioritarie per una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva (cfr. pp. 33 – 34), vincendo quattro sfide strategiche: l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita; la qualità dell’offerta formativa e la sua efficienza in termini di risultati; l’equità sociale e la cittadinanza attiva; l’innovazione e la creatività.

L’Europa dei cittadini non può non passare attraverso la scuola come luogo privilegiato di formazione alla crescita ed alla cittadinanza europea: l’UE deve essere vissuta dai cittadini come un luogo politico di riconoscimento e fruizione dei propri diritti. Sostiene ANTONIO PAPISCA: “Gli aggettivi <intelligente, sostenibile, inclusiva> imputati all’auspicata <crescita> assumono significato non retorico secondo questo modello olistico di riferimento che comporta, prima di tutto, che lo scopo finale della crescita economica non è né la competitività né la salute dei mercati, ma la piena realizzazione dell’essere umano in città inclusive e in un’Europa inclusiva” (p. 80).

Quella inclusività che è il punto di imputazione della nuova cittadinanza europea, così come postulata da LUCIANO CORRADINI, La dimensione europea dell’istruzione, nel contesto di Cittadinanza e Costituzione (pp. 97 – 116): “Le trasformazioni politiche e giuridiche interne ed internazionali dovrebbero essere pensate in prospettive di senso criticamente aperte, capaci di mobilitare intelligenze, affetti, volontà di convivenza e di superamento di ostacoli, nella consapevolezza dei valori personali, civili e  politici che sono in gioco” (p. 109).

E’ il senso profondo del <fare scuola>, oggi, in una dimensione europea: come non ripensare, leggendo questo passo, al significativo esergo – tratto dall’intervento di Karl Raymund Popper, Libertà e responsabilità dell’intellettuale – collocato in apertura della Prefazione del volume qui presentato? Una società nazionale del XXI secolo che ha l’Europa come orizzonte di riferimento non può non assumere come compito primario quello di “garantire una formazione completa ed adeguata a ciascun alunno […] all’interno di una cornice semantica che faccia dell’idea di cittadinanza  la chiave interpretativa ed esistenziale dell’intero esito formativo” (p. 129).

Da questa idea-forza prende abbrivo il contributo di ROSSELLA DIANA, “Fare scuola” in dimensione europea (pp. 129 – 146) che chiarisce il suo pensiero in appresso: “<Educare alla cittadinanza> significa, infatti, formare un cittadino consapevole, capace di comprendere la realtà e di esprimere in libertà il proprio pensiero, animato sia dalla capacità di rispettare le regole sociali che da una tensione  a costruire nuove forme di convivenza civile, attraverso l’affermazione di  quei principi democratici basati sui valori della giustizia pace e legalità” (p. 129).

Il luogo specifico in cui, nelle singole scuole, in tutte, si può/deve progettare la propria dimensione europea è il Piano dell’Offerta Formativa, “il documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche” che “esplicita la progettazione curricolare, extracurricolare, educativa ed organizzativa che le singole scuole adottano nell’ambito della loro autonomia”. Ottimi paiono i suggerimenti  per un metodo di lavoro con caratteristiche che consentano di mettere capo ad un P.O.F. ‘a dimensione europea’ (cfr. pp. 139 – 140): interdisciplinarità; orientamento al valore; pensiero critico e problem solving; approccio multi metodologico; tecnica euristica concordata; decisionalità partecipata; rapporto global/local.

All’interno del quadro concettuale qui solo sommariamente delineato – né poteva essere diversamente a causa della tirannide dello spazio – si situano le ottime “pratiche” che l’Ufficio Scolastico Regionale per la Puglia e le scuole autonome hanno progettato, realizzato ed ancora implementano: l’esperienza di un Comenius Regio (pp. 149 – 153); l’e-Twinning (p. 155 – 167); il progetto Europapuglia.it (pp. 169 – 177); il Parlement Européen des Jeunes (pp. 179 – 184); il progetto FELJEU, acronimo di Festival Européen du Livre et de la Lecture Jeunes (pp. 185 – 189); l’utilizzo dei Fondi Strutturali Europei (pp. 191 – 201); i Fondi Europei per l’Integrazione (pp. 203 – 212); la certificazione linguistica  (pp. 213 – 218); l’inclusione dei diversamente abili (pp. 219 – 226); il Piano per l’Europa dell’istruzione dell’USR per la Puglia (pp. 235 – 238).

Per chi scrive, pensare a questa progettualità così seria, competente, articolata, mirata su obiettivi specifici che consentano alla scuola pugliese di crescere migliorandosi significa riflettere sul presente di una scuola che lavora alacremente cercando di incidere sulle realtà culturali, affettive, sociali ed economiche in cui opera e di consegnare ai giovani un’idea fondamentale: “Il futuro è decisamente aperto. Esso dipende da noi, da tutti noi. Dipende da quello che noi e molte altre persone facciamo e faremo; oggi e domani” (K. R. POPPER, p. 7).

R. Anglisani e M. Maglietta, Giungla

Giungla di Roberto Anglisani e Maria Maglietta

di Mario Coviello

giunglaLa solidarietà e l’indifferenza, l’amicizia e la generosità, il coraggio ma anche, e soprattutto, lo sfruttamento minorile, i pregiudizi, la discriminazione di fronte ai diritti dell’uomo e a quelli dei bambini sono il perno attorno al quale gira  ‘Giungla’ il libro di Roberto Anglisani e Maria Maglietta edito da Rizzoli  che i ragazzi delle scuole medie di Bella, Rionero, Barile, San Fele e Potenza hanno letto nella seconda fase del Torneo di lettura di undici scuole in rete della provincia di Potenza che si conclude con le finali il 10 e 14 aprile 2014. Oltre 300 alunni, guidati da insegnanti appassionati si sono preparati a rispondere a domande, cruciverba, completamenti su Giungla.

Liberamente ispirato a ‘Il libro della giungla’ di Kipling, nel libro la giungla è la Stazione Centrale di Milano e Sherekhan è il trafficante di bambini dal lungo cappotto in finta pelliccia tigrata attorno a cui si muovono otto, forse dieci ragazzini stranieri di diverse età, invisibili nella folla dei pendolari che tornano a casa dal lavoro.

Uno di quei ragazzini, Muli,che viene dall’Est, scappa nei sotterranei della stazione perché non vuole più essere costretto, a suon di botte, a rubare. Con questa fuga si apre la coinvolgente narrazione di una ‘giungla di città’ dove si muove un’umanità con regole diverse di vita, a volte ridotta in condizioni bestiali, e dove spesso il principio assoluto è la legge del più forte, i valori formulati in base al proprio tornaconto.

È in questo contesto ‘selvaggio’ che Muli incontrerà tanti personaggi, i cui nomi ricordano quelli scelti da Kipling, da Baloon il barbone a Bagheera, e con questi veri amici partirà per compiere la sua missione: distruggere Sherekhan e cercare di liberare i suoi amici.

giunglaRoberto Anglisani riesce a coinvolgere  e a trasmettere  emozioni  con  un racconto che non lascia indifferenti e che si muove con impatto e forza come se fosse un film d’avventura.

“ Ridere o piangere,questo è il dilemma. Amleto aveva ragione.” Ecco come descrive le sue emozioni Luca un giovane lettore: “ Nel libro  GIUNGLA di Roberto Anglisani è difficile capire che emozioni ti stanno passando per la testa. A volte sei felice perché Muli, il bambino protagonista ha finalmente trovato dimora presso Bageera, una donnona nera dalle lunghe treccine e dall’aspetto burbero; successivamente hai il groppo alla gola perché Muli ha molta nostalgia di Nina , una bambina che era come lui sotto la schiavitù della malvagia tigre (Sherekhan) e del suo losco tirapiedi Tabacco. Muli ha così tanta nostalgia e soprattutto senso di colpa per aver abbandonato Nina sotto le grinfie di Sherekhan che decide insieme a Baloo, un barbone che dopo la sua fuga da Sherekhan lo ha ospitato nella sua baracca, di andare a salvare lei e tutti gli altri bambini prigionieri. “

Quest’opera commuove anche gli alunni più …duri diciamo così per la sua semplicità e chiarezza. I giovani lettori hanno sofferto con questi bambini abbandonati o dimenticati che a volte noi  dimentichiamo o almeno FINGIAMO di dimenticare.

E Roberta, un’altra giovane lettrice aggiunge “Anglisani ci ha voluto comunicare questo.  Viviamo nelle nostre città con mille e più impegni e vicino al portico di casa nostra c’è un bambino che chiede l’elemosina, noi ci passiamo davanti e non lo guardiamo neanche. Per questo mi viene da pensare che noi siamo ciechi.

Quando ragioniamo sulla povertà ci viene da pensare all’Africa o all’Ucraina e dentro di noi pensiamo “Se potessi fare qualcosa per loro lo farei sicuramente’’. Poi usciamo e ignoriamo quei bambini cenciosi che sono appoggiati ai muri del centro a cento metri da te e chiedono un tozzo di pane che poi servirà a sfamare venti e più persone. Noi li ignoriamo. In fondo abbiamo dato i nostri 50 centesimi alla settimana per quei bambini in Africa, la nostra buona azione l’abbiamo già fatta.”

Roberto Anglisani e Maria Maglietta sono attori, registi, autori di testi teatrali. Il loro sodalizio artistico, iniziato nel 1983, ha sempre coltivato un vivo interesse per il mondo dell’infanzia e ha portato alla creazione di spettacoli per ragazzi e giovani amati dal pubblico e più volte premiati dalla critica. Piccoli Angeli (Premio Stregatto 1993), Bambine (Premio Stregatto 1997) e Nemici per la pelle sono tuttora portati in scena in diversi Paesi europei. Il romanzo “ Giungla” nasce dall’omonimo spettacolo teatrale vincitore del Premio Enriquez 2011 e viene rappresentato con grande successo da Roberto Anglisani in Italia e all’estero.

A. Pellai, Il tesoro di Risolina

Alberto Pellai, Il tesoro di Risolina. Una storia sul valore della diversità,
Edizioni Centro Studi Erickson

pellaiAttraverso una favola semplice e efficace Alberto Pellai affronta il difficile tema della diversità, spesso causa di malesseri e incomprensioni anche tra i bambini. Il tesoro di Risolina. Una storia sul valore della diversità, dimostra tramite parole e immagini colorate come ciò che ci rende diversi è anche ciò che ci rende unici e speciali.
Risolina è una bambina molto particolare, a causa di uno strambo incantesimo, infatti, è nata con i capelli fatti di seta e chicchi di riso.
La stramberia le costa spesso isolamento e esclusione, prese in giro da parte dei coetanei e tristezza. I suoi genitori sono molto preoccupati, ma un giorno i suoi chicchi di riso serviranno a salvare tutto il paese…
Una storia che va al di là delle apparenze e spiega attraverso la narrazione temi difficili come l’integrazione e la prevenzione del bullismo.
Al libro è allegato un CD audio con la favola e alcuni suggerimenti educativi.
Bisognava proprio dirlo: a casa di Risolina tutti, alla mattina, indossavano la maschera della finta felicità. Risolina faceva finta di essere felice perché così i suoi genitori non si accorgevano che lei era triste nel vederli così preoccupati a causa sua. Mamma Rosa e Papà Pietro fingevano di essere felici, però dentro di loro erano molto tristi per quella loro bambina, tenuta a distanza da tutti, e per giunta, senza un amico che volesse giocare con lei.

Scheda libro: http://bit.ly/Iltesoro-diRisolina

Alberto Pellai Medico e ricercatore presso la facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Milano, si occupa di prevenzione in età evolutiva. Conduce corsi di formazione per genitori e docenti, e nel 2004 ha ricevuto dal Ministero della Salute la medaglia d’argento al merito della sanità pubblica. Collabora con Radio 24 e ha pubblicato con le Edizioni Erickson molti volumi, tra cui Così sei nato tu (2014), Il domatore del vento e Il diario di Miss…Ione con Barbara Tamborini.

L. Berlinguer e C. Guetti, Ri-creazione, una scuola di qualità per tutti e per ciascuno

Un libro, una speranza, una certezza

 di Maurizio Tiriticco

berlinguerOggi è stato un bellissimo pomeriggio! Ci siamo ritrovati in tanti alla presentazione del libro che Luigi Berlinguer ha scritto con Carla Guetti per i tipi di Liguori, intitolato Ri-creazione, una scuola di qualità per tutti e per ciascuno. Un libro in cui a un’analisi attenta si legano tanti suggerimenti per rinnovare il nostro “sistema educativo di istruzione e formazione” e indurre nuove speranze!

Dopo oltre dieci anni in cui insensati ministri hanno fatto a gara per gettare all’aria tutto ciò che abbiamo costruito nella seconda metà dello scorso secolo, con grande fatica e con tante sensate esperienze! Un percorso fatto di continue e significative riforme: l’innalzamento dell’obbligo di istruzione nel ’62; l’avvio del tempo pieno (legge 820/71); la legge 577 del 77; la legge quadro 845/78 in materia di formazione professionale; i nuovi programmi della scuola media del ’79; la riforma della scuola elementare (leggi 104/85 e 148/1990); i nuovi orientamenti per la scuola dell’infanzia del ’91; il Progetto 92 per l’istruzione professionale; tutte le sperimentazioni assistite dell’istruzione tecnica; i Programmi Brocca; la riforma dell’esame di maturità del ’97; il dpr 275/99 sull’autonomia delle istituzioni scolastiche!

E poi? E poi il declino, lento e inesorabile a partire dall’abrogazione della legge 9/99 (obbligo di istruzione) e 30/2000 (riordino dei cicli) operata dal ministro Moratti! Con Berlinguer abbiamo anche rinnovato il Cede e abbiamo cominciato a gettare le basi per dar vita a un sistema di valutazione del sistema di istruzione! Ma poi? Con l’Invalsi si è cominciato pretendere di valutare una scuola che giorno dopo giorno da 14 anni a questa parte viene solamente “tagliata”, umiliata e offesa! Quattordici anni di declino! Inarrestabile? E’ questo che si vuole valutare? Speriamo di no! Prima restituiamo alla scuola la sua dignità a la sua forza, poi valutiamola!

Ma ciò che più mi preoccupa è la perdita della memoria, da parte di tanti cittadini e di molti operatori scolastici, rispetto a quanto abbiamo fatto e a quanto abbiamo innovato. Tutto per dare corpo a quegli impegni che abbiamo sottoscritto nella Costituzione, agli articoli 2 e 3: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Il libro di Berlinguer ci aiuta a riflettere e ci dà indicazioni per operare, e non solo a chi la scuola la fa, ma soprattutto a chi la governa!

M. Veladiano, Parole di scuola

veladianoMariapia Veladiano, Parole di scuola, Edizioni Erickson 2014

Mariapia Veladiano conosce bene il mondo della scuola, ha insegnato lettere per oltre vent’anni, e successivamente è diventata preside. Conosce i ragazzi, le difficoltà e i successi. Conosce i professori le loro frustrazioni ma anche i loro sogni. Parole di scuola, Edizioni Erickson 2014, è un concentrato di consapevolezza, suoni e, appunto, parole.
Pur sottolineando il lato critico della scuola, quello che sta perdendo fiducia, che fatica ad avanzare giorno dopo giorno, Mariapia Veladiano cerca di donare un messaggio di speranza, e sottolinea l’importanza di capire le parole giuste per capire sé stessi, gli altri, il mondo. La vita.
Ma i libri a scuola bisogna bene che i ragazzi li possano trovare. Bisogna disseminare la loro strada di libri belli. Perché anche lo studente più riluttante possa trovare quello che lo fa innamorare. Non si può immaginare un modo diverso perché questo capiti se non quello di farli incontrare: esporre gli studenti al libro e alla lettura.
Partendo dall’insegnante apparentemente perfetto, Albus Silente di Harry Potter, l’autrice dona alle parole il potere di descrivere il mondo scolastico, le paure di insegnanti e alunni, aspettative e sogni, con l’augurio che l’entusiasmo non venga mai meno, anzi si arricchisca sempre di novità e vinca tutte le sfide del momento.
La letteratura ci ha consegnato in mille forme la paura dello studente: di essere emarginato, di un maestro severo, di compagni gagliardamente crudeli secondo l’età, di non capire, di restare indietro, fuori.
Oggi la paura è anche dell’insegnante. E la paura è una pessima compagna di strada. C’è uno schiacciamento della nostra esistenza quotidiana sulla paura.

Scheda libro: http://bit.ly/ParoleDiScuola_Veladiano

Mariapia Veladiano Laureata in filosofia e teologia, ha felicemente insegnato lettere per più di vent’anni e ora è preside a Rovereto. Collabora con «Repubblica», «Avvenire» e con la rivista «Il Regno». Nel 2010 il suo primo romanzo, La vita accanto, vince il Premio Calvino e l’anno dopo arriva secondo al Premio Strega; seguono Il tempo è un dio breve (2012), Messaggi da lontano (2012) e Ma come tu resisti, vita (2013).

J. Richter, Io sono soltanto un cane

“Io sono soltanto un cane” di Jutta Richter

di Mario Coviello

richter1La casa editrice Beisler si presenta così : “Pubblichiamo i libri che vorremmo leggere se fossimo bambini o adolescenti. Pensiamo che i ragazzi e le ragazze siano una meravigliosa, unica, enorme risorsa. Conoscerli non è facile, educarli è difficile ma un buon libro di sicuro aiuta. L’importante è che dentro ci sia almeno una passione.”

Le scuole primarie in rete della provincia di Potenza di Bella, Rionero, Barile, San Fele e Muro Lucano per la  finale della settima edizione del Torneo di lettura  che si terrà nella palestra dell’istituto Comprensivo di Bella giovedì 20 marzo dalle 9,30, hanno scelto di questa casa editrice  “ Io sono soltanto un cane” di Jutta Richter

Ti sei mai chiesto come i cani potrebbero vedere il mondo? Adesso te lo spiegherà Anton, il cane pastore che viene da molto lontano. Friedbert, Emily e la loro bambina sono la sua nuova famiglia. E una famiglia vuol dire tanto per chi ha conosciuto le gigantesche steppe dell’Ungheria…

Anton è un cane felice, ma guai a credere che se ne stia a guardare! Lui pensa e parla e, soprattutto, è un attento osservatore degli esseri umani. Che strani che sono, medita fra sé, camminano su due zampe, hanno la lingua corta, il pensiero lento e credono che noi cani non sappiamo ridere! Nessuno sfugge allo sguardo attento di Anton. Eh già, perché i cani parlanti la sanno davvero lunga e dicono sempre la verità. E con un po’ di fortuna gli umani non capiranno mai da quale lato del guinzaglio passeggiano!

richter2Dalla penna della celebre autrice per ragazzi tedesca Jutta Richter, un racconto tenero e brioso che ha come protagonista – e come narratore in prima persona – un simpaticissimo, e un po’ incompreso, amico a quattro zampe.

Un punto di vista canino al cento per cento, che evidenzia pregi, difetti e assurdità di questa strana razza umana con la quale gli animali domestici devono fare i conti. E quanta fatica, nonostante gli sforzi di entrambi, per costruire una relazione positiva e, soprattutto, per comunicare senza fraintendimenti, anche quando la buona fede e l’ottima volontà da entrambe le parti è indiscussa!

La storia che ci viene raccontata trae spunto da una vicenda reale, e cioè dal salvataggio e conseguente adozione da parte di una famiglia tedesca – padre, madre e figlioletta – di Anton, cane pastore ungherese.

Per farsi carico di un animale ci vuole senza dubbio tanto amore e la disponibilità a fornire le cure e le attenzioni necessarie. E sicuramente i nuovi padroni di Anton non difettano in nessuno dei due aspetti, seppure l’uomo di casa appaia un po’ burbero e non comprenda appieno le intenzioni del cane e la signora tenda a prendersela un po’ troppo per qualche scarpa rosicchiata e una manciata di stoviglie andate in frantumi.

Ma non importa: ad allietare le giornate di Anton ci pensa Lili, la piccola di casa. La sintonia tra cane e bambina è immediata, la comunicazione tra i due – tutta affettiva e di gioco – è spontanea e proficua, la comprensione assoluta, anche senza l’uso delle parole.

L’amore della bimba fa sì che il nostro protagonista a quattro zampe non avverta troppo la mancanza della sua terra, l’Ungheria delle pianure steppose e sconfinate, delle mandrie di pecore racka e di manzi grigi, che tanto ricorre nelle pagine e nei ricordi del cane.
E che, come sottolinea alla fine di ogni capitolo, non possa lamentarsi della sua nuova vita.

Anton è un irresistibile miscuglio di istinto e tenerezza, di nostalgia per la sua terra – intesa come luogo di libertà, dove un cane può seguire i diktat biologici della sua specie senza le sovrastrutture dell’educazione necessaria per convivere con gli umani – e di desiderio di essere benvoluto dai nuovi padroni, di difficoltà a rinunciare alle sue propensioni naturali e di curiosità per un mondo nuovo e diverso, dove i codici sembrano essere capovolti rispetto a quelli noti.

Anton è sempre in buona fede, positivo, sempre animato dalle migliori intenzioni e le sue motivazioni, non c’è dubbio, non fanno una piega: lui risponde ai principi nobili che da secoli hanno guidato la sua specie e che l’hanno resa eroica nel compito assegnatole: difendere gli animali più deboli dai predatori.
Ma nella terra cittadina le regole cambiano e si fa fatica a comprenderle.
E così si combinano una serie di guai, che divertono e inteneriscono il lettore. Piccoli peccati che però comportano sempre un po’ di frustrazione e, insieme, la necessità che cane e padroni si mettano in discussione.

Qui risiede il bello del libro: pur se la storia è narrata da Anton, rappresenta, in un certo senso, il racconto della costruzione di una relazione tra diversi che si incontrano.
Assieme al cane cambiano un po’ anche tutti i componenti della famiglia, come accade sempre quando un nuovo membro entra in una comunità, umano o quattro-zampe che sia.

“Io sono soltanto un cane” – in Italia edito da Beisler – è una lettura divertente e lieve, che tanto profondamente e opportunamente parla dei nostri amici animali.

Generosi, disposti ad amarci, affettuosi, volenterosi, pasticcioni, a volte testardi…chi di noi ha un cane in casa non faticherà a ritrovarlo in Anton, e ancor più si affezionerà all’uno e all’altro.
Come anche faranno i bambini, solitamente più istintivi e vicini agli animali, che potranno immedesimarsi sia nel peloso protagonista e nelle sue buffe disavventure, sia nella piccola amica di Anton, la bimba speciale capace di ridere insieme al cane e a capire i suoi racconti, seppure non verbalizzati.

La penna di Jutta Richter è, come al solito, esemplare. Appropriata, delicata, poetica, una carezza in una prosa che ha anche la musicalità perfetta per la lettura ad alta voce.
Credo che con questo libro – rinunciando a contenuti più filosofici ed esistenziali e abbandonandosi alla leggerezza e al brio di una storia vivace – possa guadagnare un consenso più ampio, facendosi apprezzare anche da quei piccoli lettori meno abili e un po’ più scanzonati.

D’altra parte solo una grande autrice è in grado di passare così appropriatamente dall’animo umano a quello degli animali, sapendo scavare ottimamente in entrambi. E questo a Jutta va proprio riconosciuto.

Da segnalare che le pagine sono inframmezzate dalle belle illustrazioni in carboncino di Hildegard Muller, espressive ed efficaci nella loro essenzialità.

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A. Lakhous, Divorzio all’islamica a viale Marconi

L’Italia dei nuovi stranieri

di Antonio Stanca

lakhousDi recente è comparsa, nella serie Tascabili della casa editrice E/O di Roma, la seconda ristampa del romanzo Divorzio all’islamica a viale Marconi (pp. 186, € 9,00) dello scrittore algerino Amara Lakhous. L’opera è stata scritta nel 2010 quando l’autore aveva quarant’anni ed è la sua terza prova narrativa dopo Le cimici e il pirata e Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio.

Lakhous è nato ad Algeri nel 1970, fin da bambino si è cimentato, a scuola, nell’apprendimento dell’arabo classico e del francese, per le strade ha imparato l’arabo algerino, ha letto molti autori stranieri. Ad Algeri si è laureato in Filosofia e dopo ha cominciato a lavorare presso la radio. Nel 1995 è venuto a Roma, ha appreso pure la lingua italiana e presso l’Università La Sapienza ha conseguito una seconda laurea in Antropologia culturale e compiuto un Dottorato di ricerca riguardo alla situazione degli immigrati arabi musulmani in Italia. In Italia ha svolto attività di mediatore culturale, interprete e traduttore, dal 2003 al 2006 è stato giornalista presso l’agenzia di stampa Adnkronos International di Roma. Molte lingue e molti interessi ha coltivato Lakhous se si pensa che nel suddetto periodo di tempo ha pubblicato pure i suoi due primi romanzi e che il secondo ha avuto importanti riconoscimenti oltre ad una riduzione cinematografica. Lakhous, che ora a quarantatrè anni vive e lavora a Torino, è ormai un autore noto, una figura importante nell’ambito dei rapporti che in Italia si verificano con gli immigrati arabi, dei problemi che comportano, delle soluzioni che si cercano. Egli è ancora impegnato quale mediatore culturale, interprete e traduttore. Da questa attività sono derivate le altre di giornalista e scrittore. A delle semplici cronache assomigliano le sue narrazioni, registrazioni sono di vicende veramente accadute, di situazioni veramente vissute in luoghi dove si sono trovate a vivere persone di diversa provenienza, cultura, lingua, religione. Importante è per lo scrittore dire la verità, rendere l’opera un documento di vita, mostrare come sia capace di farsi da sola, come per essa sia sufficiente riportare i pensieri, le azioni, le parole, le voci dei protagonisti, la visione di quanto fanno, l’espressione di quanto dicono.  E’ tanto importante per Lakhous scrittore essere vero che molto ridotta è la sua presenza nell’opera. Lascia che la facciano gli altri quasi non volesse correre il rischio di modificare, alterare quel che realmente accade nella loro vita, nella loro storia. Vite quotidiane, storie di persone comuni sono generalmente le sue, realtà, fantasie che si succedono uguali da tempo, aspirazioni, sogni sempre e inutilmente coltivati. Di queste vite, di queste realtà fanno parte nell’Italia narrata da Lakhous anche quelle degli immigrati e di esse soprattutto egli vuol dire per la sua condizione di immigrato e per il suo bisogno di verità. Pertanto anche in Divorzio all’islamica a viale Marconi lo scrittore fa assistere a quanto realmente avviene in una nota strada di Roma, a quanta vita vi si verifica, a come si sono trovati in quel viale molti immigrati musulmani, ai rapporti che corrono tra loro e con la gente del posto, all’importanza che col tempo ha assunto il locale pubblico “Little Cairo” gestito da un immigrato egiziano poligamo e divenuto luogo d’incontro, d’intrattenimento, sede di bar, di cabine telefoniche, di canali televisivi collegati esclusivamente con i paesi islamici, posto tanto frequentato da curiosi e pettegoli da poter dire ormai che niente succede in una casa, in una famiglia, ad una persona di viale Marconi che non si sappia subito e da tutti i suoi abitanti. Ci sono altri locali pubblici, c’è una biblioteca in viale Marconi, ma in nessun posto come al “Little Cairo” avviene, si muove tanta vita. Qui nel 2005 giunge dalla Sicilia il giovane agente di polizia Christian Mazzari spacciandosi per un tunisino di nome Issa che è alla ricerca di una casa e di un lavoro. In verità egli è stato incaricato dai servizi segreti italiani di scoprire il gruppo di immigrati musulmani che sta preparando un pericoloso attentato nella zona di viale Marconi e deve farlo infiltrandosi tra essi sotto falso nome. Deve sventare un grave pericolo e la sua voce, nel libro, si alternerà con quella di Sofia, giovane egiziana immigrata, come il marito Felice, che lavora in pizzeria. Issa e Sofia saranno i titoli dei capitoli dell’opera, saranno i personaggi che parleranno, i testimoni che Lakhous ha voluto investire del compito di riferire quanto succede in quella strada, in quel periodo. I due s’innamoreranno e arriveranno al punto di sposarsi perché lei verrà ripudiata dal marito per la terza volta e per potersi ricongiungere con lui deve, secondo la legge islamica, sposare un musulmano e consumare il matrimonio. Felice sarebbe contento se si sposasse con Issa per poi riaverla ma in verità Issa è un falso musulmano e non può dirlo. Sofia, da parte sua, vorrebbe sposarlo e rimanere sua moglie per sempre dal momento che lo ama più di Felice. La situazione si complicherà, diventerà comica e l’opera si concluderà lasciandola sospesa e spiegando, invece, che l’operazione segreta della quale il falso Issa era stato incaricato era soltanto una prova alla quale gli organi superiori di polizia avevano voluto sottoporre lui, semplice agente, per saggiare le sue qualità. Aveva superato la prova e si era reso degno di una promozione. Intanto dalla sua voce e da quella di Sofia si è saputo, nel corso del libro, tanto, molto della vita, della storia, dei costumi dei paesi musulmani, dei problemi sofferti dagli immigrati. Issa ha parlato riportando quanto visto, ascoltato nel periodo vissuto a Roma come falso tunisino, Sofia è stata più autentica essendo una vera immigrata.

Stavolta è stato particolare il modo usato dallo scrittore per far sapere quanto per  tanto tempo è avvenuto e ancora avviene in territori rimasti lontani dalle conoscenze diffuse. Di essi Lakhous vuol dire con i suoi libri, di quell’umanità, di quella vita che si sono verificate all’insaputa di tutti e che ora soffrono i problemi del confronto con altre vite.

Un immigrato è Lakhous che vuole parlare di immigrati, della loro storia, delle difficoltà a loro derivate dai nuovi posti cercati. Sono state la storia, le difficoltà sue, della sua e di altre genti e sono diventate i motivi delle sue opere.

Christian Petzold, La scelta di Barbara

Commento al film “LA SCELTA DI BARBARA” : nota essenziale di Gianfranco Purpi –

…Quest’opera di vero cinema epocale ,…da tesoreggiare assolutamente,…è denotato da questa Locandina:
DATA USCITA: 14 marzo 2013
GENERE: Drammatico
ANNO: 2012
REGIA: Christian Petzold
SCENEGGIATURA: Christian Petzold
ATTORI: Nina Hoss , Ronald Zehrfeld, Rainer Bock,,Claudia Geisler, Peter Weiss, Rosa Enskat.

…”La scelta di Barbara” (…già,Vincitore dell’Orso d’Argento per la migliore regia al sessantaduesimo Festival di Berlino!) …è ,così,…un Film di vento dialetticamente “ricompositivo” …e di sapore epocale quasi mistico,…che dona una voglia impensabile e di sollecitante identificazione a…”scegliere” la Vita Vera cristianamente fondata e laicisticamente ricercata,…anche mettendo in discusssione e superando dialetticamente le genetiche mistificate e feticisticamente avvelenate proprie concezioni originarie del mondo, della vita,dell’etica e dell’amore” ;…ciò,…allorchè il disincanto e la riappropriazione dell’autenticità culturalizzante dell’essenza esistenziale personalistica …porta ciascun soggetto… a comprendere i veri fini del Vivere solidaristico psico/sociale e del Primato dell’Intimismo Privatistico Virtuoso …attraverso la logica dell’Essere Amorevolmente patriarcale …e non in forza alienante dell’Opulenza di ogni Avere da occulta strisciante Falsa Coscienza…
…Con la forza e il miracolo della Luce Divina/Antropologica e della Paideia Storica di Jesus…come quando ogni Messìa della nostra esistenzialità riusciva e riuscirà a farci guarire dalla “cecità” metaforica verso i valori universali dell’Umano e della Polis…

…”La scelta di Barbara”… è ,davvero,uno di quei rari film in cui la forma e il contenuto arrivano a coincidere, servendo un unico scopo. Spieghiamo il perché:
Arrivato al suo sesto lungometraggio, Chistian Petzold è riuscito a raccontare, attraverso uno stile sobrio ed ermenuticamente da tesoreggiare,  …ai limiti dell’anaffettività e con l’aiuto del montaggio e dei dialoghi di essenziale carattere descrittivo e sobrio, …prospetta ed espressivizza ,…con discrezione di dialoghi e personaggi,…uno dei contesti storico-politici più complessi e focalizzanti della seconda metà del secolo scorso: la Germania dell’Est prima della caduta del Muro di Berlino…
…Altri Registi e Cineasti prima di lui …si erano cimentati in una simile ideazione e progettualità cinematografica,… ma lo sguardo di questo regista (…che ha studiato anche teatro e letteratura!)… è davvero particolare e inusitata,…dall’ermeneutica sempre interdisciplinare e problemicamente storico/esistenziale,…e,per certi versi, trascendentalmente metastorica e metaculturale!
…Lo stile e la poetica narrativa del suo cinema, …di mostrare le atmosfere e le aberrazioni della DDR (prima fra tutte la violenza illibertaria e la repressiva istituzionalità di una Società Civile sempre in preda alla cruda insensibile Dittatura pseudo/Politica …e denotata dall’impossibilità delle masse di esercitare il “libero arbitrio”  criticistico)… è infatti completamente diversa dalla strada percorsa da Florian Henckel von Donnersmarck nel Film miliare : “Le vite degli altri ” ,…o da Wolfgang Becker nel film straordinariamente creativo : “Good Bye Lenin” ,… che avevano puntato su un’estetica fatta di luci livide e di cieli plumbei con azzurri di cielo speranzosi ed a macchia di leopardo personalistico ed esistenzialistico in prospettiva di possibilistica evoluzione storicistica!

Per Petzold invece,… che sceglie le metafore generative e antropologiche entro una natura dominata dal vento e dai boschi fruscianti …e quasi arcana… ed immanente nel cuore di  una provincia dai toni caratterialmente caldi (… compreso il grigiore della fotografia geostorica e la claustrofobia psicoemozionale e pulsionalmente surreali …quasiinvisibili …e latenti  …delle anime angosciate epperò sempre laconicamente dignitanti ogni loro tribolazione a muso duro dell’anima secretata!),…sono invece degli stati d’animo, dei dati oggettivi emotivo/affettivi ed epistemici …che vengono progessivamente interiorizzati da tutti i suoi personaggi di questo film, … a cominciare da Barbara… protagonista femminile della storia…
… Donna sensibilmente austera e dubbiosamente sospettosa, …la sua Barbara altro non è che la metafora di un paese che ha scelto da tempo di sopravvivere e non di vivere ,…e che si lascia vivere ,per l’appunto,…come un riccio o uno scoiattolo spaventati da un temporale con fulminanti emozioni e con turbolenze dialettiche della Ragionevolezza Etica …ed Esteticamente …dalla Poesia di una vita romantica sovversiva autenticante,…che stanno con sensibilità istintuali e parapsicologiche in un angolo di bosco,…con le orecchie basse ad aspettare che fischio sibilante del Vento sublime …risulti metaforicamente il Messìa di una Nuova Società e di un’Antropologia civica e sentimentale …a misura di integralità dei Valori olistici di Persona Cristologica…e di Logos Fertile libertario da cielo azzurro friulano!

…La vera rivoluzione, in tempi di ordini e regole da burocratismo verticistico e di “Centralismo Democratico Sovietico” azzerante i valori di personalismo laico/laicistico e cristianizzante, … si intravede nella voglia latente che il cielo sereno arrivi davvero con la speranza che questi aquiloni immanenti siano sempre secretati nell’anima e nel cuore!
…Ed è questa ricerca e sempre tenace “apertura alla luce” dell’Umanesimo integrale personalistico e criticistico… che rende questo film un’opera preziosa e,tra l’altro,assolutamente paidetica…
…Certo ,… quest’opera rivela con molta sensibilità e realismo storiografico …che questo pellegrinaggio ha imposto e propinato necessitaristicamente ,…nell’esistenza e nella realtà dei tempi umanizzati descritti e umanisticamente sceneggiati,…un cammino lento, graduale, …un difficoltoso viaggio verso il recupero della propria dignità attraverso i vissuti radicali e coraggiosamente tenaci del lavoro non diviso e …dell’amore giammai regolato o soffocato dalla statualizzazione e dalla feticizzazione dei sentimenti più intimi!
…E’ soprattutto questo profilo sublime e incantevolmente espressivo senza ciarlataneria mistificante,… la serialità di Topoi e Logoi che esso Amore pone ed erge quali motivi conduttori e fondamento di epistemologia genetica …su cui il regista desidera insistere esteticamentee con la bellezza discreta di una transferialità artisticamente catartica ;…e non è un caso che il suo riferimento più importante sia il film: “Acque del Sud> ” …di Howard Hawks, cronaca di una passione e di una vita di vero amore garbato ma palpitante,…spiata e sporcata dalla forza bruta e barbara di agenti della polizia segreta.

…Dobbiamo allora considerare La scelta di Barbara  un film di amore romantico?
…In un certo senso sì, …anche se i personaggi interpretati da Nina Hoss e Ronald Zehrfed non hanno l’iconicità e la voglia di attrazione fatale e pulsionale immediatistica di …Humprey Bogart e di Lauren Bacall, per altri versi sono più interessanti e autentici proprio nella loro austerità espressivizzante e di telegrafico incanto dominato soprattutto dalle gestualità dei loro linguaggi laconici e anche silenziosi ,…dagli gesti e dai loro sguardi volutamente fugaci e suggestivamente implosivi … come il vento slavo che costantemente il Regista ci proietta e pare ci faccia sentire sul viso …nel suo film “slavo di tutto”,…e questo mi sembra davvero la variabile più meritante del loro mistero e della loro indecifrabilità catartica e sublimante ogni imponderabilità dell’esistenza eroica di provincia!.
… Al postutto,…questi due personaggi di Petzold li conosciamo e li amiamo …e li interiorizziamo catarticamente e identificativamente ,…pian piano e in crescendo di umanizzazione interattiva,… proprio perchè lo stesso Regista …ce li presenta e ce li sceneggia e prassicizza …e ce li rivela esistenzialmente vivi,…con topoi e logoi significativi come macigni che inducono sentimenti e sensazioni riflessive irresistibilmente impressi nella nostra personalità,…proprio come uno sceneggiatore accorto e quasi con lenti di lontananza trasfiguratrice, …seminando simboli e semiologie linguistici e travalicanti le contingenze delle presenzialità esistenziali e fenomenologiche… lungo l’intera narrazione, …costruendo intorno alla love-story …un intreccio da thriller che risolve la vicenda in un finale dal significato importante e chiaramente decifrabile per chi voglia e sappia comprendere,…con gli occhi dei due protagonisti che “parlano” più di mille discorsi melliflui…addirittura con la sola direzionalità ed ampiezza delle loro cornee e delle loro pupille intrinseche a “telecamere del loro cuore …assolutamente fisse… nel loro Fuoco Oculare …e da reliquiario di una nuova vita e di una nuova storia che…solo loro,sanno che dovranno e vorranno vivere assieme in un olismo totalizzante davvero felicissimo ,…peraltro da immanente “I Care” incommensurabilmente solidaristico e simbiotico d’ogni pulsionalità sempre eticizzata ed esteticizzante …”alla Rembrant”.

“La scelta di Barbara” non è ,insomma,…un “kammerspiel” dal ritmo lento e dai personaggi bidimensionali, come scrive qualcuno, …ma un film da tesoreggiare che alza sempre e comunque la bandiera del pudore e dell’anima che, …a piccoli passi, …scavano e risorgono personalisticamente e speranzosi … nei segreti di due cuori umani e di un mondo che sembra essersi smarrito…ma geneticamente destinato a risorgere sin dalle ételechiè e le énergheiè…di una Spelonca dove a me e a tutti gli spettaori pare di esserci stato,…per questa vita e altre mille a venire o parallelamente sincroniche!
…Mai diacroniche…

W. Vedruccio, Sulle orme di Idrusa

Da una donna ad un mito

di Antonio Stanca

vedruccioNella cittadina pugliese di Otranto ancora succede che si parli, si racconti delle tragiche vicende vissute dai suoi antichi abitanti quando, dal 1480 al 1481, subirono l’assedio e poi l’invasione e la strage da parte dei Turchi. Furono avvenimenti molto gravi dei quali molti segni sono rimasti. Allora Otranto faceva parte del Regno di Napoli che era sotto la sovranità di Ferdinando I d’Aragona e imperatore dei Turchi era Sultan Maumeht. L’evento della presa della città e dell’uccisione di tanti suoi abitanti entrò a far parte sia della storia nazionale sia della tradizione, della fantasia popolare di quel posto, col tempo si rivestì di leggenda, si arricchì di racconti di gesta esemplari, trovò i suoi eroi, assunse una dimensione mitica. Diventò un altro esempio dell’eterna, interminabile lotta tra bene e male, vita e morte, fede e violenza che tante volte ha segnato la storia dei popoli ed attirato l’attenzione non solo degli studiosi, degli storici ma anche degli autori, fossero di arte narrativa, poetica o figurativa, drammatica. E’ successo così che il motivo degli abitanti di Otranto che difendono la loro città dalla ferocia di un numero di gran lunga superiore di nemici e dai pericoli dei loro mezzi bellici, che non temono di morire in nome di quanto è loro, del loro Dio, dei loro padri, dei loro figli, che acquistano nei secoli un significato ad essi superiore, abbia attirato la celebre Maria Corti quando nel 1962 pubblicò L’ora di tutti presso la Feltrinelli di Milano. Filologa, linguista, critica letteraria e scrittrice la Corti era nata a Milano nel 1915 e qui era morta nel 2002. Era stata docente di Storia della lingua italiana presso l’Università di Lecce e poi presso quella di Pavia. Aveva prodotto molti lavori di critica letteraria e fondato molte riviste culturali. Variamente impegnata, instancabile si era dimostrata, molti riconoscimenti le erano stati attribuiti. L’ora di tutti fu la prima delle sue opere narrative, la scrisse quando aveva quarantasette anni e in essa tramite i racconti di cinque personaggi che fungono da voce narrante non solo riuscì a ripercorrere la dolorosa vicenda otrantina ma anche a ricostruire gli ambienti, i costumi, la vita, le persone di quel tempo. I colori, le luci della campagna, del mare dell’antica penisola salentina diventarono, con la Corti, motivo di letteratura. Con i loro posti la scrittrice identifica i personaggi dell’opera, figli di essi li mostra, capaci di correre in loro difesa al momento del pericolo, di comportarsi in maniera coraggiosa, da eroi. Quanto faceva parte della loro storia, delle loro leggende, dei loro miti la Corti de L’ora di tutti riprese, confermò, animò.

Dalla conoscenza di quest’opera la leccese Wilma Vedruccio nelle prime pagine del suo breve e recente volume Sulle orme di Idrusa dichiara di essere stata mossa a scriverlo. Il libro è stato pubblicato dalla casa editrice Kurumuny di Calimera (Lecce), è corredato di un CD nel quale l’autrice legge quanto ha scritto accompagnata dalla musica di Rocco Nigro ed è stato presentato la sera di Venerdì 28 Febbraio 2014 presso il Centro Studi “Chora-Ma” di Sternatia (Lecce), da molti anni diretto da Donato Indino e divenuto luogo di frequenti incontri e scambi culturali. Nella circostanza, alla quale erano presenti la scrittrice e il Nigro, si è assistito ad un’esibizione, da parte dei due, volta a mettere in risalto, mediante la lettura di lei e la musica di lui, le parti dell’opera e ad evidenziare gli aspetti distintivi del personaggio di Idrusa. Il pubblico ne è stato coinvolto e interessato fin dall’inizio. Incuriosito si è mostrato circa l’operazione compiuta dalla Vedruccio nel libro. In questo, si è chiarito, la scrittrice ha ripreso e continuato Idrusa, il terzo dei cinque personaggi de L’ora di tutti, si è messa “sulle orme di Idrusa” mediante una prosa che giunge a confondersi con la poesia. Di questa figura femminile Vedruccio ha scritto, della sua infanzia, della sua giovinezza, dei suoi amori, della sua dedizione al momento del bisogno, della sua morte prematura. Lo ha fatto con un linguaggio capace di assumere i toni della favola se non quelli del canto.

Idrusa è la più bella bambina, ragazza, donna dell’Otranto del momento dei Turchi. Ma è cresciuta diversa dalle sue coetanee. Già da bambina pensava diversamente da loro, voleva altre cose. Si sentiva vicina, unita agli elementi della natura, alle erbe, alle piante dei campi, alle acque del mare. Non badava ai pregiudizi, alle convenzioni. Una ribelle, una rivoluzionaria era sembrata. Malvista si era sentita. Nonostante questo era stata data in sposa quando aveva ancora diciassette anni ad un pescatore. Viveva delusa la sua esperienza matrimoniale. Poi il marito era morto in mare e si era legata a Manuel, un militare spagnolo che, però, aveva lasciato perché aveva scoperto di essere ingannata da lui. L’amore al quale aveva sempre pensato non aveva ancora incontrato. Arrivati i Turchi ad Otranto, entrati nella città da barbari, aveva prestato soccorso ai feriti, aveva provveduto a sistemare i morti che venivano portati nella Cattedrale trasformatasi in un ospedale. Anche qui sarebbero giunti i Turchi continuando a devastare e uccidere e qui al momento di essere posseduta, violentata da uno di loro, Idrusa preferirà darsi la morte con il coltello del suo assalitore, mostrerà che sani, forti, unici erano i suoi principi contrariamente a come era sempre stata pensata.

Di questa Idrusa dell’antica Otranto scrive oggi la Vedruccio provando che perenne è diventata la sua figura nell’immaginario collettivo salentino, che una favola eternamente valida è diventata la sua, un mito. Oltre che ad Otranto a tutti Idrusa ormai appartiene poiché a simbolo è assurta di una femminilità superiore, di una bellezza del corpo, di una forza dello spirito pari a quelle di una dea. In questa dimensione da favola, da mito riesce la Vedruccio a renderla con la sua opera e con quanto vi è allegato.

Adrian Lyne, Attrazione fatale

“La Bipolarità dell’Amore Vero e comunque…<da attrazione fatale>…irrazionalistica …o rapsodicamente e violentemente arcana”

– Nota essenziale di Gianfranco Purpi –
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…Ecco una serie di riflessioni interpretative e commentali del realistico e assolutamente artistico film “Attrazione fatale” (1987)
con
Michael Douglas: Dan Gallagher
Glenn Close: Alex Forrest
Anne Archer: Beth Gallagher
Ellen Hamilton Latzen: Ellen Gallagher
Stuart Pankin: Jimmy
Ellen Foley: Hildy
Fred Gwynne: Arthur
Meg Mundy: Joan Rogerson
Tom Brennan: Howard Rogerson.

…Questo cinema epocale e meravigliosamente verace…,declinato in prospettiva di travolgente Thrilling dagli esiti storicistici sempre sull’orlo degli abissi tragici,… è tra i pochissimi che rendono osmotici e massimamente catartici (…allo spettatore attento!),…i sensi e i significati dell’amore vero e organicistico,…orgasmico e autentico,…pure nei suoi sentimenti e nelle sue pulsioni da vita autenticamente dolce e felicitante…e rabbiosa e,al postutto,…da istintuale aggressione ferina …da paure e voglie terribili di sadomasochismo inenarrabile;…anche senza volgarità di sceneggiature e di recitazioni da fabulazione storica erotica fine a se stessa!!
…E’ un film sempre denotato,…in ogni sua costellazione narrativa e teatrante, …dall’esistenzialismo idealizzato …tale…proprio perchè assolutamente realissimo,…che riesce,…come raramente succede,…a disegnare sacralmente sugli aquiloni paranoici…i colori e i graffiti della vera e assoluta “attrazione fatale” quando e se questa si immanentizza e si fonde religiosamente e misticamente…con una vera dicotomia olistica e attraverso tempi/modi/forme integralizzate/integralizzanti passionali di simbiosi umanizzanti subliminali…fino al loro scaraventarsi nei recinti opposti delle disumanità violentemente catastrofiche!!
…Si!…Di simbiosi incantevole e meravigliosa,…epperò conflittuale e foriera di angosce e tormenti …e aggressività indicibili,…in cui alla fin fine i linguaggi risolutivi delle sconfitte e delle ossessioni irragionevoli di questo amore …calpestano ogni umanesimo etico o comunque ogni convivialità civile e razionalizzante ,…e sfociano in sadismi e terrori di violenza cruda inaudita …dalla sola logica delle perversioni del ricatto e della distruttività azzerante …nichilisticamente… indirizzati contro la vita in quanto tale…e avverso ogni valore dignitante e amorevole/affettivo  di Persona (…di vero in fondo,ontologicamente!)…; seppur ,…nonostante tutto…, con l’insopprimibile voglia di vivere ogni esperienza della esistenza “perturbatrice”, … e della storia di due anime e di due cuori …sempre in fusione totalizzante di corpi e anime, …e peraltro attraverso il rovescio della medaglia della bramosità dell’eliminazione fisica reciproca …e di ogni dipendenza da quell'”attrazione fatale …benedetta/maledetta;…per una genesi immediatistica di rarissima oscillazione del Pendolo di Foucault tra odio e amore…che si viene a porre in quanto “attrazione fatale” camaleontica da amore assoluto bramante…e consequenziale oppositivo istinto di morte da violenza sopprimente!
…E pensare che i due amanti trasgressivi avevano cominciato,comunque,…ad amarsi …per davvero e con purezza di sentimenti e affetti trasfigurati e benedetti …nella loro contaminazione più vera e univocante,…in ogni senso e dimensione delle diverse aree e dei diversi linguaggi/comportamenti della strutturalizzante personalità umana di due innamorati immediatamente amati/amanti,…e poi,allo stesso tempo (…in paura di dialettica negativa!),…in prospettiva esperenziale di amanti/aggressori e di belve ferine l’un l’altra,…reciprocamente,…da potenziale schizoide ai confini della “bipolarità” dissociata e dissociante …lacerante,… o…della pazzia che declina il senso più autentico dell’amare …per amarsi/aggredirsi… sempre…in quanto follìa eticamente irrazionalistica non condivisibile dai perbenisti luoghi comuni composti e dignitanti …di una Sacra Famiglia o di una Normalità Kantianamente criticistica!
…Anche … indirizzandosi e avviluppandosi reciprocamente in un crescendo di spirale ellittica di fonti pulsionali ineffabili,…di linguaggi/comportamenti assolutamente indiavolati,… e di prassi intenzionali inenarrabilmente istintuali , …di violenza brada e di saturazione di godimenti ed efferratezze nichilistiche,…in ebbrezza di pulsionalità bio/psichiche e di …neuroregolatori senza alcun limite di ragionevolezza , …o addirittura sadiche e masochiste …davvero …in un continuo “bord/line”…da lacerante fratturante “Io/Diviso” nichilisticamente testimone di personalità rivelantisi tragicamente e drammaticamente “interrotte”…per storicità esperenziali pregnanti ,…in tale senso, …delle loro epistemologie genetiche,…e ,allo stesso tempo…,per convergente “male di testa” cromosomico di psicosi radicali antimetaboliche…
…Anche se Grazia di Michele canta che …”Solo i pazzi sanno amare!”…
…Vero o non vero?…Difficile da asserirlo da un solo punto di vista e da una sola prospettiva epistemologica ed ermeneutica,…ovvero…da un libertarismo marcusiano …da “uomo a una dimensione”…,o da eteronee analogiche “deregulations” dei sartriani Guattari e Deleuze;…o del razionalismo psicanalitico del neo/positivista e…agostiniano (…sembra ma non è contraddizione!)… Mattèe Blanco…

Gianfranco Purpi

LOCANDINA DEL FILM:

Titolo originale Fatal Attraction
Paese di produzione USA
Anno 1987
Durata 115 min
Colore colore
Audio sonoro
Genere drammatico, thriller, erotico
Regia Adrian Lyne
Soggetto James Dearden
Sceneggiatura James Dearden
Fotografia Howard Atherton
Montaggio Michael Kahn
Musiche Maurice Jarre
Scenografia Mel Bourne, Jack Blackman e George DeTitta Sr.
Interpreti e personaggi
Michael Douglas: Dan Gallagher
Glenn Close: Alex Forrest
Anne Archer: Beth Gallagher
Ellen Hamilton Latzen: Ellen Gallagher
Stuart Pankin: Jimmy
Ellen Foley: Hildy
Fred Gwynne: Arthur
Meg Mundy: Joan Rogerson
Tom Brennan: Howard Rogerson
Doppiatori italiani
Pino Colizzi: Dan Gallagher
Simona Izzo: Alex Forrest
Roberta Paladini: Beth Gallagher
Paolo Buglioni: Jimmy
Romano Ghini: Arthur
Attrazione fatale (Fatal Attraction) è un film del 1987 diretto da Adrian Lyne. Il film, che presenta anche diversi contenuti drammatici, ha ricevuto 6 Nomination agli Oscar.

TRAMA NARRATIVA DEL FILM:

Dan Gallagher, 40enne avvocato newyorkese, ha una vita tranquilla e una bella famiglia composta dalla moglie Beth e dalla figlia Ellen di 6 anni. Un giorno Dan conosce Alex Forrest, anch’essa avvocatessa seppur di un’altra agenzia, insieme alla quale decide di trascorrere un pomeriggio e un’intensa notte mentre la moglie è in campagna in visita dai genitori. Su insistenza di Alex, i due passano un’altra giornata di divertimenti e soprattutto momenti erotici e al termine – nonostante la temperatura erotica sia stata altissima e ci sia stato anche uno scambio a livello umano – Dan decide di tornare alla sua vita. Alex compie la prima azione che fa presumere la presenza di problemi psichici, infatti si taglia le vene dei polsi manifestando la sua paura dell’abbandono e un comportamento autodistruttivo. Dan la aiuta mettendole delle fasciature e se ne va, anche se tale evento l’ha sconvolto molto e non vedendo l’ora di lasciarsi alle spalle questa storia. Di fatto, scompare e Alex inizia a cercarlo continuamente telefonando sia a casa che in ufficio, anche ad ore impensabili.
Sfinito dall’insistenza di Alex, per la quale si convince di provare una grande pena al fine di autogiustificarsi, Dan decide d’incontrarla. In tale occasione, la donna gli confessa di amarlo e di essere incinta di lui; sconvolto da questa notizia, Dan le propone di abortire ma lei rifiuta tempestivamente. Da questo momento, Alex si trasforma in persecutrice e riesce anche ad ottenere il nuovo numero di telefono casalingo di Dan presentandosi alla moglie e fingendosi interessata all’acquisto della casa messa in vendita: la moglie le porge il nuovo numero, non immaginando chi ha di fronte.
Intanto Dan si trasferisce con la famiglia in campagna, ma questo non scoraggia Alex: infatti nei giorni seguenti la donna versa dell’acido sulla macchina di Dan e gli fa avere un nastro magnetico con un messaggio in cui assume un tono abbastanza pacato chiedendogli di assumersi le responsabilità di padre, dicendogli che pensa ai momenti d’intimità passati insieme, rinnovandogli la dichiarazione d’amore ma contemporaneamente – con un cambio immediato nel tono – sibilando che lo odia, accusandolo di non essere in grado di amarla per una presunta misoginia. Si percepisce che la psiche della donna è caratterizzata da una oscillazione del giudizio tra polarità opposte tipiche della personalità borderline, in cui il pensiero è bianco o nero a seconda dei mutamenti di umore. Dan decide di andare alla polizia per un ordine restrittivo contro di lei, ma gli inquirenti non acconsentono per mancanza di prove. Un giorno, mentre tutta la famiglia è fuori, Alex uccide il coniglio che Dan aveva regalato alla figlia e lo mette in una pentola lasciando accesi i fornelli; la moglie entrando in casa scopre tutto e spaventata lancia un grido, mentre la figlia cade in depressione per la morte dell’amato animale. Dan alla luce di quest’ultimo fatto decide di raccontare tutto a Beth che, non prendendo bene la cosa, caccia di casa Dan il quale, prima di andarsene, telefona ad Alex dicendole che la moglie sa tutto e Beth le risponde che se si avvicinerà di nuovo alla famiglia, lei la ucciderà; dopo tutto ciò, Beth mostra subito di voler conservare l’unità familiare.
Alex decide di rapire la piccola Ellen portandola al luna park: la moglie, accorgendosi che la bambina non è a scuola, comprende immediatamente l’accaduto e sale in macchina per cercarla disperatamente, ma provoca un incidente stradale. Dan la va a trovare all’ospedale, dove c’è anche Ellen che Alex aveva riportato a casa, dopo di che si reca a casa dell’ex amante e comincia ad aggredirla con l’intento di ucciderla o quantomeno di spaventarla in modo che la smetta di far del male alla sua famiglia, arrivando a strangolarla salvo poi fermarsi; Alex tenta di uccidere Dan con un coltello, ma l’uomo la ferma; dopo alcune occhiate i due si separano senza più alcuna possibilità di riconciliazione, specie per quanto riguarda Dan, che decide di tornare alla polizia che accetta di far arrestare Alex per interrogarla.
Dimessa dall’ospedale, Beth decide di perdonare Dan e, mentre si sta preparando per fare il bagno, appare Alex con un coltello che la minaccia e le ferisce una coscia, manifestando così ulteriormente il desiderio di autoannientamento. Beth lancia delle urla disperate attirando l’attenzione di Dan, che corre in bagno dove scoppia una rissa con Alex, che culmina con Dan che cerca di affogare Alex nella vasca piena d’acqua: ad un certo lei sembra perdere i sensi ma dopo un po’ si rialza pronta a riattacare Dan ma Beth con un colpo di pistola le trafigge il cuore, uccidendola. Il film si conclude con un’inquadratura significativa della foto della “famiglia felice” sullo stipo dell’ingresso: finalmente i coniugi Gallagher potranno riprendere la loro normale vita coniugale.

RICONOSCIMENTI MONDIALI al film in questione:

1988 – Premio Oscar
Nomination Miglior film a Stanley R. Jaffe e Sherry Lansing
Nomination Migliore regia a Adrian Lyne
Nomination Miglior attrice protagonista a Glenn Close
Nomination Miglior attrice non protagonista a Anne Archer
Nomination Migliore sceneggiatura non originale a James Dearden
Nomination Miglior montaggio a Michael Kahn e Peter E. Berger
1988 – Golden Globe
Nomination Miglior film drammatico
Nomination Migliore regia a Adrian Lyne
Nomination Miglior attrice in un film drammatico a Glenn Close
Nomination Miglior attrice non protagonista a Anne Archer
1989 – Premio BAFTA
Miglior montaggio a Michael Kahn e Peter E. Berger
Nomination Miglior attore protagonista a Michael Douglas
Nomination Miglior attrice non protagonista a Anne Archer
1988 – ASCAP Award
Top Box Office Films a Maurice Jarre
1988 – Saturn Award
Nomination Miglior sceneggiatura a James Dearden
1988 – Eddie Award
Nomination Miglior montaggio a Peter E. Berger e Michael Kahn
1989 – Awards of the Japanese Academy
Nomination Miglior film straniero
1989 – Artios Award
Nomination Miglior casting per un film drammatico a Risa Bramon Garcia e Billy Hopkins
1988 – DGA Award
Nomination Miglior regia a Adrian Lyne
1993 – Golden Camera
Miglior attrice internazionale a Glenn Close
1990 – Golden Camera
Miglior attore internazionale a Michael Douglas
1988 – Golden Screen
Golden Screen Award
1989 – Grammy Award
Nomination Miglior colonna sonora a Maurice Jarre
1987 – National Board of Review Awards
Migliori dieci film
1989 – People’s Choice Awards
Miglior film drammatico
1988 – WGA Award
Nomination Miglior sceneggiatura non originale a James Dearden

La scuola delle funzioni docenti istituzionali

…La scuola delle funzioni docenti istituzionali esercitate costituzionalmente ,…in nesso/distinzione dalle invasività Pubbliche e dalle Politiche Sociali Governative assegnabili alle sole competenze educazionali ,…e ministerlamente non incarnate con i battiti del cuore e delle dialogicità indottrinanti all’indirizzo degli educandi…
– Nota essenziale di Gianfranco Purpi –
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…Può sembrare paradossale o incredibile,ma giuridicamente un genitore ha tutto il diritto che al proprio figlio,a scuola,…venga indirizzata funzione docente istituzionale e dialogicità didattica all’interno di una struttura scolastica o comunque in tempi,forme,luoghi e spazi… di pedagogia ordinamentale istituzionale risolventesi in scuola stessa e PRASSI di LEZIONI/ISTRUZIONALITA’/APPRENDIMENTI/FORMAZIONI… didatticamente autenticate universalmente,…solo da persona giuridicamente e istituzionalmente abilitata e assegnata ai profili di insegnamento o di dirigenza scolastica…previsti dall’Ordinamento Giuridico della Scuola costituzionalmente configurata…
…Tranne CHE per eccezioni condivise per iscritto da tutti i genitori di ogni data classe interessata partecipante o “uditoria”…, e PRIMA DI TUTTO progettate e programmate/curricolate dai rispettivi docenti di riferimento scolarizzante statuale Pubblico,…CHE HANNO …COMUNQUE E SEMPRE…L’ESCLUSIVA RESPONSABILITA’ E POTESTA’ DECISORIE E PRASSICHE DI ESERCIZIO DI CONDUZIONE DI PRESTAZIONE DIDATTICA ISTITUZIONALE E FUNZIONE DOCENTE SCOLARE ORDINAMENTALE,…IN ASSOLUTA PROSPETTIVA DI LIBERTA’ PROFESSIONALE E DIDATTICA STESSA D’INSEGNAMENTO/ISTRUZIONE SCOLARE,…FERMI RESTANDO GLI ORDINAMENTI DI LEGGE E LE RELATIVE ATTRIBUZIONI/COMPETENZE DEL PERSONALE TUTTO ISPETTIVO,DIRETTIVO E DOCENTE!
…E TRANNE CHE essi alunni,sempre con conduzione responsabile di ogni docente titolare della classe di fattispecie,…si abbiano a relazionare paideticamente …con …I SOLO POLITICI E DI CETO GOVERNATIVO PARLAMENTARE (STATALI,REGIONALI,PROVINCIALI O SOLO TERRITORIALMENTE RAPPRESENTATIVI!)…UNIVERSALMENTE CONDIVISI E CONSENSUALIZZATI…,in quanto a fattispecie di vissuto,… DALL’UTENZA TUTTA DI UN DATO ISTITUTO SCOLASTICO E DAI SUOI ORGANI COLLEGIALI…;…e tranne che TRATTASI DEL SINDACO O DA CHI NE FA LE VECI ISTITUZIONALI NELL’HIC ET NUNC,…nella sola veste di status e di ruolo attribuzionale …di solo “Ufficiale dello Stato territoriale di competenza”;…o tranne che per Autorità Giudiziarie o di Forze dell’Ordine e di Magistratura;…o di FIGURE ISTITUZIONALI DI PROTEZIONE CIVILE O DI ALTRA MATERIA DI SICUREZZA e/o di PROPEDEUTICA INTEGRATIVA educativo/formativa rispetto a quelle del curricolo ufficiale,…INEQUIVOCABILMENTE DOVUTE/POTUTE… IN PRESENZIALITA’ DI SITUAZIONALITA’ DEL CASO,…E COMUNQUE LEGITTIMABILI sul piano della giurisprudenza E DELLE LEGGI VIGENTI IN MATERIA.

Ovviamente,questo significa,allo stesso tempo e per lo stesso motivo,…che tutti i politici e i funzionari degli Enti Locali…e di ogni Organo governativo di Enti Locali,Stato e Regione (compresi i funzionari e il personale tecnico o di manovalanza … preposti,ai diversi livelli/tempi/modi/forme/luoghi decisori e prassici!),…di verifica specialistica/tecnologica e di controllo tecnicistico/ingegneristico …ogni variabile di agibilità/idoneità delle strutture scolastiche ed edilizie strutturalmente considerate/vagliate di continui!)…,
… TUTTI LORO STESSI possono e debbono esercitare funzioni di amministrazione,di progettazione, e di controllo e di monitoraggio e di verifica a 360 gradi per la sicurezza e la congruenza e la funzionalità paidetica …degli utilizzi scolastici e civili delle stesse strutture e della sicurezza/adeguatezza della loro ricettività E DELLA LORO CONGRUENZA PROGETTUALE E OPERATIVA,a seconda dell’uso specifico di utilzzo ed a secondo del numero e delle tipologie umane e scolari …degli usufruenti complessivi di ogni data fattispecie!!
…Ma ciò può e deve essere progettato,amministrato e fatto,per ovvie ragioni di rispetto dell’autonomia educatica e della coscienzia civile personale di alunni e docenti/dirigenti scolastici/organi scolastici (per le loro specifiche competenze interdisciplinari!),…solo quando le strutture edilizie e le scuole siano non ospitanti, …in un dato qui e ora,…da funzionamenti didattici,pedagogici e comunque da prassi di didassi e di educazione scolare istituzionale…in atto “esercitate”.

Carlo Cassola, La Ragazza di Bube

” La Ragazza di Bube”:…Cinema e Narrativa romanzati…univocate subliminalmente e da storicsmo assoluto nella poesia del Racconto Essenziale di Carlo Cassola” –

Nota essenziale di Gianfranco Purpi

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Scritto nel 1960, premio Strega nello stesso anno,… “La ragazza di Bube” segna il momento più alto dell’ispirazione di Carlo Cassola e nel 1963 diventa un film epocale e meraviglioso, per la regia di Luigi Comencini.
“Pagine di stupenda purezza”, quelle dedicate all’amore di Mara e Bube – scrisse Geno Pampaloni sul “Giornale” …
…Carlo Cassola era un perfezionista della semplificazione: la materia del racconto naturalistico, la ‘tranche de vie’, …era assunta in uno spazio indiviso, assoluto, come assoluti sono la sua purezza lirica ed il mistero metafisico dell’esistenziale prospettiva dell’entusiasmo di vivere per il proprio Uomo.
… La forza del romanzo risiede nella poesia con cui l’autore tratteggia le figure d’una generazione (quella dell’immediato dopoguerra, tra il ’44 e il ’48, vinta dalla guerra, dalla povertà e dalla violenza), che diventa paradigma per una riflessione sul significato della vita, del sacrificio e del dolore, al di là del contesto storico. Ambientato nella Toscana della campagna, della gente umile, tra i compagni della Resistenza…
… “La ragazza di Bube” narra la storia di MARA , sedicenne inconsapevole, istintiva e indipendente, curiosa frenetica ed etica della vita che stupisce sempre,… che si ritrova, senza nemmeno aver espresso una precisa opinione in merito, …fidanzata con Bube, compagno del fratello Sante ucciso dai tedeschi.
…Il giovane, …partigiano che non conosce paura per il pericolo e che ha il soprannome di “vendicatore” di tutte le ingiustizie nazifasciste e dei “loro vigliacchi”,… è in realtà un ragazzo timido che s’innamora di lei a prima vista e che…vuole fare “le cose per bene” secondo i crismi della famiglia patriarcale e dell’educazione ai sentimenti gigliari…
… La delicatezza del suo sentimento contrasta, però, con la passione politica e con la sua fama di “duro partigiano”,… che gli farà uccidere “deontologicamente”…il figlio del maresciallo Cecora.
…Amareggiato, sconfitto e deluso, …Bube finirà in carcere …e Mara, nel frattempo maturata esistenzialmente e in quanto donna incantevole,… capirà di essere legata a lui totalmente e per la vita ,…al punto di rinunciare a “tutto e per sempre”!!
…Anche a Stefano, un giovane sensibile che potrebbe amarla, persino dandole il suo nome…
…Ma Mara sa e vuole soltanto per tutta la vita pietosa e sofferente…ed esaltante di vibrazioni pulsionali immediatistiche espressive,…che deve stare accanto al suo Bube , con il pensiero monistico/immanentistico di identificazione realistica e idealistica con Lui ,nello stesso tempo,…o in quelle rare visite in carcere;…mentre Lui stesso è in prigione (…perché quello è il suo destino fatalisticamente rinvenuto e rischiato , allo stesso tempo…,nella sua esistenza idealistica di lottatore nato contro la Mala Storia di Prepotenti e Ingiustizie …e sempre al servizio della Giustizia e della Cristianità più autentiche,…anche se tinte dell’ ideologico rosso colore ignaro …dell’Umanesimo marxiano!)…
…E questo sarà anche il parallelo e biunivoco ineluttabile (…e mai messo in discussione nè nell’anima e nemmeno nei sentimenti!) …destino …di scelta consapevole inflessibile …di vita …di Mara,…santamente voluto e bramato…dalla stessa “ragazza di Bube”…;di un Bube che era stato e sarà sempre protagonista carismatico unico…oroginario …e…totemico …della vera maturazione della bella donna …da ragazzina in donna subliminalmente indistruttibile e dal carattere d’acciaio per il suo amore e per il suo Uomo vero:
“Stefano … -Lei gli sussurra quando il destino del carcere lungo e fortuito di Lui si profila disumano!-… io non so se amo te o Bube; ma i miei sentimenti non c’entrano nella decisione che ho preso: …io… sono la ragazza di Bube”.
La consapevolezza della scelta di sofferenza di Mara è racchiusa nella semplicità di queste sue parole e di queste altre seguenti considerazioni incantevolmente dolci e e profondamente mature di amore sovrano di perdono religioso:
…“E’ cattiva la gente che non ha provato dolore. Perché quando si prova il dolore, non si può più voler male a nessuno…”””!!
… Personaggio energico che conosce la passione e l’affetto, la rinuncia ed un antico senso del dovere, Mara è una delle figure femminili più intense della narrativa italiana del Novecento…e di un neorealismo italiano cinematografico del Dopoguerra …ancora davvero da Grande Bellezza dei valori puri e sacralizzati di Persona e di Amore per la vita …che si incarnano immediatamente e per sempre nelle viscere umane e di Dio…
…Senza ipocrisia e senza vanità di grandezze e opulenze di cartapesta e di viltà d’animo…
…E con una vera donna forte e coraggiosa…e un Uomo idealmente sempre gramsciano e dalla Etica Intellettuale dell’Arte Crociana,…non esiste Post Moderno o volatilità di sentimenti e pulsioni,…e il tempo è già patimento che fa sognare e surrealizzarsi storie di speranze e progetti di vita sublime,…anche con le angoscie e le tribolazioni più indiavolate e immeritate…

…Io il film lo vidi per la prima volta a cinema,al tempo della terza media,…data la mia età d’infanzia primissima nel 63…
…Ma…la storia e la sobrietà del racconto essenziale di Cassola…permette di cogliere sempre mondi e valori …e universi …eterni e inesplorati …che ci arrichiscono e ci stupiscono in forza e coraggio alla inimitabile ricerca spasmodica irrefrenabile e inarrestabile…e alla  voluttuosità quasi teleologica…della sua narrazione paidetica epperò da dolcezza sottile di sentimenti inestinguibili nè con il tempo e nè con lo spazio del “panta rei”…
…Ma,in ogni caso,…con la semplicità essenziale ed ideale del vivere sempre autentici e …”riflessi nelle purezze e autenticità dell’essere sempre se stessi”!
…E soprattutto … queste storie quasi stoiche e certamente dell’Umano più olistico e dolce che possa brillare in cielo e in terra …ci luccicano dentro l’anima naufragante e sempre in angoscia farneticante …il concetto integrale e tenacemente volitivo di senso e significato condiviso dell’esistenza,….fino all’indissolubilità tragica e gioiosa,assieme,…della dicotomia più sublime e coriacea;…quella intrisa al massimo di piacere e felicità idealizzati e trasfigurati ontologicamente …in assoluto realismo di fantasia e di amore terrestre carnale più bramato che mai (…anche se per lo più toccato e poi sbranato entro la speranza indelebile e indistruttibile…di vetri della vita come i finestrini di un treno che si palpano con le labbra umide in orizzonte metaforicamente totemico di transferialità umana trasfigurante di chi si ama ed è comunque sempre presenziale ad ogni rifrangenza della nostra storia e della nostra persona misteriosamente irriducibile,…o imbavagliati solo nella lingua …dell’inconfessato struggente desiderio ambivalente di essere la donna …”del proprio Bube inarrivabile e unico”; ….e,allo stesso tempo…, dell’acciaio dei binari di un treno che io una volta chiamavo “sole”…)!