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Lo studio dell’economia in laboratorio: come e perché

Lo studio dell’economia in laboratorio: come e perché

di Jeanna Tolordava, Docente di Scienza Economica, Università Statale I.Dzhavahishvili, Tbilisi, Georgia

 

L’economia sperimentale è una scienza relativamente nuova che si è sviluppata rapidamente a partire dal 1980. Vernon Smith, premio Nobel 2002, ne è considerato il fondatore. Ha ricevuto il Premio Nobel per l’economia per il suo lavoro sullo studio dei meccanismi di mercato e per i metodi alternativi di rete sul mercato di economia sperimentale.

Il comitato Nobel, spiegando questo premio, ha riconosciuto che gli esperimenti economici Controlled sono diventati una componente integrante della ricerca economica, e che in alcuni casi hanno portato ad una revisione degli stessi postulati dell’economia. Ciò è stato reso possibile grazie alla ricerca in due specifici settori: gli studi di psicologia del processo decisionale e la creazione delle condizioni per l’Economia Sperimentale

Attualmente Vernon Smith è il direttore del, Centro Interdisciplinare per lo Studio di Economia (CIEM), presso l’Università George Mason di Washington. Oltre alla formazione degli studenti, il centro collabora con varie aziende, agenzie governative e altri governi in materia di economia sperimentale.

Il proficuo lavoro di V. Smith ha comportato lo sviluppo di metodi di indagine di laboratorio. Per 50 anni ha condotto migliaia di esperimenti con diverse categorie di persone: dai bambini ai magnati industriali e ai membri del Congresso. Il numero di laboratori di sperimentazione, i cui lavori sono pubblicati su una scala sempre crescente, è in rapida crescita in tutto il mondo. Oggi, il CIEM è il centro più famoso e considerato per lo sviluppo dell’economia sperimentale.

Va notato che gli esperimenti economici sono stati condotti in analogia con quelli di fisica, chimica e altre scienze naturali, con l’unica differenza che coinvolgono persone sollecite a prendere decisioni economiche in laboratori sperimentali o interessate allo svolgimento di giochi di role-playing, o di simulazioni.

Per decenni si è creduto che un metodo sperimentale di ricerca in economia fosse impossibile. Tuttavia in analogia con analoghe esperienze condotte nel campo della psicologia, si è operato in modo da creare un’economia sperimentale, la cui finalità fosse quella di creare situazioni artificiali in cui tutti i parametri del comportamento dei soggetti economici potessero essere controllati dallo sperimentatore in laboratorio.

In situazioni di laboratorio, in campo psicologico sono stati sviluppati esperimenti per consentire a un gruppo di partecipanti di sperimentare le attività connesse a un processo decisionale che fornisse un quadro del comportamento tipico degli agenti economici in condizioni controllate di laboratorio. Un vantaggio di questo metodo riguarda l’opportunità di osservare e articolare il comportamento del soggetto di fronte alle scelte da compiere in situazione economiche reali. Il che consente di esplorare all’interno dei processi decisionali i fattori che determinano le scelte compite dai soggetti in osservazione, a fronte della varietà delle opzioni che si prospettano all’agente economico in una situazione reale.

La metodologia in uso da parte dell’economia sperimentale consiste nell’adozione di metodi sperimentali per verificare la validità delle teorie economiche. Il che sta diventando una parte integrante della ricerca scientifica. L’esperimento in economia si basa su un certo numero di caratteristiche, rispetto alla sperimentazione nel campo delle scienze naturali. L’economia sperimentale può essere caratterizzata, quindi, come una prova della teoria economica dei concreti comportamenti dei singoli soggetti e costituisce un prototipo che consente di analizzare le azioni di agenti professionali effettivamente coinvolti nella soluzione di vari problemi in situazioni controllate.

Poiché la sperimentazione coinvolge l’uomo, e le sue azioni sono strettamente connesse alle sue personali caratteristiche, occorre ammettere che tali circostanze rendono quasi impossibile prevedere conseguenze o stabilire in modo assoluto la ripetitività dell’esperienza. Purtroppo, molti parametri del comportamento umano (ad esempio, l’avversione al rischio) negli esperimenti di controllo non sono possibili. Pertanto, al fine di trarre conclusioni valide, è necessario sviluppare procedure speciali al dine di progettare, organizzare e condurre l’esperimento. Attualmente, l’economia sperimentale ha intensamente sviluppato sperimentazioni attraverso il computer, settore nel quale le prospettive sono estremamente ampie.

Uno dei vantaggi di questi esperimenti consiste nel fatto che ciascuno di essi è realizzato con materiali significativi e impegni di lavoro altrettanto significativi. E necessaria un’attenta attività preliminare di progettazione, perché, nel caso di un esperimento fallito, i risultati attesi possono trasformarsi in gravi perdite, quali lo stress dei partecipanti e la perdita di attività e di iniziativa.

Nel 1994, nel suo saggio “Economia in laboratorio”, W. Smith ha formulato i sette motivi per cui gli economisti provano il bisogno di sperimentazione:

  1. la necessità di verificare una teoria o di valutarla in confronto con altre teorie;
  2. comprendere e capire perché la teoria ha fallito;
  3. stabilire la regolarità empirica come punto di partenza per nuove teorie;

4.confrontare le differenti condizioni di partenza (cioè, scorte iniziali degli agenti, i benefici ed i costi che incidono sulle dinamiche del mercato);

5.comparare le istituzioni collegate (con le quali originariamente si erano condivise le regole e le norme di scambio, così come il linguaggio della comunicazione di mercato);

  1. essere in grado di valutare le raccomandazioni in materia di politica economica;
  2. esplorare nuovi modi di progettazione istituzionale.

Il lavoro scientifico di V. Smith ha contribuito a diffondere ed apprezzare le moderne metodiche sperimentali in economia. E vi sono valide ragioni per considerarle positivamente. In primo luogo, gli studi sperimentali offrono l’opportunità di identificare gli effetti di diverse variabili e l’affidabilità di una teoria. Va considerato anche che i metodi economico-matematici per prevedere con precisione le variabili o i risultati e per verificare le ipotesi formulate non possono ancora tener conto delle caratteristiche soggettive del comportamento umano e del pensiero economico. In secondo luogo, gli esperimenti hanno permesso un nuovo modo di sottoporre ad analisi molti dei problemi metodologici della scienza economica. Di tratta di un’analisi che si estende fino alla verifica della validità di una teoria economica o di opinioni consolidate su alcuni fenomeni ad essa connessi.

Campi di applicazione della sperimentazione sono l’organizzazione e lo svolgimento delle attività economiche di molte istituzioni del mondo reale. V. Smith e i suoi colleghi hanno sviluppato un modello di mercato per il funzionamento delle borse in Arizona e del mercato dell’acqua in California, elemento essenziale per la produzione dell’energia elettrica. In particolare, il metodo proposto ha contribuito a prevedere, in sede di laboratorio, gli effetti della deregolamentazione del mercato do tale energia prima che tale processo venisse concretamente realizzato.

In futuro, l’economia sperimentale potrà assumere un posto di rilievo tra le discipline economiche. L’aumento della popolarità dell’economia sperimentale è dimostrato dalla diffusione di riviste quali il “Journal of Experimental Economics“, che hanno operato a lungo con successo in diversi paesi. In economia sperimentale particolarmente feconda è l’integrazione di modelli concernenti le “teorie dei giochi” e i relativi esperimenti. La “Modellazione Game” (business game) e la simulazione occupano giustamente una posizione leader in esperimenti di laboratorio. Oggi, dopo i risultati innovatori della ricerca universitaria ottenuti con metodi sperimentali, fanno parte dei corsi di lezioni sulla microeconomia attività che implicano la teoria dei giochi, l’organizzazione industriale, per non dire degli approfondimenti condotti con pubblicazioni mirate, testi ed enciclopedie. Occorre tuttavia riconoscere che nei lavori in corso in economia sperimentale i ricercatori e i laboratori speciali non occupano posizioni centrali nel curricolo formativo come accade invece in molte università straniere. Gli esperimenti di V. Smith spesso sono usati in forma di giochi nei corsi iniziali di economia, per dimostrare agli studenti il funzionamento del mercato.

Esistono molte pubblicazioni sulla specifica applicazione degli elementi di economia sperimentale per insegnare, in particolare, agli studenti la tecnologia di apprendimento attraverso l’economia sperimentale, a conferma del fatto che la formazione consentirà agli studenti di comprendere meglio il campo di applicabilità delle varie teorie economiche. Ad esempio, cambiando la “messa in scena” di un esperimento economico, è possibile modificare le condizioni iniziali per la costruzione del modello. E ciò sarebbe una buona lezione per coloro che non capiscono le condizioni in cui è possibile utilizzare l’una o l’altra teoria economica.

Concludendo, va sottolineato che l’economia sperimentale è riconosciuta come uno dei settori più promettenti della ricerca contemporanea, e che il campo di applicazione pratica di queste tecniche è in continua espansione. Ciò è facilitato dal fatto che la sperimentazione per l’economia è una nuova fonte di conoscenza della realtà sociale, e presenta altresì un deciso impatto sull’economia nel suo complesso.

 

BIBLIOGRAFIA

 

  1. Smith V. L. Economics in the laboratory, in “Journal of Economic Perspectives”, Vol. 8, N 1, 1994
  2. Голубцов А.А., Меньшиков И.С. Агрегированное равновесие лабораторных сетевых рынков. – М.: ВЦ РАН, 2007
  3. Тодд Сандлер. Экономическая концепция для общественных наук. М. 2006
  4. Толордава Ж. Экспериментальная экономика. “Tsu-is Jurnali ekonomika da biznesi”, №1, 2011
  5.    Tolordava J, Giochi di simulazione e formazione creativa Italia, in “EDUCATION 2.0”, gennaio 2012
  6. Tolordava J, Sustainable Development and Simulation Game Modeling: 26 the European Conference on operational research. Rome, Italia, 2013

 

NOTA – Della stessa autrice si veda: Giochi di simulazione e formazione creativa, in Educationduepuntozero del 4 gennaio 2012

Sulla determinazione dell’organico dell’autonomia

Per una riflessione professionale sulla determinazione dell’organico dell’autonomia

di Alessandro Basso

 

Mentre il DDL “La Buona Scuola, con una nuova numerazione assegnata dal Senato (1934), sta approdando in Commissione, circolano, nelle scuole, varie ipotesi attive e proattive su quello che sarà l’organico dell’autonomia. Segno che la discussione non si è cristallizzata unicamente sugli aspetti sindacali, ma che una riflessione operativa è già in corso nelle scuole.

Non senza difficoltà, legate alla collocazione di questa discussione a margine dell’anno scolastico e parallelamente agli scrutini.

Le correnti di pensiero che si stanno confrontando sono almeno tre, accompagnate e seguite da presunte note ministeriali e fughe in avanti di qualche ufficio che sta procedendo all’interpretazione autentica preventiva (ma qualcuno dovrà pur dir qualcosa e sollevare la questione nelle scuole…).

La prima, alla quale appartiene quanto pare chi scrive, segnata da un forte pragmatismo e dalla curiosità di toccare con mano gli effetti di una tanto agognata autonomia scolastica oltre alla vivacità destata dal poter operare in condizioni di pianta organica del personale non in riduzione.

La seconda linea di pensiero è caratterizzata da coloro i quali sono seduti sulla riva del fiume e, pertinentemente, aspettano che qualcosa accada. A questa corrente appartengono anche quanti sollevano perplessità circa l’efficacia giuridica di manovre scolastiche che precedano l’approvazione, tra l’altro eventuale e potenziale, di una legge. E su questa corrente non si può che posizionarsi, razionalmente tutti.

Vi sono poi, in terza battuta, forse non sono nemmeno pochi, quanti non sanno nemmeno quanto sta avvenendo nei segreti del Palazzo, sia esso il Senato della Repubblica o l’ufficio del dirigente scolastico. Anche su questo si dovrebbe riflettere, ma non è questa la sede opportuna.

Una cosa è sicura: se passa la legge, l’organico andrà costruito, inventato, calibrato ingegneristicamente, sapendo che poi, in futuro, si potrà fare di meglio.

 

Quali sono i passaggi che potrebbero essere seguiti nella scuola per definire l’organico dell’autonomia?

 

  1. Organico dell’autonomia e POF

Il POF è il documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e progettuale della scuola e rappresenta in modo esplicito la progettazione curricolare, extracurricolare, educativa ed organizzativa di una scuola autonoma. E’ un documento di impegno tra la scuola e il territorio incentrato sul rapporto scuola-studenti-famiglia.

Il piano è coerente con gli obiettivi generali ed educativi dei diversi tipi e indirizzi di studi. E’ lo strumento- guida fondamentale per la gestione didattico-organizzativa della scuola che detterà le linee d’azione delle professionalità dell’istituto in questo momento di grande cambiamento.

Fin qui la definizione del documento che ben conosciamo.

Il primo passaggio potrebbe essere costituito dall’implementazione delle pratiche in uso nell’istituto incrociandole con quanto introdotto dal DDL La Buona Scuola.

Si scoprirà, probabilmente che il proprio piano è già rappresentativo di molte istanze esplicitate nel documento governativo, ma che devono essere ricercate le eventuali leve per poterle realizzare al meglio.

È preferibile suddividere questa operazione in due step progressivi, il primo legato all’immediatezza e all’emergenza, il secondo, più completo e necessario di coinvolgimento, individuabile nella fase di avvio del nuovo anno scolastico, quando il proprio POF dovrebbe essere ridisegnato secondo le nuove norme.

In questo secondo step, non casualmente, sarà necessariamente tenuto in considerazione quanto emerso in sede di autovalutazione d’istituto, onde incrociare gli obiettivi di miglioramento con le nuove risorse disponibili per realizzarli. Su questo passaggio, verosimilmente, si giocherà gran parte della responsabilità del dirigente nell’ambito della propria valutazione.

Nonostante l’opinione della vulgata, che vedrebbe nel Preside il decisore unico di quanto sopra delineato, è evidente che questo passaggio dovrebbe avvenire almeno assieme allo staff della dirigenza, in qualche modo finalmente istituzionalizzato dal DDL e oggetto del prossimo ragionamento.

 

  1. La composizione dello staff del dirigente scolastico

Su questo aspetto si gioca la vita professionale dei dirigenti e, in alcuni casi, la sopravvivenza funzionale stessa degli istituti scolastici.

Al momento, un dato certo è rappresentato dalla Legge di Stabilità che ha previsto la cassazione dell’art. 459 del Testo Unico e quindi degli esoneri dei collaboratori dei dirigenti, ex vicari, tanto più in un momento in cui molte scuole italiche sono affidate, per le note ragioni, in reggenza.

Se andrà in porto la possibilità di usufruire delle nuove assunzioni per ampliare lo staff delle scuole, tutti saranno molto contenti e le scuole ne avranno gran beneficio, pur con alcuni distinguo, rappresentati dalla potenziale difficoltà di reperire tra le maglie delle GAE le figure professionali idonee alla sostituzione dei collaboratori designati. Tradotto in altri termini, come si reperirà un sostituto in classe del vicario di una classe di concorso esaurita nelle GAE? Domanda, ovviamente, ancora aperta.

Per la definizione dello staff, pare strategico coinvolgere proprio la squadra a fianco del DS, scegliendo, operativamente, da chi potrebbe essere costituito, se scegliere la strada dello staff a composizione variabile e ragionare su quali figure possano essere utili per il funzionamento dell’istituto.

La scelta che appare più funzionale, andrebbe verso la strutturazione di uno staff composto dalle funzioni strumentali, oltre ai collaboratori e, eventualmente, dai responsabili di plesso/ direttori di sede.

Una volta individuate le figure, è necessario riflettere su quali di queste possano essere interessate, eventualmente, ad un esonero parziale delle ore di insegnamento.

 

Un esempio:

Lo staff dell’Istituto sarà costituito da:

  • I e II collaboratore del Dirigente Scolastico, con compiti di coadiuvamento nella gestione dell’Istituto e di governo dei processi decisionali.
  • Funzione strumentale POF Territoriale: Coordinamento con le proposte del territorio, implementazione del documento POF- T in raccordo con le altre Funzioni Strumentali;
  • Funzione Strumentale POF, con compito di implementazione e valorizzazione del POF triennale;
  • Funzione strumentale Nuove tecnologie per l’informazione e la comunicazione: Coordinamento sull’utilizzo delle nuove tecnologie, coordinamento e realizzazione iniziative di innovazione per l’istituto;
  • Funzione strumentale per la Valutazione, con compiti di: Implementazione, coordinamento e successivo monitoraggio delle attività di valutazione dell’Istituto per realizzare obiettivi di miglioramento dei processi;
  • Funzione strumentale per l’inclusione, con compiti di coordinamento, monitoraggio, organizzazione del Piano Annuale dell’Inclusività e del Piano annuale di formazione del personale;
  • Funzione strumentale orientamento dispersione, con compiti di definizione di un sistema di orientamento d’istituto, promozione e coordinamento delle linee d’azione finalizzate alla lotta alla dispersione scolastica.

Per la realizzazione efficace dei processi di governance, si prevede la seguente riduzione degli orari di insegnamento dei docenti:

 

FIGURA PROFESSIONALE TIPOLOGIA ESONERO CLASSE DI CONCORSO
I collaboratore del Dirigente Esonero totale 18/18 A033, Tecnologia Sc Secondaria
II collaboratore del Dirigente Esonero parziale 8/24 AN Scuola primaria
Funzione strumentale POF Territoriale: Esonero parziale 6/24 AN Scuola primaria
Funzione Strumentale POF Esonero parziale 4/18 A028, Arte Immagine Sc. Secondaria
Funzione strumentale Nuove tecnologie per l’informazione e la comunicazione Esonero parziale 4/24 AN Scuola primaria
Funzione strumentale per la Valutazione Esonero parziale 4/18 A043, Lettere Sc. Secondaria
Funzione strumentale per l’inclusione Esonero parziale 4/24 AN Scuola primaria
Funzione strumentale orientamento dispersione Esonero parziale 4/18 A059, Sc. Matematica Sc. Secondaria

 

 

  1. L’Organico dell’autonomia
L’organizzazione funzionale dell’istituto, così come le scelte gestionali, si conformano al Piano dell’Offerta Formativa dell’Istituto, che sarà ri-delineato per il triennio 2015/2017, elaborato dal Collegio dei docenti e adottato dal Consiglio d’Istituto.

L’organico dell’autonomia “funzionale alle esigenze didattiche, organizzative e progettuali delle istituzioni scolastiche come emergenti dal piano triennale dell’offerta formativa” vede coinvolto il personale in azioni di potenziamento, di sostegno, di organizzazione, di progettazione e di coordinamento.

In particolare, sono stati individuati i seguenti

Obiettivi formativi prioritari (tratti dal DDL, operando una scelta significativa)

 

·      Alfabetizzazione alla musica in tutti gli ordini di scuola;

·      Potenziamento delle discipline motorie e sviluppo di comportamenti ispirati a uno stile di vita sano, con particolare riferimento all’alimentazione, all’educazione fisica e allo sport, e attenzione alla tutela del diritto allo studio degli studenti praticanti attività sportiva agonistica;

·      Sviluppo delle competenze digitali degli studenti;

·      Iniziative per la prevenzione e per il contrasto dei fenomeni della dispersione scolastica, della discriminazione e del bullismo, anche informatico, per l’inclusione scolastica;

·      Iniziative per il diritto allo studio degli alunni con bisogni educativi speciali anche attraverso l’attivazione di percorsi individualizzati e personalizzati, nonché misure educative e didattiche di supporto, anche in collaborazione con i servizi socio-sanitari ed educativi territoriali e con le associazioni di settore;

·       Apertura pomeridiana delle scuole, per la fruizione di laboratori di recupero e potenziamento;

·      Rivisitazione del gruppo classe con riduzione del numero di alunni e di studenti per classe

·      Alfabetizzazione e perfezionamento della lingua italiana per gli alunni stranieri, anche mediante l’attivazione di corsi opzionali di lingua e la dotazione di laboratori linguistici anche in rete.

·       Alfabetizzazione e perfezionamento dell’italiano come lingua seconda attraverso corsi e laboratori per studenti di cittadinanza o di lingua non italiana, da organizzare anche in collaborazione con gli enti locali, il terzo settore e il volontariato, con l’apporto delle comunità di origine, delle famiglie e dei mediatori culturali.

Al fine di dare coerenza al nostro lavoro e non veder sminuita questa opportunità che se ben sviluppata avrebbe portata storica, non si dovrebbe escludere di individuare le azioni conseguenti agli obiettivi formativi suggeriti dal DDL, onde tradurli in   leve di sviluppo strategiche e funzionali all’O.F.

Questi obiettivi saranno concretizzati nelle seguenti azioni, con la seguente previsione di utilizzo di personale.

 

AZIONE (esempio) RISORSE UMANE NECESSARIE ALLA REALIZZAZIONE
Implementazione del tempo scuola alla scuola primaria in risposta alle domande di iscrizione delle famiglie, laboratori didattici di recupero e consolidamento 1 docente di scuola primaria
Alfabetizzazione dell’italiano come lingua seconda e come lingua dello studio 1 docente di scuola primaria da utilizzare in tutte le scuole dell’Istituto per interventi a carattere permanente
Alfabetizzazione motoria scuola primaria 1 docente di Ed. fisica
Alfabetizzazione musicale e attività nelle arti performative, scuola primaria 1 docente di ed. musicale
Recupero e consolidamento degli apprendimenti di base, attività di integrazione a favore degli alunni BES, azioni di contrasto alla dispersione scolastica e alle varie forme di bullismo 1 docente con specializzazione polivalente per il sostegno o formazione affine
Sviluppo delle competenze digitali, realizzazione di laboratori informatici, alfabetizzazione informatica di base, potenziamento della didattica digitale e della classe capovolta, sviluppo di un sistema di comunicazione digitale per gli alunni e per l’organizzazione, coordinamento tecnico del progetto digitale d’istituto, coordinamento sperimentazioni in atto 1 docente di tecnologia o comunque con formazione in campo informatico e nella didattica con le N.T.

Non andrebbe trascurato, in questa fase interlocutoria, di iniziare ad individuare, per gli istituti comprensivi, sprovvisti di risorse umane tecniche per la gestione informatica (oltre che di risorse economiche) una figura di assistente tecnico, in rete con altre scuole. È suggeribile operare una previa valutazione di opportunità sulla scelta di avere un assistente tecnico piuttosto che un tecnico assunto con i fondi a disposizione della scuola, ma scelto tra le figure del mondo del privato.

 

Proseguendo, la questione delle priorità. Ad oggi non è affatto chiaro su quante unità di personale si potrà contare; potrebbe essere opportuno, quindi, prospettarsi un ordine di priorità, in modo da aver pronto un elenco di bisogni su cui far valutare gli uffici preposti sulla base dell’entità degli organici assegnati all’ “ambito territoriale” di pertinenza.

 

PROSPETTO RIASSUNTIVO DI SINTESI

 

Ordine di priorità Tipologia posto Numero posti
1 A033, Tecnologia Sc Secondaria 1 posto
2 SCUOLA PRIMARIA, POSTI COMUNI 1 posto
3 A043, Lettere Sc. Secondaria 4 ore *
4 A059, Sc. Matematica Sc. Secondaria 4 ore
5 A028, Arte Immagine Sc. Secondaria 4 ore
6 SCUOLA PRIMARIA, POSTI COMUNI 1
9 A030, Ed. fisica 1 posto
10 A032 Ed. musicale 1 posto

*Fino a che punto potranno essere “spezzate” le cattedre?

11 ASSISTENTE TECNICO 1 posto per la rete

 

Questo documento è pronto per la condivisione collegiale. Il DDL prevede che l’organico dell’autonomia sia elaborato dal dirigente, sentito il collegio docenti e il consiglio d’istituto.

Se saranno mantenuti i tempi previsti dal governo, giocoforza dovrebbe essere pianificato il passaggio collegiale nel mese di giugno, escludendo una convocazione a luglio o agosto.

Possono essere sì sollevate questioni di opportunità (e di legittimità?) circa la consultazione di un organo collegiale prima dell’approvazione di una legge, ma, ad oggi, non si intravvedono strade più facilmente percorribili, oltre al fatto che, in questo momento delicato, non appare strategico procedere senza i necessari passaggi formali.

 

GLI ISPETTORI TECNICI: CRONACA DI UNA MORTE SEMIANNUNCIATA

GLI ISPETTORI TECNICI: CRONACA DI UNA MORTE SEMIANNUNCIATA

di Mario Maviglia
Coordinatore Regionale Ispettori Tecnici USR Lombardia

I recenti interventi dei colleghi e amici Mavina Pietraforte e Gabriele Boselli (il futuro e il passato della figura dell’ispettore, se mi è consentita una nota meramente anagrafica) mi hanno sollecitato a fare alcune riflessioni sul ruolo dell’ispettore scolastico oggi. Se dovessimo fare un bilancio di quel che è avvenuto nel corso di questi ultimi decenni riguardo questo ruolo il risultato sarebbe a dir poco catastrofico sotto vari profili. Innanzi tutto il numero complessivo di ispettori, alias dirigenti tecnici, oggi in servizio (ma anche di quelli giuridicamente previsti nelle piante organiche) si è ridotto a tal punto che richiamare la metafora della “riserva indiana” è fin troppo facile. Ancora qualche spending review e il problema sarà risolto alla radice con la scomparsa completa del ruolo.

Alcuni vuoti sono stati riempiti con le nomine ex art 19 comma 6 del D.Lgs 165/2001, una delle più grandi iatture giuridiche di questo Paese (e questo detto fuor di metafora). Prima o poi qualcuno dovrà spiegare quale possa essere la ragione di una nomina “politica” (perché di questo si tratta, inutile girarci intorno) per ricoprire un ruolo squisitamente tecnico. E’ come se in un’azienda pubblica che si occupa di costruzioni venisse scelto un ingegnere per la tessera politico-sindacale che ha in tasca piuttosto che per le competenze tecniche nel progettare ponti o edifici che non caschino giù alla minima scossa tellurica. Che poi possano esserci tra i “chiamati” dei cd comma 6 delle brave persone – e anche preparate – questo non cambia la sostanza del discorso. Credo che gran parte dei colleghi ispettori “di ruolo” non avrebbero mai avuto la possibilità di accedere a tale posto (il sottoscritto sicuramente non avrebbe avuto questa opportunità). La nomina “per chiamata” impatta, volente o nolente, fortemente su uno dei pilastri della nostra professione: ossia l’autonomia di giudizio e la libertà di pensiero. Solo un ispettore scevro da ogni forma di sudditanza anche solo latamente politica può esprimere le proprie competenze tecniche con la massima libertà di pensiero (e se questo non avviene è una sua personale responsabilità, non ascrivibile al “sistema”). Il meccanismo introdotto dal D.Lgs 165/2001 crea meccanismi perversi nell’utilizzo di questi professionisti con incarichi triennali, spesso più preoccupati di salvaguardare il rinnovo del proprio incarico che di svolgere in piena autonomia e serenità (serietà?) il proprio lavoro. Il “tengo famiglia” di italica memoria è inevitabilmente presente in situazioni connotate in questo modo.

Va detto, in verità, che anche prima di questa innovazione normativa la figura dell’ispettore nel sistema scolastico italiano è sempre stata alquanto evanescente nell’esplicazione di una progettualità autonoma. Da sempre dipendenti dagli organi della cosiddetta “amministrazione attiva”, gli ispettori non hanno mai potuto elaborare piani ispettivi o di assistenza/consulenza autonomi, in quanto non hanno mai goduto di una vera autonomia operativa (banalmente: chi paga le missioni? Gli uffici dell’amministrazione attiva, i quali possono bocciare le proposte per esigenze di bilancio). Sono passati molti anni da quando era stata avanzata la proposta di istituire un Corpo Ispettivo nazionale, dialogante ma autonomo rispetto all’amministrazione attiva, con un proprio budget di spesa e in grado di realizzare piani di valutazione o verifiche ispettive non legate solo alle cd “visite disposte”, ma autonomamente elaborate dal Corpo Ispettivo, pur nella necessaria sintonia e collaborazione con l’amministrazione attiva. Questo tipo di ispettore in Italia non c’è mai stato e mai ci sarà, per un motivo molto semplice: un corpo ispettivo autonomo, competente, preparato e presente sul territorio rischia di essere una spina nel fianco della stessa amministrazione attiva, in tutte le sue varie declinazioni, in quanto – sganciato da ogni logica clientelare o di appartenenza – l’ispettore non può che sottolineare le criticità e problematicità presenti nei diversi ambiti dell’esplicazione del servizio scolastico, oltre che ovviamente le eccellenze laddove presenti. In fondo, un corpo ispettivo innocuo, ed anzi addirittura scelto in modo discrezionale dalla stessa amministrazione attiva (almeno per la quota prevista dal D.Lgs 165) è funzionale allo status quo. Che poi sia anche funzionale alla qualità del servizio scolastico questo è tutto da dimostrare, ma non credo faccia parte dell’orizzonte di problemi oggi in agenda. Anzi, per alcuni versi la situazione è anche destinata a peggiorare: il ddl sulla “Buona Scuola”, in discussione al Senato, prevede all’art. 9, comma 16, che per l’avvio del processo di valutazione dei dirigenti scolastici verranno istituiti dei nuclei per la valutazione presieduti da un ispettore, ma considerato che gli ispettori in servizio sono in numero ridotto (come si è detto sopra), “possono essere attribuiti incarichi temporanei di livello dirigenziale non generale di durata non superiore a tre anni per le funzioni ispettive”. Ovviamente, una volta avviato questo ulteriore meccanismo di conferimento di incarico “per chiamata”, si troverà il modo – da qui a tre anni – di stabilizzare questo personale nella funzione ispettiva, bypassando la procedura concorsuale. D’altro canto qualcosa del genere è previsto dal cd Decreto Madia di riforma della P.A., dove si prevede la stabilizzazione dei contratti triennali conferiti ai dirigenti ex art. 19, comma 5bis e 6, del D.Lgs 165/2001, anche in questo caso bypassando la normale procedura concorsuale. Film già visti. Anche questo mio intervento non presenta particolari elementi di originalità. Cose sapute e risapute. Come direbbe Gaber, “La mia generazione ha perso”.

Buona Scuola, e poi?

Buona Scuola, e poi? L’orizzonte di senso dell’autonomia    

di Piervincenzo Di Terlizzi

 

Come ha scritto qualche settimana fa su queste colonne Stefano Stefanel, il gallo ha cantato e sta, anzi, ancora cantando: il D.D.L. 2994 sta facendo il suo percorso ed ha causato le reazioni che Stefanel aveva previsto nel suo articolo ed altre ancora, tra le quali forse meno prevista è quella “stagione del pregiudizio”, come l’ha ottimamente definita qui Alessandro Basso, che riguarda soprattutto il ruolo del dirigente scolastico.

Siamo ai primi di giugno, il gallo finirà il suo canto nelle prossime settimane (come, presto si vedrà) e la vita della scuola continuerà, con meno visibilità mediatica di adesso, con parecchie cose su cui riflettere. Saranno di certo settimane e mesi di fibrillazione, in merito a varie questioni che il D.D.L. 2994 tocca: prima di tutto le complesse immissioni in ruolo, poi le modalità di costituzione del così detto organico dell’autonomia.

Con questo arriviamo a una parola che ogni tanto è stata ricordata in queste settimane e che costituisce, in qualche maniera, il termine, l’unità di misura, il convitato silente di tutti i discorsi che vengo fatti: l’autonomia scolastica, appunto, sulla quale qualche giorno fa è tornato sul “Corriere della sera” quello a cui in qualche modo, per ragioni storiche, essa è sempre associata, cioè l’ex ministro dell’istruzione Luigi Berlinguer.

Come noto, l’autonomia scolastica è cosa del 1999; tuttavia, chiunque prenda in mano il dettato essenziale del D.P.R. 275, non può fare a meno di constatare quanta strada ancora essa ha da compiere e quanto questa strada sia ancora così importante nel contesto storico nel quale siamo.

Poche domande in merito:

  1.  Il piano del offerta formativa è vissuto davvero come un documento che indica l’identità di una scuola in tutte le sue opzioni e diversificazioni, oppure è ancora da qualche parte sentito come una somma di progetti (come nelle descrizioni che ne fa nei suoi libri -ad esempio La scuola spiegata al mio cane e Togliamo il disturbo– Paola Mastrocola)?
  2. Le possibilità di autonomia organizzativa, funzionale, didattica e di ricerca, la costituzione delle reti di scuole, quanta difficoltà effettiva ancora trovano nel percorso di oggi per essere realizzate?
  3. Le relazioni con le complessità territoriali (di sfuggita qui accenniamo alla questione delle implicazioni sulla scuola della riscrittura del Titolo V della Costituzione, nella determinazione delle varie competenze tra Stato e Regioni) quanto sono effettivamente tenute attive e sistemiche da parte dei vari soggetti?

L’autonomia scolastica implica, come noto, un nuovo disegno dei ruoli dentro la vita della comunità scolastica, definendo le competenze “politiche” e quelle di governance. Va da sé che essa porta, quindi, la necessità di rivedere gli organi collegiali e di dare visione di sistematicità (qui sì) al ruolo del dirigente scolastico, da inquadrare con chiarezza nell’assetto della pubblica amministrazione (questione ancora aperta e connessa a sua volta con il percorso del D.D.L.1577). Va appena ricordato che una reale declinazione dell’autonomia conferisce piena ed efficace credibilità anche all’intero assetto del Sistema Nazionale di Valutazione, che mira non tanto al confezionamento di ipotetici rating (questa è, piuttosto, una comoda semplificazione da nostalgici delle pagelle ovunque) quanto, nell’arco del triennio, alla rendicontazione sociale, cioè, appunto, a mettere la scuola – la singola, concreta, pulsante e ben determinata scuola – in grado di dare risposte ed evidenze, orizzonti di senso, ai soggetti, interni ed esterni, che la vivono.

Le difficoltà di tessitura nelle relazioni sociali e istituzionali, proprie di questi tempi, stanno rendendo sempre più evidente l’importanza delle reti di prossimità, come declinazione dell’esercizio della cittadinanza, e dell’autonomia come attivazione inclusiva del senso civico: in questo lavoro di ricomposizione della società glocal, non è eludubile la scelta sul ruolo e la presenza, nelle sue articolazioni, di una scuola autonoma, cioè, prima di tutto, responsabile: il che vuol dire, etimogicamente, capace di risposte – di pensarle, e di formularle.

Quando il pregiudizio prende il sopravvento

QUANDO IL PREGIUDIZIO PRENDE IL SOPRAVVENTO

di Alessandro Basso

In tutti questi giorni di grande fermento attorno al ddl 2994, che si avvia alla discussione al Senato della Repubblica, in tutte le scuole sono regnate preoccupazioni e malcelati mal di pancia che, il più delle volte, sono sfociati in vero e proprio pregiudizio, una delle patologie che la scuola ha come compito fondamentale di distruggere.

  1. Il primo e il più significativo è senz’altro quello riferito al preside sceriffo-despota- tiranno, quasi che tutto il male si possa concentrare in un’unica categoria. E così il dirigente scolastico da dirigente di seconda fascia di nome e di fatto, con infinite e gravose responsabilità, stipendio inferiore, considerazione sociale omogenea a quella che è destinata a tutti gli operatori della scuola, all’improvviso è diventato un super potente. Non importa che i poteri di cui si parla, eventualmente, possano essere i medesimi dei colleghi dirigenti di qualsiasi altro settore pubblico o privato, comunque il DS preventivamente sembra non essere ritenuto in grado di poterlo fare o perlomeno che in questa categoria non si possa addivenire a tanto.

  2. Interrogativo frequente: se il preside è mediocre? Contro risposta: e se il docente è mediocre? E se l’assistente è mediocre? E se il collaboratore scolastico è mediocre? Non mi pare di aver letto in provvedimenti legislativi di qualsiasi settore che si possa tenere conto, in via previsionale, della eventuale mediocrità degli operatori, tanto più in un settore come quello della pubblica amministrazione, come più volte è stato argomentato, ove si accede per concorso. Questi concorsi riusciranno a sfornare qualche persona competente? Nel caso malaugurato ci fosse un preside mediocre, si dovrebbe usare lo stesso comportamento che si deve utilizzare nei confronti di un docente mediocre, né più né meno e con la stessa tempestività.

  3. E’ molto originale prendere atto che le lamentazioni quotidiane che si sentono all’interno della scuola e anche al di fuori, su come vanno le cose, soprattutto riguardo al reperimento del personale, all’improvviso sono diventate una sorta di “Eldorado” a cui tendere piuttosto che modificare lo status quo: piuttosto è meglio lasciare tutto così. Forse che l’equità a tutti i costi debba andare a svantaggio della qualità?

  4. Dal punto di vista statistico verrebbe da pensare che, come ci sono docenti meno preparati, parimenti ci possano essere anche dei presidi meno preparati. A meno che non si parta dall’assunto che la maggior parte dei docenti sono bravi (vero) e che la negatività sia tutta concentrata nel corpo dei dirigenti scolastici.

  5. A tutti i dirigenti sarà capitato, in questi giorni, di sentir rivolta la seguente frase: “preside non ce l’ho con lei, anzi se tutti fossero come lei il disegno di legge andrebbe bene”. In qualsiasi sistema si cercano di reperire dei criteri che possano avere valore generale e non certo particolare. Il ricorso ad un sistema mitico di eroi che non sbagliano mai, autorizzerebbe la comunità tutta a richiamare alla memoria la maestra del Libro Cuore che era bravissima, inserita all’interno di un mondo mitico, dove non c’è né errore né preoccupazione.

  6. Quali risposte fornire ai genitori che si lamentano quando cambia un insegnante, magari di sostegno, quali risposte fornire ai docenti preoccupati di sapere che nel proprio Istituto potrebbe arrivare l’anno successivo il tal docente o il tal supplente in corso d’anno? È semplice richiamarsi a principi generali e seguire il mito del preside despota, quando siamo i primi a recarci dal dirigente a chiedere di non chiamare quel supplente o di fare qualcosa perché non arrivi quel docente che potrebbe distruggere il lavoro di anni.

  7. In un Paese dove la corruzione ha regnato sovrana, è noto a tutti che la dirigenza scolastica è ben lontana da questi episodi, in quanto il nostro profilo non maneggia denaro pubblico, non gode di benefit, non vi sono auto aziendali, non vi sono cellulari, quando si ospita un relatore per un convegno è il dirigente che paga la cena. Rischi di guadagni personali e corruzione ce ne sono ben pochi, per questo motivo è stato necessario nel DDL aggiungere la previsione che i dirigenti non possano assumere i parenti, norma ampiamente consolidata in ordinamento, solo per tranquillizzare la platea che già prefigurava l’assunzione a scuola dell’intero albero genealogico del preside.

  8. Che dire, poi, di quelle aree del Paese dove è elevato il rischio malavita: in questi posti ovviamente il preside potenzialmente è ancora più colpevole, ancora più criminale, ancora più corrotto e allora ancora più pericoloso che possa avere dei nuovi poteri, perché anziché poter sperare di avere l’insegnante migliore per costruire una scuola migliore è meglio lasciare che le cose stiano come sono per evitare di cambiare.

  9. In questi giorni è circolata la “circolare delle circolari”, allora da più parti si sono levati gli scudi per colpevolizzare quel dirigente sul quale assolutamente non è opportuno dire nulla. L’interrogativo susseguente è stato : e se questa/o preside (perché ormai si parla solo di preside come sinonimo di dirigente) incompetente diventa super preside? Che cosa accadrà mai? Sorridendo, taluni dirigenti avranno pensato di estrarre dai propri cassetti qualche verbale dove è scappato qualche accento ( cosa che peraltro può capitare nella migliore famiglia). 

  10. Guai al preside che possa avere del denaro a disposizione del proprio istituto per poter elargire fondi a favore del merito, è preferibile scegliere la strada del passato, è meglio fare in modo che una funzione strumentale che lavora centinaia di ore in un anno continui a guadagnare 600 euro lordi: su questa strada si costruirà il futuro del Paese.

Ultimo. Siamo il paese dell’autonomia, della flessibilità, della diversificazione dichiarate. Non c’è persona di scuola che negli ultimi vent’anni non si sia intrattenuta in autorevoli discorsi con al centro la parola autonomia. Come mai nel nostro Paese, nella nostra scuola, l’autonomia è un baluardo così significativo ma nessuno la vuole realizzare? Quante volte nelle riunioni, nei collegi si è sentito dire “se questa è l’autonomia, cosa ce ne facciamo? Salvo poi rispedirla al mittente quando entra nella fase dispositiva.

Dalla riflessione su questi punti, una conclusione complessiva. In questa fase finale dell’anno scolastico non sta regnando un clima di dialogo proficuo e costruttivo, piuttosto serpeggia un dilagante pregiudizio: speriamo l’estate porti consiglio

In difesa dei Tieffini e dei Passini

In difesa dei Tieffini e dei Passini

di Mavina Pietraforte

 

I Tieffini visti da vicino

Comincio con il difendere i tieffini.

Quelli che devono superare ben tre prove di selezione prima di accedere ad un corso di almeno 200 h con lavoro finale e discussione dell’elaborato che coniughi il tirocinio attivo con la teoria esaminata. Ciò che è più facile a dirsi che a farsi.

Non per questo voglio difenderli, o perlomeno non solo. Ma perché li ho visti, ascoltati, apprezzati di recente durante una sessione di esame per l’abilitazione in una Università statale della Lombardia, come rappresentante dell’Ufficio Scolastico Regionale.

Con loro ho apprezzato i loro docenti universitari, rigorosi e pieni di tematiche epistemologiche, pedagogiche che a sentirli, a me che da un po’ sto frequentando solo i corridoi burocratici, mi hanno rinfrescato e rincuorato l’animo.

Gli abilitanti, poi, mi hanno affascinato con la loro passione nei lavori di tirocinio svolti presso le scuole dove hanno portato la loro sapienza e non solo, hanno mostrato anche la strada per l’inclusivisità come pratica e non solo come enunciato, con le loro proposte di apprendimento tra pari, o di uso delle tecnologie strategicamente volte a coinvolgere anche gli alunni DVA.

Si trattava infatti di esami per l’abilitazione al sostegno. E scopri quello che non avresti immaginato: anche in scuole centrali di Milano, banchi isolati per gli alunni disabili, o l’allontanamento come pratiche diseducative.

O addirittura il precludere l’accesso alla documentazione della certificazione di questi alunni,   certo riservata ma ineludibile come conoscenza per chi deve educare e formare questi ragazzi “diversi”.

E questi tieffini a portare il loro tesoro, il loro coraggio, a coinvolgere le scuole, i docenti e i dirigenti scolastici.

E dove finiranno? Torneranno nelle scuole dove hanno portato un po’ di luce, dove hanno sperimentato sul campo la distanza tra la scuola agita e quella normata, causata forse da norme solo formalmente ugualitarie?

Non è il loro ingresso nel mondo della scuola come docenti di ruolo, a tempo interminato, un modo per garantire l’uguaglianza sostanziale dei docenti come lavoratori, come studiosi e come intellettuali della scuola e per i ragazzi come garanzia di educatori consapevoli in grado di accompagnarli in modo graduale e motivato al loro “progetto di vita”?

Perché non rientreranno nel piano di assunzioni del DDL ora all’esame del Senato?

Chi ha fatto la conta del fabbisogno e deciso che non servono alla scuola?

Ci sono dati statistici inoppugnabili   in merito per cui arrendersi e dover rinunciare ancora una volta, ad una occasione di “buona scuola”?

 

 

I passini

Laddove i tieffini possono anche non essere mai entrati a scuola con supplenze, (ma le esperienze sono molto variegate), i passini sicuramente sì.

E a questo hanno aggiunto anche loro una formazione universitaria. Meno selettiva, si dirà, dei tieffini con riguardo alle prove di ingresso, ma sempre un percorso universitario, quindi di ricerca e di studio nei massimi organi deputati nei paesi occidentali fin dall’Alto Medioevo, le Università.

In più, comunque, hanno avuto pregresse esperienze di insegnamento in presa diretta, per così dire. E la Scuola è maestra di vita, come la Storia.

Anche di questi, ne ho conosciuti alcuni, sconsolati e incerti sul loro futuro, mortificati da un’attesa senza fine, consapevoli che per tutti loro si potrà parlare solo di un concorso da bandire previo svuotamento delle GAE.

 

Un futuro vano concorso

Si tratta di una generazione incolpevole inghiottita in un buco nero da cui non vedono l’uscita.

Uno spiraglio di luce può essere solo il concorso ordinario?

Ordinario che vuol dire?

Piuttosto straordinario, direi, visto che dovrebbe selezionare gente già ampiamente selezionata.

Una procedura comparativa per selezionare in modo mirato persone che hanno competenze e capacità già testate non sarebbe la migliore soluzione?

Non si fa certo i puristi per la selezione dei dirigenti dell’Amministrazione centrale e periferica per cui a quanto pare la nomina con criteri personalistici sembra essere quella più efficace e spedita, caldeggiata anche se non amata.

Solo per i docenti parrebbe obbligatorio passare attraverso le forche caudine di un concorso che potrebbe rivelarsi un “bagno di sangue” come si è espressa di recente la ex Ministra Carrozza[1], parlando a proposito dei concorsi per ds svoltosi nelle varie Regioni.

Non sono certo contro i concorsi, io sono entrata per concorso nel ruolo di dirigente tecnico, (e anzi penso che per la dirigenza la via maestra sia solo il concorso), e del resto entrai per concorso anche nell’insegnamento, più di venti anni fa, ma allora non c’erano questi percorsi universitari e giacché ora ci sono, non si vede perché si debba vanamente creare un altro metodo per selezionare chi è stato già selezionato dalle Accademie.

 

[1]http://tv.ilfattoquotidiano.it/2015/05/06/scuola-lex-ministro-carrozza-a-settembre-sara-massacro-e-siamo-gia-in-ritardo/368942/

 

Il DDL “la buona scuola” non ha validità scientifica

Il DDL “la buona scuola” non ha validità scientifica

di Enrico Maranzana

 

Il disegno di legge in discussione al Senato è caratterizzato da un approccio di tipo morale: il procedere scientifico è sconosciuto.

 

TERMINOLOGIA

La scuola non possiede un vocabolario condiviso. Educazione, formazione, istruzione, insegnamento, capacità, abilità, conoscenza, competenza .. non hanno univoco significato.

Il DDL s’immerge in questa indeterminatezza. Si consideri ad esempio la nozione “apprendimento”: la sua definizione è desunta dalla legge 92/2012 avente come oggetto la riforma del mercato del lavoro.

E’ noto che il significato delle parole è contestuale: apprendimento, per chi progetta percorsi volti alla relativa promozione, ha un contenuto che diverge sostanzialmente da quello ottenuto considerando la scuola come erogatrice di forza lavoro.

 

ESPLORAZIONE DEL CAMPO IN CUI NASCE IL PROBLEMA

La proposta governativa non ha ricercato l’origine dell’inefficacia degli interventi normativi che, negli anni, si sono succeduti: si limita a sentenziare la loro incoerenza e il loro non allineamento con l’assetto attuale.

Se l’ordinaria gestione scolastica fosse stata studiata ne sarebbe derivato un quadro di realtà molto differente da quello ipotizzato. Il vissuto sarebbe stato capitalizzato: sarebbe emersa l’origine dell’attuale stallo dell’istituzione.

E’ sufficiente leggere gli ordini del giorno stilati per convocare gli organismi collegiali per costatare la sistematica omissione di questioni obbligatorie e vitali, l’origine della loro sterilizzazione.

 

DEFINIZIONE DEL PROBLEMA

Il sistema normativo vigente finalizza il sistema scolastico all’educazione, intesa come processo di promozione di capacità e di competenze, generali e specifiche [legge 53/2003].

Il disegno di legge, nonostante il riconoscimento della persistente validità dell’ordinamento vigente [TU 297/94], modifica l’orientamento della scuola cassando gli aspetti educativi. La modifica della denominazione dell’istituzione scolastica è inequivocabile: da Sistema educativo d’istruzione e di formazione a Sistema nazionale di istruzione e di formazione.

 

FORMULAZIONE DI IPOTESI

L’errato disegno del campo in cui nasce il problema e il mancato riconoscimento della complessità della mission della scuola, ridotta al solo insegnamento, svuotano di significato le strategie risolutive.

 

DEFINIZIONE DEL MODELLO

La cultura dell’organizzazione non appartiene al disegno di legge. I modelli che la scienza ha elaborato per dominare i sistemi decisionali sono rimpiazzati dall’obsoleta, inefficace struttura gerarchico-lineare.

 

VERIFICABILITA’

Il feed-back è universalmente riconosciuto come necessaria modalità di governo dei sistemi.

Il feed-back consiste nella comparazione tra obiettivi e risultati ottenuti: le informazioni contenute negli scostamenti rilevati consentono di migliorare l’incisività delle azioni programmate.

Il DDL muove in direzione opposta: il principio di autorità, alternativo a quello razionale, è posto a fondamento della valutazione.

Rieccoli!

RIECCOLI!

di Francesco G. Nuzzaci

Benché, rispetto al testo iniziale, depurato di alcune disposizioni inutilmente muscolari ed integrato con opportuni correttivi, più coerenti con il risalente assetto autonomistico delle istituzioni scolastiche, fin qui quiescente e che ora si prova a rendere effettivo, sul disegno di legge delega La buona scuola approvato in prima lettura alla Camera e rimesso al Senato resta, implacabile, l’ostracismo di tutti i sindacati – confederali e autonomi, rappresentativi e non – in permanente mobilitazione e sostenuti da esponenti politici della sinistra-sinistra, cui si sono aggiunte una trentina di sigle gravitanti attorno al pianeta scolastico e, da ultimo ed inopinatamente, il presidente della Conferenza episcopale italiana. Sono tutti concordi nell’insistere sul ritiro del testo dopo averne stralciato e approvato con decreto legge il solo piano di assunzioni, allargato all’inclusione di una pletora di docenti precari potenzialmente illimitata, che sembrano spuntare come funghi in un’umida giornata autunnale, con rinvio di almeno un triennio dei concorsi ordinari ed ulteriore stagionatura delle giovani – per modo di dire – leve aspiranti all’insegnamento seguendo la via maestra dettata dalla Costituzione. Il resto dev’essere restituito alla – presunta – competenza dei tavoli contrattuali, trattandosi di materie che hanno ricadute su aspetti normativi e retributivi del rapporto di lavoro.

Avremo modo di affrontare de plano l’argomento, ma intanto vorremmo riproporre all’attenzione di qualche nostro paziente lettore un saggio che ci sembra tornato di attualità per i suoi contenuti e per le reazioni che suscitò. E’ un saggio da noi scritto giusto sette fa per la Rivista giuridica della scuola e, con piccoli adattamenti, qui già pubblicato. Trattasi di un’analisi della più organica proposta preordinata alla realizzazione della scuola dell’autonomia, naturalmente – come le precedenti e le successive- colata a picco sotto il fuoco concentrico di coloro – sempre gli stessi – che stanno sparando a palle incatenate contro l’odierno similare tentativo, pure meno radicale, di uscire dalla palude.

Come dire, nulla deve cambiare e il futuro non ci appartiene.


Prove di Rivoluzione

Il corto-circuito della Buona Scuola

IL CORTO-CIRCUITO DELLA BUONA SCUOLA

di Giuseppe Guastini

 

Il DdL sulla buona scuola va avanti; ma intanto….

 

1° CORTOCIRCUITO: LA QUESTIONE DEL TETTO DI SPESA DEI LIBRI DI TESTO

                                    SCOLASTICI (QUANDO IL MIUR FA SCIOPERO)

 

COME E’ O DOVREBBE ESSERE IL   CORTOCIRCUITO
“ ….il tetto di spesa relativo alla dotazione libraria per le classi 1^ e 2^ di scuola secondaria di 1° grado e le classi 1^, 2^, 3^ e 4^ di scuola secondaria di 2° grado, che sarà definito con decreto ministeriale…” .Dalla CM 3690/2015 1) Il decreto ministeriale annunciato non è mai pervenuto, quindi le scuole non sanno quale tetto applicare (quello del 2012 incrementato dell’inflazione ?).2) Se cercate, presso qualsiasi libreria italiana, con libri di qualsiasi casa editrice, di mettere insieme la dotazione libraria necessaria per una classe 1^ di scuola sec. 1° grado, stanti i prezzi di mercato, non riuscirete mai a stare entro il tetto di spesa.

Ne segue che le scuole sono costrette a espedienti quali “libri consigliati” o, in qualche caso, persino a rinunciare a libri di testo (scuola senza libri: davvero “buona scuola”!).

Ma il MIUR ignora il problema.

(In alcune scuole i docenti hanno dichiarato lo sciopero dei libri di testo; in questo caso lo scioperante sembra proprio essere il MIUR).

 

 

2° CORTOCIRCUITO: AMMINISTRAZIONE TRASPARENTE (LO SCIOPERO CONTINUA)

Il 31/1/2014 scadevano i termini per i complessi adempimenti previsti dal “decreto trasparenza” (D.Lvo. 33/2013); tuttavia il 29 gennaio (NB: 2 giorni prima) il MIUR emana una curiosa e irrituale nota di “sospensione”.

 

COME E’ O DOVREBBE ESSERE IL   CORTOCIRCUITO
“…Tuttavia, considerata la specificità del settore della scuola…. è stata portata all’attenzione del Ministero per la pubblica amministrazione…. e dell’A.N.A.C. (Autorità nazionale anticorruzione) la necessità di individuare misure opportune di adattamento della suddetta normativa alla complessa realtà delle istituzioni scolastiche.                                     Tale esigenza è stata condivisa dai soggetti interpellati e….si è concordato che tutte le indicazioni per l’applicazione delle norme sopra richiamate alle scuole fossero inserite in un apposito atto aggiuntivo al Piano Nazionale Anticorruzione, che… è in corso di definizione.                                                         Tanto premesso, si richiede a codesti uffici (NB: la nota non è indirizzata alle scuole ma agli USR; ndr), nelle more della definitiva adozione del suddetto atto aggiuntivo…. di astenersi dall’adottare qualsiasi indicazione alle istituzioni scolastiche relativamente alle tematiche della trasparenza e dell’anticorruzione e di sospendere le iniziative eventualmente già avviate in merito….”                                           Dalla nota MIUR prot. 276 del 29/1/2014. Il preannunciato “atto aggiuntivo” non è mai pervenuto e le scuole sono rimaste in una condizione di “sospensione” e di incertezza a tempo indeterminato. Da quel 29 gennaio nessuna ulteriore indicazione è pervenuta da parte del MIUR.

3° CORTOCIRCUITO: L’APPLICAZIONE DEL D.L.vo 81/2008 (SICUREZZA NEI LUOGHI DI

                                     LAVORO) ALLE SCUOLE; UNO SCIOPERO LUNGO 3 ANNI

 

COME E’ O DOVREBBE ESSERE IL   CORTOCIRCUITO
Il D.L.vo 81/2008 prescrive regole molto severe e impegnative (e costose) per mantenere alto lo standard di sicurezza nei luoghi di lavoro; tuttavia, per ambienti con livelli di rischio più bassi, il legislatore ha previsto la possibilità di adottare misure meno stringenti e più adeguate a tali livelli di rischio (e meno onerose): 

Art. 3, comma 2: “Nei riguardi….degli istituti di istruzione ed educazione di ogni ordine e grado…le disposizioni del presente decreto legislativo sono applicate tenendo conto delle effettive particolari esigenze connesse al servizio espletato o alle peculiarità organizzative… individuate entro e non oltre ventiquattro mesi (poi prorogati a 36; ndr) dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo con decreti emanati…..dai Ministri competenti….

3. ………….decorso inutilmente tale termine, trovano applicazione le disposizioni di cui al presente decreto”.

I “ministri competenti” non hanno mai emanato i decreti di adattamento alle scuole, le quali, essendo ormai scaduti i 36 mesi, sono obbligate ad applicare anche non poche inutili e costose misure restrittive (la più clamorosa è quella che equipara gli alunni delle classi 2.0 o con LIM a “lavoratori”, con conseguente obbligo di formazione per alunni – vi immaginate un corso standard per lavoratori a bambini di prima ? – e docenti i quali, di conseguenza, sono automaticamente equiparati a “preposti”).

 

 

 

4° CORTOCIRCUITO: ISTITUTI COMPRENSIVI E OMNICOMPRENSIVI CLANDESTINI

                                   (SCIOPERO A TEMPO INDETERMINATO)

 

COME E’ O DOVREBBE ESSERE IL   CORTOCIRCUITO
1) Gli Istituti comprensivi (I.C.) sono ormai il format prevalente nel 1° ciclo di istruzione.2) Da oltre un decennio si stanno sempre più diffondendo anche gli I.O. (istituti omnicomprensivi) che riuniscono la scuola dell’infanzia, primaria, secondaria di 1° e 2° grado in un’unica istituzione scolastica. 1) Se però cercate nelle norme ordinamentali scolastiche (cfr i DPR 81 e   89 del 2009) l’I.C. non compare mai; per l’ordinamento scolastico è un’istituzione fantasma.Non essendo mai state emanate norme sugli IC, ne è derivata la proliferazione dei cosiddetti “istituti scomprensivi”, ottenuti per effetto delle più strampalate forme di aggregazione di plessi e sedi scolastiche.

2) Ancora peggio è andata ai tanti I.O. italiani: non soltanto non sono previsti dagli ordinamenti ma addirittura sono tutti commissariati perché in oltre 10 anni a nessuno al MIUR è venuto in mente di disciplinare l’elezione del consiglio d’istituto in tali scuole.

Se davvero il desiderio del MIUR fosse quello della “buona scuola” ci sarebbe già ora molta materia da “buonificare”.

Valutazione: né quisquilia, né pinzellacchera

Valutazione: né quisquilia, né pinzellacchera

di Cosimo De Nitto

Ci sono due tipi e due modi di fare valutazione in base agli obiettivi che ci si pone:
1) per differenziare, punire, premiare, escludere, includere (competizione, emulazione, convergenza sul modello);
2) per migliorare tutti e ciascuno.

La valutazione è interna al processo formativo (valutazione formativa), è una componente per cui ciascuno ha i propri obiettivi di crescita, non in competizione, ma insieme agli altri che non limitano ma potenziano il processo formativo.
La relazione cooperativa, empatica, l’aiuto reciproco tra pari potenziano e migliorano la qualità dell’apprendimento. L’apprendimento ha una forte dimensione sociale oltre quella individuale. Escludere la dimensione sociale e limitare l’apprendimento e la formazione ad un processo esclusivamente individuale sviluppa l’individualismo, la competizione, inquina le relazioni sociali, la cittadinanza, limita le capacità e le potenzialità delle persone.

A scuola si vogliono valutare gli insegnanti per assegnare un premio ad alcuni (pochi) ed escludere gli altri (molti), non per farli crescere professionalmente, non per mettere tutti in condizione di migliorare le proprie competenze didattiche.

Quando si parla della valutazione degli insegnanti si chiariscano prima di tutto gli obiettivi, si faccia poi la scelta del modello di valutazione. Nel ddl le scelte valutative del governo sono del primo tipo, si valuta per premiare e per punire nella vana speranza, forse, che l’interesse individuale del piccolo premio o la paura della punizione, della umiliazione e stigmate professionale automaticamente producano effetti di stimolo e miglioramento. Gli insegnanti non rifiutano la valutazione, ma non accettano che questa sia usata come arma per mortificarli, discriminarli più ancora di quanto non avvenga già da parte delle politiche scolastiche del governo, oltretutto sarebbe inefficace perché demotivante, ansiogena. La valutazione deve essere, ed essere vissuta, come un processo che aiuta a crescere e a migliorarsi, non ad attribuire punti Conad per ottenere un regalino a fine anno.

Dopo gli obiettivi, la valutazione si dà delle procedure basate sulla scelta di chi deve valutare, sul merito di ciò che si vuole valutare, sul metodo da seguire. Soggetti, procedure e metodi devono essere accettati e condivisi nella loro obiettività, trasparenza, equanimità. I soggetti chiamati a valutare devono essere competenti su tutti i fronti, e sono molti, che compongono l’articolato e complesso mondo che troppo sinteticamente indichiamo come “competenza didattica”. La valutazione dei docenti non può essere assegnata ad una sola persona, ma ad un organo collegiale e composito che copra l’arco delle competenze specialistiche che si richiedono per valutare la professionalità dei docenti.

Il ddl e la Buona Scuola avevano in prima istanza assegnata al solo dirigente la “responsabilità” di valutare i docenti, ma la responsabilità senza la competenza è un potere vuoto e pericoloso, suscettibile di deviazioni e inquinamenti, comunque origine di conflitti e turbamenti di un ambiente come quello scolastico che ha bisogno invece di armonia, rispetto, collaborazione, tranquillità, accoglienza.

Nella versione passata alla Camera il ddl assegna la “responsabilità” di valutare gli insegnanti al dirigente assistito da due docenti e due rappresentanti dei genitori, o, nelle superiori, da un genitore e uno studente. Non si dice altro, si delega, come sempre in tutto il ddl, a disposizioni governative e ministeriali (burocratico-amministrative) che interverranno dall’alto successivamente. Si sa solo che gli insegnanti saranno valutati da questo soggetto con l’obiettivo di premiarne alcuni e discriminare tutto il resto. L’effetto della premiazione dei “salvati” è previsto, non sono previste le conseguenze della discriminazione/punizione professionale e personale sui “sommersi”.

Come si può accettare una valutazione di questo tipo? Mancano tutti i requisiti affinché essa sia ritenuta una cosa seria. Mancano gli obiettivi, i soggetti competenti, manca il merito di ciò che si valuta, mancano metodi e procedure che garantiscano trasparenza, obiettività, assolutezza, generalità, equanimità.

Come si fa, davanti a questo pericolosissimo dilettantismo, a non rilevare le penose carenze e il penoso digiuno di benché minime cognizioni in materia di valutazione? Se si deve “valutare” per scegliere a chi dare il piccolo premio e solo per sacrificare la pelle dei più sull’altare della grande divinità, la “meritocrazia”, allora meglio soprassedere. Il campo è difficile, non impossibile, ma si tratta della vita e della morte professionale di un personale che è entrato nella scuola avendone il diritto riconosciuto da un percorso di studi, esami, concorsi e prove di tutti i tipi, esperienze professionali pluriennali. Meglio procedere non con imposizioni dall’alto, ma con un dibattito in cui possa registrarsi un ampio consenso e una larghissima condivisione degli insegnanti.

Come si risponde a questi rilevi critici di merito? Con lo slogan/spot/mantra che gli insegnanti si rifiutano di essere valutati, addirittura rifiutano la valutazione in quanto tale.
Come si fa a rispondere con argomenti di merito, non di principio vuoto, ad uno spot che non è un argomento ma un’accusa/insulto? Viene alla mente il famoso adagio da spaghetti western: quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, l’uomo con la pistola è un uomo morto. Lo stesso dicasi quando un’argomentazione incontra uno spot, l’argomentazione soccombe, o almeno così si vorrebbe da parte del coro da stadio e dei pifferai magici di turno che lo imbeccano.

Organico dell’autonomia o organico del dirigente?

Organico dell’autonomia o organico del dirigente?
di Cosimo De Nitto
Una delle espressioni più usate nel ddl 2994 è “organico dell’autonomia”. Nel testo di legge è un’espressione che ricorre come un mantra per ben 38 volte.

Nel linguaggio burocratico la parola “organico” usata come sostantivo indica la composizione e l’ordinamento del personale di un’amministrazione o di un’impresa, sia pubblica sia privata, in relazione al numero (e anche alle mansioni, al grado gerarchico) dei funzionari, impiegati e subalterni previsti come necessari al funzionamento dei vari uffici.

Nello specifico dell’amministrazione scolastica il sostantivo “organico” viene talvolta connotato con l’attributo “funzionale” o specificato e distinto in “di diritto” e “di fatto”.

Finora, dunque, si era sempre parlato e scritto di “organico funzionale”, “organico di diritto”, “organico di fatto” nella scuola. L’introduzione dell’espressione “organico dell’autonomia” è una novità linguistica del ddl 2994. Perché, con quali scopi significanti è usata questa specificazione? La specificazione “dell’autonomia” dovrebbe distinguere da un possibile “organico” che dell’autonomia non è, oppure è altro. E quale sarebbe questo organico della “non autonomia” visto che le scuole sono per definizione autonome? Che senso ha una specificazione che appare ridondante, inutile e soprattutto che senso ha la sua ripetizione mantrica?
Gli interrogativi sono legittimati anche dal fatto che questa specificazione “dell’autonomia” viene usata solo riferita alle scuole, nonostante che esse non siano le sole ad essere autonome. Il nostro Stato si articola in una ricca e complessa rete di Autonomie, diverse autonomie, infatti, secondo la natura della collettività di riferimento, gli enti autonomi si distinguono in:

– “Enti territoriali”, che hanno come riferimento la comunità territoriale e dunque collettività costituite di tutte le persone stanziate in un determinato territorio come: Comuni, Province, Regioni.

– “Enti ad autonomia funzionale”, hanno come riferimento una parte omogenea della comunità territoriale, una determinata categoria, come ad esempio: Scuole, Università, Camere di Commercio, Ordini e Collegi professionali, Fondazioni bancarie, Autorità portuali, Aziende Sanitarie Locali, Autorità di bacino ecc.

Com’è che il legislatore, dopo aver parlato e scritto sempre e semplicemente “organico” dei Comuni, Province, Regioni, Università ecc ecc, improvvisamente, e rispetto solo ed unicamente alla scuola, sente il bisogno di usare la specificazione “dell’autonomia”?
Perché un governo come questo che della semplificazione, dell’essenzializzazione, della praticità e pragmaticità, del risparmio delle parole si è fatta una filosofia, nel nostra caso invece abbonda pleonasticamente aggiungendo sempre e ovunque una specificazione inutile dal punto di vista del senso, una specificazione che non aggiunge niente alla parola “organico” che già non si sapesse, visto che si parla di organico della scuola e che la scuola è autonoma ai sensi della legge n. 59/1997 ?
Se si trattasse solo di ridondanza e pleonasmo sarebbe solo un rilievo prevalentemente formale, si tratterebbe di una scrittura brutta perché inutilmente ripetitiva e insensata rispetto al significato. Ci deve essere necessariamente dell’altro che non sia il pessimo italiano in cui si scrivono tante volte le leggi.
L’altro sembra il fatto che tutto il ddl è costruito sull’asse di senso politico e giuridico per cui la “autonomia” viene ritenuta sinonimo di “dirigenza”. Il dirigente “è” l’autonomia (e viceversa), è sua incarnazione, sua dimensione operativa concreta, sua possibilità e sostanza giuridica, suo appannaggio esclusivo, suo orizzonte di senso (non si sa perché poi questa personalizzazione, questa individualizzazione nella figura del dirigente come unica persona, perché autonomo non possa essere un team, un organo collegiale. Non si sa perché a questi non possa essere riconosciuta e affidata la “responsabilità” boh!?).
Allora, se questo è, se autonomia vuol dire dirigente e viceversa, dire “organico dell’autonomia” è come dire “organico del dirigente”. E in effetti se si vanno a vedere i poteri (competenze) che il ddl assegna al dirigente rispetto all’organico sarebbe stato più onesto e chiaro scrivere, anziché “organico dell’autonomia”, “organico del dirigente”.
Potrebbe essere un emendamento da proporre al Senato per la trasparenza e l’onestà politica e intellettuale, contro l’ambiguità e la fumosità del linguaggio giuridico e politico del paese degli Azzeccagarbugli vecchi e nuovi.

La Cenerentola della Buona Scuola

La Cenerentola della Buona Scuola

di Mavina Pietraforte

 

“Non è il momento di inserire, nel nostro ordinamento scolastico, lo studio del diritto e dell’economia politica in tutte le scuole superiori!  Non lo è ancora, non lo è mai stato. “

Così scrive l’ Avv. Maria Giovanna Musone (Apidge Piemonte).

Infatti nessuna delle proposte contenute nel documento La Buona scuola sono state recepite nel DDL 2994, come risulta dal testo liquidato alla Camera.

 

L’insegnamento del diritto e dell’economia

Insegnare una materia come quella ricompresa nel diritto e l’economia (classe di concorso A019, per gli addetti ai lavori), è sempre stato un po’ una sfida.

E’ una materia che non ha il profilo certo e inevitabile dell’insegnamento di italiano. Neppure quello sicuro e svelto dell’insegnamento delle lingue. Perché si deve studiare diritto ed economia? Diritto, forse, ognuno ne vede l’utilità, ma economia? Economia politica, poi…! Aziendale, semmai, che si capisce di sicuro. Ai diplomati dell’istituto tecnico e professionale è utilissima e fondamentale, economia aziendale.

Con Cittadinanza e Costituzione è senz’altro più titolato il docente di storia a insegnare la Costituzione rispetto al prof di diritto!

Ma di sicuro ora l’insegnamento del diritto e dell’economia è proprio ricoperto di cenere dal DDL scuola. Come Cenerentola.

Proprio adesso che il liceo economico e sociale sostiene per la prima volta la seconda prova di diritto ed economia.

 

Una narrazione di insegnamento  

Dispiace questo oblio. Lo dico, da insegnante di queste materie che amavo insegnare e che amo tuttora, dopo che ho superato il concorso per dirigente tecnico proprio nel settore discipline giuridiche ed economiche.

Così posso raccontare di come mi sentivo, all’inizio della carriera ad insegnare materie che venivano considerate solo teoriche, allora poi, nel lontano 1987 c’erano solo libri di testo pieni appunto di testo scritto, senza una evidenziazione, un glossario, nulla. Per fortuna i libri di testo con il passare degli anni sono diventati più colorati e facili da consultare.

E soprattutto c’era diritto a far da padrone sull’economia.

I colleghi con cui mi confrontavo erano quasi tutti di giurisprudenza, io venivo da scienze politiche e mi dilettavo a preparare lezioni con piccoli problemi economici. Ero sempre alla ricerca di colleghi di matematica disponibili ad intrecciare le loro lezioni con quello che io volevo spiegare di economia e che abbisognava di strumenti matematici.

Alcuni mi hanno ascoltato, con un collega pubblicai anche delle unità didattiche (come si diceva allora) sul vincolo di bilancio del consumatore per cui occorreva sapere le funzioni di utilità e lui aveva per questo utilizzato il programma applicativo ”derive”.

Era bello proporre ai ragazzi quell’accanimento matematico sull’economia, dovevo cercare di renderlo semplice, di far capire dove volevo arrivare, utilizzando un po’ di funzioni, qualche equazione.

Il viso semplice di una ragazza mi disse che le piaceva l’economia, perché c’era la matematica.

Con il tempo cambiai metodo, volgendo lo sguardo in parte all’economia aziendale, ma lì mi premeva far capire che non di azienda si trattava, ma di scelte per l’economia pubblica, di teorie economiche che potevano influenzare la visione politica delle cose. E allora mi incamminavo decisa verso la storia per cogliere i diversi momenti storici in cui era prevalsa una teoria economica anziché un’altra. E ci voleva il raffronto con il presente. Ma era difficile. Perché era già politica.

Mi veniva in soccorso allora il diritto, quando si doveva parlare dell’ordinamento giuridico, della Costituzione, dei suoi principi e dell’assetto dello Stato sociale. Di filosofia dello Stato.

Non era facile, i ragazzi dell’istituto tecnico non avevano gli strumenti per capire appieno la direzione. Rischiavano di imparare a memoria, giusto per l’interrogazione o la verifica scritta.

Non era facile per loro intuire la correlazione storico-giuridico-economica per la comprensione del sociale e non era facile neanche collegare il rigore della matematica con le “leggi dell’economia”.

 

Il Liceo economico e sociale e il suo futuro.

Ho poi incontrato, ormai da dirigente tecnico, l’opzione economico sociale del liceo delle scienze umane, il liceo economico e sociale, appunto. Qui i ragazzi possono avere qualche marcia in più, più pronti o disponibili per l’approfondimento anche teorico.

Ma già da subito, solo un’opzione, mi è sembrato poco. Ci vorrebbe qualcosa di più. Un indirizzo tout court.

Avvalorato magari dal fatto che con il DDL 2994 il diritto e l’economia sarebbero potute entrare prepotentemente nelle scuole.

E invece no.

Perché? Forse anche per i nostri politici e non solo a volte per gli alunni è difficile da accettare e concepire che a scuola si possa insegnare in modo così aperto e versatile, vedendo il tutto e non una parte, non facendo a pezzi le cose, ma facendone intravedere la rete concettuale che di per sé rappresenta una chiave interpretativa dei fatti del mondo.

O forse perché il liceo economico e sociale non decolla oltre il 2% di iscrizioni?

Mi sono chiesta il perché di questo stallo, altri molto più autorevoli e competenti di me se lo sono chiesto, ovviamente.

Per parte mia, ho guardato due cose: il quadro orario di diritto ed economia dei licei economici e le Indicazioni Nazionali (D.I. 211/10). Entrambi insufficienti. 3 h alla settimana per insegnare ciò che alla rinfusa e in modo alquanto vago viene prospettato nelle Indicazioni. Si dirà, ma non sono mica i programmi di una volta! Sì, ma un minimo di approfondimento per ogni addentellato contenutistico credo sia necessario, per non cadere nella banalizzazione. Soprattutto considerato che gli obiettivi specifici di apprendimento, le linee generali e competenze per il diritto e l’economia dell’opzione economico e sociale sono gli stessi formulati per il biennio del liceo delle scienze umane, limitandosi a formulare altre definizioni di contenuti per il secondo biennio e il quinto anno.

Forse ci vuole uno sforzo ulteriore. Decidere ad esempio il taglio da dare a questi contenuti: se si vogliono curvare verso la matematica, nel primo biennio, sicuramente per la micro e parte della macroeconomia, se nel secondo biennio si vuole privilegiare l’aggancio con la storia e con il diritto.

Comunque rivoluzionare il quadro orario. E far scegliere ai docenti se vogliono insegnare diritto o economia. Coloro che provengono da giurisprudenza sceglieranno diritto e ben venga un approccio al metodo di caso per lo studio del diritto, ma i laureati in scienze politiche ed economia e commercio sicuramente daranno un’impronta più matematica allo studio dell’economia politica, come d’altra parte viene insegnata nelle Università.

Più ore, più ricchezza di metodi e contenuti, nuove Indicazioni che affondino nei contenuti per esaltarne la complessità.

Per esaltare, almeno nei licei economici e sociali, ciò che di giuridico e di economico si è perso negli altri ordini di scuole.