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Paolo Virzì, Il capitale umano

“””NOTA DI COMMENTO AL FILM :”IL CAPITALE UMANO” , DI PAOLO VIRZì (DEL 2013 e uscito nelle sale dal 9 gennaio 2014)

…Film imperdibile (del 2013) di spietata caustica denuncia descrittiva delle contraddizioni graffianti e delle dialettiche artificiose …ipocrite …e ideologicamente mistificate/mistificanti… della civiltà disumana degli ultimi decenni e di ogni sua tragica sequenza epocale di genocidio di ogni vera intelligenza autenticamente creativa e di ogni valorialità personalistica laico/cristianizzante ed esteticamente davvero artistico/poetica;…,entro crudeltà e cinismi inauditi da sadomasochismi esistenziali tanto inconsapevoli o soventi occulti… quanto paradossalmente ineluttabili…e accettati passivamente dalle culture dell’indifferenza e del conformismo perbenista clerical/borghese (…il tutto,attraverso le osmosi terribili delle “vulgate” omologanti illiberalmente … di ogni “senso comune” idiota indotto alla coscienzializzazione spuria dalle manipolazioni delle opinioni pubbliche mediatiche…e dalle conseguenti alfabetizzazioni assiologiche strumentalizzanti all’asservimento volitivo …delle “coazioni a ripetere” feticistico/totemiche ideologiche e ideologicizzanti,…nonchè reificanti e reificate,…e quindi mercificate/mercificanti!)…
…Al servizio criminalizzante dei Poteri Forti e di ogni Dominio finalizzati all’oppressione ed alla violenza socio/psicologica o addirittura di tutti i fenomeni tangibili di male fisico e terrificante …
…Grandiosa emerge la bravura degli attori protagonisti (Fabrizio Bentivoglio, Valeria Golino, Valeria Bruni Tedeschi, Fabrizio Gifuni, Vincent Nemeth, Luigi Lo Cascio, Gigio Alberti, Bebo Storti, Pia Engleberth, Giovanni Anzaldo, Guglielmo Pinelli, Matilde Gioli),….e la talentuosità filmica/ideativa di Paolo Virzì,…regista rigorosamente sociologico e storicistico , …e autore immenso di questa narrazione cinematografica di rarissima paideia formativa …dalla nitida neo/realistica rappresentazione istruzionale dei “capitali umani” distruttivamente avviati dalle ignare generazioni genitoriali …sul palcoscenico antropologicamente variopinto delle “vite perdute” e delle “gioventù bruciate” ,…con ogni speranza loro rubata e poi corrosa attraverso le dominanti predonerie …da sanguisughe plagianti …di una Società Civile e Politica…senza alcuna etica condivisibile razionalizzante “erga omnes”,…sceneggiato nei dietro le quinte del Potere assolutamente Rapace del Principe Capillarmente propagato in microfisica da Piovra …senza scrupoli…,da Maliardi Caimani tragicamente ferini!)…!

Gianfranco Purpi   “””

su Lucio Dalla

“… Ricordi personalizzati …su Lucio Dalla …” – Nota  essenziale di Gianfranco Purpi

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…Lucio,a partire dalla mia scuola elementare,…è cominciato ad essere colonna sonora e modello di identificazione e di criticismo sempre civilmente sovversivo e rigenerante,…e di costante ricomposizione dialettica di ogni bene culturale,personale e sociale…della mia personalità precocemente impegnata e significativamente rivoluzionaria…
…Da quel Lucio da ancora fresco Convitto Repressivo…di “Paff …Bum”…alle poesie soavi e da cantastorie sublime dei testi con Roversi;…da quel Lucio di fine anni 70 e primi anni 80′,…a quei tempi di “Banana Repubblic”…in cui nelle metafore subliminali e incantevolmente dense di storia e di filosofia della storia e dell’esistenza,…vi scoprivo e rinvenivo sempre…le sue e le mie assiologie e teleologie,…fino a diventare ,io,…la persona che certamente ha suonato e cantato,con diverse generazioni di alunni e genitori e docenti,…”L’anno che verrà” …più di tutti (…dopo lo stesso Lucio,ovviamente!)…
…E una volta,a Milo glielo dissi,…e questa mia interpretazione del suo capolavoro augurale di Buon Anno …gliela accennai con la chitarra;…e Lui replicò empaticamente e intuitivamente che io dovevo essere uno che non avrebbe interpretato mai un pezzo…allo stesso modo…nemmeno dopo tre minuti;…e mi aggiunse…anche…che potevo giovarmi della sua sala di registrazione…o della sua visita a scuola per una festa “cantata e animata”,di quelle che mi sono consone (chi mi conosce lo sa…),con alunni e grandi !
…Poi,identificandomi e transferializzandomi  -io-  nella storia e nell’immaginario collettivo e artistico/poetico delle generazioni rinvenibili nel film “Borotalco” di Carlo Verdone,…lo vidi sovente allegro e incuriosito dai fenomeni lavici dell’Etna che mi dà sempre gioie e timori …sublimi di per potermi interiorizzare visceralmente la natura più infuocata e viscerale della “pancia” di Dio;…parlammo sovente vicino al Bar della Piazza;…e …fui testimone di suoi atti di generosità costante e diffusa nell’habitat etneo della sua Villa di Milo (CT,a pochi chilometri da Zafferana,dove abito),…che abitava assiduamente molti giorni all’anno …e dove divenne assolutamente integrato alla nostra comunità montana etnea…
…Potrei raccontare tanto,…di tutto …e su tutto,…percepito personalmente (…anche non noto alla gente nazional/popolare esterna alle mie zone vulcaniche di geografia e di temperamento,…come lo era anche lui di idee,di creatività,di bontà,di carattere e temperamento,di espressività sempre impulsiva e di creatività artistica ancestralmente metaculturale,…e anche di voglia talentuosa di lottare a fianco dei deboli e degli oppressi!);…potrei narrare davvero …”tanto”… di Lucio stesso …e sulle sue partecipazioni a spettacoli improvvisati tra la gente o a concerti memorabili richiamanti platee oceaniche da stadio o da teatri metropolitani e da palazzetti sportivi, ….sempre vive ed originalmente critiche,… e di una lucidità e profondità interpretativa e temporalizzante storiograficamente nell’anima di tutti “quelli che c’eravamo”,…alla stessa stregua …di gente come Pier Paolo Pasolini o Alberto Moravia…(e forse ,per certi versi , con animazionalità viscerale…resa più acuta e sbalorditiva dal suo senso profondo di amore e di solidarietà infinito,per tutti e con tutti,e amato da tutti,…così come lui amava da matti i giochi d’artificio intravedendovi lo stupore della personalità ancestrale che cercava sempre dentro di sè e fuori sempre in ogni angolo di Privato e di Società Civile;…e …come si meravigliava sempre …”rassomigliandosi”  alla semplicità autentica di un bambino che si stupisce per luci e stelle,… di fronte alla lava che ,anni fa, …aveva “inghiottito” tutto di Fornazzo …-il Villaggio più prossimo alla sua Villa di Milo-….tranne una chiesetta circondata e …”rispiarmata” miracolosamente dalla terra infuocata fluttuante a fiumi di magma inarrestabile!)…
…Chiudo questa mia testimonianza…ricordando…l’inenarrabile e incredibile Lucio,in quell’estate del 94 (luglio),…quando per dieci giorni di fila “provava” i suoi pezzi più vitali e strabilianti,fra tutti …i suoi pezzi che erano “così” straordinariamente espressivi e talentuosamente paidetici ed espressivi,…immerso dentro alla pineta ubertosa di Milo al cui interno aveva mirabilmente fatto insediare UN PALCO APPOSITAMENTE PREDISPOSTO IN PRODOMO ALLA TOURNE’E che avrebbe iniziato nel settembre dello stesso anno…(dopo aver composto e registrato in CD,nella sua Villa Milense,… la sua canzone forse più miracolata di bellezza e sublimazione umana:”Henna”)…
…In quei dieci giorni…vennero ad assistere alle prove in questione…tutti i massimi artisti che si trovavano in Sicilia per dei concerti estivi:…da De Gregori,a Battiato (suo vicino di casa e cittadino purosangue di Milo),da Venditti a Baglioni…al suo fraterno Gianni Morandi ed all’inseparabile Ron,assieme alla fida compagna “vocalist” di prim’ordine …Isgra Menarini…ed allo strabiliante Fabio Liberatori …
…Non dimenticherò mai,così,…quando,da pochi metri…gli chiesi di cantarmi…(sempre in queste prove per pochi intimi!)…la canzone unica e forte…”il cucciolo Alfredo”;,… e ,nonostante non l’avesse da anni in scaletta di concerti recenti,…me la eseguì fissandomi negli occhi con lo sguardo che mi parse,tansferialmente,…volesse significare il “messaggiarmi”… che anche Lui,sempre e ovunque,era vissuto e sarebbe vissuto perennemente,vocazionalmente…, per far da padre e fratello…a tutti i precoci “cuccioli Alfredo” …Poveri Cristi Predestinati…di questo mondo,…con la pastoralità di Missione di gente baciata da Dio e da questi investito di ogni missione peculiarmente cristiana e laicistica,…come Don Bosco o Don Milani;…mettendo sempre …”in gioco assolutamente gratuito” …il suo talento e la sua poesia musicale e recitativa…(e la sua artisticità drammatizzante e d’ermeneutica metaforica incantevole!) …per il Bene Comune e per la giustizia/valorialità sociale e psico/personalizzante/personalizzata…di chi aveva e avrebbe avuto sempre coraggio (…e mai paura )…a ribellarsi contro pregiudizi,predonerie,vessazioni,mafiosità,cattiverie,violenze , bigottismi,apriorismi,e stoltezze di ipocrisie aporetiche del Logos Fertile (onesto intellettualmente ed emozionalmente!)…, ed avidità rapaci mistificanti …che il Principe e i suoi servi prezzolati e meschini cercano sempre di indirizzare quale strumento sopraffino di spersonalizzazione e conseguenti alienanti slogans mediatici della Civiltà dell’Avere e dell’Egocentrismo più disumano,sia singolarmente che socialmente…
… E così il caro e indimenticabile Lucio ,…palpitando senza sosta …col cuore e con l’anima di chi…con l’ironia dei saggi e dei “grandi” artisti …perchè veri uomini (…e viceversa!) ,…raccontava le storie del mondo e di se stesso assolutamente “disincantato” deideologicamente…”da autentico cantastorie”;…facendo a sè,per sè e in sè,…”teatro catartico subliminale e trasfigurante/trasformazionale”,…con e da sè stesso…,per esorcizzare la violenza e la radicalità sadomasochistica infestante delle tormentate vicende di questa nostra esistenzialità schizoide e spesso disumana e nichilisticamente contraddittoria; …esaltando ,nello stesso tempo e per lo stesso motivo,…l’amore ecumenico e la gioia di veder gioire e aiutare gli “erga omnes” del Dio Orizzontale…
…Lucio caro,…volerai sempre così ,…in terra e in cielo,…e in quei boschi di Milo ci sarà sempre incarnata la tua anima più vera,…di quando le iene e i cani delle brame dilanianti …te li “mangiavi” con tutto il tuo sentimento artistico e la tua inarrivabile diversa e…unica…sensibilità sonora,vocale….e da vero poeta/cantastorie che nessuno sarà mai degno assolutamente di commentarti…
…Alla Favorità,…quella sera di luglio della tua ” storica prima…Banana Republic” …con Francesco e con tutti i simboli di quegli anni della Contestazione Vera,…il tuo cuore rosso rosso e la voglia assoluta di aiutare e darti . …a Dio…”tutto” , e a…”tutti” i Poveri Cristi Terrestri di questo mondo,…saranno sempre radicati nell’erba di quel prato benedetto dalla Santuzza Rosalia …da cui dedicasti (in quel 79 magico…) ,…assieme a Francesco,…tutti i tuoi massimi successi epocali e la tua umanità di dialogo e di empatia sublimamente paidetica;…anche a quella tua (…e mia per sempre!)…”Stella di Mare”;…si,…ad una autentica incantevole vera e magica Stella di Mare …come se l’avessi avuto a cantare io…
…E poi ,con quella Gondolfiera a fine Concerto…(sempre quello palermitano del 2 luglio 79…),…sembrava sempre che idealmente…andavi a ritrovare i tuoi boschi etnei di ogni tuoi linguaggio/antropologia di divina espressività dalle metafore incantevoli e da storiografia ideale e realissima,allo stesso tempo e per lo stesso motivo;…con tutti quegli alberi ,…tutti sempre sognati come semiologia favolosa originalissima ,…sublimante e liberatoria … di ogni..tua e nostra FUTURA … “cosa che sarà” ,…sempre eterna e storica,…come la tua persona perenne nella nostra memoria esistenziale , descrittiva e ideale d’identicazione …da “I care sempre” !!!
…Ti Piango forte,caro Lucio…!
…Piango con la pioggia di Dio …questo tuo volo senza ritorno nei Giardini che nessuno sa,…da Gabbiano imprendibile e incoercibile (…vero specchio ideale di drammatizzazione speculare della mia identità!),… immaginandoti con il tuo e mio Jesus non curiale …prendere sempre a botte di Paideia Pacifica Filtrante …i claustrali e i bigotti papalini …che ti hanno sempre odiato e invidiato,…o,peggio ancora,…discriminato con indifferenza da cani;…da “loro” merdosi …come veri cani indegni di pronunciare le seguenti Parole: …”Ciao Lucio” !!!
…E noi saremo sempre …”Attenti al Lupo”…come ci cantavi e ballavi…e ci raccomandavi,…con passione indicibile…amandoci e amando la Polis in ogni senso cristianizzante autentico e laicamente fondato,…senza pregiudizi e senza riserve alcune di vità occulta o palese che fosse…
…Tuo
Gianfranco Purpi(Nota del quattro marzo 2012)


www.youtube.com/watch?v=cJ1tYVAZ8kQ

Incontro con David Conati

Incontro con David Conati

di Mario Coviello

conati1Lo scrittore David Conati, autore del romanzo “ Amici virtua@li “, Raffaello editore, sarà nelle scuole della rete per la promozione della lettura  della provincia di Potenza nei giorni 12,13 e 14 gennaio 2014. A Pescopagano, Rionero,Muro Lucano, Bella, San Fele e Potenza incontrerà gli oltre 300 alunni della scuola media che hanno letto il suo libro.

David Conati autore, compositore e scrivente in genere  katalizzautore e incantAutore (www.davidconati.comprogetti@davidconati.com ), ha lavorato con Tito Schipa Jr, Gino & Michele, Oscar Prudente e Mogol. Collabora come traduttore con le agenzie teatrali D’Arborio e Petruzzi di Roma. Ha scritto più di una settantina di testi teatrali, molti per ragazzi, alcuni dei quali premiati ad importanti festival nazionali, oltre ad aver pubblicato saggi, manuali educativi, canzoni, filastrocche, romanzi, guide didattiche e testi di parascolastica per diversi editori.

Amici virtu@li   racconta  la storia di  Marco, che ha appena traslocato con la sua famiglia, e, grazie ad un video pubblicato in rete da uno sconosciuto, diventa subito popolare. Per i suoi nuovi compagni di scuola egli non è più «invisibile». Ma a volte è meglio essere popolari o essere invisibili? . O è meglio essere come Xorro -nickname utilizzato in Facebook – che, grazie alla sua identità segreta, si sente un supereroe? E i supereroi, fino a che punto  sono disposti a mettere a rischio la loro identità segreta per aiutare un vero amico in difficoltà?

Per conoscerlo meglio gli abbiamo rivolto alcune domande. Ecco le sue risposte.

– Chi è David Conati?

Discreto Autore Versatile Inventore Drammaturgico

Consapevolmente Orienta Nuovi Accostamenti Testuali Insoliti  *(acrostico)

conati2– Vivi molte vite: attore, sceneggiatore,scrittore, formatore, chitarrista…Perché?

In realtà sono tanti diversi aspetti dell’uso del linguaggio, la parola in Azione, la parola raccontata, scritta, cantata e… spiegata. Cerco nelle varie forme di espressione di far capire la “forza” delle parole.

-In quale veste Ti senti maggiormente realizzato?

Ciascuna da sola è parte di un tutto. Parodiando Shakespeare Egli scriverebbe che: una mano non è un piede e un piede non è la testa, così il cuore e i polmoni, ciascuna parte ha una sua funzione e ognuna di loro non è il corpo che le racchiude tutte.

– Quali tuoi spettacoli teatrali ti hanno dato maggiori soddisfazioni ?

Come Carlo Goldoni ho iniziato come “autore di Compagnia” scrivendo per diversi registi, ovvero aiutandoli a mettere su “carta” delle loro idee, per questo ho coniato il termine “katalizzautore” (ovvero enzima scrivente). Nella veste di autore i testi che mi hanno dato maggiori soddisfazioni come numero di rappresentazioni e apprezzamento del pubblico sono le farse contemporanee, ovvero quei testi che raccontano in modo ironico situazioni reali e paradossali del nostro vivere quotidiano (Vicini di casa, Indovina chi sviene a cena, Tu la conosci Giulia? Sono alcuni dei titoli più rappresentati); Nella veste di autore/interprete sta riscuotendo molto successo una riduzione per ragazzi dell’Odissea che sto portando in tour insieme a un fumettista, per cui in scena vengono utilizzati diversi linguaggi, parola, canzone e disegno, una contaminazione molto efficace.

conati3– Dopo una serie di libri nei quali hai proposto alle scuole animazioni teatrali hai pubblicato il tuo primo romanzo nel 2012 con la casa editrice  Raffaello, ” Amici virtu@li“che ha avuto un grande successo nelle nostre scuole. Cosa ti ha spinto a scrivere questo libro…?

Scrivere per il teatro è un altro modo di scrivere e raccontare storie, che sempre e comunque storie sono. Prima di arrivare ad Amici virtu@li ho scritto anche riduzioni di classici come O.D.I.S.S.E.A. ad esempio… Scritture e riscritture che mi hanno portato a tenere laboratori di narrazione in molte scuole d’Italia.

Laboratori nel corso dei quali inevitabilmente la prima domanda che porgo ai ragazzi è: ma a voi piace leggere? (è un passaggio inevitabile per chi vuole scrivere, è un po’ come pretendere di partecipare alla maratona di New York senza aver mai corso nemmeno un metro o pretendere di suonare uno strumento senza aver mai fatto un po’ di pratica). Visto che ai ragazzi non piace leggere ho chiesto loro il motivo: la maggior parte delle risposte che mi hanno dato i “non lettori” riguardava il fatto che i libri che vengono proposti loro raccontano storie “vecchie”, che non li coinvolgono e sono scritte in modo “antico”. Allora ho chiesto al mio campione di ragazzi che mi fornissero spunti per scrivere una storia che li avrebbe potuti interessare. L’argomento che attualmente “intriga” e coinvolge di più gli adolescenti è proprio l’uso delle moderne tecnologie di comunicazione… E visto che per lavoro ne faccio un grande uso non dico che sono un esperto ma sono in grado di scriverne… Quindi “Amici virtu@li” è un libro pensato per i ragazzi ai quali non piace leggere…

conati4– ” Amici virtu@li “ parla di amicizia vera e virtuale. Che cosa è per Te l’amicizia?

Amicizia è un sentimento che lega in modo molto forte e intimo le persone. Persone che si conoscono nel profondo e delle quali si riesce ad apprezzare i pregi e anche i difetti. Quindi per essere tale richiede una frequentazione piuttosto intensa e importante. In rete la parola viene usata con enorme facilità, forse abusata…

– In ” Amici virtu@li “ affronti il tema dell’uso dei social network e sottolinei la necessità di vivere una vita vera e non quella virtuale attraverso i media. Quale è il tuo rapporto con i media?  Come li usi ?

Trattandosi di media li uso come mezzo di comunicazione… Tipo ufficio stampa… (e spesso ne abuso…)

– Quali consigli senti di dare ai genitori e docenti sull’uso dei social network?

Importante non partire prevenuti con l’atteggiamento di chi fa la caccia alle streghe, ma imparare ad usarli in modo consapevole.  Imparare per non farsi condizionare, scoprirne le potenzialità e usarle consapevolmente

– E ai ragazzi ?

Idem. Okkio che non avete tra le mani un giocattolo ma un mezzo di comunicazione potentissimo che mette in piazza tutto quello che ci scrivete. È come essere editori di un giornale on-line su se stessi. In rete la privacy non esiste!

” Amici virtuali “ racconta una classe, i rapporti di amicizia..Quali sono i tuoi ricordi di scuola. Come eri come scolaro…?

Piuttosto vivace e irrequieto.

Studioso..

Sì (ma nella giusta  misura. Gli eccessi non vanno mai bene…)

Quali materie ti piacevano..?

Storia, geografia, italiano e Epica soprattutto.

Hai avuto la fortuna di incontrare docenti appassionati che Ti hanno aiutato a scegliere la tua strada..?

Sì, anche se l’ho scoperto anni dopo. Soprattutto alle elementari. Alle scuole medie ho avuto un’insegnante di lettere molto severa che allora non apprezzavo ma che è stata una guida precisa e capace.

– Con i tuoi laboratori di scrittura creativa e di animazione teatrale trascorri molto tempo nelle scuole. Come sono, secondo Te i ragazzi di oggi?

Confusi. Molto confusi dai troppi stimoli che non riescono a gestire… E poco abituati ad esporsi in pubblico, farsi capire e farsi sentire. La tecnologia non li aiuta se alla base manca la capacità di farlo…

Come sono gli adolescenti italiani?

Meravigliosi (anche se leggono poco, ascoltano poca musica e non vanno quasi mai a teatro).

C’è differenza tra maschi e femmine?

Ovviamente. Per interessi e grado di maturazione.

Di cosa vivono, in cosa credono..?

Cercano di sopravvivere in un mare di stimoli e informazioni nel quale naufragano e cercano di navigare a vista, e non tutti ci riescono. Molti seguono con interesse diverse attività (forse troppe) e trascorrono la loro età in modo così frenetico che praticamente non la  vivono… non tutti sia chiaro, ma molti sì.

In che modo riesci a coinvolgerli, ad interessarli, appassionarli..?

Cerco di utilizzare tutti i linguaggi possibili per carpire la loro attenzione, giocando molto sull’ironia e ritmo e soprattutto ascoltandoli… perché spesso, come cantava Carboni: “i professori non chiedevano mai se eravamo felici”… E se li si interroga sul loro “vissuto” si mettono in gioco e partecipano quasi sempre totalmente.

E i più piccoli, se hai lavorato con loro, come sono…?

Fantastici, curiosi e ancora capaci di mettersi in gioco e sperimentare.

Scrivere a cosa serve..?

Fissare le idee, rivivere le situazioni, mantenere viva la memoria, tramandare, capire. Soprattutto capire. (vale sempre la regola che una storia che non si scrive è una storia che non è mai stata vissuta, perché se ne perde traccia). Raccontare per far sapere…

conati5Cosa significa scrivere per Te..?

Oltre ai concetti esposti in precedenza, giocare con i linguaggi e con le parole.

– I docenti che hai incontrato come sono..?

Ne ho incontrati di eccezionali, strenui difensori della lotta alla desertificazione mentale che sta impoverendo tutta la Nazione. Coraggiosi anche, nonostante tutto…

Di cosa ha bisogno, secondo Te la scuola pubblica italiana per fare meglio il suo lavoro?

Di meno inquadramento nei “programmi” e più spazio alla lettura e alla sperimentazione. Di più spazio e progetti per salvaguardare e scoprire le memorie locali (che sono la ricchezza della Penisola)… Però girando per lo Stivale vedo che molto si sta facendo grazie all’iniziativa spontanea e gratuita di molti docenti, come nel Vostro caso… E questo salva la Scuola.

Enrico Maria Salerno, Eutanasia di un amore

Essenziale commento al film fatato :”Eutanasia di un amore” – di Gianfranco Purpi –

…Il film in questione  …può far comprendere,riflettendoci sopra e transferialmente,…la passione verace e la dialettica esistenziale più analitica…di quando ci si ama nel modo più totale e assoluto…eppure si hanno due diverse concezioni della vita,del mondo,dell’Umano,della Libertà,della Socialità e della Psicologia fenomenologica e trascendentale della Conoscenza ,…e di ogni variabile dell’Antropologia storicistica ed esperenziale;…e si finisce inevitabilmente per far “scoppiare” due anime vere amanti fino alla morte …in quanto simbiosi implosiva,…uccidendo o quasi lo stesso amore ed ogni suo “frutto”,…a prescindere da chi accetta o meno di condividere felicitante la Generatività e il Fondamento della vita di Coppia …e della Prole che ne sortisce o ne potrebbe sortire…
…E il Principio della Filosofia di questo Cinema d’autore …è comunque universalmente valoriale e sintetizzabile metaforicamente …entro queste asserzioni tratte dai dialoghi massimamente pregnanti dei protagonisti in questione:
…”””…(…)…L’amore è sempre conoscenza di se,dell’alter e di tutto il resto!
…La gelosia è un sentimento possessivo…e che fa meno compassione perchè rende ridicoli…o forse solo innamorati!…
…Non credevo che fa soffrire tanto…
…L’uomo dovrebbe essere consapevolezza della materia e invece ne resta imprigionato…
…E’  possesso …l’amore della madre … ed è per questo che un figlio viene alla luce soffrendo…come tutti gli esseri viventi…
….Egoismo è l’affetto della famiglia , …e il giovane deve ribellarsi soffrendo;… è gioia il rapporto d’amore,… ma ogni uomo ha la sensazione di ridurlo ad un’esclusiva …e naturalmente soffre se gli manca…
…Vivere è invece spezzare la prigionia del possesso affettivo,…crescere nella consapevolezza;… creare felicità;…tutte le altre forme di esistenza sono subumane;…l’amore , al contrario , … è come la poesia …o è amore o non esiste! “””…
… Il film è stato girato quasi tutto a Firenze,con protagonisti un Toni Musante ed una Ornella Muti strepitosi e forse nella loro interpretazione più coinvolgente,nel 1978,…per la fatata e da tesoreggiare geniale Regia di Enrico Maria Salerno !

Gianfranco Purpi

http://www.cineblog01.net/eutanasia-di-un-amore-1978/

Nelson Mandela – Bisogna essere capaci di sognare

Mandela, in nome dell’uomo

di Antonio Stanca

mandelaNato nel 1918 e morto nel 2013 a novantacinque anni dopo una vita piena di eventi  pubblici e privati, il sudafricano Nelson Mandela è una figura che ha caratterizzato il secolo scorso, che in esso è diventata fondamentale insieme a quelle di altri grandi personaggi impegnati nella difesa dei diritti politici, sociali, civili dell’umanità in un tempo percorso da gravi tensioni e pericoli di carattere nazionale e internazionale.

E’ morto Giovedì 5 Dicembre e Martedì 10 il Corriere della Sera è uscito insieme ad un breve volume intitolato Nelson Mandela- Bisogna essere capaci di sognare. Nella prima parte l’opera contiene gli interventi di noti intellettuali, autori che si esprimono su Mandela, valutano quanto da lui fatto oppure, se lo hanno conosciuto direttamente, si soffermano sulle varie tappe della sua lunga vita. In appendice sono riportati i suoi discorsi più famosi. E’ un libro che si legge con facilità e che offre la possibilità di conoscere Mandela in maniera completa, di sapere tutto dell’uomo e del politico, della sua vita privata e pubblica, della sua casa di Soweto e dei luoghi diversi, delle persone e situazioni diverse tra le quali si è mosso. Leggendo si scopre come Mandela nato nel piccolo villaggio sudafricano di Mvezo si sia sentito animato, fin da ragazzo, dai principi di giustizia, libertà, uguaglianza, come crescendo, studiando abbia continuato a nutrirli soprattutto perché non li vedeva attuati nel suo Sudafrica. Qui, nonostante i tempi moderni, esistevano e valevano ancora le antiche leggi dei colonizzatori, le persone venivano distinte secondo la loro provenienza, la loro condizione economica, il colore della loro pelle, il loro credo religioso. Si era ancora razzisti da parte di una minoranza che deteneva il potere della Repubblica Sudafricana, c’era ancora l’apartheid. La maggioranza sudafricana, e non solo quella di colore, soffriva l’ignoranza, la violenza, la miseria, la malattia, la morte. Contro tali pessime condizioni di vita Mandela cominciò da giovane ad impegnarsi, a lottare nei modi più diversi. Avviò tante iniziative, coinvolse tante persone, creò delle associazioni contro l’apartheid. Entrò a far parte dell’African National Congress (ANC), il partito politico contrario al regime, fu tra i fondatori dell’Umkhonto, il gruppo armato impegnato a svolgere operazioni di sabotaggio e di guerriglia perché  il governo cedesse a certe richieste. Prese parte a tali operazioni fin quando, nel 1964, fu arrestato e messo in carcere. Qui rimase per ventisei anni dedicandosi a letture e studi che ampliarono l’ istruzione ricevuta durante il precedente periodo universitario presso la Facoltà di Legge. Furono anni  e studi che rafforzarono le sue convinzioni politiche. Non smise mai, Mandela, di credere che in Sudafrica sarebbe stato possibile raggiungere una condizione di vita libera, giusta e uguale per tutti specie per chi da secoli soffriva. E nonostante sia uscito dal carcere quando era settantenne continuò in tali aspirazioni, s’impegnò per esse fino a diventare nel 1991 Presidente dell’ANC e nel 1994 Presidente della Repubblica Sudafricana. Intanto nel 1993 aveva ricevuto il Premio Nobel per la pace dopo i precedenti Premio Lenin per la pace e Premio Sakharov per la libertà di pensiero.

Durante il periodo di Presidente della Repubblica Mandela riuscì a realizzare quanto aveva sempre perseguito per il Sudafrica, cioè la fine dell’apartheid, l’avvento di un governo democratico e l’inserimento del paese nel contesto internazionale. Furono queste conquiste a fare di lui una figura riconosciuta ovunque per le sue qualità di uomo e di politico, a trasformarlo nell’esempio, nel simbolo di quanto può la forza dello spirito, di come è possibile far diventare realtà quello che sembrava un sogno.

A ottantadue anni, nel 1999, Mandela si ritira dalla Presidenza della Repubblica e nel 2004 dichiara di voler rinunciare ad ogni altro impegno ma ormai ha raggiunto una tale notorietà, sono tanto importanti i valori da lui rappresentati che non gli è possibile rimanere lontano da  ciò che accade nel mondo, dalle manifestazioni alle quali viene invitato. Egli impersona un’idea, un bisogno che hanno superato i limiti dei loro luoghi, della loro gente e sono diventati di ogni luogo, di ogni gente con problemi d’ingiustizia e disuguaglianza. Qui Mandela comparirà a testimoniare come sia possibile vincere anche dove si è sempre perso, a promuovere riconciliazioni, unificazioni, a ridurre distanze, differenze. Si vedrà anche in altre circostanze, riceverà altri riconoscimenti e in tal modo vivrà fino a qualche anno prima di morire la notte del 5 Dicembre 2013 presso l’ospedale di Pretoria.

Con Mandela si è visto quanto può ottenere anche una persona semplice, umile, quali traguardi può raggiungere se sono di carattere umano, morale, si è provato che la storia è fatta dall’uomo. Si è riscoperto il valore di una simile verità, si è sentito il suo bisogno.

M. Serra, Gli sdraiati

Come mai nella storia

di Antonio Stanca

serraPubblicato a Novembre del 2013 dalla casa editrice Feltrinelli di Milano nella serie “I Narratori” (pp. 108, € 12,00), il romanzo Gli sdraiati è ancora in testa alle classifiche di vendita e ancora sta facendo parlare dell’attività letteraria del suo autore, Michele Serra, figura molto nota perché impegnata in molte direzioni. A cinquantanove anni Serra tanto ha fatto e continua a fare. Sempre e variamente impegnato è stato, dai corsivi su giornali quotidiani e settimanali, l’Unità, Epoca, Panorama tra i primi e la Repubblica, l’Espresso tra i più recenti, alla fondazione e direzione del settimanale satirico Cuore, dalla politica alla televisione, dai testi teatrali alla letteratura.

E’ nato a Roma nel 1954. Trasferitosi con la famiglia a Milano ha conseguito qui la maturità classica e giovanissimo, a vent’anni, ha cominciato a lavorare per l’Unità. Ora vive tra Milano e Bologna e impegnato continua ad essere in particolare nel lavoro di giornalista satirico e di costume, di opinionista, di polemista. Questa finora è risultata l’attività che più lo ha coinvolto essendo egli un intellettuale di sinistra e le tendenze del giornalista hanno interessato anche gli altri aspetti della sua vasta e varia produzione compresa quella di carattere letterario. In essa aveva esordito nel 1989 con la raccolta di racconti Il nuovo che avanza. La seconda raccolta, Cerimonie, sarebbe venuta nel 2002 e gli avrebbe fatto meritare i Premi Procida e Gradara Ludens. Nel 1983 sarebbe comparso il primo libro di poesie, Poetastro, e nel 2000 il secondo, Canzoni politiche. Nel 1997 avrebbe scritto il primo romanzo, Il ragazzo mucca, ed ora è stata la volta del secondo, Gli sdraiati.

Anche nelle narrazioni, anche nei versi tornano i modi che hanno distinto il Serra fin dal suo apparire, quelli, cioè, legati al suo giornalismo, al suo atteggiamento polemico nei confronti di una realtà, di una società, di una vita che hanno perso i principi, i valori che le distinguevano per accettare altri che annullano la loro identità, confondono i loro tratti, ne fanno delle vittime di meccanismi inesorabili, guastano ogni loro aspetto, dalla famiglia alla scuola, dalla religione alla cultura, dalla morale al costume, dal pensiero alla comunicazione. Polemico è Serra perché è convinto che molto è stato perduto di quanto apparteneva all’uomo, alla sua dimensione, e che non sarà possibile recuperarlo, che l’umanità è stata sconfitta dal suo stesso desiderio di diventare, di sentirsi nuova, moderna, che ha perso la sua vera natura e che il peggio deve ancora arrivare. Ma anche alla satira si concede quasi a ridurre, snellire il tono di una polemica che rischierebbe di diventare sempre più accesa e di trasformarsi nella voce di chi è rimasto solo e indietro in un mondo, in un tempo che sono tanto avanzati. Serra, invece, è inserito in questo mondo, in questo tempo, in essi vive, lavora, di essi scrive senza, però, esserne soddisfatto. E’ questo disagio a farlo diventare polemico, a segnare l’intera sua attività compresa quella narrativa, di esso fa interpreti molti personaggi delle sue narrazioni ed anche quelli de Gli sdraiati. Qui un padre divorziato vive col figlio diciannovenne ed è costretto ad assistere a quanto di esteriore è entrato a far parte della vita del ragazzo annullando ogni sua intimità. Egli è come tutti i ragazzi d’oggi, passa la maggior parte del suo tempo “sdraiato” su un divano con il computer addosso, il cellulare accanto e gli auricolari alle orecchie, rientra a casa quando fa alba, dorme in una stanza traboccante  di indumenti smessi. La casa, la scuola sono un problema, un ostacolo in una vita che vuole trascorrere soltanto con gli amici, tutti uguali, nei posti, nei locali che più sono di loro gradimento. Fuma quasi sempre, a volte non solo sigarette, non ascolta le parole che il padre si sforza di dirgli a suo giovamento, vive soltanto di sé, dei suoi interessi, delle sue amicizie, della sua maniera di vestire, di apparire, della sola vita del corpo, dei soli piaceri a questo legati. Ad una rovina totale sembra al padre di assistere perché è consapevole che né lui né altri padri possano arginare un fenomeno così straripante, che impotenti sono diventati, oggi, i vecchi di fronte ai giovani. Pertanto si è dovuto convincere che nel romanzo che intende scrivere, La Grande Guerra Finale, nel quale ha intenzione di rappresentare questo scontro tra i vecchi e i giovani dei tempi moderni, la battaglia finale dovrà farla vincere ai giovani anche se dovrà ammettere che le conseguenze di un simile evento rimarranno quanto mai oscure, impossibili da prevedere.

Abile è stato il Serra a configurare in tal modo quanto di allarmante lascia intravedere l’attuale condizione giovanile, quanto pericoloso sarà questa volta, a differenza di ogni altra volta nella storia, il passaggio, il cambio generazionale. Ci è riuscito con un’opera che si fa leggere volentieri grazie ad uno stile rapido, incalzante, dalle frasi brevi, concise come quelle di un proclama, un’opera che come altre volte fa polemica ma anche satira, è determinata ma anche ironica. E’ il suo modo per avere successo, riconosce il fenomeno ma non si lascia sommergere, si arrende ad esso ma non completamente!

35° Anniversario del Centro Studi “Chora-Ma”

Un’operazione riuscita

di Antonio Stanca

chora-maLa sera di Mercoledì 11 Dicembre a Sternatia (Lecce) presso il Palazzo Marchesale “Granafei” è stata celebrata la ricorrenza del trentacinquesimo anniversario della fondazione del Centro Studi “Chora-Ma”, che nel Palazzo ha sede. Molte sono state le persone presenti e molte le autorità convenute, dai rappresentanti della Chiesa e del Comune di Sternatia, della Provincia di Lecce e dell’Unione dei Comuni della Grecìa Salentina ai sindaci dei paesi vicini. Dopo le relazioni introduttive di Vincenzo Filieri, Segretario del Centro Studi, e di Donato Indino, Presidente, ci sono stati interventi volti a sottolineare l’importanza dell’attività svolta da “Chora-Ma” durante i trentacinque anni della sua esistenza e ad evidenziare l’impegno profuso per il recupero e la valorizzazione del “griko”, del sostrato linguistico, cioè, ancora presente a Sternatia e dintorni a testimonianza dell’antica colonizzazione greca. Sono stati illustrati i rapporti, gli scambi avvenuti nel lontano passato tra Sternatia e la Grecia, si è detto delle tante testimonianze che di essi sono state portate alla luce grazie all’azione di “Chora-Ma”. A conferma di tale attività e di altre iniziative promosse dal Centro e finalizzate a coinvolgere, interessare sia i giovani sia gli anziani, a fare di esso un riferimento sicuro, una presenza attiva nel territorio, è stato proiettato un video intitolato “I nostri primi 35 anni”.

Sono venute poi le considerazioni conclusive del professore Emilio Filieri, docente di Letteratura Italiana presso l’Università di Bari. Egli ha parlato del significato, del valore che hanno operazioni come quella compiuta da “Chora-Ma”, ha spiegato che, tramite il recupero di una lingua del passato, si arriva a ricostruire la cultura, la religione, il costume, la civiltà, la vita di un’area geografica che rischierebbe di rimanere sconosciuta, ha precisato che la lingua offre la possibilità di entrare a far parte della storia, di diventare un suo elemento permanente.

Dopo l’aperitivo la serata ha avuto termine con un’esibizione folkloristica ad opera del gruppo “Asteria”.

Attento è stato il pubblico, ha seguito con molto interesse le varie fasi della manifestazione, i discorsi fatti per ripercorrere la storia del Centro. Si è pure parlato delle difficoltà attraversate durante i primi anni, del lavoro dei collaboratori ed in particolare del Presidente Indino, della comune aspirazione che li ha mossi fin dall’inizio circa il recupero della lingua “grika”. Tra tante altre testimonianze del passato di Sternatia quella linguistica è sembrata loro molto importante ed alla sua riscoperta hanno dedicato gran parte della loro attività. Per studiarla, chiarirla hanno cercato e ottenuto la collaborazione di noti studiosi non solo locali o nazionali ma anche stranieri, hanno promosso la pubblicazione di molti testi in lingua “grika”, hanno organizzato dei corsi per il suo apprendimento, l’hanno fatta inserire tra le discipline scolastiche della locale Scuola Media. “Chora-Ma” ha ritrovato il “griko”, lo ha sottratto al silenzio al quale sembrava destinato, ha esteso la sua conoscenza. Con esso, per esso ha ottenuto, instaurato rapporti durevoli con la Grecia, con ambienti, istituzioni, personalità del posto al fine di confrontare con le loro le proprie iniziative, di sottoporre alla loro verifica, ritenendola tra le più idonee, i propri risultati. Tramite il “griko” il Centro è giunto lontano, prima lo ha cercato, lo ha  raccolto, poi lo ha diffuso, ne ha fatto il motivo principale della sua attività ed è riuscito a procurargli la dignità, l’importanza che ad ogni lingua spettano, a renderlo un mezzo di comunicazione ancora possibile.

Un’operazione di carattere non solo culturale è stata quella svolta dal Centro ma anche sociale. Per questo il suo nome non è rimasto nei confini del Comune che l’ha visto nascere ma è diventato noto anche a distanza, è diventato una realtà della quale si deve tener conto.

Antonio Ferrara alla settima edizione del Torneo di lettura fra scuole in rete della provincia di Potenza

Lo scrittore Antonio Ferrara nelle scuole della provincia di Potenza
per la settima edizione del Torneo di lettura.

di Mario Coviello

ferraraGianni Rodari ha scritto “ Io spero da vecchio di conservare un orecchio acerbo per ascoltare  sempre storie piene di speranza”.

E’ questo il senso profondo della settima edizione del Torneo di lettura  fra  scuole in rete della provincia di Potenza . Partecipano quest’anno gli Istituti Comprensivi di Bella,  San Fele con Ruvo del Monte, Muro Lucano con Castelgrande e Pescopagano,Potenza Terzo, Rionero “Granata”, e Rionero ex circolo didattico,Barile con Ripacandida e Rapolla e gli Istituti Superiori di Muro Lucano con  Pescopagano e Picerno, Rionero “Carlo Levi” e “Giustino Fortunato”, e gli Istituti Superiori  “ F. S. Nitti” e “ Giovanni Falcone  di Potenza.

Lo scrittore  premio Andersen 2012, Antonio Ferrara ha cominciato il suo viaggio nelle scuole della rete martedì 10 dicembre 2012 ed ha preso da Potenza un pulman sostitutivo che lo ha portato a Foggia il 12 alle 13,30.

Si è  incontrato  con gli alunni delle quarte e quinte elementari di Rionero, Bella, S Antonio Casalini che avevano letto  “ La maestra è un capitano”  e con gli alunni delle scuole superiori di Muro Lucano, Picerno,Rionero e Potenza lettori de  “ Il segreto di Ciro”.

Nelle classi i ragazzi con  docenti appassionati alla lettura di libri di qualità, solo per il piacere di leggere, senza il ricatto di riassunti,verifiche, interrogazioni orali,  hanno conosciuto Ciro che si innamora della ragazza del fratello Ferdinando e  una eroica maestra dei giorni nostri raccontato attraverso i testi di Ferrara e le bellissime tavole di Anna Laura Cantone .Tra carta igienica che bisogna portarsi da casa, virus influenzali, bambini indiavolati e genitori ansiosi e iperprotettivi, “ “La maestra è un capitano”  ci offre, con sguardo ironico e affettuoso, uno spaccato della vita di un insegnante di oggi alle prese con le mille difficoltà quotidiane sul lavoro e a casa. Una donna lavoratrice come tante che, nonostante tutte le difficoltà, cerca di non perdere l’entusiasmo per il proprio lavoro e il rispetto per i bambini che le sono stati affidati. E Alessio, un’alunno di quarta di Rionero ha detto all’autore che le sue  maestre “ sono  brave perché ci aiutano in tutte le situazioni“ e anche il piccolo diavolo Samuele che una ne fa e cento ne pensa ha dato un sette alle sue maestre di S. Antonio Casalini. E le maestre si sono riconosciute nel racconto di Ferrara  e commosse hanno ascoltato gli alunni che ripetevano a memoria intere pagine del libro mentre lo Ferrara lo leggeva.

E nella biblioteca affollata di Bella, nell’aula magna delle scuole di Muro, di Rionero del Nitti di Potenza, un silenzio concentrato, occhi vivi ed attenti di grandi e piccini hanno ascoltato  la storia de “ Il segreto di Ciro”. Ciro è bruttino, imbranato, taciturno. Non fa altro che scrivere e disegnare nei suoi quaderni. Tutto il contrario di suo fratello Ferdinando, sempre allegro e pieno di ragazze. L’arrivo di Lia cambia tutto: bella, intelligente, due occhi che ti scrutano dentro. I fratelli se ne innamorano, ed è Ferdinando a conquistarla. Solo che Lia vive a Torino, non a Napoli. Troppo lontano per Ferdinando, ma non per Ciro, che comincia a chattare con lei, fingendosi il fratello. Le parole e i disegni sono armi potenti, possono conquistare i cuori e raccontare le storie più difficili. Ciro racconterà la sua storia in un fumetto, e niente sarà più come prima.

Antonio Ferrara per scrivere questa storia intinge la penna nei caffè di Napoli, proprio come fa un giorno per sbaglio Ciro, che infila il suo pennino da disegno nel caffè anziché nell’inchiostro.

Dal mese di ottobre, bambini e ragazzi, dagli otto ai 16 anni, hanno letto, raccontato, vissuto queste storie che li hanno fatti crescere.Antonio Ferrara a Bella, Rionero,Barile e Potenza  ha incontrato  i suoi giovani lettori, risposto alle loro domande, curiosità, e  ha ripreso forza per continuare a credere nella lettura, nelle storie, in quest’Italia così difficile.

Con entusiasmo  ha incuriosito, appassionato, divertito. Ha raccontato della sua infanzia povera a Ercolano,  del padre che  gli aveva comperato  a rate una costosa enciclopedia  che solo lui poteva sfogliare per aiutare il figlio nelle ricerche. Ha detto che è tornato da grande con sua moglie a visitare la sua povera casa, la parte meno nobile di una villa vesuviana, e ha scoperto che è diventata una biblioteca comunale per ragazzi : un destino segnato.

Alla domanda  “ Perché fai lo scrittore ? “  ha risposto raccontando del suo primo incontro da “scrittore “ con una terza elementare in provincia di Novara dove vive.  Qui lo accoglie una ragazzina che con serietà  gli chiede “ Sei tu lo scrittore ? “ e ad un suo timido cenno di assenso lo accompagna in un lungo corridoio dove sono schierati 18 ragazzini e dietro  ognuno di loro un grande disegno di un uomo con i capelli, senza, grasso, magro…con i libri… lo zaino…davanti al computer.

In classe, subito dopo,  un altro esclama “ Ah sei tu lo scrittore ? Non sei morto ? “.

Dopo aver fatto leggere ai piccoli “ Pane arabo a merenda”, la maestra aveva chiesto  di disegnare lo scrittore e ognuno lo aveva fatto a modo suo. “ Da quella volta ho capito che dovevo fare lo scrittore perché negli incontri con i miei lettori, e ne ho fatti migliaia , in dieci anni  di viaggi per l’Italia, ho sempre la conferma che i miei libri nascono con voi sono scatole vuote con confini ben definiti. Voi  li leggete e me li restituite  nuovi, ricchi,scintillanti,  con la vostra storia, le vostre emozioni. Ho capito che attraverso le parole potevo costruire la speranza…”

I suoi lettori gli  hanno chiesto come era da piccolo, se aveva sogni, se è giusto, come scrive, che bisogna “ribellarsi” ai genitori per crescere.

E Antonio, Nino per gli amici, ha raccomandato ai genitori, ai docenti, ai ragazzi, ai piccoli e ai grandi  presenti agli incontri,  di continuare a credere in se stessi, a non arrendersi, usando non la parola “se”, ma la parola “quando” perché se accordi fiducia anche “ il cattivo”,  come il protagonista del suo grande successo “ Ero cattivo”, può crescere.

Ha raccomandato ai genitori di coltivare nei figli “ il desiderio”, non concedendo tutto,con il coraggio di dire no quando è necessario perché  gli errori, le frustrazioni preparano alla vita.

Ha risposto alle domande facendo domande e stanando il ragazzo che scrive racconti horror, la ragazza che ha problemi ad accettare il  “suo corpo che cambia “.

Tutti gli incontri sono finiti  troppo presto perché il tempo è tiranno e non è semplice in una giornata fare quattro incontri in scuole così distanti, in questa nostra Basilicata così bella ma anche così piena di strade tortuose a dir poco.

Alla fine di una giornata faticosa, a Ferrara che ha con sé un  cesto natalizio con  biscotti fatti in casa dalle mamme degli alunni del Liceo di Muro Lucano il dirigente scolastico Coviello e il responsabile della biblioteca Priore chiedono se si ferma a cena con loro . Antonio confessa che è stanco ha bisogno di dormire. E stamattina, fresco e pimpante è pronto per i piccoli di S. Antonio Casalini ai quali racconta cosa succede quando in casa si rompe la tv e agli alunni del “Nitti “ di Potenza racconta in anteprima  “ Mia” che uscirà nel settembre del 2014. Un giovane racconta della sua ragazza che ha ucciso perché “ non ero tranquillo mai quando gli altri la guardavano  perché Lei era solo mia…”

E ha spronato i ragazzi a  raccontarsi  perché “ la scrittura è consapevolezza delle proprie emozioni…”

Nino Ferrara grazie da tutti noi e a presto perché dobbiamo ancora scoprire  “ dove va a finire la musica quando si smette di suonare”.

D. Cillo e F. Sansotta, Fare il Dirigente scolastico

fare_dsDario Cillo e Franco Sansotta, Fare il Dirigente scolastico, Edscuola-Uil Scuola, 2013

Da settembre ad agosto, mese dopo mese, abbiamo sintetizzato in questa pubblicazione le principali scadenze che caratterizzano l’anno scolastico.

Accanto ad ogni voce, sono inserite le norme di riferimento di origine contrattuale, legislativa o amministrativa.

In coda ad ogni mese abbiamo inserito altri eventuali adempimenti ed un’ipotesi di organizzazione delle principali attività collegiali.

Le date segnalate sono indicative e soggette alle modifiche indicate dall’Amministrazione.

In appendice:

Ruoli e funzioni dell’autonomia. Gli aspetti normativi.

Le funzioni e i compiti:

  • del Dirigente scolastico;
  • del Direttore dei Servizi Generali e Amministrativi;
  • del Consiglio di istituto;
  • della Giunta esecutiva;
  • del Collegio dei docenti;
  • del Consiglio di Classe.

Dario Cillo – Franco Sansotta

PRESENTAZIONE

Sono ben più di cento gli adempimenti che un Dirigente deve osservare nel corso di un anno scolastico e tutti distribuiti nei 12 mesi, senza soluzione di conti­nuità, in un susseguirsi di disposizioni vecchie e nuove in cui, come in una giungla, diventa -a volte-difficile orientarsi: si va dall approvazione del bilancio alla trasmis­sione dei dati sulle assenze del personale, dalle esercitazioni antincendio alle rela­zioni al Collegio dei revisori, dagli incontri con le famiglie alle prove INVALSI, dagli Organi collegiali al Regolamento di istituto, ai debiti formativi, alle iscrizioni, senza tralasciare né “il monitoraggio dei procedimenti disciplinari , e tanto meno “l even­tuale modifica del limite di spesa stabilito per il DS .

Ulteriori difficoltà derivano poi dal fatto che quasi sempre le nuove norme dirette a tutta la pubblica amministrazione (de-certificazione, de-materializzazio­ne, amministrazione digitale, obblighi di pubblicità, trasparenza ed accesso, codice di comportamento, norme anticorruzione, obblighi relativi agli appalti pubblici…) vengono estese anche alle scuole senza alcuna attenzione per la loro specificità.

Si tratta quindi di scadenze in cui il Dirigente deve dimostrare di avere capaci­tà di gestione, di iniziativa, di decisionalità, di comprensione e di interazione fra le varie componenti della scuola per garantire un puntuale controllo delle attività ed una efficace gestione dei tempi.

Questo lavoro, nato dalla collaborazione tra UIL Scuola e Educazione & Scuola e curato da Franco Sansotta e Dario Cillo, si propone -nella migliore tradizione del nostro Sindacato-come una guida agile e sintetica che, mese dopo mese, ricorda al dirigente scolastico gli impegni e le responsabilità di cui deve farsi carico, e ripor­ta –accanto ad ogni voce-il riferimento normativo da cui nasce l impegno stesso.

Le brevi note che accompagnano le varie scadenze servono sia ad illustrare meglio l argomento, sia a chiarire –anche sulla base dell esperienza-i possibili dubbi e le diverse incertezze che possono nascere in chi le deve applicare.

In Appendice sono riportati i ruoli e le funzioni che le norme legislative ed i testi contrattuali assegnano al Dirigente, al DSGA, al Consiglio di istituto, al Collegio dei docenti, alla Giunta esecutiva, al Consiglio di classe.

Buon lavoro,
Rosa Cirillo

vedi anche:

Le copie possono essere richieste alla segreteria nazionale o alle segreterie provinciali Uil Scuola (gli indirizzi e i recapiti sul sito Uil Scuola nella sezione ‘dove siamo’)

R. Maragliano, Adottare l’e-learning a scuola

maraglianoRoberto Maragliano, Adottare l’e-learning a scuola
ISBN: 9788868850623

Fin qui l’e-learning è stato per lo più utilizzato, in ambito scolastico, per la formazione in servizio degli insegnanti. Cosa potrebbe mai capitare se si provasse a utilizzare la formazione online anche per le attività di classe? Ha senso farlo? E come? In che cosa potrebbe essere utile adottare l’e-learning e quali problemi potrebbe incontrare? A queste domande non è possibile dare risposte che siano soltanto tecniche. Quelle più adeguate, che hanno a che fare con la didattica, le potrà dare il singolo docente ragionando, con l’aiuto di questo testo, sui punti di forza e sulle zone critiche dell’insegnamento frontale: alla conclusione di questo itinerario, che è quello del libro, si troverà nelle condizioni di decidere se dire sì all’e-learning e, soprattutto, a che tipo di e-learning dirlo. La presente versione dell’ebook, di novembre 2013, è aggiornata e completamente revisionata rispetto alla prima versione del 2011.

#PARLIAMONE: adottare l’e-learning a scuola
con Roberto Maragliano e Dario Cillo

INDICE

PREMESSA ALLA NUOVA VERSIONE

  • Non è solo consumo
  • A cosa dà risposta
  • Due modi di apprendere
  • Tipologie di sapere e di metasapere
  • Libri, pezzi di libri e piattaforme
  • Lettura collettiva e connettiva

CAPITOLO 1 – CHE STIAMO A FARE IN RETE

1.1 Partire da noi
1.2 Adottare un bicchiere e fare posta
1.3 Abitare e apparentemente altro

CAPITOLO 2 – ESSERE O NON ESSERE IN FACEBOOK

2.1 Non evitare il disturbo, anzi
2.2 L’abc dei problemi di un’esperienza piena di rete
2.3 Palestra Facebook

CAPITOLO 3 – APPRODARE ALL’ELEARNING

3.1 Come ci arriva la scuola
3.2 Come ci arrivo io
3.3 E tu, come ci arrivi?

CAPITOLO 4 – E-LEARNING UNO E BINO

4.1 Una definizione, perché?
4.2 Ciò che non cambia tra P e T
4.3 I due modelli di e-learning

CAPITOLO 5 – LE OBIEZIONI

5.1 “Vuoi mettere?”
5.2 “Mancano le attrezzature, materiali e professionali”
5.3 “Chi me lo fa fare?”

POSTFAZIONE

BIBLIOGRAFIA

 

maraglianoRoberto Maragliano insegna Tecnologie per la formazione degli adulti all’Università Roma Tre. Da tempo si occupa dei rapporti fra educazione e comunicazione, sia sul piano della ricerca scientifica sia e soprattutto su quello delle realizzazioni pratiche e delle soluzioni operative. E’ ideatore e responsabile del Laboratorio di Tecnologie Audiovisive.

 

Bibliografia

In forma di libro:

  • Manuale di didattica multimediale, Bari, Laterza, 1994 (nel 1998, ne esce una nuova versione completamente revisionata, accompagnata da un CD-Rom di utilities per la didattica);
  • Esseri multimediali. Immagini del bambino di fine millennio, Firenze, La Nuova Italia, 1996 (con allegato il software La stanza del tesoro);
  • Tre ipertesti su multimedialità e formazione, Bari, Laterza, 2000
  • La scuola dei tre no, Bari, Laterza, 2003;
  • Nuovo manuale di didattica multimediale, Bari, Laterza, 2004;
  • Pedagogie dell’e-learning, Bari, Laterza, 2004;
  • Didattica e comunicazione di rete, Stripes, 2007 (con I. Margapoti, O. Martini, M. Pireddu);
  • Immaginare l’infanzia (cura), Anicia, 2007;
  • Parlare le immagini. Punti di vista, Apogeo, 2008;
  • Educare e comunicare. Spazi e azioni dei media (cura con A. Abruzzese), Mondadori Università, 2008;
  • Digital collaboration: some issues about teachers’ functions (cura con T. Leo – F. Falcinelli – P. Ghislandi), Scriptaweb, 2009.

In formato ebook:

  • Adottare l’e-learning a scuola, Garamond-Bookliners, 2011;
  • Immobile scuola. Alcune osservazioni per una discussione, CastelloVolante, 2011;
  • Storia e pedagogia nei media (con Mario Pireddu), Garamond, 2012;
  • Pedagogia della morte, Doppiozero, 2012;
  • Adottare l’e-learning a scuola (nuova edizione), 2013

G. Decollanz, Educazione e politica nel Pinocchio

PINOCCHIO: UN BURATTINO POI BAMBINO DEL XXI SECOLO

di CARLO DE NITTI

decollanzItalo Calvino scriveva che classico è quell’autore e/o quel libro che non ha ancora finito di dirci ciò che ha da dirci: insomma, quei testi che – a distanza di anni, di decenni, di secoli, di millenni – parlano al nostro presente di uomini, di persone, di cittadini.
Nel 1972, Giuseppe Decollanz (1935 – 2012) – uomo di scuola, intellettuale, studioso di letteratura per l’infanzia e pedagogista engagé – pubblicò il volume Educazione e politica nel Pinocchio, qui recensito, oggi rieditato in occasione del settantottesimo anniversario della sua nascita per i tipi di rebus books.
Il volume Le avventure di Pinocchio venne pubblicato a Firenze nel 1883 da Carlo Lorenzini – più noto con lo pseudonimo di Collodi, il paesino toscano, vicino Pescia, di cui era originaria la madre – precedendo di pochi anni la stampa di Cuore (1886), di Edmondo De Amicis: sono essi i due capisaldi della letteratura per l’infanzia più rappresentativi – in modo radicalmente diverso – della pedagogia dell’Italia post risorgimentale, umbertina.
Il testo di Decollanz, articolato in un’ampia introduzione – divisa in due parti, l’una sull’epoca e sulla temperie culturale in cui Collodi visse e l’altra sulla sua vita -, in due capitoli (il primo di storia della critica ed il secondo su “Il Problema del Pinocchio”) ed in una conclusione non casualmente intitolata “La rivoluzione del Collodi”, rappresentò, a sua volta, un nuovo interessante capitolo di storia della critica del capolavoro collodiano.
Come non ricordare, tra i numerosi interventi critici discussi da Decollanz, le pagine che Benedetto Croce dedicò allo scrittore toscano, nell’ambito del suo La letteratura della nuova Italia, allorquando parla di lui come di chi ha “scoperto il valore dell’umanità di Pinocchio” (p. 64)? Ma anche, in tempi più recenti, la trasposizione televisiva che ne realizzò Luigi Comencini con un impareggiabile Nino Manfredi nel ruolo di Geppetto, con Gina Lollobrigida come Fatina dai capelli turchini e con la coppia Franchi – Ingrassia nei panni del gatto e della volpe? Oppure la versione
che la Walt Disney realizzò per il cinema? O ancora, ma è posteriore rispetto alla prima uscita del volume di cui si discorre, il concept album del cantautore partenopeo Edoardo Bennato, Burattino senza fili del 1977?
Insomma, Pinocchio ha attraversato ed attraversa ancora la storia, la vita, il mondo degli uomini: è un vero e proprio romanzo di formazione, cui occorre accostarsi – come metodologicamente ci insegna Decollanz – “seguendo la norma di dare rilievo ai fatti e fornire di essi un’interpretazione il più possibile realistica” (p. 116). I fatti, nel caso di Collodi – un mazziniano puro che credeva fermamente in una rivoluzione che ribalti lo stato delle cose presenti, nel riscatto degli umili, degli oppressi, ma che si trovava vivere in un mondo che aveva fatto della meschinità e dell’accomodamento il suo unico credo – erano rappresentati dagli enormi problemi politici, economici, sociali della stragrande maggioranza degli italiani nel Paese appena unito, prima, e nell’Italia umbertina, poi. “Nell’Italia dei Savoia, ligia alle regole dell’esteriorità, il Collodi, insieme con pochi altri, mantenne in vita la problematica di un’Italia nuova, di un’Italia diversa, più umana e più giusta nei confronti di tutti i suoi figli” (p. 122).
Per leggere il Pinocchio in modo ermeneuticamente euristico, il critico non si può non mettersi nell’ottica, conoscendola e condividendola a fondo, dell’Autore. L’opera di Collodi – argomentava, nel ’72, Giuseppe Decollanz – “fu condizionata, in ogni momento, dalla tradizione rivoluzionaria ed egli seppe esprimere in modo originale una delle maggiori attese del secolo scorso e cioè la sintesi rinnovatrice tra l’individuo e la storia. Il Pinocchio si pone così a metà strada tra I Promessi Sposi ed i Malavoglia” (p. 119). Pinocchio armonizza l’ottimismo manzoniano sul ruolo della Provvidenza nella storia ed il pessimismo verghiano sull’ineluttabilità di una situazione presente caratterizzata da miseria e rassegnazione, rimanendo fedele agli ideali che avevano animato il Risorgimento nazionale.
In quest’ottica, il personaggio del burattino che, al termine della storia, diventa un bambino è, ancora oggi nel XXI secolo, un esempio paradigmatico di un ‘poema pedagogico’: non un trattato di pedagogia, esclusivamente teorico e scientifico, ma una “favola istruttiva” (p. 125) che in corpore vili dona ampie suggestioni di grande valore educativo: “Il Pinocchio fu il classico sasso lasciato cadere nelle acque chete di uno stagno; fu l’esplosione, la ribellione, il rifiuto di norme e metodi retrogradi, la rivendicazione di un diritto da lunghi anni negato ai fanciulli: il diritto alla libertà che poi è il diritto alla stessa vita […] nel libro sono riaffermati i tradizionali princìpi della morale comune, della morale del buon senso, i princìpi della carità, della bontà, dell’altruismo, del martirio, dell’eroismo […] come elementi di vita reale e non più come norme astratte codificate dai grandi” (pp. 126 – 127 passim).
La misura della consapevolezza teorica di quanto affermato, in Collodi, riviene dalla sua storia di patriota risorgimentale – argomentava Decollanz con un’attualità sorprendente – “La favola istruttiva del burattino Pinocchio è la storia istruttiva della vita dell’uomo Collodi: il Pinocchio è un libro autobiografico, una confessione poetica rivissuta attraverso la fantasia, immersa nel mondo rarefatto della favola […] Nel Pinocchio c’è la famiglia, c’è la solidarietà,c’è il sacrificio e c’è la bontà […] c’è il desiderio di una società più giusta, c’è la visione di nuovi valori e di un nuovo costume; c’è la speranza di una storia più grande e più giusta” (pp. 128- 130).
La trasformazione del burattino in bambino/uomo è l’insegnamento dell’etica del lavoro quale fondamento della socialità: “il lavoro è il segno dell’onestà e della creatività, dell’impegno civile e del progresso sociale […] All’educazione dell’intelletto, alle scuole del leggere e dello scrivere Pinocchio e Collodi sostituiscono la scuola della vita, che è vera educazione alla libertà, o, se si preferisce, la scuola della libertà, che è vera educazione alla vita” (pp. 138 – 139).
Il messaggio radicalmente rivoluzionario di Collodi, nell’Italia umbertina, fu, in un certo senso ‘anestetizzato’, affinchè perdesse quella dirompente carica potenzialmente ‘eversiva’: si tratta insomma – concludeva Decollanz il suo testo del’72 – di superare gli schemi neoidealistici nella valutazione storiografica e critica della letteratura del secondo Ottocento in Italia per i quali essa doveva essere “ascesa costruttiva e verifica razionale della religione della libertà”, secondo l’idea crociana.
L’impressione che pervade ogni lettore che abbia avuto l’onore ed il piacere di conoscere Giuseppe Decollanz, al pari di chi scrive queste righe, leggendo o, eventualmente, rileggendo questo volume, è che nello studiare Collodi e nello scrivere questa monografia, egli abbia ha ricostruito la figura di uno dei suoi ‘maggiori’.
‘Socialista nel cuore’, come viene definito in modo scultoreo nella quarta copertina, e da sempre – come non ricordare il capitolo “L’occupazione delle terre” nell’autobiografico La guerra siamo noi. Storie dalla Basilicata (2008, I ediz.), in cui a Peppinillo viene affidato il compito di portare la bandiera rossa della Camera del lavoro di Montepeloso alla manifestazione del primo maggio 1945? – non poteva non vedere in Collodi un suo Maestro ideale, un fratello di fede pedagogica, sociale e politica: “La sua adesione all’ideale patriottico mazziniano fu la scelta che caratterizzò tutta la sua esistenza, scelta che in un certo senso la storia aveva preparato per lui, ma che egli non esitò a fare con l’entusiasmo dei giovani ma anche con la sincera passione dell’animo nobile. Rimase sempre una grande anima di patriota, anche durante gli anni difficili del decennio cavourriano, un grande mazziniano, un uomo onesto desideroso di giustizia, furono questi sentimenti che negli ultimi mesi della sua vita lo fecero avvicinare al socialismo che andava diffondendosi in Italia” (p. 19).
Non a caso, il messaggio politico-educativo di Collodi veniva da Giuseppe Decollanz accostato in un parallelismo fraterno a quello di Rocco Scotellaro, poeta del mondo contadino lucano, cui è dedicato un altro suo volume di racconti Ai margini del cratere (Bari 1980). Il nucleo dell’insegnamento dei due scrittori non può essere sintetizzato ancor oggi meglio di quanto non faccia l’esergo che, nel 1972, fu posto all’inizio di Educazione e Politica nel Pinocchio:”Ai bambini di tutto il mondo ed alle ‘teste di legno’, nella speranza che anche loro, prima o poi, come Pinocchio, escano dal ventre della balena per divenire, finalmente, donne e uomini liberi”.
La missione cui Giuseppe Decollanz ha dedicato per intero tutta la sua vita.

M. Marchesini, Atti mancati

Uno scrittore in formazione

di Antonio Stanca

marchesiniHa scritto libri per ragazzi, racconti, poesie, satire, saggi letterari, collabora con le pagine bolognesi del “Corriere della Sera”, con “Il Foglio”, “Il Sole 24 Ore” e recentemente, a Marzo del 2013, ha scritto il romanzo Atti mancati. E’ stato pubblicato dalla casa editrice Voland di Roma nella serie Intrecci, pp. 119, € 13,00.

Si tratta di Matteo Marchesini, nato a Castelfranco Emilia nel 1979 e da tempo residente a Bologna. A soli trentaquattro anni si è mostrato impegnato in molte direzioni e tutte sono riconducibili a quei principi, quei valori ideali che soltanto un giovane intellettuale e autore può coltivare in tempi così difficili come gli attuali, in ambienti così contrari all’idea. Non è, tuttavia, un isolato il Marchesini, non si è ritirato dal mondo, dalla vita per coltivare quella dimensione spirituale nella quale tanto crede. E’ inserito egli nel contesto, in esso lavora convinto che la letteratura debba essere voce, espressione dell’anima e gli autori persone diverse dalle solite perché combattute tra la materia e lo spirito. Di queste situazioni, di questi problemi il Marchesini parla, scrive e il romanzo Atti mancati è una delle più recenti conferme di quanto si muove in lui. Autobiografica è, tra l’altro, l’opera, di come intendere la letteratura si dice in essa, docenti di letteratura, scrittori di saggi letterari, di recensioni, di romanzi sono i suoi personaggi e in particolar modo il suo protagonista,  a gravi conseguenze fa assistere a causa della mancata valutazione di un’opera letteraria.  E’ Marco il giovane intellettuale protagonista, sempre impegnato presso un giornale, a non far valutare all’amico comune, il docente universitario Bernardo Pagi, l’abbozzo di romanzo affidatogli dal coetaneo Ernesto per paura che il giudizio del maestro sia positivo e che egli preferisca il lavoro di Ernesto a quel romanzo che da tanto tempo Marco ha iniziato. Nell’abbozzo Ernesto aveva scritto del difficile rapporto col fratello Davide, del tormento che la situazione gli procurava anche perché non riusciva a capire se lo strano comportamento di Davide fosse dovuto a nevrosi vere o inventate. Lui intanto ne era la vittima maggiore. Morirà, Ernesto, in un incidente stradale dovuto molto probabilmente alle condizioni di malessere che una simile situazione gli procurava e che ultimamente erano state aggravate dal non veder valutata l’opera nella quale aveva creduto di poter rappresentare la sua pena. Uno stato d’animo così turbato gli aveva fatto percorrere una strada diversa dalla solita quella sera e forse lo aveva portato alla distrazione ed allo scontro con quanto di sconosciuto si trovava su uno dei lati. La sua morte muoverà Lucia, la ragazza di Marco, ad andarsene per molto tempo. Marco non riuscirà a spiegarsi il motivo della sua partenza fin quando non sarà lei, tornata dopo alcuni anni, a rivelarglielo. Era partita perché spaventata era stata dal pensiero che situazioni gravi come la morte possono verificarsi a causa della tensione sopravvenuta per una negligenza voluta e compiuta da altri ed anche perché tra lei ed Ernesto era iniziata una storia d’amore. Era stato inevitabile, spiega ora Lucia, dal momento che come Ernesto era scontento di Davide così lei lo era di Marco, della sua perenne incertezza riguardo al loro rapporto, della sua incapacità a decidere tra il lavoro di intellettuale, di scrittore e gli impegni della vita, a trovare il modo per combinare entrambi. Era stato un amore, quello tra Ernesto e Lucia, che aveva solo sostituito quanto mancava loro. Glielo dice mentre insieme percorrono i luoghi del loro passato, mentre parlano di quei tempi e mentre lei si avvicina sempre più a quella morte che la grave malattia della quale è affetta le procurerà. Con la notizia dell’inevitabilità della sua morte l’opera si conclude. In essa dei quattro giovani personaggi principali moriranno Ernesto e Lucia, i puri di spirito, e rimarranno Davide e Marco, il primo con i problemi della sua mente, il secondo con quelli del suo romanzo, con la costante inquietudine che il pensiero dei temi, dei modi da usare per continuarlo e completarlo gli procura, con il desiderio mai appagato di potersi dedicare solamente ad esso o di riuscire a procurargli lo spazio necessario tra i suoi altri impegni.

Nel Marco di Atti mancati Marchesini traspone la sua maniera di vivere, la sua attività, i suoi problemi di giornalista e scrittore: ci si ritrova sempre e ovunque con Marchesini, non vuole egli distanze, differenze tra la vita e l’opera, tutto quel che gli accade vuole far rientrare nella sua scrittura. In essa s’impegna in continuazione a risalire dall’esterno della realtà all’interno dell’anima, da quanto vissuto a come vissuto. Continua è in Atti mancati la tendenza ad osservare, esprimere ciò che avviene nei pensieri, nei sentimenti dei personaggi, a cogliere il pur minimo movimento del loro spirito, a fare di questo il motivo dominante dell’opera, quello che riguarda ogni suo momento ed aspetto.

Y. Sarid, Il poeta di Gaza

Per cambiare in Israele

 di Antonio Stanca

saridA Marzo del 2013 dalle Edizioni E/O di Roma, nella serie Tascabili, è stato pubblicato il romanzo del giovane scrittore israeliano Yishai Sarid, Il poeta di Gaza, (pp. 178, € 9,00, traduzione di Alessandra Shomroni). L’edizione originale risale al 2010 quando l’autore, nato nel 1965, aveva quarantacinque anni. Nel 2011 in Francia l’opera ha ottenuto il Grand prix de littérature policière, nel 2013 in Italia il Premio Internazionale Marisa Giorgetti per i diritti umani e civili.

Sarid vive a Tel Aviv, qui svolge la sua attività di avvocato e Il poeta di Gaza è il suo secondo romanzo. Riuscito lo si può dire sia per la forma espressiva sempre chiara e scorrevole, sempre capace di rendere ogni minimo particolare, sia per i contenuti impegnati a mostrare come si rifletta nella vita, nell’anima degli ebrei la tensione con i palestinesi, quanta attenzione, vigilanza essa richieda ai servizi di sicurezza onde prevenire, evitare azioni terroristiche e conseguenti morti e distruzioni. Ampio, articolato è il romanzo, volto a cogliere ogni aspetto, ogni risvolto dello spirito ebreo, a dire della realtà e dell’idea, del corpo e della mente. Una continua alternanza di tali elementi esso contiene e la rappresenta attraverso la figura del protagonista, a lui fa percorrere tanti luoghi d’Israele, fa incontrare tante persone, fa svolgere tanti compiti. In tal modo riesce vero, autentico,  fa vedere gli esterni delle situazioni che si verificano e i pensieri, i sentimenti di chi le vive. Sempre diviso mostra, infatti, quel protagonista tra il lavoro di giovane ufficiale dei servizi segreti israeliani, specializzato nell’interrogare le persone sospette, e i richiami dello spirito che lo vorrebbero libero da tali incarichi, preso da attività diverse, più semplici, più facili, meno pericolose. Il suo è un impegno senza sosta perché continuo è in Israele il pericolo di azioni terroristiche, non ha neanche il tempo necessario per la sua piccola famiglia, la moglie ed un bambino, ed ora è stato incaricato di scoprire dove vive, come agisce un pericoloso giovane arabo, uno dei capi del terrorismo palestinese, responsabile di tanti attentati e capace di compierne altri. E’ figlio di Hani, “il poeta di Gaza”, un intellettuale molto vecchio e malato che ha i giorni contati e che è molto amico di Daphna, la bella scrittrice di Tel Aviv che da tempo vive separata dal marito. Daphna ha un figlio tossicodipendente e in  una situazione di grave contrasto con i suoi complici nel traffico di droga.

L’ufficiale ebreo riuscirà, tramite la scrittrice, a raggiungere “il poeta di Gaza” e tramite lui suo figlio ma quando tutto era stato preparato dai rivali perché il terrorista fosse eliminato cercherà di salvargli la vita e vi riuscirà. Il rapporto avuto col padre, le lunghe conversazioni tenute con lui lo avevano mosso a compassione ma questo non basterà a salvarlo dall’accusa di tradimento e dal carcere. Da qui uscirà affranto, sfinito, confuso. Ora è completamente solo giacché la moglie, stanca di vivere soltanto col bambino, lo ha lasciato, se n’è andata insieme al piccolo. Lui cercherà Daphna, la incontrerà nella sua casa, invecchiata, delusa del figlio. Gli dirà che Hani è morto e insieme penseranno che sia ancora possibile sperare in tempi migliori.

E’ una speranza che percorre tutto il libro e che alla fine acquista il valore di un giuramento, di un patto, di un compito da svolgere  perché in Israele non c’è solo una famiglia da salvare dal pericolo, dalla rovina ma un’intera società. Questa mostra il romanzo di Sarid nei suoi problemi, nelle sue contraddizioni, nei tempi, nei luoghi della sua storia, della sua vita, della sua religione, nei pericolosi confronti con i vicini palestinesi, nei gravi rischi che corre e che soltanto un ambiente di collaborazione, di scambio, un’atmosfera di partecipazione, una volontà di bene potrebbero eliminare.

Quella di un uomo e di una donna che hanno perso tutto, che sono rimasti soli a Tel Aviv e che continuano a sperare, è l’immagine ultima dell’opera, è quella che lo scrittore vuol far diventare il simbolo dell’intera popolazione ebrea. Con essa vuole invitare la sua gente ad intraprendere un percorso diverso da quello finora compiuto, un percorso guidato dal bene, dall’amore e non più dal male, dall’odio.

Capace è stato Sarid di tenere legato il lettore, di coinvolgerlo fin dall’inizio, di farlo sentire partecipe di quella situazione sempre sospesa che è propria del romanzo, di quell’eterno travaglio al quale fin dall’antichità è esposto Israele.

A. Passaro, Il valore del lavoro

Il valore del lavoro
dalla Costituzione un’eredità per i giovani del XXI secolo

di Carlo De Nitti

passaroIl lavoro, architrave di ogni attività umana, è, in questi anni, economicamente difficili, spesso al centro di dibattiti politici, economici, sociali e culturali, anche in quell’agorà virtuale rappresentata dagli studi televisivi e dal web. Il lavoro che non c’è, il lavoro da creare, il lavoro da cercare, il lavoro nero, il mercato del lavoro, il lavoro part time, il lavoro atipico: insomma, il lavoro è il cardine di tutti i momenti di discussione che si vogliano dire pertinenti i Italia, in Europa come in tutto il mondo globalizzato.

In questo contesto si inserisce la pubblicazione del volume del giornalista e portavoce di un noto leader sindacale, ANTONIO PASSARO, Il valore del lavoro, edito nel 2012, a Napoli, per i tipi di Tullio Pironti editore, presentato da Luigi Angeletti, segretario generale dell’Unione Italiana del Lavoro, e prefato da Giovanni Floris, volto notissimo della televisione di approfondimento sulle tematiche politiche, economiche e sindacali.

Il volume consta di due parti (la prima, Le radici del lavoro. L’articolo 1 della Costituzione, la seconda, Il lavoro oggi e domani. Brevi appunti su crisi, speranze e futuro): nella prima,  ricostruisce – nel corso di sei capitoli, con eccellente puntualità storiografica e con stile capace di coinvolgere i lettori, soprattutto i più giovani – il dibattito avvenuto all’interno dell’Assemblea Costituente per giungere alla formulazione dell’articolo 1 della Costituzione della Repubblica Italiana; nella seconda, in tre capitoli, tematizza il lavoro nella dimensione odierna ed in quella dell’immediato futuro, compresi i suoi rapporti con l’istruzione/formazione.

“L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”, il celeberrimo incipit della Costituzione, “scaturì da un dibattito lungo ed articolato, durato mesi e culminato nella storica seduta dell’Assemblea del 22 marzo 1947. Fu un punto di arrivo di un nobile compromesso, vissuto nel senso etimologico del termine […] un piccolo capolavoro giuridico e politico, esito di un grande impegno personale di autentici statisti”(p. 17).

Una scelta non facile quella dei Padri e delle Madri Costituenti che discussero della materia (tutti i loro nomi nell’allegato da p. 181 a p. 187), unica nelle Costituzioni europee e non solo: proposta da Amintore Fanfani (1908 – 1999), così apodittica, scolpita nella pietra di un appassionato ed approfondito dibattito parlamentare, aveva il suo indispensabile completamento nel secondo comma, anch’esso proposto dal medesimo deputato, sul punto di imputazione della sovranità nel popolo.

Attraverso i sei capitoli che costituiscono la prima parte, ANTONIO PASSARO analizza la cronaca politica di quei giorni di febbrili discussioni, di mediazioni alte tra concezioni del mondo diverse, accomunate dalla volontà dei Costituenti (scorrerne, anche velocemente, i nomi è ‘istruttivo’, da B. Croce a P. Togliatti, da A. Moro a C. Marchesi, da P. Calamandrei, ad A. Labriola, da E. Lussu a G. Martino, etc.) di superare la tirannide totalitaria del precedente ventennio, ma non certo così contrapposte da non potere mutuamente rispettarsi ed interloquire reciprocamente, guardando tutti nella medesima direzione con la consapevolezza di avere in solido come ‘orizzonte di senso’ non già il passato ma il futuro del Paese.

Di questa lungimirante saggezza tutta la società italiana, ha da essergliene grata a sessantacinque anni dalla conclusione della loro opera, soprattutto ora che tutti i Costituenti guardano al nostro Paese, appartenendo al popolo italiano e non più alla popolazione.

La validità delle intuizioni dei Padri e delle Madri Costituenti su questo – fondamentale – come su tanti altri temi cruciali nel dibattito politico odierno, emerge nella seconda parte del lavoro che porta la firma di A. PASSARO: “il lavoro […] è scopo, energia, determinazione. Il lavoro compone la nostra essenza ed è sul lavoro che si fonda la nostra vita civile […] il lavoro aiuta il cittadino a realizzare se stesso” (pp. 15 – 16 passim), scrive GIOVANNI FLORIS nella sua Prefazione, il nostro compito di adulti – ed in questo anche la Scuola può e deve giocare un suo ruolo importante – è quello di indicare ai giovani la via per fondare sul lavoro la loro esistenza e la loro storia.

Peraltro, al lavoro sono dedicati nella Carta Costituzionale anche altri numerosi articoli a cominciare, nei Principi fondamentali, dall’art. 4, che consacra il diritto al lavoro: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.

Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.”

Attuare il dettato costituzionale non è stato sempre semplice nel corso dei decenni a causa di ‘ostacoli’, come li chiama PASSARO: l’evasione fiscale, i costi della politica, la scarsa produttività. Sono loro, insieme ad una moneta unica, l’Euro, che non consente più la pratica della svalutazione, come negli spesso rimpianti tempi della lira, “le disfunzioni del nostro sistema economico sono molteplici e di varia natura […] Gli squilibri finiscono così per scaricarsi sull’occupazione sui salari […] in questo contesto negativo non si crea lavoro né, tantomeno, si genera sviluppo” (p. 158 passim).

Nel capitolo finale, “Per un rinascimento del lavoro”, la pars construens del volume: la valorizzazione del lavoratore come ‘creatore’, come lo definisce Benedetto XVI nell’enciclica pontificia Caritas in veritate, citando Paolo VI; un patto per la produttività; un patto fiscale per il lavoro; la tassazione delle transazioni finanziarie, oltre che della rendita; gli investimenti pubblici nazionali ed europei; gli investimenti privati; last but not least, la scuola e la formazione che consenta di interfacciare giovani e mondo del lavoro.

Chi scrive queste righe è uomo di scuola – dirigente in una tipologia di istituto, quelli professionali, dove massima dovrebbe essere questa interazione: si fa davvero molta fatica a poter costruire percorsi che accompagnino le studentesse e gli studenti dalla istruzione e dalla formazione scolastica ad un approccio concreto ed euristico al mondo del lavoro.

Nell’anno scolastico passato, in un comune della provincia a pochi chilometri da Bari, a Bitetto, la felice interazione tra un istituto professionale, ed, in particolare, una docente molto carismatica tra i suoi discenti, e la lungimiranza di un giovane assessore, ha consentito ad un congruo gruppo di studenti di unirsi in modo gratuito in una cooperativa, regolarmente costituita, per unire forze e sforzi comuni di giovani ed adulti per inserirsi nel mondo del lavoro.

E’ un piccolissimo esempio, ma chi scrive ritiene che questa sia una delle possibili direzioni giuste da percorrere: “Ce lo chiede il nostro passato, scolpito nell’art. 1 della nostra Costituzione. Ma ce lo impone il nostro futuro già scolpito nelle menti e nei cuori dei nostri figli” (p. 176).

L’odierna importanza cruciale della tematica affrontata nel libro per le giovani generazioni è testimoniata dal Convegno Nazionale “Il valore del lavoro” tenutosi a Bari il 2 maggio 2013, organizzato dall’I.I.S.S. “Euclide” e l’I.R.A.S.E. Nazionale. Nel Convegno sono state presentate ricerche scolastiche progettate e realizzate in tre istituti superiori italiani: gruppi di studenti, coinvolti da docenti motivati ed appassionati, hanno compiuto ricerche, scritto relazioni e trascritto documenti riguardanti il mondo del lavoro e i suoi valori ormai perduti, in riferimento all’art. 1 della Costituzione. In particolare, gli allievi dell’I.I.S.S. Euclide di Bari hanno approfondito il tema “Il lavoro che realizza e appaga l’uomo”, quelli dell’I.I.S.S. Via Asmara di Roma, basandosi su ricerche sociologiche e psicologiche, hanno presentato “Casi di licenziamento, disoccupazione e perdita del lavoro”, mentre i discenti del Liceo Classico Vittorio Emanuele di Lanciano hanno approfondito il tema “Il mondo del lavoro, alle origini della filosofia”.

Al Convegno barese sono intervenuti esperti a livello nazionale quali Massimo Di Menna, segretario generale Nazionale UIL Scuola; Gaetano Veneto, docente di Diritto del Lavoro e relazioni industriali dell’Università Aldo Moro di Bari, già deputato al Parlamento; lo stesso Antonio Passaro, autore del libro qui recensito, che ha dato l’abbrivo al Convegno: moderatore d’eccezione, Vincenzo Fiorentino, componente del Comitato Scientifico Nazionale dell’I.R.A.S.E. Nazionale e fondatore dell’Istituto scolastico organizzatore.

S. Poggiali, Ermes

Un buon esordio

di Antonio Stanca

poggialiBuono l’esordio narrativo di Simonetta Poggiali, napoletana che insegna Lettere a Milano e collabora con giornali nazionali oltre a partecipare a sceneggiature per la televisione. Ermes (Una storia napoletana) è il suo primo romanzo pubblicato  nel 2008 per conto della Neri Pozza di Vicenza e ristampato a Febbraio del 2013 dalla BEAT di Varese (pp. 155, € 9,00). Si tratta di un’ampia narrazione che la Poggiali ambienta nella Napoli dei giorni nostri, incentra sulla figura del protagonista, il sedicenne Luigi, e con la quale ricostruisce i luoghi, i personaggi, la vita di quella Napoli rimasta sempre ai margini perché fatta di poveri, di persone alle quali mancano molte cose e per questo giungono alla clandestinità, alla violenza quando non si abbandonano a vizi come quelli dell’alcol. Abituate a vivere di espedienti fin dalla prima età, ad accettare difficili condizioni familiari, ad avere sempre problemi, a soffrire le differenze  quando vengono a contatto con gli altri, queste persone hanno dovuto cercare, percorrere vie diverse da quelle conosciute e sono approdate al malcostume, all’illegalità, ne hanno fatto il loro modo di essere.

La Napoli dei poveri, degli esclusi, dei violenti vuole rappresentare la Poggiali col suo libro e vi riesce tramite quel Luigi figlio di una madre vedova, che lavora come portinaia, fuma in continuazione, e fratello di Pasqualino, bambino delle elementari, debole fisicamente e sempre alle prese con un naso malato. Luigi vive nel clandestino, ritira le mesate per i boss e questo lavoro lo porta ad attraversare con la  vespa l’intera Napoli, ad avere contatti con gli ambienti, i protagonisti della malavita napoletana in qualunque parte della città si trovino. Un movimento continuo e rapido è la sua vita, è lui l’Ermes, il messaggero alato degli dei dell’antica Grecia, è con i suoi spostamenti che la scrittrice fa vedere tutta Napoli, ogni quartiere in ogni suo aspetto, dalle strade alle spiagge, dai palazzi alle baracche, dai colori alle ombre, dalle luci alle tenebre anche se tra queste conclude sempre i viaggi del ragazzo. Vera, autentica vuole essere la Poggiali nella rappresentazione anche perché molto concede, nell’espressione, al linguaggio parlato, al dialetto napoletano.

Il bisogno di realtà, però, finisce per essere solo un aspetto dell’opera dal momento che l’autrice fin dalle prime comparse del suo giovane protagonista lo fa vedere diverso dal ragazzo che si sarebbe creduto proprio di quell’ambiente e dagli altri ragazzi con i quali lo fa incontrare. Pur essendo Luigi un adolescente tra i tanti del luogo la Poggiali gli attribuisce delle qualità che lo distinguono, lo rende capace di richiami interiori, di voci dello spirito. Spesso lo coglie da solo a pensare, riflettere, ricordare, soffrire per la sua vita,  desiderare un’altra senza riuscire a chiarirsela, ad intravedere una qualche possibilità per raggiungerla. Sono pensieri che riflettono il movimento del suo spirito e dai quali Luigi si distoglie coltivando l’amicizia con Ninetta, la ragazza più bella del quartiere, che egli tanto ammira. Quell’amicizia lo colma di tutto ciò che avrebbe desiderato, con la ragazza si frequenta, con lei esce, lei ama nel suo segreto anche se è promessa a Gaetano, il capo dei giovani del posto che momentaneamente è in carcere. Di questa assenza i due approfitteranno per incontrarsi, parlare, uscire più spesso ma pericolosa, crudele diventerà la situazione quando Gaetano, libero, saprà delle loro frequentazioni. Gli sembreranno così gravi da giungere a sentirsi tradito da Ninetta, da diventare furioso ed uccidere la ragazza. Tanto ne soffrirà Luigi da togliersi la vita.

Il bene, il bene coltivato da Luigi sarà sopraffatto dal male, l’amore dall’odio, la vita dalla morte. Le regole dell’ambiente annulleranno quanto di nuovo stava in esso succedendo, non concederanno spazio a ciò che poteva superare i limiti di una situazione, si confermeranno come uniche, inesorabili. Non perde, però, l’opera della scrittrice il suo valore di denuncia dei gravi fenomeni  che ancora esistono senza che ci si impegni a rimuoverli, la sua funzione di messaggio per una vita migliore dove ancora non c’è.

Che tanti elementi, ambienti e personaggi, realtà e idea, vita e morte, rinuncia e speranza, siano presenti e ben combinati in un’opera d’esordio non può che sorprendere e muovere ad apprezzare il romanzo della Poggiali.