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Il diritto e dovere di impartire orientamento e consigli

Il diritto e dovere di impartire orientamento e consigli

di Margherita Marzario

Abstract: “Orientare, volgere verso oriente, dove sorge il sole”, anche questo può formare oggetto di un diritto che è dovere di chi ha il compito di indirizzare la vita di chi viene al mondo

 

Tra le varie disposizioni indicative, nell’art. 144 cod. civ. si parla di “indirizzo della vita familiare”, ma nella vita quotidiana capita sempre più spesso di perdere la rotta e di ricorrere a figure terze, come l’orientatore esistenziale o il consulente filosofico. Ex ante sarebbe preferibile per genitori e adulti un processo di consapevolizzazione e responsabilizzazione partendo dall’art. 5 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia che recita: “Gli Stati parti rispettano le responsabilità, i diritti e i doveri dei genitori o, all’occorrenza, dei membri della famiglia allargata o della comunità secondo quanto previsto dalle usanze locali, dei tutori o delle altre persone legalmente responsabili del fanciullo, di impartire a quest’ultimo, in modo consono alle sue capacità evolutive, l’orientamento ed i consigli necessari all’esercizio dei diritti che gli riconosce la presente Convenzione”. In quest’articolo compare il binomio efficace ed essenziale “orientamento e consigli”, che non è presente in altro atto normativo e che si può generalizzare come diritto e dovere degli adulti nei confronti di bambini e ragazzi.

“Orientamento” ha la stessa origine di “oriente” e “orizzonte”: ai bambini bisogna indicare la strada verso la propria vita che sorge e verso i propri orizzonti che si intravedono. In tal modo si ha anche la cosiddetta educazione dello sguardo e allo sguardo. Il filosofo francese Oscar Brenifier afferma: “Soprattutto, Socrate insegnava che c’è un tale (che poi siamo noi) che si chiama “Uomo”, che se ne va in giro per il mondo e si relaziona con persone, oggetti, circostanze e ha un atteggiamento critico verso l’esistenza, si pone domande autonome, tenta risposte, lo fa in prima persona, lo fa senza molti mezzi ma con un grande potere, quello dell’intelletto. Socrate non insegnava le regole, ma offriva l’occasione di comprendere (e assumere) un metodo di analisi, indicando anche la direzione nella quale applicarlo”[1]. Gli adulti ed in particolare i genitori dovrebbero tornare a fare proprio il metodo socratico, conosciuto come “arte della maieutica”. Questo metodo presuppone il dialogo (accompagnato dall’ironia), perché l’uomo, secondo il filosofo greco, non può scoprire da solo la verità, ma può venirne a capo solo dialogando con gli altri come con se stesso. Questa laboriosa scoperta può perfezionarsi solo mediante una serie di sempre nuove domande e risposte. Così la relazione genitori-figli si deve basare sul dialogo, parola formata da “dia” che significa “tra, attraverso”, perché i genitori devono fare da “ponte” su precipizi, asperità o altro e far sì che i figli vadano oltre seguendo la propria via e vita. Perché, come scriveva la poetessa Alda Merini: “Pensiamo al bambino: lo si può dirigere, ma non stabilire la sua vita. La sua stella è già nel cielo, il suo destino lui già lo possiede. Si deve prepararlo ad affrontare la sorte, ma non pretendere che ci assomigli, anche se nei tratti somatici ricorda il genitore”. I genitori devono dare e non devono dimenticare di dare ai figli “orientamento e consigli”, anche perché in tal modo si discute con i figli e ci si mette in discussione come genitori. I giovani hanno bisogno di servizio e compagnia: non solo dare ai giovani e dire ai giovani, ma essere per i giovani e con i giovani. Dialogare deve significare mantenere il giusto equilibrio tra silenzio e segreti, perché, come dice la psicologa dell’età evolutiva Anna Oliviero Ferraris[2], il silenzio non è d’oro e, al tempo stesso, non bisogna svelare tutti i segreti (i genitori non devono esplicare la propria vita sessuale, per varie ragioni di opportunità e di natura psicologica, anche per non confondere la coppia coniugale o di conviventi con la coppia genitoriale) né nascondere quelli che possono segnare la vita altrui e diventare fardello che si trasmette come il patrimonio genetico. Orientamento e consigli sono tra i bisogni psicologici dei bambini che per crescere non hanno bisogno solo di amore (parafrasando il pensiero della psicologa Oliviero Ferraris) che, comunque, ha le sue “leggi”.

Lo psicologo Ezio Aceti aggiunge: “La relazione è più importante della regola, ma la relazione comunque sfocerà in regola, perché la regola è utile per convivere assieme agli altri. C’è, però, un secondo aspetto: ciò che conta non è dare regole. Ci sono migliaia di bambini e ragazzi che ricevono un sacco di regole ma non ne rispettano nessuna. Le ragioni sono due. Primo: non hanno avuto nessun motivo per interiorizzarle, per renderle parte di sé. Secondo: nessuno gliele ha mai comunicate chiaramente. Le regole s’interiorizzano solo se io ho un rapporto con una persona significativa e sono quindi disposto a portare dentro di me ciò che lui mi dice”. Orientare, “volgersi verso l’oriente” e consigliare, da “saltare insieme” (dal latino “con-salire”) o “fare insieme silenzio” (dal latino “con-silere”) implicano una condivisione: solo così si interiorizzano e si seguono le regole. Se si volge lo sguardo verso lo stesso orizzonte e ci si incammina insieme, anche se con tempi, ritmi ed esperienze differenti e pur non arrivando insieme.

Talvolta nella funzione genitoriale ed in genere in quella educativa è necessario rimproverare (secondo alcuni etimologi da “riprovare”): “Avendo tutto a disposizione, poi, il bambino rimanda sempre più la sua maturazione. Negli Stati Uniti i piccoli portano ancora il pannolino a quattro anni: in Italia ci avviciniamo a questa età. Andando di questo passo, nel 2050 ci saranno “pampers” per liceali” (il pedagogista e sociologo Pino Pellegrino). Il bambino è tale, non deve essere né “puerilizzato”, né “adultizzato”. Secondo un proverbio cinese, però, “Basta poco per rimproverare un uomo, ma occorre molto tempo per dimenticare un rimprovero”, per cui il miglior orientamento è l’esempio che consente la libertà di scelta. I figli sono della vita che arriva sempre prima di tutto e di tutti ed ogni esempio dato costituisce una possibilità di scelta. Anche perché, come sostiene la francescana teologa e scrittrice Roberta Vinerba: “I nostri figli non chiedono ai genitori di essere super-eroi, quanto di restare fedeli nella fatica e sentinelle della speranza di potercela fare, di divenire costruttori per se stessi e per altri, di una vita che abbia senso”.

Per orientare e consigliare sono validi strumenti non solo il dialogo e l’esempio, ma anche le favole. A tale proposito l’esperta di psicologia dello sviluppo, Ada Fonzi, asserisce: “[…] riflettendo su come il libro possa costituire un veicolo straordinario di comunicazione tra l’adulto e il bambino, un filo segreto che li unisce entrambi per trasportarli in un mondo di fantasia, di immaginazione, dove è possibile navigare in sicurezza. Perché le ambiguità, spesso, sono scomparse e i buoni sono veramente buoni e i cattivi sono veramente cattivi. Paradossalmente questo mondo immaginario, anziché disorientare per la sua scarsa aderenza alla realtà, diventa un approdo sicuro dal quale partire per molti viaggi. E tanto meglio se l’impresa non la si affronta da soli”. Bisogna recuperare e rafforzare la lettura delle fiabe perché, oltre ad essere un valido strumento di orientamento e di consigli, hanno una plurivalenza, da quella catartica a quella psicologica di proiezione, e sono, pertanto, necessarie nella formazione dei bambini alla vita e alla loro scelta di vita.

Per impartire orientamento e consigli è necessario ascoltare (art. 12 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia), guidare (art. 14 Convenzione) e farsi guidare (art. 18 Convenzione) tenendo conto del significato etimologico di questi importanti verbi di vita (“ascoltare”, da “porgere l’orecchio”; “guidare”, da “osservare, vegliare”) e delle capacità evolutive, età e grado di maturità dei figli o ragazzi che si hanno di fronte.

È bene che i ragazzi crescano secondo orientamento e consigli perché acquisiscano altresì la maturità e la responsabilità di ricevere e dispensare consigli tra coetanei, come spesso avviene nei gruppi dei pari. Lo psicologo e psicoterapeuta Fabrizio Fantoni spiega: “Alcuni ragazzi caricano sulle spalle dei loro coetanei segreti pesanti come massi, che poi sono difficili da gestire. Il segreto è un legame: condividerlo significa anche costruire un rapporto più forte con l’altra persona, donarle qualcosa di proprio. Chi lo riceve deve essere grato, ma deve anche poter valutare se davvero è bene mantenere riservata un’informazione, o se la gravità del contenuto richieda che ci si consigli con qualcun altro”.

L’economista Luigino Bruni dichiara: “Non abbiamo più sogni perché la scienza ci ha «disincantati». Il mondo antico aveva più registri per accedere alla realtà: uno di questi era il sogno. L’uomo antico è simbolico, non gli basta il mondo che vede, vuole l’invisibile. Oggi ci mancano anche interpreti dei sogni che svolgano questo ruolo per gratuità. […] Mancano «interpreti dei sogni» per vocazione (e non per mestiere). Il mondo educativo (scuola, università) dovrebbe essere molto più popolato da persone sagge che sanno ascoltare i giovani e interpretare i loro sogni per gratuità”. Come pure espresso in un detto americano: “I giovani cercano l’impossibile e, generazione dopo generazione, lo conseguono”. Orientare e consigliare: interpretare e invogliare i grandi sogni e progetti dei piccoli, come passaggio di testimone di generazione in generazione. Così si fa comunità e il ragazzo si sente comunità (termine che compare tre volte nella Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, nel Preambolo e negli articoli 5 e 24).

Indicazioni si rinvengono anche nel codice civile e precisamente negli articoli 147 e 315 bis. Da seguire in particolare l’assistenza morale da dare ai figli e la disposizione in cui si legge: “Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti” (art. 315 bis comma 2). Rapporti significativi sono tali quando danno senso e significato alla vita, quando fanno da bussola nella selva della vita.

Genitore, colui che genera vita, che fa nascere la vita; orientare, volgere verso oriente, dove sorge il sole. Orientare, perciò, è iscritto nell’essere genitore: indicare la vita, incanalare la vita, indirizzare la vita. È necessario che i genitori si riapproprino di questa peculiarità aiutandosi a vicenda oppure facendosi aiutare, ma senza delegare o depauperare i loro compiti o l’essenziale funzione familiare (mutuando le locuzioni usate negli artt. 31 e 37 della Costituzione).

Avere luce, dare luce, essere luce! Avere speranza, dare speranza, essere speranza! La speranza è qualcosa di intangibile come la luce: ci si accorge del suo valore solo quando non c’è! Così dovrebbe essere la famiglia: luce e speranza, illuminare la strada, indicare la strada.

[1] O. Brenifier, “Il libro dei grandi contrari filosofici”, Isbn Edizioni, 2008

[2] Anche a Matera, il 17 marzo 2016, durante la presentazione del libro “La donna che scambiò suo marito per un gatto. Psicologia di coppia e di famiglia”, ed. Piemme 2015

Le ferie coatte del Dirigente scolastico

Le ferie coatte del Dirigente scolastico

di Francesco G. Nuzzaci

da Scuola e Amministrazione, n. 4, Aprile 2016

Casualmente ci siamo imbattuti nella  nota prot. n. 5571 del 7 aprile 2016, a firma del direttore generale dell’Ufficio scolastico regionale della Lombardia. E la nostra attenzione è stata catturata da un singolare passaggio, che impone ai dirigenti scolastici – nelle giornate di chiusura della scuola, deliberate dagli organi collegiali – di  mettersi in ferie, salvo impegni istituzionali, o già programmati, svolti in tali date.

La nota, così è scritto, è stata diramata a seguito di alcuni quesiti di diretti interessati e segna la conferma di un’Amministrazione adusa a sprigionare, con inesorabile regolarità, la sua incomprimibile fantasia di creatrice del diritto, anche in ambiti di non particolare rilevanza, ogniqualvolta venga sollecitata da coloro che, pur nella chiarezza della fonte normativa – al cui accesso diretto sono, evidentemente, refrattari e/o della quale non si fidano –, reclamano l’intervento, presunto salvifico, del Superiore Ufficio. Presunto, perché – posto che non sia pleonastico – spesso sortisce l’effetto opposto: di complicare, in luogo di facilitare, l’azione di chi, per legge, deve quotidianamente assumersi la responsabilità di ragionare e decidere con sorvegliata discrezionalità, anche per quel che concerne la sua presenza fisica in ufficio.

Era successo riguardo ai vincoli della legge di stabilità 190/14 in materia di supplenze di docenti e personale ATA, con il risultato di aggiungersene ulteriori in via interpretativa! Ed era successo subito dopo l’emanazione della legge 107/15, con Viale Trastevere impegnato a modificare per FAQ le disposizioni primarie del  T.U. 297/94, inopinatamente statuendo che il Collegio dei docenti e il Consiglio d’istituto potevano scegliere liberamente di sottrarsi all’obbligo giuridico di individuare i componenti di rispettiva pertinenza nel novellato Comitato di valutazione, per la successiva delibera dei criteri propedeutici all’erogazione del bonus premiale.

Ora sappiamo che – sia pure per la sola Lombardia, è da supporsi – è in vigore un nuovo istituto giuridico, quello delle ferie coatte, al di fuori e al di là della disciplina contrattuale e succedanee norme imperative, di cui alla legge 135/12, che l’hanno integrata: l’una e le altre peraltro richiamate dalla stessa Amministrazione a fondamento della propria decisione, adottata a dispetto dell’elementare principio di non contraddizione.

Difatti, l’art. 16 CCNL dell’Area quinta della dirigenza scolastica stabilisce che la programmazione e l’organizzazione delle ferie rientra nell’esclusiva competenza e responsabilità di ogni dirigente: ciò che, prima facie, sembra un privilegio, nel mentre trattasi di subordinazione all’obbligo di garantire comunque, in tali periodi, la continuità e la regolarità del servizio scolastico.

Il che è la conseguenza di quanto previsto nel precedente art. 15, primo comma, dove si legge che In relazione alla complessiva responsabilità dei risultati, il dirigente organizza autonomamente i tempi e i modi della propria attività, correlandola in modo flessibile alle esigenze della Istituzione cui è preposto e all’espletamento dell’incarico affidatogli.

Com’è giusto che sia. Se si è dirigenti.

Né può dirsi che, a sostegno del solerte e tracimante Ufficio scolastico regionale della Lombardia, sovvengono le disposizioni pubblicistiche introdotte dall’art. 5, comma 8, della legge 135/12, perché – coerentemente con la loro natura di norme finanziarie – si limitano a prescrivere che in nessun caso possono aver luogo trattamenti economici sostitutivi delle ferie contrattualmente regolate; che pertanto il dirigente dovrà programmare anche in previsione di cessazione del rapporto di lavoro, di mobilità, dimissioni, pensionamento e raggiungimento di limiti di età. La ratio è chiara: neutralizzare ogni possibilità che l’interessato si crei, più o meno artatamente, le condizioni per monetizzare ferie non godute.

E’ di palmare evidenza che si è di fronte a un abuso – non importa se consumato con o senza consapevolezza –,  che imporrebbe l’annullamento in parte qua della nota di cui si discorre. Ma al di là di quel che a noi sembra un atto dovuto, l’USR Lombardia dimostra di considerare i dirigenti scolastici alla stregua del loro dipendente personale ATA, obbligato per contratto (art. 51, comma 1, CCNL Scuola) ad un ordinario orario di lavoro di 36 ore settimanali, suddivise in sei ore continuative: che pertanto – nelle giornate di chiusura degli uffici deliberate dalle singole istituzioni scolastiche – deve  pro parte restituire, chiedendo ferie o recuperando con rientri pomeridiani e/o prolungamento d’orario in ragione delle esigenze funzionali della scuola.

Per contro, nel rispetto della disciplina contrattuale, ogni dirigente scolastico – anche se operante in Lombardia – potrà, legittimamente e liberamente, stimare l’opportunità o la convenienza di collocarsi in ferie nelle giornate di chiusura degli uffici, dandone comunicazione all’Amministrazione esclusivamente attraverso la piattaforma  dalla stessa predisposta. Oppure, determinandosi altrettanto liberamente e senza l’obbligo di comunicare alcunché, potrà:

  1. provare a mettere ordine – nella quiete degli uffici deserti, con i telefoni che finalmente non squillano e le porte che non si aprono in continuazione – nella congerie di adempimenti che quotidianamente lo sommergono e che, inevitabilmente, si sono accumulati;
  2. in alternativa, decidere di tirare un po’ il fiato – ai sensi dell’art. 15, comma 2, del CCNL 2006 Area V della dirigenza scolastica, richiamato dalla benevolenza dell’USR – e concedersi un adeguato recupero del tempo di riposo sacrificato alle necessità del servizio.

Aprile, mese crudele

Aprile, mese crudele

di Stefano Stefanel

         Non so se aveva ragione T.S. Eliot (“Aprile è il mese più crudele”), ma certamente se aprile non è il “più” crudele è certo un mese in cui i nodi vengono al pettine. L’anno scolastico volge al termine e molte delle cose progettate sono in alto mare o in convulsa conclusione, nelle scuole c’è molta fibrillazione per conciliare il termine dei progetti, delle attività, degli incontri programmati e non con l’accavallarsi di verifiche, compiti in classe, relazioni, esami (all’orizzonte). Diciamo che un buon aprile aiuterebbe un maggio tranquillo, ma l’accelerazione di aprile porta alle convulsioni di maggio. Facciamo un breve punto della situazione, che poi va in stand by in giugno, in letargo a luglio, riapre le energie ad agosto per poi ripartire con una bella accelerazione a settembre. Forse aveva ragione Nietzsche sull’”eterno ritorno dell’identico”.

In questo aprile è partito il treno dei referendari: è vero che sono pochi e piuttosto antiquati, ma è anche vero che rappresentano un sentire antagonista che nelle scuole c’è, eccome. Se non raccoglieranno le firme necessarie accuseranno a destra e a sinistra con insulti mascherati da linguaggio aulico, come ormai fanno da qualche anno. Se le raggiungeranno e il referendum non verrà ammesso attaccheranno tutti ma non la Corte costituzionale (quella gli piace) che ha bocciato il referendum. Se invece il referendum andrà in porto sostituiranno i dirigenti scolastici alle trivelle nel tentativo di creare nell’opinione pubblica un mostro da attaccare. Se arriveranno al 30% di quorum si dichiareranno vincitori comunque contro i poteri forti e sbraiteranno contro Governo, Miur e Dirigenti che sono riusciti a non far andare la gente alle urne. Se vinceranno otterranno una vittoria simile a quella che avrebbe ottenuto il referendum sulle trivelle: forte da un punto di vista mediatico, nulla dal punto di vista pratico. Nel frattempo ci sarà una forte ricerca del caos, molta confusione, molte accuse, ma soprattutto nessun progetto alternativo a quello governativo se non il richiamo ad un passato che credo neppure i promotori di tante agitazioni vorrebbero.

In questo aprile si è inasprita anche la polemica dei dirigenti sulla loro retribuzione. Un interessante documento ha ottenuto molto appoggio dai dirigenti perché ha mescolato la richiesta di aumento salariale a quella di minori responsabilità in campi delicati come la sicurezza e la burocrazia (“Liberare la scuola”). Tutto forse sacrosanto, salvo poi accorgersi che il problema è complesso e complicato: il numero zero simboleggia la solidarietà ottenuta dall’opinione pubblica sul proprio stipendio, mentre le altre questioni sollevate sono troppo complesse per essere affrontate in forma emotiva e non analitica. Inoltre i dirigenti scolastici si trovano a dirigere le scuole con varie forme di accelerazione che portano aggravio di lavoro che il Miur ritiene compreso nella funzione e che invece i dirigenti chiedono (come tutti i lavoratori) di veder retribuito (concorsi, fondi pon, progettazioni con tempi ristretti, tra qualche giorno arriveranno le reti degli ambiti, comitati di valutazione, ecc.). Mi sembra qualche volta parlando con miei colleghi di essere dentro la pubblicità della Wind, con Fiorello e Conti che affrontano l’aliena a tre teste: la testa centrale spiega le funzioni dirigenziali e la loro importanza per la scuola e lo stato, la testa di destra chiede aumenti salariali su singole funzioni o in generale, la testa di sinistra invece è quella del dirigente burocrate appassionato, vessatorio e cavilloso che si lamenta della burocrazia altrui producendone capiosa di propria.

L’accavallarsi di scadenze (e vedrete quando arrivano le reti previste dal comma 70 dell’art.1 della legge 107/2015 !), di progettualità, di tempistiche ha portato alla scoperta – ad esempio – che ben 3.000 scuole su 9.000 non hanno presentato la domanda per il primo bando PON e che alcune centinaia (messe in chiaro con una procedura di gogna non proprio apprezzabile) sono state escluse dal secondo bando PON per errore nella trasmissione del documento. Cioè ha messo in evidenza gravi problemi di governance, un argomento su cui la dirigenza scolastica dovrebbe essere molto attenta e invece pare distratta. La letteratura sulla scuola ci dovrebbe aver insegnato che se cambiano le condizioni di lavoro e di contesto deve anche cambiare la governance. Questa naturale mutazione non può avvenire per decreto, perché altrimenti non si tratta di governance, ma di organo collegiale. Ma cosa succede invece: animatore digitale, team digitale, piano triennale dell’offerta formativa, fondi pon, piano di miglioramento, rapporto di autovalutazione, progetti ministeriali su italiano, matematica, ecc, ambiti territoriali, laboratori per l’occupabilità, organico dell’autonomia, alternanza scuola-lavoro, comitati di valutazione, ecc. (ma chi legge sa che c’è dell’altro) vengono governati con i vecchi arnesi della scuola degli adempimenti, quegli organi collegiali che tanto piacciono ai referendari e che ormai sono strumenti di ratifica e non di progetto. Sarebbe però interessante capire come si pensa di gestire realmente l’innovazione e il cambiamento attraverso arnesi messi in crisi dall’autonomia. Per cui spesso tutto si rallenta, i tempi non ci sono, non si sa chi e come deve decidere e le occasioni si perdono. Tra l’altro gli organi collegiali hanno come grandi alleati i direttori dei servizi generali e amministrativi e tutto il personale ata, felicissimi quando la scuola non partecipa a progetti, non chiede finanziamenti aggiuntivi, non si prende oneri. Da un lato dunque la vecchia governance che non riesce a governare il cambiamento, dall’altro il personale ausiliario che spera finisca tutta questa “buriana” e si “torni a fare scuola seriamente” senza progetti, visite o altro che possa turbare il potente incedere dell’oppressiva burocrazia delle scuole.

Prendiamo la questione ai limiti della fantascienza dei collaboratori vicari, insegnanti con esonero o semiesonero che fanno più o meno i vice dirigenti. La figura non esiste dal 1999 (autonomia) ma è sempre stata nominata. Il Contratto Collettivo del 2007 permetteva la retribuzione di due figure (Vicario e secondo collaboratore, nella vulgata). La legge 107/2015 permette di nominare entro il 10% dell’organico figure di sistema. Non vi sono limiti invece alle strutture di gestione e di governance possibili. Eppure: scuola nuova vicari vecchi. L’idea del sostituto è così forte, che rimane anche quando non c’è nulla da sostituire. Il pensiero che le novità chiedano nuova governance del processo decisionale e che magari siano meglio più figure di presidio che una gerarchia posticcia entra in poche scuole, ma mantiene nella maggioranza la vecchia connotazione piramidale, dove spesso la parte finale della piramide si trasforma in “cerchio magico” (che pare anche portare male). Dico staff e intendo piramide gerarchica, insomma (tipo: “Professoressa, ma prima di venire da me ha parlato col vicepreside?”, “Dirigente, il vicepreside non esiste”, “Come no, sta di là”).

L’altra questione interessante è cercare di gestire la convulsa innovazione che avanza con i consigli di classe o di interclasse, organismi nati dall’idea partecipativa affermatasi nel 1968, diventata decreto delegato negli Anni Settanta e rimasta viva in mezzo a noi anche se non funziona più. E così mentre il mondo si evolve per deleghe e gestioni complessive e complesse, mentre la scuola viene monitorata e valutata su processi di istituto e di area, mentre le risorse arrivano su azioni complesse e di vasta portata ecco che permangono questi piccoli potentati locali che funzionano se gli insegnanti vanno d’accordo e gli studenti sono bravi, ma non riescono a decidere più niente di realistico, non si confrontano, vanificano spesso con ottimi muri di gomma quali sono qualunque progettazione realizzata da gruppi di lavoro, team di progetto o anche dai collegi docenti, producono tanta carta, anche se spesso rimane chiusa nell’on line. Un grosso interesse antropologico dovrebbe esserci per analizzare perché il docente si comporta e decide in modo diverso se è in Collegio docenti e se è in Consiglio di classe, spesso ignorando quello che ha deciso altrove. Gestire processi complessi con organi che creano piramidi (vicari) e che dividono anche l’indivisibile (consigli di classe) è molto difficile, ma non c’è un interesse vero in giro allo studio di una governance che presidi realmente l’innovazione e la ricerca a tutti i livelli della scuola.

In questo aprile tutto ciò e anche altro è venuto allo scoperto. Oltre le grida si attendono le idee, mentre prevale il dirigente a tre teste.

Un percorso educativo per genitori e educatori attraverso la Carta sociale europea

Un percorso educativo per genitori e educatori attraverso la Carta sociale europea

di Margherita Marzario

Abstract: L’Autrice mostra l’attualità e la progettualità della Carta sociale europea rivelandone aspetti significativi per la scuola e per la famiglia

Nell’ambiente scolastico ed anche in quello extrascolastico si strutturano continuamente progetti per la formazione della persona trascurando la progettualità insita in uno degli atti europei più importanti del XX secolo: la Carta sociale europea, firmata a Torino il 18 ottobre 1961 e riveduta nel 1996, è un trattato del Consiglio d’Europa che enuclea le libertà e i diritti fondamentali della vita quotidiana. Carta ancor più rilevante oggi, perché è bene che ogni soggetto per vivere meglio le proprie relazioni – che sembrano essere sempre più fragili e minate – conosca e consolidi positivamente la sua essenza sociale (“socio” etimologicamente significa “colui che segue, accompagna”, quindi essere come gli altri, con gli altri).

A metà dei principi enunciati nella Parte I della Carta sociale europea, dopo l’esposizione dei diritti dei lavoratori e dopo il principio n. 15 in cui si parla della persona portatrice di handicap, segue il principio n. 16 relativo alla famiglia, quel gruppo cui sono diretti gli sforzi lavorativi dei singoli e che è il fulcro della vita soprattutto per le persone portatrici di handicap. L’enunciato del principio n. 16 risulta essere uno dei più attuali della Carta: “La famiglia, in quanto cellula fondamentale della società, ha diritto ad un’adeguata tutela sociale, giuridica ed economica per garantire il suo pieno sviluppo”. La famiglia, perché sia riconosciuta per quella che è, necessita di cultura della famiglia (a cominciare dalla riscoperta della sua etimologia) e di tutela della famiglia. Come afferma Franco Miano, docente di filosofia morale: “La sfida più grande è quella di ridire il senso e il significato dell’essere famiglia e raccontarne la bellezza. Poi è chiaro che per essere tale la famiglia ha bisogno di alcuni fattori costitutivi. Ad esempio, di ordine economico: se è vero che la famiglia è una risorsa per la società, è anche vero che questo accade dove alla famiglia è dato spazio. Le scelte economiche, organizzative, fiscali, legislative degli Stati incidono. Senza lavoro non c’è casa, e senza casa è difficile mettere su famiglia. Secondo punto: la questione educativa. Bisogna riconoscere alla famiglia e a ciascun componente il suo giusto ruolo, il compito che gli è proprio”. È imprescindibile riconoscere alla famiglia e a ciascun componente il suo giusto ruolo, il compito che gli è proprio, tra cui quello della nuora e quello della suocera, tra le quali intercorre una delle relazioni familiari più conflittuali. Nel lontano passato, in alcune realtà, la futura nuora era saggiata nelle sue capacità domestiche addirittura nel saper pettinare e intrecciare i capelli della futura suocera. Oggi, invece, in molte situazioni la suocera è a priori ignorata o osteggiata. Nel costituire una nuova famiglia non si deve mai dimenticare che essa è una “cellula” che nasce per “mitosi” (divisione cellulare) e si sviluppa per “meiosi” (differenziazione cellulare) e che è culla di ogni educazione, a cominciare da quella relazionale, a maggior ragione parentale, anche alla luce di un fenomeno che seppur limitato torna ad affacciarsi, quello della scuola parentale (o alleanza parentale o educazione parentale o homeschooling), ovvero la scelta di alcune famiglie di impartire l’istruzione entro le pareti di casa come si faceva in passato. A maggior ragione, è necessario, se non doveroso, collaborare tutti non solo nella famiglia nucleare, ma in quella parentale, ricordando in primis i nonni cui si deve ricorrere non solo per un servizio di babysitting.

Dopo il principio n. 16 dedicato alla famiglia, come corollario al n. 17 della Parte I della Carta si legge: “I bambini e gli adolescenti hanno diritto ad un’adeguata protezione sociale, giuridica ed economica”. Colpisce la distinzione tra “bambini” e “adolescenti”, la specificazione di “un’adeguata protezione” e la successione “sociale, giuridica ed economica”, visto che nella realtà si persegue la linea contraria preoccupandosi prima della protezione economica e poi degli altri aspetti. Con questa eloquenza terminologica la Carta sociale europea ha superato alcuni limiti letterali di altri atti internazionali ed anche della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia. È un richiamo che vale anche per i genitori i quali non devono ricadere nella patologia delle cure, quali ipercura, discuria o invuria. L’educatore Michele Visentin sostiene: “Viene un tempo in cui si vuole sapere. Sapere la verità su di sé, le proprie origini, ma anche quello che accade dentro e fuori di noi. Viene un tempo in cui l’educazione si trasforma in esperienza conoscitiva autonoma, non senza strappi e rischi. Adolescenza è il nome che diamo al bisogno di verità che l’essere umano soddisfa guardando in faccia e facendo i conti con il suo sé infantile. Ma non accade tutto d’un tratto, all’improvviso. Qualche anno di transizione o solo pochi mesi devono passare perché il bambino curioso diventi l’adolescente impenetrabile e dialettico che conosciamo. Chiamiamola pure preadolescenza quest’età di transizione. Età che, negata in passato e riconosciuta oggi come tappa fondamentale della crescita, resta pur sempre uno dei momenti più critici per insegnanti, genitori, educatori. Soprattutto negli ultimi tempi. C’è un vissuto, infatti, che va rafforzandosi negli educatori: la sensazione che l’azione educativa con gli esploratori dell’adolescenza (quelli della scuola media per capirci) corrisponda solo in parte alle loro esigenze più profonde”.

Nell’art. 15 della Carta, rubricato “Diritto delle persone portatrici di handicap all’autonomia, all’integrazione ed alla partecipazione alla vita di comunità”, si stabilisce: “[…] garantire alle persone portatrici di handicap l’effettivo esercizio del diritto all’autonomia, all’integrazione sociale ed alla partecipazione alla vita della comunità, a prescindere dall’età e dalla natura ed origine della loro infermità”. Claudio Imprudente, giornalista “diversabile”, scrive: “[…] E così anche il nostro viola finisce per trasformarsi poco a poco in lilla. Ma che differenza c’è, secondo voi, tra viola e lilla? Apparentemente quasi nessuna! A prima vista, i due colori sono molto simili, in bilico tra il chiaro e lo scuro. È, per l’appunto, una questione di sfumature, capaci di mutare colori, percezioni e contesti”. Dal rosso e dal blu si possono formare vari colori ibridi, tra lo scuro e il chiaro: viola, violetto, indaco, lilla, magenta, glicine. Così è labile il confine tra la normalità e la disabilità: ognuno ha diritto alle proprie sfumature. In caso di disabilità, un altro aspetto di cui tener conto è quello dei “siblings”, fratelli e sorelle di persone con disabilità, ed il loro universo – sconosciuto fino a pochi anni fa – che negli ultimi tempi ha alimentato il dibattito grazie alla spinta, tra gli altri, del “Comitato Siblings Onlus”. Al n. 3 dell’art. 15 si legge: “[…] favorire la loro completa integrazione e partecipazione alla vita sociale mediante misure, compresi i presìdi tecnici, volte a sormontare gli ostacoli alla comunicazione ed alla mobilità ed a consentire loro di avere accesso ai trasporti, all’abitazione, alle attività culturali e del tempo libero”. Le istituzioni favorendo ciò consentono anche ai “siblings” di gestire meglio la loro vita altalenante tra senso di colpa, paura e responsabilità. Claudio Imprudente ancora scrive: “L’inclusività deve fondersi per poi diventare liquida (o perlomeno gassosa), così da insinuarsi in ogni frontiera che la nostra cultura pregna di stereotipi produce. La stessa classe «disabilità» può essere considerata vaga o quantomeno astratta se pensiamo a tutte le diversità che la compongono. Ognuno ha le proprie specificità, ognuno ha le proprie caratteristiche e i propri valori. Possiamo inventarci tutte le tabelle e le frontiere che vogliamo per catalogare persone, ma non troveremo mai una soluzione universale a tutti i problemi. Proprio perché l’integrazione è liquida, entra ed esce continuamente da questi schemi, quindi va fatta lavorando con le persone, non con tipologie di persone”.

L’art. 16 “Diritto della famiglia ad una tutela sociale giuridica ed economica” recita: “Per realizzare le condizioni di vita indispensabili al pieno sviluppo della famiglia, cellula fondamentale della società, le Parti s’impegnano a promuovere la tutela economica, giuridica e sociale della vita di famiglia, in particolare per mezzo di disposizioni fiscali e d’incentivazione alla costruzione di abitazioni adattate ai fabbisogni delle famiglie, di aiuto alle coppie di giovani sposi, o di ogni altra misura appropriata”. Prima ancora di interpellare le responsabilità delle Parti istituzionali, è responsabilità delle parti private “realizzare le condizioni di vita indispensabili al pieno sviluppo della famiglia”, che sono la coppia, la conoscenza e la comunicazione: condizioni su cui bisogna maturare la coscienza dei soggetti e la consapevolezza di entrambi. Perché oggi tutti sanno a cosa si va incontro in una vita di coppia e familiare, ma nessuno sembra prenderne coscienza e consapevolezza e la corrispondente responsabilità. Così si possono pure prevenire e gestire eventuali conflitti. Lo psicoterapeuta e sociologo Enrico Cheli propone: “Se vogliono vivere relazioni di coppia più appaganti e meno conflittuali, uomini e donne devono migliorare la reciproca conoscenza superando i pregiudizi e gli stereotipi culturali che la società e i media propongono loro, e parallelamente devono imparare a comunicare efficacemente e a gestire i conflitti esteriori e interiori e le connesse reazioni emozionali che la vita di coppia inevitabilmente produce”[1]. “Nella vita di coppia, infatti, abbiamo l’occasione di pensare a un altro, di chiederci cosa possiamo fare per aiutarlo, in un continuum quotidiano che va dalla preparazione dei pasti fino alle attenzioni e agli stati d’animo. La coppia rende possibile l’esperienza effettiva della cura verso l’altro, la pratica abituale della gentilezza. I componenti della coppia possono, quindi, provare la sensazione di essere buoni, se pure su piccola scala. Certo, si tratta di una bontà con dei limiti, ma quel che conta è che la cura dell’altro non è un ideale astratto, bensì una pratica vera, quasi una routine di bontà”: è quanto aggiunge la storica Lucetta Scaraffia, a commento del pensiero della saggista francese Claude Habib. Alla base di ogni famiglia ci deve essere una “vita di famiglia” e questa sgorga dalla “vita di coppia”, prima ancora di qualsiasi intervento o sostegno esterno. L’aiuto esterno è un supporto destinato a durare limitatamente, poi la coppia deve proseguire autonomamente. La coppia, (da “copula”, legame, congiunzione) se non si abbraccia materialmente e metaforicamente, che coppia è? “Il marito e la moglie si devono prendere cura l’uno dell’altro sia a livello materiale che morale, con l’assistenza e il conforto. È su tale solidarietà, del resto, che si fonda il matrimonio ed il suo venir meno è causa di imputazione dell’addebito” (dalla sentenza n. 17286/2015 del Tribunale di Roma, che ha stabilito il principio secondo cui “niente casa e mantenimento a chi si sposa senza amore”).

L’art. 17 “Diritto dei bambini e degli adolescenti ad una tutela sociale, giuridica ed economica” prevede: “[…] assicurare ai bambini ed agli adolescenti l’effettivo esercizio del diritto di crescere in un ambiente favorevole allo sviluppo della loro personalità e delle loro attitudini fisiche e mentali”. I primi a dover assicurare ai bambini ed agli adolescenti l’effettivo esercizio del diritto di crescere in un ambiente favorevole allo sviluppo della loro personalità e delle loro attitudini fisiche e mentali (e la famiglia dovrebbe essere il primo ambiente a rispondere a queste caratteristiche) sono i genitori che devono innanzitutto comprendere il significato e la rilevanza del crescere. Ogni giorno si deve coltivare fede e cultura: trasmettere la fede nella vita e la cultura della vita. “Anziano”, colui che va avanti, “giovane”, colui che è forte, che combatte: insieme costituiscono e costruiscono la vita. Occorre dare forza ai giovani e prendere forza dai giovani, ma da adulti e non da adultescenti. L’emergenza educativa di oggi è in gran parte determinata dalla latitanza o mancanza di adultità. Il legislatore italiano, per ridestare la responsabilità genitoriale, ha aggiunto il dovere di assistere moralmente i figli negli articoli 147 e 315 bis del codice civile.

Alla lettera b dell’art. 17 vi è scritto: “[…] proteggere i bambini e gli adolescenti dalla negligenza, dalla violenza o dallo sfruttamento”. Prima ancora di essere un impegno dello Stato, la protezione dei bambini e degli adolescenti è insita, anche etimologicamente, nella paternità. La paternità è una delle più belle possibilità, è la capacità di prendere appunti ogni giorno per una vita nuova. È un diritto dei figli e non degli adulti, né dell’uomo né della donna. Una paternità negata, contrastata o mal esercitata può essere una forma di negligenza, violenza o sfruttamento nei confronti dei figli. Occorre recuperare e corroborare la paternità e la conseguente autorità (dal verbo latino “augere”), intesa proprio come forza di fecondare, spingere avanti, accrescere. Paternità come promozione di vita per far fronte alla crisi di autorità e alla crisi di vivibilità (di cui parlava il filosofo Augusto Del Noce) per ritessere quelle relazioni fondamentali che fanno la persona e che fanno sì che ognuno sia persona.

[1] E. Cheli, “L’epoca delle relazioni in crisi (e come uscirne). Coppia, famiglia, scuola, sanità, lavoro”, FrancoAngeli, 2013

Giù le mani dall’Alternanza scuola lavoro

Giù le mani dall’Alternanza scuola lavoro

di Alessandro Basso

 

Ho letto l’articolo che il settimanale “L’Espresso” ha dedicato al tema dell’alternanza scuola lavoro, a firma di Michele Sasso e sento il dovere morale di provare a portare un po’ di chiarezza su questo argomento.

La legge 107, che ormai tutti conoscono, ha reso obbligatorie 400 ore di alternanza scuola lavoro per gli istituti tecnici e professionali e 200 ore per i Licei, portando a compimento una norma che era già stata lanciata nel lontano 2005 (d.lgs 77/2005) in applicazione della riforma Moratti.

Al contrario di quanto affermato dall’articolo, che getta discredito nei confronti delle scuole e delle imprese, sono compiaciuto, da dirigente scolastico, nell’osservare che il sistema alternanza è partito e sta iniziando a portare quel cambiamento culturale necessario per far sì che le nuove generazioni possano avere un contatto diretto con il mondo dell’impresa.

Quest’ultimo si sta aprendo alla scuola e sta capendo che per passare oltre la crisi è necessario far fronte comune tra scuola e impresa, in un’ottica di continuità verticale ed orizzontale verso il mondo del lavoro, per completare quella professionalizzazione delle competenze che la scuola può fare solo in parte e che si rende, oggi più che mai, condizione necessaria verso una piena ed efficace occupazione.

Confondere l’alternanza con i laboratori per l’occupabilità suona da errore grossolano, tanto da non meritare un commento. Alla pari, banalizzare un investimento come quello dell’alternanza scuola lavoro non è sicuramente produttivo.

Gli investimenti in corso non sono soltanto materiali, partendo dai milioni di euro che il Ministero dell’Istruzione ha investito e che servono per stabilizzare, in primis, la figura del referente d’istituto per l’alternanza, colui che interagisce tra le esigenze del territorio, il Piano dell’Offerta Formativa e coordina le attività insieme al Dirigente Scolastico.

La rete interna alle scuole è, poi,ramificata nei tutor individuati all’interno dei consigli di classe, per l’intera classe o per gruppi di studenti, con il compito di redigere il progetto di alternanza per ogni singolo studente, valutando attentamente l’opzione lavorativa più adatta, la preparazione del ragazzo e instaurando un rapporto con l’azienda per far sì che a questo ragazzo possano essere forniti gli elementi necessari per completare il percorso formativo preliminare e parallelo all’esperienza in azienda.

La scuola si sta altresì attivando per fornire agli studenti la preliminare formazione sulla sicurezza (generale e specifica) che le aziende richiedono, coinvolgendo il personale esperto interno, mi riferisco soprattutto ai docenti dei laboratori, con una formazione pregressa in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro e abilitati a trasferirla ai ragazzi e ai responsabili per la sicurezza, che rendono possibile il completamento di quei percorsi di formazione che in parte avvengono attraverso le piattaforme online.

Vi è, poi, un investimento “immateriale” dato dal lavoro delle segreterie scolastiche che si occupano di adempiere a tutti i processi amministrativi, che comprendono la redazione delle convenzioni tra la scuola e le aziende, che molte scuole stanno completando acquisendo software dedicati e impiegando il personale dell’ organico potenziato, come da espressa previsione normativa della “ buona scuola”.
Il percorso di alternanza prevede, soprattutto per i ragazzi di terza che si approcciano a questo mondo, delle visite aziendali in situazione che non sono delle gite ma dei percorsi pianificati in cui preventivamente si è stabilito che cosa andare ad osservare e quale effetto possa avere questa osservazione, per la creazione del percorso di alternanza, cercando di capire quale possa essere la vocazione dello studente in vista di un processo lavorativo.
Irrobustire l’esperienza professionalizzante della scuola non significa assolutamente procedere a un’azione di sfruttamento del lavoratore-studente, come qualcuno vorrebbe far passare ingenuamente e anacronisticamente, perché in nessun caso gli studenti in alternanza vengono inseriti “grottescamente” nel mondo del lavoro senza averne cognizione, non è possibile farlo per la normativa sulla sicurezza vigente in Italia, non è possibile farlo per la sensibilità educativa che le scuole hanno nei confronti dei loro studenti.
Finalmente si sta instaurando un dialogo con il mondo dell’impresa per fornire ai percorsi formativi quella concretezza che, spesse volte, manca nel contesto Istruzione; il mondo dell’impresa sta guardando alla scuola come una risorsa per il futuro dei nostri giovani e la maggior parte di esse sta capendo che attingere al bacino della scuola non significa solamente “mettere gli occhi sui ragazzi migliori” ma, al contrario, far crescere l’intero contesto produttivo per creare delle occasioni di ripresa necessarie al nostro paese, strumentali quanto strategiche.
Non è un caso, dunque, se associazioni di categoria come l’Unione Industriali abbiano fornito personale dedicato e stiano costruendo dei percorsi lungimiranti , aggiungendo alle risorse economiche un potenziale di competenze strumentali al miglioramento stesso del sistema scolastico. Certo nel sistema licei è molto più complicato fare alternanza, ma tutti hanno compreso che nel mondo che solitamente è assegnato allo studio teorico, è necessario guardare oltre, verso percorsi concreti per inserire la scuola nel mondo del domani.

Grande interesse stanno dimostrando i genitori nei confronti dell’ alternanza, comprendendo la serietà con cui la scuola la sta avviando, lungi dal considerare la loro attività come piazzamento degli studenti casuale e disordinato come il giornalista dell’Espresso vorrebbe far credere.

C’è ancora molto da fare, non tutta l’Italia sta procedendo con questa velocità, è necessario irrobustire la formazione del personale per acquisire quella flessibilità tipica del mondo del lavoro privato che a volte manca a scuola, per comprendere che i percorsi di alternanza sono parte integrante del piano scolastico e non delle costole aggiuntive e separate dal curricolo.

Un’intera partita sarà dedicata alla valutazione dei percorsi di alternanza per fare in modo che ciò che viene appreso nell’impresa possa essere valutato all’interno della scuola e, allo stesso tempo, per coinvolgere il mondo dell’impresa attraverso il sistema dei tutor aziendali a valutare le competenze dello studente, senza percepire questo atto come un adempimento burocratico.

Come si può notare, è un intero sistema che si è mosso a favore dell’alternanza scuola lavoro: chi lo discredita e sostiene posizione fuori dal tempo e dalla storia si deve assumere la responsabilità di vanificare l’ impiego consistente di risorse pubbliche, umane e immateriali, e di buttare alle ortiche gli sforzi di migliaia di persone assieme al futuro occupazionale dei nostri figli.

La scuola secundum legem et scientiam

La scuola secundum legem et scientiam

Alla ricerca di una professionalità perduta

Corso di prima formazione per docenti

di Enrico Maranzana

 

 

“L’autonomia si sostanzia di progettualità”, sancisce la norma del 1999.

 

Ogni scuola può elaborare e gestire le proprie strategie che riguardano:

  • il rapporto scuola società – formazione dei giovani in modo “adeguato all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro”;
  • l’educazione – promozione dell’apprendimento che consiste nel consolidamento delle “capacità e le competenze, generali e specifiche” degli studenti;
  • il coordinamento – l’unicità dell’orientamento del sistema scolastico richiede, come condizione necessaria, la convergenza di tutti gli insegnamenti.

 

L’incoerenza del sistema normativo ha impedito la realizzazione d’unità scolastiche in grado di intendere e di volere:

  • la legge 107 ha interpretato l’autonomia delle istituzioni scolastiche in funzione dei problemi della dirigenza: la conseguente parcellizzazione l’ha snaturata;
  • la legge costitutiva dell’Invalsi ha sterilizzato la capacità di autogoverno (feed-back): il controllo è stato trasferito a un ente esterno.

 

L’assenza di professionalità è il secondo impedimento:

  • I dirigenti scolastici vivono nel passato, rifiutano di adeguare la struttura decisionale ai canoni scientifici e normativi, hanno edificato regge per far risaltare la loro figura;
  • I docenti, disinteressati all’interpretazione e all’applicazione delle innovazioni presenti nella legge, supinamente persistono nel loro tradizionale tran-tran;
  • La cultura universitaria, riferimento del Miur, monopolizza la gestione dell’aggiornamento: la divergenza con la mission della scuola è trascurata.

 

Ne discende la necessità di ipotizzare percorsi per la preparazione professionale del personale scolastico che valorizzino:

  • Gli aspetti d’ammodernamento presenti nella legge;
  • La visione sistemica;
  • I dettami delle scienze dell’organizzazione;
  • La dilatazione del concetto di disciplina, arricchita dai problemi da cui sono derivate le relative conoscenze e dai corrispondenti metodi d’indagine;
  • Una metodologia didattica in grado di veicolare una corretta ed espansa immagine delle discipline.

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Corso di prima formazione per docenti

PIANO DI LAVORO

 

L’itinerario è stato pensato per una ventina di persone. Si formeranno quattro gruppi.

 

Le fasi di un incontro sono generalmente sei:

  1. distribuzione scheda di lavoro: la puntualizzazione del compito;
  2. lavoro di gruppo e stesura del resoconto dell’attività svolta;
  3. intergruppo per la socializzazione delle risposte elaborate;
  4. intergruppo per il confronto e la sintesi delle produzioni;
  5. sistematizzazione: presentazione dello stato dell’arte;

 

1° incontro

La comparazione del modello gentiliano con quello odierno facilita la

visione sistemica della scuola.

 

Fasi e tempi
Presentazione corso e introduzione 5’
Lavoro di gruppo 120’
Intergruppo, confronto, sintesi 30’
Sistematizzazione 15’
Dibattito 10’

 

 

La diapositive di sistematizzazione sono visibili all’indirizzo:

https://drive.google.com/file/d/0B-fppSvJHKz3b1NQQ053RkhDbXM/view?usp=sharing

Copiate il link – incollatelo nella barra degli indirizzi e confermate per accedete all’anteprima – cursore sulla freccia volta verso il basso in alto allo schermo – click su scaricate

 

2° incontro

Una riflessione mirata all’interiorizzazione del concetto di sistema. La

lettura corale delle elaborazioni dei corsisti facilita l’appropriarsi della moderna visione della realtà.

 

Fasi e tempi
Attività domestica  
Lettura produzioni 15’
Dibattito 5’

3° incontro

L’interpretazione della norma sull’autonomia delle istituzioni scolastiche conduce a una visione univoca, unitaria, coordinata, controllata dell’istituzione scolastica.

Fasi e tempi
Lavoro di gruppo 60’
Intergruppo, confronto, sintesi 15’
Sistematizzazione 15’
Dibattito 10’

 

La diapositive di sistematizzazione sono visibili all’indirizzo:

https://drive.google.com/file/d/0B-fppSvJHKz3cUt3OWp4TXl0UW8/view?usp=sharing

Copiate il link – incollatelo nella barra degli indirizzi e confermate per accedete alla prima diapositiva – cursore sulla freccia volta verso il basso in alto allo schermo – click su scaricate

 

 

 

 

 

 

4° incontro

L’univocità terminologica è un aspetto da sempre trascurato. Si propone la lettura di un articolo di legge per ricercare il significato delle parole chiave.

Fasi e tempi
Lavoro di gruppo 120’
Intergruppo, confronto, sintesi 30’
Sistematizzazione 15’
Dibattito 15’

 

La diapositive di sistematizzazione sono visibili all’indirizzo:

https://drive.google.com/file/d/0B-fppSvJHKz3ekZtQ014Tk5FRlU/view?usp=sharing

Copiate il link – incollatelo nella barra degli indirizzi e confermate per accedete alla prima diapositiva – cursore sulla freccia volta verso il basso in alto allo schermo – click su scaricate

 

 

 

 

5° incontro

La promozione e il consolidamento delle capacità sono il traguardo del sistema educativo. La loro rappresentazione grafica favorisce la presa di coscienza del mandato affidato al docente.

 

 

Fasi e tempi
Lavoro di gruppo 90’
Intergruppo, confronto, sintesi 30’
Sistematizzazione 15’
Dibattito 15’

 

La diapositive di sistematizzazione sono visibili all’indirizzo:

https://drive.google.com/file/d/0B-fppSvJHKz3ZmJTU0x0RFVqdnc/view?usp=sharing

Copiate il link – incollatelo nella barra degli indirizzi e confermate per accedete alla prima diapositiva – cursore sulla freccia volta verso il basso in alto allo schermo – click su scaricate

 

 

 

 

6° incontro

Il disegno dell’organigramma e di parte del sistema informativo favorisce la presa di coscienza del mandato affidato ai docenti.

 

Fasi e tempi
Lavoro di gruppo 90’
Intergruppo, confronto, sintesi 20’
Sistematizzazione 25’
Dibattito 15’

 

La diapositive di sistematizzazione sono visibili all’indirizzo:

https://drive.google.com/file/d/0B-fppSvJHKz3WHU5M1BkbGNxT1U/view?usp=sharing

Copiate il link – incollatelo nella barra degli indirizzi e confermate per accedete alla prima diapositiva – cursore sulla freccia volta verso il basso in alto allo schermo – click su scaricate

 

7° incontro

Un esercizio elementare, da affrontare a casa, per rinforzare l’adesione al dettato del TU 297/94

 

La diapositive di PowerPoint con l’esercitazione sono scaricabili all’indirizzo:

https://drive.google.com/file/d/0B-fppSvJHKz3VGpsc2hpb19OSUU/view?usp=sharing

La diapositive di PowerPoint con la soluzione sono visibili all’indirizzo:

https://drive.google.com/file/d/0B-fppSvJHKz3Nm9uVllrZktFVG8/view?usp=sharing

 

8° incontro

Il governo di un sistema è reso possibile dalla costituzione di punti d’osservazione, necessari per la capitalizzazione delle informazioni contenute negli scarti obiettivi-risultati (feed-back).

 

Fasi e tempi
Lavoro di gruppo 90’
Intergruppo, confronto, sintesi 20’
Sistematizzazione 30’
Dibattito 10’

 

La diapositive di sistematizzazione sono visibili all’indirizzo:

https://drive.google.com/file/d/0B-fppSvJHKz3ekduTVdoa0ZScUk/view?usp=sharing

Copiate il link – incollatelo nella barra degli indirizzi e confermate per accedete alla prima diapositiva – cursore sulla freccia volta verso il basso in alto allo schermo – click su scaricate

 

9° incontro

Produzione di unità d’apprendimento o di mini percorsi

 

Fasi e tempi
Dichiarazione degli obiettivi 15’
Lavoro individuale domestico 7 gg
Messa in rete delle produzioni  
Analisi delle unità d’apprendimento 7 gg
Dibattito 90’
Commento sull’attività svolta 10’

 

10° incontro

Illustrazione e discussione delle unità d’apprendimento prodotte.

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Corso di prima formazione per docenti

Sk. 1

 

 

La finalità, la struttura, la professionalità, la strumentazione, le forme di controllo della scuola variano al variare dell’ambiente socio-culturale in cui è immersa.

 

 

Proposta di lavoro

  1. Comparate il Regio decreto 6 maggio 1923 n. 1054 [art. 39 .. 64] con l’art. 2 della legge 53/2003[1] e con il TU 297/94 per identificare:
  2. Le finalità;
  3. La strumentazione;
  4. Le forme di controllo.

 

  1. Disegnate i due modelli di scuola facendone risaltare la peculiarità più marcata.

 

  1. Scegliete una parola che sintetizzi l’attuale visione dell’istituzione scolastica.

 

 

 

 

 

 

E’ consentito l’accesso alla rete per ricercare informazioni.

 

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Sk. 2

 

 

Attività domestica

 

 

Nella cultura contemporanea il concetto di “sistema” è preminente.

 

Un aforisma mette in risalto una delle sue caratteristiche:

 

Il tutto è maggiore della somma delle parti

 

 

 

Proposta di lavoro

Individuate un caso che esemplifichi la proprietà enunciata.

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Corso di prima formazione per docenti

Sk. 2

 

Una proposta risolutiva dell’attività domestica

 

 

 

  1. Philoponos VI° secolo D.C.

 

“Quando ogni corda di una lira è accordata in modo lidio e tutte vengono toccate una per una, senza essere suonate insieme in armonia, certamente ognuna darà da sola la sua nota.
Ma l’armonia che si ottiene quando vengono suonate insieme è chiaramente diversa dal suono di ogni corda presa singolarmente.

 

Perché l’associazione di tutte crea una forma che non è presente nell’accordo spezzato.
Così la tonalità dell’armonia quando tutte le corde suonano assieme (anche se non distanti tra loro) è diversa dalla tonalità ottenuta suonando ogni corda singolarmente, eppure è la stessa cosa, nel senso che nessun suono si aggiunge ai suoni singoli, quando essi esprimono nella loro unione la forma dell’armonia”.

 

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Sk. 3

 

 

DPR 275 del 1999

Art. 1
Natura e scopi dell’autonomia delle istituzioni scolastiche

2) L’autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di

pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l’esigenza di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento.

 

 

I progetti sono itinerari volti alla conquista dei risultati attesi.

 

Proposta di lavoro

Il DPR sull’autonomia indica tre percorsi:

  • Interpretate la normativa per derivare il significato dei termini educazione, formazione, istruzione.
  • La sequenza dei tre attributi manifesta l’orientamento del sistema scolastico.

Educazione – Istruzione – Formazione

Formazione – Educazione – Istruzione

Istruzione – Formazione – Educazione

quale finalità esprimono?

 

E’ consentito l’accesso alla rete per ricercare informazioni.

 

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Corso di prima formazione per docenti

Sk. 4

 

 

La precisione terminologica è essenziale per comprendere, definire e valutare i problemi della scuola.

 

Legge 28 marzo 2003, n. 53

Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione

Art. 2.

(Sistema educativo di istruzione e di formazione)

 

  1. E’ promosso l’apprendimento in tutto l’arco della vita e sono assicurate a tutti pari opportunità di raggiungere elevati livelli culturali e di sviluppare le capacità e le competenze, attraverso conoscenze e abilità, generali e specifiche, coerenti con le attitudini e le scelte personali, adeguate all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro, anche con riguardo alle dimensioni locali, nazionale ed europea;

 

Proposta di lavoro

Specifica il significato dei seguenti termini:

  • Apprendimento
  • Conoscenza
  • Competenze generali e specifiche
  • Capacità
  • Abilità

 

 

 

 

E’ consentito l’accesso alla rete per ricercare informazioni.

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Corso di prima formazione per docenti

Sk. 5

 

 

Le capacità sono state definite per elencazione:

Analizzare – Applicare – Argomentare/Giustificare – Comunicare – Comprendere – Decidere/Scegliere – Generalizzare – Interpretare – Memorizzare – Modellare – Progettare – Relativizzare – Riconoscere – Ristrutturare – Sintetizzare   – Sistematizzare   – Trasferire – Valutare …

 

Le capacità sono:

 

  • la stella polare del servizio scolastico [legge 53/2003];
  • entità astratte;
  • processi;
  • visibili poiché si manifestano attraverso le competenze;
  • il punto di convergenza di tutti gli insegnamenti;
  • la sostanza della “Programmazione dell’azione educativa” [TU 297/94]
  • l’oggetto del monitoraggio del Collegio dei docenti

[TU 297/94 art. 7 comma 2 lettera d)];

  • da stimolare e promuovere “attraverso conoscenze e abilità”

[lettera a) comma 1 art. 2 – legge 53/2003];

  • d’intensità variabile, funzione della dimensione del compito affrontato.

 

Proposta di lavoro

Le capacità sono processi.

Rappresentate graficamente la sequenza di azioni che sostanziano la capacità di scegliere, la capacità di argomentare, la capacità di progettare.

 

E’ consentito l’accesso alla rete per ricercare informazioni.

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Corso di prima formazione per docenti

Sk. 6

 

 

 

Il problema dell’inserimento dei giovani nel mondo contemporaneo ha smisurata dimensione. Per dominare la conseguente complessità deve essere disegnato un idoneo sistema organizzativo.

Nel caso in cui la numerosità dei suoi membri sia d’impedimento, ogni organo può costituire organismi più snelli, per sgrossare le questioni.

 

Proposta di lavoro

Dopo aver desunto l’organigramma della scuola dal TU 297/94 e dalla legge 197/2015, indicate quale documentazione sia necessaria per veicolare le comunicazioni che si sviluppano tra i diversi organismi.

 

 

 

 

 

 

E’ consentito l’accesso alla rete per ricercare informazioni.

 

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Corso di prima formazione per docenti

Sk. 7

Un puzzle di rinforzo – lavoro domestico

Aprite il file “Schema tu 297”:

https://drive.google.com/file/d/0B-fppSvJHKz3VGpsc2hpb19OSUU/view?usp=sharing

Clik sulla freccia con la punta in basso (nella parte alta della pagina).

Apparirà una pagina PowerPoint.

 

Proposta di lavoro

Trascinando i singoli componenti sullo schermo del PC ricomponete il modello logico-funzionale della scuola.

La scuola secundum legem et scientiam

Corso di prima formazione per docenti

Sk. 7

Un puzzle di rinforzo – lavoro domestico

 

Soluzione

 

 

 

La scuola secundum legem et scientiam

Corso di prima formazione per docenti

 

Sk. 8

 

La scuola è un sistema dotato di feed-back.

Il confronto tra risultati attesi e risultati conseguiti è il timone del governo.

I controlli devono essere temporalmente differenziati:

  1. la valutazione della fattibilità di un progetto è la necessaria premessa a ogni attività (controllo antecedente);
  2. l’osservazione dell’evolversi dei processi è essenziale al loro monitoraggio

(controllo concomitante);

  1. la verifica dei risultati conseguiti conduce alla determinazione dell’efficacia dell’attività svolta (controllo susseguente);
  2. l’esame della coerenza e della persistenza nel tempo della validità degli obiettivi e della struttura di un progetto fornisce un riscontro al disegno complessivo dell’intervento (controllo dell’evoluzione).

 

 

 

Proposta di lavoro

Dove posizionare i punti di rilevazioni dei risultati conseguiti?

 

 

 

E’ consentito l’accesso alla rete per ricercare informazioni.

 

 

 

La scuola secundum legem et scientiam

 

Corso di prima formazione per docenti

Sk. 9

 

Il sistema scolastico è orientato: mira alla promozione e al consolidamento delle capacità degli studenti.

Le capacità traspaiono dai comportamenti esibiti da chi affronta un compito (competenze).

La processualizzazione delle capacità è la falsariga della progettazione didattica: scegliendo opportunamente argomenti funzionali al loro esercizio si prefigurano gli itinerari che gli studenti percorreranno.

 

Proposta di lavoro

Realizzate un’unità d’apprendimento o un mini percorso per far vivere a una classe significative esperienze.

Prima di iniziare la progettazione dichiarate le capacità da sollecitare e classe di riferimento.

 

 

Casistica esemplificativa, consultabile in rete:

Percorso didattico su numeri naturali e i sistemi di numerazione

Laboratorio di matematica: Pitagora

Laboratorio di matematica: Archimede

Laboratorio di matematica: gli automi a stati finiti, per studenti della secondaria di primo grado

La cultura informatica per promuovere competenze

Intelligenza artificiale: un assaggio

Problema-modello-esecutore

Problemi, metodi e concetti dell’economia aziendale

[1] Il riferimento alla legge del 2003 e non alla legge 107/1015 è motivato dall’errata definizione dei “traguardi formativi prioritari”.

Scuola: Alt polizia!

Scuola: Alt polizia!

di Giovanni Fioravanti

 

Può darsi che tutelare i nostri giovani da pericoli come il consumo di droghe non abbia prezzo. Ma non è così naturale che a scuola entrino le forze dell’ordine. Dobbiamo capirci dove inizia e dove finisce il confine invalicabile di ogni istituto scolastico, perché la scuola non può rinunciare ad essere luogo per eccellenza della tutela e dell’accompagnamento di bambini, adolescenti, giovani. Spazio di protezione e ascolto di chi tra noi è più fragile, più esposto a sbagliare. Per questo, là dove si educa, non possono subentrare carabinieri e cani poliziotto.

Ci devono essere aree protette, tra queste, prima di tutto, le scuole e gli ospedali. Non significa extraterritorialità, neppure zona franca, ma semplicemente attenzione, comprendere la scala degli obiettivi, le priorità che non possono venire meno.

Coordinare gli sforzi volti a prevenire e contrastare lo spaccio di droga, come altri fenomeni di devianza sociale tra i giovani in età scolare, non può che incontrare la piena condivisione delle famiglie e degli istituti scolastici, ma ciò non può avvenire a prescindere dalla considerazione che, prima di impressionare e punire, è indispensabile comprendere e recuperare, tenere aperta la strada della confidenza, della fiducia, del dialogo. Si tratta di non guardare la persona al presente ma in prospettiva.

Al liceo Virgilio di Roma l’arresto, durante la ricreazione di un ragazzo sorpreso a vendere hashish a un compagno, ha prodotto la protesta di genitori e di centinaia di studenti, non certo per sottovalutazione, ma semplicemente per il motivo che la scuola, in quanto luogo sociale protetto, richiede modalità di approccio e di intervento ben diverse dalla messa in scena dello spiegamento di forze della polizia. Un’esibizione nutrita dall’idea che solo l’intimidazione e la punizione possano far desistere la fragile personalità degli adolescenti dall’ intraprendere la strada della droga e della devianza sociale. Un modo sbrigativo per affrontare una questione complessa che compete anche alla scuola come luogo di relazioni, di scambi, di processi formativi, di fiducie e di attese, senza blitz, cani poliziotto e forza armata.

Per nessun motivo può venire meno la piena coscienza che le scuole sono luoghi particolari ed altamente delicati, perché luoghi di tutela, cura, sostegno e dialogo per le giovani generazioni.

Se la scuola, in virtù di un ruolo male inteso, non assolvesse a queste prerogative, rischierebbe di tradire la fiducia dei suoi utenti, fondamento di ogni relazione educativa, condizione prima per lasciare aperta ogni possibilità alla confidenza e alla comunicazione tra alunni e docenti, protagonisti di quei complicati e delicati atti ad alta intensità educativa che ogni giorno si concretizzano nelle aule scolastiche del nostro Paese.

Mancare su questo terreno comprometterebbe ogni speranza di successo nella lotta contro i comportamenti devianti, con la conseguenza di lasciare spazio e voce solo alla condanna, all’etichettamento, all’emarginazione, con il risultato di aver fallito nello svolgere il compito formativo a vantaggio della società tutta.

Ogni istituzione scolastica è chiamata ad esercitare i propri compiti nell’ambito sancito dalla nostra Carta costituzionale e dalla legislazione di uno Stato di diritto, senza travalicare mai questi confini, a tutela del rispetto delle singole competenze istituzionali e del “valore” che è ogni ragazza e ogni ragazzo per il presente e per il futuro della nostra società.

Per esperienza quanti operano nelle scuole sanno bene che la devianza giovanile è il prodotto di dis-agio, di un non-logos, di un non-senso della vita. Chi è in crescita, chi “crea se stesso”, come le nostre ragazze e i nostri ragazzi, ha tutto il diritto di frequentare una scuola che lo garantisca di poter ricercare, con a fianco l’adulto insegnante, l’agio, il logos e il senso da dare alla proprio esistenza, i “significati” di cui ha bisogno, di cui sente la mancanza, anche se inconsapevolmente, in un ambiente disinteressato, sereno e sinceramente rassicurante, tutelato e protetto da ogni possibile minaccia che possa vanificare per sempre i non facili sforzi e più spesso i tormentati percorsi di ogni singolo.

Garantire una fattiva, leale e doverosa collaborazione tra istituzioni scolastiche e le forze dell’ordine che operano sul territorio, richiede attenzione, sensibilità, intelligenza, capacità di valutazione per non tradire l’ambito dei doveri che la legge assegna a ciascuna istituzione, con particolare riguardo alla tutela e al rispetto prezioso dello sviluppo della persona umana.

Incarichi interni ed esterni all’amministrazione

Incarichi interni ed esterni all’amministrazione

di Gerardo Marchitelli

 

Vi è un principio basilare nel nostro ordinamento, da lungo tempo unanimemente riconosciuto dalla giurisprudenza contabile, in virtù del quale ogni ente pubblico, dallo Stato all’ente locale, deve provvedere ai propri compiti con la propria organizzazione ed il proprio personale. Detto principio trova in realtà il suo fondamento non solo nel canone costituzionale di buona amministrazione (art. 97 Cost.) di cui i principi di efficacia ed economicità dell’azione amministrativa (art.1 l. 241/90 e ss. modif.) costituiscono fondamentale emanazione (da ultimo Cass. S.U. 7024/06; nonché Cass. S.U. 14488/03); ma anche nella considerazione che – atteso che ogni ente pubblico ha una sua organizzazione e un suo personale – è con questa organizzazione e con questo personale che l’ente deve attendere alle sue funzioni.

Tuttavia, la possibilità di far ricorso a personale esterno (esternalizzazione) è ammessa nei limiti e alle condizioni in cui la legge lo preveda, od anche quando non sia possibile provvedere altrimenti ad esigenze eccezionali ed impreviste, di natura transitoria (Sez. controllo, 26 novembre 1991, n. 111; SS. RR., 23 giugno 1992, n. 792, e 12 giugno 1998, n. 27; Sez. II, 13 giugno 1997, n. 81, e 18 ottobre 1999, n. 271). In realtà, tutte le forme di esternalizzazione dell’attività pubblica quali le consulenze individuali, le forme di collaborazione esterna, i contratti di prestazione d’opera intellettuale, i contratti a tempo determinato, hanno la comune e generale funzione di acquisire professionalità qualitativamente e quantitativamente assenti nella pubblica amministrazione.

Tanto premesso la disposizione di riferimento è contenuta nell’art. 7, comma 6 del d.lgs 165/2001. Ebbene, la disposizione contenuta nell’art. 7 del d.lgs 165/2001, nella sua versione originaria stabiliva che “ove non siano disponibili figure professionali equivalenti, le amministrazioni pubbliche, possono conferire incarichi individuali ad esperti di provata competenza, determinando preventivamente durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione”, Il legislatore, tuttavia, in un contesto sempre più caratterizzato dalla necessità di contenimento della spesa pubblica, introducendo l’art. 32 del d.l.223/2006 e successivamente l’art. 3, comma 76 della l. 244 del 2007, ha subordinato il ricorso alla collaborazione (compresi i co.co.co che sino al 2006 erano disciplinati da altre 9 disposizioni) in ipotesi ancora più stringenti. II testo, infatti, nella formulazione vigente, dispone che “Per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria, in presenza dei seguenti presupposti di legittimita’ : a) l’oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall’ordinamento all’amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalita’ dell’amministrazione conferente; b) l’amministrazione deve avere preliminarmente accertato l’impossibilita’ oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno; c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata; d) devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione. Si prescinde dal requisito della comprovata specializzazione universitaria in caso di stipulazione di contratti di collaborazione di natura occasionale o coordinata e continuativa per attivita’ che debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nel campo dell’arte, dello spettacolo , dei mestieri artigianali o dell’attività informatica nonché a supporto dell’attività didattica e di ricerca, per i servizi di orientamento, compreso il collocamento, e di certificazione dei contratti di lavoro di cui al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, purché senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica , ferma restando la necessita’ di accertare la maturata esperienza nel settore. Il ricorso a contratti di collaborazione coordinata e continuativa per lo svolgimento di funzioni ordinarie o l’utilizzo dei collaboratori come lavoratori subordinati e’ causa di responsabilita’ amministrativa per il dirigente che ha stipulato i contratti. Si applicano le disposizioni previste dall’articolo 36, comma 3, del presente decreto. Dalla disposizione innanzi riportata, dall’insieme delle norme che regolano l’esternalizzazione e dalla giurisprudenza contabile che si è andata via via formando sia in sede di controllo che in sede giurisdizionale, è possibile riassumere i seguenti criteri per valutare la legittimità degli incarichi esterni: a) rispondenza dell’incarico agli obiettivi dell’amministrazione; b) inesistenza, all’interno della propria organizzazione, della figura professionale idonea allo svolgimento dell’incarico, da accertare per mezzo di una reale 10 ricognizione; c)indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per lo svolgimento dell’incarico;d)indicazione della durata dell’incarico. Ma soprattutto è dato cogliere un principio normativo di fondo che disciplina tutta la materia: il conferimento di incarichi all’esterno, in qualunque delle ipotesi sopra riportate, è consentito solo allorquando nell’ambito della dotazione organica non sia possibile reperire personale competente ad affrontare problematiche di particolare complessità od urgenza. Con riferimento poi ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa, è richiesto un ulteriore requisito fondamentale e cioè la eccezionalità e temporaneità della situazione cui far fronte (circolare della Funzione Pubblica in data 15/3/2005). In altri termini la facoltà di ricorrere a collaborazioni esterne non può considerarsi una prerogativa arbitraria di chi amministra ma va collocata nell’ambito del contesto normativo predisposto dal legislatore il quale la consente solo in situazioni assolutamente residuali e per un tempo assolutamente limitato.

In merito alle procedure di affidamento di incarichi interni alla amministrazione, è importante sottolineare che l ’incarico professionale è regolato dall’art. 3, commi 55 e 56, della legge 244/2007 e dall’art. 6, comma 7, del d.l. 78/2010, convertito nella legge n. 176/2010. La prestazione di servizi, invece, dal codice degli appalti (d.lgs. 163/2006), assumendo così la caratteristica di una attività di tipo squisitamente imprenditoriale.

L’affidamento di un incarico professionale viene a connotarsi con il perfezionamento di una obbligazione a spiccato connotato prestazionale, attesa la specificità della scelta operata dalla pubblica amministrazione intuitu personae.

Con l’appalto di servizi viene a configurarsi, invece, un rapporto intuitu rei ove, in capo al soggetto “imprenditore” affidatario, viene a prefigurarsi l’assunzione dell’organizzazione e del rischio connesso, ivi compreso il risultato atteso dalla pubblica amministrazione appaltante.
Nella prestazione professionale derivante dal relativo contratto d’opera intellettuale prevalgono i caratteri del puro  facere, con ridotto rilievo all’organizzazione economica e con i (di solito) requisiti della unicità, della singolarità, della puntualità e della determinatezza dell’arco temporale.

Nell’appalto vengono, di contro, ad assumere preminente rilievo l’organizzazione economico-aziendale dei fattori produttivi posseduti dall’affidatario, professionista o meno. Ciò in quanto questi deve rendersi garanti dell’esecuzione, del buon esito dell’attività e del risultato oggetto del contratto, assumendo il rischio relativo della prestazione convenuta. ( La deliberazione n. 63 del 20.3.2014, assunta dalla sezione regionale di controllo della Corte dei conti per la Puglia)

Già in un precedente parere, ancor più articolato (Lombardia 236/2013) la Sezione aveva specificato che “Le due fattispecie restano … diversificate in relazione all’organizzazione e alle caratteristiche del soggetto preposto al compimento dell’opera.

In linea generale, ai fini della distinzione delle due figure, l’interprete adotta due criteri: oggettivo (natura della prestazione) e soggettivo (soggetto giuridico destinatario della prestazione).

La consulenza nell’accezione che qui rileva (rectius  la collaborazione autonoma) è assimilata al contratto d’opera intellettuale, disciplinato dagli artt. 2222 e seguenti del codice civile, che è considerato una species del genus contratto di lavoro. Tale tipo negoziale ricomprende l’esecuzione di una prestazione frutto dell’elaborazione concettuale e professionale di un soggetto competente nello specifico settore di riferimento, senza vincolo di subordinazione e in condizioni di assoluta indipendenza.

Nel contratto d’opera la prestazione richiesta può assumere tanto i connotati di un’obbligazione di mezzi (ad es. un parere, una valutazione o una stima peritale), quanto i caratteri dell’obbligazione di risultato (ad es. la realizzazione di uno spartito musicale, di un’opera artistica di particolare pregio o di un e-book digitale).

 

Nel contratto di appalto, l’esecutore si obbliga nei confronti del committente al compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro, con organizzazione dei mezzi necessari (di tipo imprenditoriale) e con assunzione in proprio del rischio di esecuzione della prestazione (art. 1655 c.c.).

 

Nell’appalto, oggetto della prestazione non potrà mai essere un’obbligazione di mezzi, ma sempre di risultato (Cfr. Consiglio di Stato, V^ sezione sent. n. 8/2009).

 

Ne consegue che le norme in tema di appalto si palesano nelle ipotesi in cui il professionista si sia obbligato a strutturare una stabile organizzazione per l’esecuzione della prestazione, mentre la carenza di tale requisito derivante dall’unicità, dalla singolarità e puntualità dell’incarico, nonché dalla determinatezza dell’arco temporale in cui si deve svolgere la prestazione professionale, inducono a qualificare la fattispecie quale contratto di prestazione d’opera e dunque quale consulenza e/o collaborazione autonoma.

 

Del tutto simili i concetti ripetuti dal  Consiglio di Stato (sentenza 02730/2012) che,  con riferimento all’ affidamento dei servizi legali da parte di un Ente Locale, distingue, ai fini dell’ applicazione della relativa disciplina,  il conferimento di un singolo e ben specificato incarico da un servizio organizzato e strutturato:  “le norme di tema di appalti di servizi vengono, in rilievo quando il professionista sia chiamato a organizzare e strutturare una prestazione, altrimenti atteggiantesi a mera prestazione di lavoro autonomo in un servizio (nella fattispecie, legale), da adeguare alle utilità indicate dall’ente, per un determinato arco temporale e per un corrispettivo determinato.

 

E’ prestazione d’ opera professionale l’attività del professionista nella difesa e nella rappresentanza dell’ente mentre costituisce appalto di servizi legali quando “l’ oggetto del servizio non si esaurisca nel patrocinio legale a favore dell’Ente, ma si configuri quale modalità organizzativa di un servizio, affidato a professionisti esterni, più complesso e articolato, che può anche comprendere la difesa giudiziale ma in essa non si esaurisce prestazione d’opera professionale”.

Per quanto riguarda le modalità di affidamento, l’ affidamento dei servizi legali segue la disciplina prevista dal codice dei contratti per  i servizi di cui all’ allegato II B, mentre l’attività di selezione del difensore dell’ente pubblico, pur non soggiacendo all’obbligo di espletamento di una procedura comparativa di stampo concorsuale, è soggetta ai principi generali dell’azione amministrativa in materia di imparzialità, trasparenza e adeguata motivazione onde rendere possibile la decifrazione della congruità della scelta fiduciaria posta in atto rispetto al bisogno di difesa da appagare.

Per altri versi “Lo stesso codice dei contratti pubblici, nel dettare una specifica disciplina, di natura speciale, dei servizi di ingegneria e di architettura volta a enucleare un sistema di qualificazione e di selezione per determinate tipologie di prestazioni d’opera, conferma l’inesistenza di un principio generale di equiparazione tra singole prestazioni d’opera e servizi intesi come complesso organizzato di utilità erogate con prestazioni ripetute ed organizzate”.

(Lombardia – deliberazione n. 178 del 15 maggio 2014 )

L’art. 110, comma 6, del vigente t.u.e.l., sollecita le pubbliche amministrazioni locali a disciplinare, all’interno del regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, i presupposti e le modalità di accesso alle collaborazioni esterne ad alto contenuto di professionalità, sì da potervi fare ricorso esclusivamente nei casi determinati, fatto salvi i casi che si rendessero necessari a seguito di sopravvenute leggi speciali e/o in presenza di difficoltà tecnico-operative altrimenti non superabili.
Il tutto, ovviamente, allorquando l’ente locale avesse preliminarmente accertato di non potere utilizzare ad hoc risorse proprie, a mente dell’art. 7, comma 6, del testo unico del pubblico impiego (d.lgs. 165/2001), dichiarando ovviamente nel contempo di non godere dell’autosufficienza organizzativa, che assurge a regola presupposto generale per il buon andamento (parere sezione regionale di controllo per la Toscana n. 6/2005). Un obbligo ineludibile, questo, in difetto del quale si avrebbe modo di rispondere di danno erariale e di comportamento elusivo del blocco del turnover.

Il D.I. n.44 del 2001, con l’ Art. 34 (Procedura ordinaria di contrattazione – intuitu rei ) e l’Art. 40 (Contratti di prestazione d’opera per l’arricchimento dell’offerta formativa- pure facere); distinguono le due figure:

  • l’appalto di servizi in capo al soggetto i cui preminente rilievo è l’organizzazione economico-aziendale dei fattori produttivi posseduti dall’affidatario, professionista o meno;
  • il perfezionamento di una obbligazione a spiccato connotato prestazionale del puro facere

 

In merito alle procedure di assegnazione, volti a disciplinare gli incarichi, è utile in merito la lettura della circolare n. 15645 dell’USR Lombardia, la quale detta le indicazioni operative rivolte al personale dell’amministrazione, che richiede lo svolgimento di incarichi extraistituzionali retribuiti.

“La procedura autorizzativa, come anche noto, prevede la presentazione di una richiesta (mod. 1) da effettuarsi in via preventiva e con congruo anticipo rispetto all’inizio dello svolgimento dell’attività.

La richiesta può essere presentata sia dal soggetto committente (come più sopra definito) che dallo stesso dipendente interessato, corredata da una proposta d’incarico da sottoporre al Dirigente dell’ufficio di appartenenza; tale istanza deve contenere tutte le indicazioni necessarie affinché possa verificarsi la compatibilità e/o l’assenza di conflitto di interessi con l’attività istituzionale dell’ufficio.

La richiesta di autorizzazione, pertanto, dovrà contenere i seguenti elementi:

  • oggetto, natura e durata dell’incarico;
  • amministrazione, ente o soggetto che propone l’affidamento dell’incarico;
  • modalità di svolgimento dell’incarico e quantificazione, anche presunta del tempo e dell’impegno richiesto, con indicazione oraria dello stesso;

Non è possibile chiedere l’autorizzazione a sanatoria, ovvero a conclusione dell’attività.

Il procedimento di rilascio dell’autorizzazione trova conclusione entro il termine massimo di 30 giorni dalla ricezione dell’istanza, e sarà formalizzato con lettera da parte del Dirigente competente, notificata all’interessato e per conoscenza al committente.

Decorso tale termine l’autorizzazione, ove richiesta per incarichi conferiti da Amministrazioni Pubbliche si intende accordata; in ogni altro caso, si intende negata””.

 

L’autorizzazione regolarmente richiesta dal dipendente e accordata dalla amministrazione, attesta di fatto:

  • la assenza di conflitti di interesse con l’amministrazione datrice di lavoro;
  • la materiale compatibilità dello specifico incarico con il rapporto di impiego.

La legge n. 662/1996 (cd. collegato alla finanziaria 1997) ha introdotto varie innovazioni all’impianto normativo preesistente, applicabili anche al personale scolastico. In particolare, l’art. 1, commi da 56

a 60, della legge 662 ha ribadito, in generale, il divieto per il dipendente di “svolgere qualsiasi altra attività di lavoro subordinato o autonomo tranne che la legge o altra fonte normativa ne prevedano l’autorizzazione rilasciata dall’amministrazione di appartenenza e l’autorizzazione sia stata concessa”.

Si deve ricordare la disposizione di cui all’art. 52, comma 67, della legge n. 448/2001, che ha fissato più rigorosi criteri per il conferimento di incarichi a dipendenti o a soggetti estranei all’amministrazione.

A riguardo, la circolare n. 2/08 Roma, 11 marzo 2008 del Dipartimento della funzione pubblica, Ufficio Personale Pubbliche Amministrazioni, richiama le amministrazioni ad un’applicazione rigorosa delle disposizioni contenute nell’articolo 7, comma 6 e seguenti, del decreto legislativo n. 165 del 2001, che tenga conto dell’impossibilità di stipulare contratti di collaborazione esterna al di fuori dei presupposti ivi indicati o in luogo di rapporti di lavoro subordinato a tempo determinato. Gli organi di controllo interno, i servizi ispettivi e gli ispettorati deputati al controllo verificheranno periodicamente e comunque nell’ambito delle proprie competenze l’applicazione dei principi e delle disposizioni richiamate con la presente circolare.

Per prestazioni di opera intellettuale, l’ente Pubblico conferisce l’incarico in via diretta senza l’ espletamento di procedure ad evidenza pubblica. L’Ente in tale ipotesi potrà rivolgersi a incaricati di propria fiducia, previa sola verifica dei requisiti generali. L’ente può affidare incarichi in via diretta, qualora la prestazione costituisca oggetto di contratto caratterizzato da intuitus personae, richieda abilità e qualificazione professionale dell’incaricato, nonché una pregressa conoscenza dei meccanismi operativi e delle vicende interne dell’Ente, caratteristiche tutte tali da rendere inopportuno il ricorso a incarichi esterni e a procedure pubbliche di selezione.

La lotta all’abbandono precoce dei percorsi di istruzione e formazione in Europa

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La lotta all’abbandono precoce dei percorsi di istruzione e formazione in Europa
Strategie, politiche e misure 2016

L’abbandono precoce dei percorsi di istruzione e formazione è un fenomeno che preoccupa tutti gli Stati europei ed è al centro ancora oggi delle politiche educative europee e nazionali.

Questa fondamentale importanza del tema nel contesto europeo e nazionale è alla base della scelta dell’Unità italiana di pubblicare in italiano la quasi integralità dello studio della rete Eurydice, Tackling Early Leaving from Education and Training in Europe: Strategies, Policies and Measures, in questo numero de “I Quaderni di Eurydice”.

Questo volume accoglie pertanto il rapporto congiunto Eurydice/Cedefop che sottolinea gli sforzi dei singoli Stati membri e i tentativi della Commissione europea di monitorare gli sviluppi nella progettazione e implementazione di strategie, politiche e misure di lotta all’abbandono precoce dei percorsi di istruzione e formazione e di supporto all’apprendimento degli studenti. I principali ambiti analizzati sono la raccolta e il monitoraggio dei dati, le strategie e le politiche contro l’abbandono precoce centrate su prevenzione, intervento e compensazione e sui gruppi ad alto rischio di abbandono, il ruolo dell’orientamento scolastico e professionale, la governance e la cooperazione intersettoriale, l’abbandono precoce dell’istruzione e formazione professionale.

L’Unità italiana ha integrato il proprio volume con un Allegato che presenta gli ultimi dati disponibili sul tasso di abbandono precoce comparati rispettivamente all’obiettivo principale stabilito dall’Ue e agli obiettivi nazionali, sottolineando anche i progressi fatti dal 2011 al 2014 dagli Stati membri nella lotta a questo fenomeno.


Scuola, abbandono precoce: in Italia scende al 15%

Un’analisi comparativa europea del fenomeno in una nuova pubblicazione di Eurydice Italia

L’abbandono precoce dei percorsi di istruzione e di formazione è al centro ancora oggi delle politiche educative europee e nazionali. Si tratta di un aspetto cruciale, che serve a valutare lo stato di salute di un sistema educativo.

Uno dei principali parametri di riferimento che la Commissione europea utilizza per la misurazione dei progressi fatti dagli Stati membri del settore “Istruzione e formazione” è la percentuale di giovani tra i 18 e i 24 anni che abbandona prematuramente gli studi o la formazione, e che la Commissione ha voluto tra i traguardi principali di miglioramento nella sua strategia per il 2020: abbassare al di sotto del 10% la percentuale degli abbandoni precoci.

Lo studio è stato affrontato nella nuova pubblicazione annuale curata da Eurydice Italia, dal titolo La lotta all’abbandono precoce dei percorsi di istruzione e formazione: Strategie, Politiche e Misure, con un aggiornamento sul tasso di abbandono nei paesi europei registrato dalla Commissione europea nel 2014.

Il fenomeno dell’abbandono scolastico è ancora fortemente correlato alla condizione di povertà e all’esclusione sociale, un dato quest’ultimo, che accomuna tutti i paesi a livello globale, anche se in lento e continuo calo.

Proprio in Italia si sono registrati significativi miglioramenti: la percentuale dei giovani che abbandona precocemente la scuola, non conseguendo diplomi di secondo grado, né attestati di formazione professionale, è scesa dal 19,2% nel 2009 al 15% nel 2014.

Da evidenziare che l’abbandono precoce incide diversamente sulla popolazione studentesca a seconda del genere, e soprattutto a seconda dello status di cittadino nato all’estero oppure nativo. Spesso gli studenti che abbandonano gli studi e la formazione, sono nati all’estero e sono maschi. In Italia il 34,4% degli studenti che non consegue diplomi di secondaria superiore o di formazione professionale, sono nati all’estero, mentre tra gli studenti nativi la percentuale è del 14,8%; dati entrambi superiori alla media europea, che è rispettivamente del 22,7% e 11%.

Analoga considerazione per la distribuzione di genere con la percentuale italiana, che è del 20,2% per i maschi, e 13,7% per le femmine, che segna un altrettanto dato negativo rispetto alla media europea (13,6% maschi, 10,2% femmine).

Accanto all’Italia i paesi che registrano forti disparità di genere sono: Cipro, Estonia, Spagna, Lettonia, Portogallo e Islanda. La maggiore propensione all’abbandono scolastico da parte degli alunni di sesso maschile nel nostro paese è particolarmente evidente nelle aree più disagiate.

Per registrare gli sforzi che i singoli Stati membri stanno facendo per monitorare lo stato attuale del fenomeno e le soluzioni adottate, lo studio Eurydice prende in analisi la raccolta e il monitoraggio dei dati, le strategie e le politiche contro l’abbandono precoce centrate su prevenzione, intervento e compensazione e sui gruppi ad alto rischio di abbandono, il ruolo dell’orientamento scolastico e professionale, la governance e la cooperazione intersettoriale, l’abbandono precoce dei percorsi tecnici e professionali.
In Italia, le politiche per affrontare l’abbandono precoce non sono ancora inserite in una strategia globale, anche se sono stati intrapresi alcuni passi per rafforzare la cooperazione intergovernativa e per riunire tutte le misure strutturali e sistemiche già finora implementate, in collaborazione con altri soggetti interessati (famiglia, alcuni ministeri, enti locali e associazioni del terzo settore).
Importanti sono le misure sistemiche, che ruotano attorno all’obiettivo dell’inclusione, come l’innalzamento dell’obbligo di istruzione e formativo, e la conseguente istituzione del sistema nazionale delle anagrafi degli studenti, il riordino del sistema di istruzione e formazione professionale, con la definizione di organici raccordi tra i percorsi degli istituti professionali e i percorsi di IFP regionali, fino alla riorganizzazione dell’istruzione degli adulti, senza tralasciare la speciale attenzione che il nostro paese ha da sempre rivolto all’educazione e alla cura della prima infanzia.

I dati statistici sull’abbandono precoce, presenti nel volume curato da Eurydice Italia, sono prevalentemente di fonte Eurostat e OCSE. I dati qualitativi su strategie, politiche e misure per la lotta a tale fenomeno sono di fonte Eurydice, raccolti tramite questionari compilati da esperti/rappresentanti a livello nazionale di ciascuna unità della rete. Per quanto riguarda i dati italiani sono stati forniti e verificati dal MIUR (Direzione generale per lo Studente, l’Integrazione e la Partecipazione).

Quantità e Qualità

Quantità e Qualità

di Enrico Maranzana

 

 

 

L’on. Stefania Giannini, intervenuta a Perugia al convegno della Federazione nazionale dei cavalieri del lavoro, ha affermato: “Ci stiamo spostando da una posizione quantitativa, che ha prodotto solo fallimenti, ad una qualitativa“.

Per dimostrare come il Governo abbia “invertito la tendenza“, ha proseguito dicendo di “non aver aggiunto più ore di una disciplina, né tanto meno averle eliminate, o più specializzazioni, ma di aver lavorato sull’autonomia scolastica e sul potenziamento della conoscenza in campo artistico, culturale, linguistico e musicale“.

 

Affermazioni che dimostrano la perdita di contatto con la realtà.

 

Ci stiamo spostando da una posizione quantitativa ad una qualitativa”.

Uno slogan pubblicitario. La qualità non ha valore assoluto: varia al variare dello scopo.

Le qualità di una fragola, per un pittore, differiscono sostanzialmente da quelle ricercate da un cuoco.

Il ministro Giannini avrebbe dovuto collocare il suo punto d’osservazione sulla costituzione della Repubblica Italiana [“I capaci e meritevoli hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi” – costituzione art. 34] e sulle relative implementazioni [“Nel rispetto delle norme costituzionali è da promuovere, attraverso un confronto aperto di posizioni culturali, la piena formazione della personalità degli alunni” – TU 297/94].

La titolazione della legge 107 sopprime la finalità educativa (piena formazione della personalità degli alunni) e l’aspetto qualitativo, veicolato dal termine “capacità”, è assente nella relativa articolazione.

 

 

Non aver aggiunto più ore di una disciplina“.

Un’asserzione che certifica la mancanza di conoscenza del mondo della scuola e del suo orientamento!

Una giustificazione fasulla, inconsistente per la dimostrazione della ratio del passaggio dal quantitativo al qualitativo.

I mezzi sono stati sovrapposti ai fini: le materie d’insegnamento sono “strumento e occasione per uno sviluppo unitario ma articolato e ricco, di funzioni, conoscenze, capacità e orientamenti” [CFR programmi scuola media]; filosofia rinforzata dall’art. 2 della legge 53/2003 che finalizza il sistema educativo allo “sviluppo di capacità e di competenze, attraverso conoscenze e abilità, generali e specifiche“.

Si persevera nell’errore che ha indotto il legislatore a identificare, tra gli “obiettivi formativi prioritari“, cui finalizzare l’attività educativa in “la prevenzione e il contrasto della dispersione“, “l’apertura pomeridiana della scuola”, la valorizzazione dei percorsi formativi individualizzati” … [paragrafo 7 legge 107/2015].

 

Ci stiamo spostando da una posizione quantitativa, che ha prodotto solo fallimenti“.

Quanta superficialità!

Quale incapacità di diagnosticare l’origine delle disfunzioni!

Se fossero state ricercate le cause del fallimento degli esami di maturità del 69, dei programmi della scuola media, dell’introduzione della certificazione della qualità, dell’assetto scientifico dell’organizzazione della scuola .. lampante sarebbe apparsa l’origine dei fallimenti: la trasgressione dei vincoli posti dai regolamenti.

 

Aver lavorato sull’autonomia scolastica“.

Falso e fuorviante! La buona scuola ha sterilizzato il DPR sull’autonomia scolastica: le singole questioni sono state affrontate separatamente, sradicate dal loro nucleo generativo.

L’autonomia scolastica “si sostanzia di progettazione formativa, educativa, dell’istruzione” [DPR 275/99]: l’insegnamento, cuore della legge 107, é attività esecutiva, terminale del processo progettuale.

 

 

Governo sta costruendo uno schema di alternanza scuola-lavoro perché “se c’è separazione tra mondo della conoscenza e mondo del lavoro non si può mai arrivare alla contaminazione di saperi oltre che di attività“.

Quanta miopia! Il mondo corre, si ristruttura, apre scenari oggi inimmaginabili. Gli studenti devono essere attrezzati per interagire con mondi sconosciuti, devono possedere le capacità necessarie per governare situazioni ignote.

E’ perdente prendere a modello la contemporaneità.

Impariamo a festeggiare l’apprendimento

Meglio celebrare che premiare:
Impariamo a festeggiare l’apprendimento

di Giovanni Fioravanti

 

Che cattiva idea quella della ministra Giannini di istituire il premio per il miglior professore dell’anno. Una brutta copiatura di ciò che non può essere copiato, perché il Global Teacher Prize è unico per significato e consistenza: un milione di dollari.

E poi le parole contano, in particolare a proposito della scuola. Premiare significa ricompensare, presume una gara e una sua monetizzazione. Come tutte le competizioni divide. Premiare è sempre brutto perché esclude, esclude chi non si piazza, dunque, spiazza tutti gli altri. Quelli che nella graduatoria ci sono, ma non si sono collocati nell’area degli eletti. Neppure più si premiano i bambini e perché allora ripristinare le medaglie al merito per gli insegnanti? L’impressione è che scarseggino le idee.

La professione docente, come tutte le professioni di relazione, richiede d’essere esercitata da tutti al meglio e non si possono fare gare sull’istruzione e la crescita delle persone, come non si possono fare gare sulla loro cura e salute. Quei denari utilizziamoli per idee migliori.

Mi permetto di suggerirne una, che non è mia, ma che ormai si realizza in diverse parti del mondo.

Dovremmo imparare tutti che apprendere è bello, che è bello apprendere per tutta la vita, che apprendere non è noioso, non è una condanna, può essere faticoso ma ne vale la pena. Tutta la nostra vita è fondata sull’apprendimento e molto della sua realizzazione e della sua felicità dipende proprio da quanto tutti siamo impegnati nell’apprendere.

Premiare è una parola che divide, celebrare, invece, unisce, assembla. Perché non celebrare, non festeggiare quanti sono impegnati a studiare, a conoscere, ad apprendere? Dall’infanzia all’età adulta, a scuola, come fuori della scuola, nel lavoro, nel territorio, a casa propria, nell’apprendimento formale, come in quello non formale e informale.

Si chiama apprendimento permanente, apprendimento per tutta la vita e si celebra con il Festival dell’Apprendimento, il Learning Festival, che ormai diverse città nel mondo da Dublino a Sapporo celebrano ogni anno.

La buona scuola mi sembra che prevedesse il pieno coinvolgimento delle persone per la sua piena realizzazione. Cosa c’è di meglio di un Paese che crede nella conoscenza, nella sua massima diffusione, che incita tutti ad apprendere, a sapere, a conoscere, che è vicino ai suoi giovani che sono impegnati a studiare, che dimostra la propria riconoscenza per gli sforzi che compiono, che è interessato a condividere quanto ogni giorno avviene nelle aule delle scuole e delle università, il Festival dell’Apprendimento è l’occasione per condividere e celebrare tutto ciò, per riflettere, confrontarsi, dialogare e migliorare.

Anziché fare della scuola e dell’apprendimento il luogo di tanti individualismi, di docenti e discenti, di singoli istituti contro altri, fare dell’apprendimento una risorsa collettiva, una collettiva condivisione, che non esclude, ma coinvolge tutti. Si tratta di fare crescere una partecipazione e uno spirito nuovo intorno ai temi dell’apprendimento, della conoscenza, dei saperi e certamente realizzare in ogni città il Festival dell’Apprendimento sarebbe un modo per iniziare.

Far scoprire alle città che esse non vivono delle sole risorse economiche e turistiche, ma c’è in ognuna di esse una risorsa fondamentale in capitale umano, che non può restare nascosta, che va messa in mostra, onorata e riconosciuta. È la risorsa dei tanti cittadini, piccoli e grandi, che sono impegnati a studiare, a sapere, a ricercare, dalle scuole alle università, alle biblioteche, ai luoghi dove gli adulti si incontrano per apprendere.

Alleare alle loro città i luoghi dell’apprendimento diffuso, dagli asili alle scuole, alle università, ai centri di istruzione per gli adulti, alle istituzioni che fanno e forniscono cultura e conoscenza. Far emergere una rete di condivisione, mettersi in mostra, uscire dagli edifici che sono le scatole chiuse del sapere, la morte degli apprendimenti, mettersi in piazza e festeggiare. Restituire allegria, piacere all’apprendimento è un modo importante anche per stare vicino ai piccoli e ai giovani, par far sentire loro che non li abbiamo condannati al banco dell’aula, ma che loro e quello che studiano, e i loro risultati e il tempo di vita che impiegano in classe sono importanti per tutta la città, per tutto il Paese, che nutrono attese e aspettative, che sono intorno, non per chiamarsi fuori, ma per aiutare, per condividere, per essere solidali.

È così difficile imboccare questa strada di cultura e di sensibilità, anziché incartarsi nei premi e nelle competizioni?

La buona scuola ha bisogno di polmoni nuovi, in grado di respirare un’aria nuova. Scuola, Università, saperi, conoscenze possono crescere se il Paese dimostra che ha davvero interesse per tutto ciò, se pensa che contano, che sono indispensabili come l’aria che si respira.

Forse anziché premiare il docente migliore, incominciamo a pensare che chiunque studia e si mette in gioco per apprendere a qualunque età è già migliore, e ciò che merita è il sostegno di chi gli sta intorno, il paese, le persone, la città.