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Salireste su una nave senza capitano?

Salireste su una nave senza capitano?

di Laura Biancato

 

Salireste su una nave senza capitano? O su un treno senza macchinista? Rimarreste tranquilli in un reparto ospedaliero senza primario o vi servireste volentieri in un supermercato senza direttore?

Ecco quello che nella martoriata scuola italiana è la normalità: 2070 istituti senza preside. Il 25% del totale. Uno su quattro!

Non stiamo parlando di “scuole”, intendiamoci bene. Trattasi di “istituti” che, a dispetto di ogni logica e al contrario di quanto avviene nel resto dell’europa, sono spesso composti da più di 10 sedi, più di 1000 studenti, più di 200 dipendenti.

Da parte del governo, non se ne sente parlare come di un’emergenza. L’opinione pubblica tace. Eppure gli utenti sono decine di milioni.

In forte contrasto con gli effetti di una normativa che negli ultimi 15 anni ha assegnato ai Dirigenti Scolastici enormi responsabilità dirette, un retaggio culturale in stile anni ’70 porta a pensare che nella scuola non sia così grave non avere un timoniere.

Chiariamo che già la guida di un Istituto Comprensivo, dalla scuola dell’infanzia alla secondaria di primo grado, può arrivare a 15 – 16 plessi in un raggio di venti chilometri e più.

Ora, nel nostro sistema ormai allo sbando è diventato usuale assegnare ad un Dirigente un’istituzione come questa, più un’altra ancora. A volte pure una terza. Dove lui, ovviamente, potrà essere presente in modo quasi solo formale, per qualche ora la settimana. Per una media di 400 euro lordi al mese, aggiungiamo. Senza rimborsi spese. Ma con le medesime responsabilità dirette.

Si chiama “reggenza”, con un termine ormai entrato nel gergo burocratese, ma che per un attimo vale la pena di sezionare.

Secondo l’enciclopedia Treccani, il “reggente” è “chi esercita il potere reale e le funzioni della Corona in sostituzione del re o della regina, in via straordinaria e provvisoria e in determinati casi particolari”. Sorvolando sul “potere reale” (quale…?)e riportando in ambito scolastico la definizione, si sarebbe indotti a sperare che questa pratica abbia un significato di forte eccezionalità. Invece, negli ultimi anni le reggenze sono triplicate, senza che si siano presi provvedimenti decisivi.

Si fa un gran parlare del futuro della scuola italiana: come saranno gli edifici, come cambierà la didattica con le tecnologie, le lingue straniere, come sarà la valutazione. Ma questo? Non dovrebbe forse essere il primo tra i problemi?

Per anticipare perplessità che sono frequentissime all’interno del mondo della scuola, dove spesso si preferisce pensare che i dirigenti servano a poco, forse è il caso di fornire qualche esempio concreto sui disservizi ed i rischi che una gestione di questo tipo può comportare.

La comunicazione. In un contesto educativo dovrebbe essere il primo requisito da valorizzare. Come può un preside agevolare un rapporto diretto , e minimamente “umano”, con migliaia di soggetti diversi? Facendo i conti: 1500 studenti, 3000 genitori, 150 dipendenti di categorie diverse, interlocutori esterni tra i più disparati. Moltiplicato per due, istituti, o anche per tre.

La sicurezza. Non si tratta solo del problema gravissimo degli edifici, sovente non a norma. La responsabilità del dirigente (vedi numerose sentenze dei TAR) si traduce nella pratica quotidiana anche nella cura di tutte quelle procedure idonee a garantire una puntuale sorveglianza dei singoli studenti minorenni (se non infanti), dislocati in dieci o più sedi…

L’organizzazione interna. E’ sinonimo di efficacia ed efficienza del servizio, ma a questo punto non rientra nemmeno nelle priorità. In situazioni di reggenza, il buon andamento dell’organizzazione delle scuole diventa secondario. Si lavora sulle continue emergenze.

Mi fermo qui. Non evoco inutili interventi sindacali, ma l’attenzione diretta da parte dei nuovi responsabili del MIUR. Mai più scuole senza dirigente o senza segreteria (accade anche questo, negli istituti “sottodimensionati”). Lo si deve agli utenti, a chi tiene al benessere delle giovani generazioni, al personale della scuola, che patiscono la reggenza come primo e più diretto vuoto istituzionale.

Una Scuola, un Dirigente!

Una Scuola, un Dirigente!
Lettera al Presidente del Consiglio Matteo Renzi

di Francesco G. Nuzzaci

Egregio Presidente,

in attesa che venga approvata la riscrittura in corso del Titolo V della Costituzione, che ponga ordine nel ginepraio di competenze tra Stato e regioni in materia di istruzione, Lei ha preannunciato l’imminente lancio di un ambizioso pacchetto-scuola, il cui valore stimato in un miliardo di euro è sicuramente comprensivo di quei quattro spiccioli necessari a risolvere, per intanto, l’annosa questione della Quota 96 (già diventata Quota 102 e, presumibilmente, destinata a divenire Quota 103!), senza che si metta più a repentaglio l’intero bilancio dello Stato italiano. Sarà sanata un’ingiustizia e, non meno, potrà favorirsi il ricambio generazionale, anche per le posizioni dirigenziali.

L’auspicio è che si inizi dalla testa, con la creazione delle condizioni minime perché ogni istituzione scolastica possa perseguire lo scopo di progettare e realizzare sistematici interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l’esigenza di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento, com’è scritto nell’articolo 1, comma 2 del D.P.R. 275/99, Regolamento dell’autonomia.

Gli interventi da promuovere, con sapiente sinergia e con una visione sistemica, è da supporsi, ragionevolmente, che debbano coinvolgere la Sua ministra dell’Istruzione, da tempo, dopo i fuochi di artificio dell’esordio, decisamente defilata.

Non saranno pochi e presumibilmente non sarà facile definire sicure priorità. Ma è di intuitiva evidenza che il compito attribuito dal Legislatore – e, ancor prima, dalla Costituzione – alla scuola, dianzi riportato, impone, come premessa vitale, che in ciascuna delle predette istituzioni vi sia un proprio dirigente, di pieno diritto e a tempo pieno, chiamato a governare, controllare – e dunque garantire – i complessi processi ivi attivati, con l’indispensabile supporto di un direttore dei servizi generali e amministrativi, parimenti incardinato, ed in attesa dell’ausilio di un middle management sul versante della prestazione istituzionale, vale a dire l’organizzazione dell’insegnamento e di tutto ciò che lo supporta e lo correda, in una scuola che nel Suo pacchetto si vuole declinata su tempi più distesi, con un incremento del curricolo, il potenziamento dei laboratori e l’apertura al mondo del lavoro, sostenuta da un articolato e generalizzato sistema di valutazione e connessa valorizzazione di tutto il personale.

Le misure da adottare al riguardo, che ben potrebbero qualificarsi di straordinaria necessità e urgenza, sono, sostanzialmente quelle di seguito evidenziate.

1-Occorre, in primo luogo, apportare le modifiche alle leggi 111 e 183 del 2011, che hanno da un lato prescritto la costituzione di istituti scolastici mostruosi, nel senso di decisamente ingestibili, in media non meno di 1000 alunni o studenti, distribuiti – specie per il primo ciclo di istruzione – in una pletora di sedi distanti e sovente mal collegate; nel mentre, per altro verso, le c.d. scuole sottodimensionate – aventi un numero di alunni o studenti inferiore a 600 – restano prive di un dirigente e di un direttore dei servizi generali e amministrativi titolari.

Devesi quindi realizzare una semplice equazione: un’istituzione scolastica, un dirigente (e un direttore dei servizi generali e amministrativi) e cancellare lo stesso concetto di scuola sottodimensionata, che comunque è incomparabilmente più complessa e di non minore valore strategico rispetto a una ripartizione interna di un non particolarmente consistente ufficio amministrativo e al quale è preposto un dirigente pleno iure.

2- Il recente decreto-legge 58/14, licenziato con una fretta inopportuna e altrettanto sbrigativamente convertito dalla legge 5 giugno 2014, n. 87, ha inteso dettare misure urgenti per garantire il regolare svolgimento del servizio scolastico, in esito all’annullamento giurisdizionale di alcune procedura concorsuali.

Trattasi però di misure insufficienti e mal congegnate, censurabili sotto il profilo dell’equità e che, soprattutto, risolvono solo parzialmente le esigenze di continuità di direzione di poche istituzioni scolastiche, essenzialmente nella sola Toscana.

Esse costringono chi ha vinto un concorso a rifarlo, sia pure in una (futuribile) procedura riservata, scontando l’unica colpa di essere incappati nella morsa di un’Amministrazione reiteratamente e acclaratamente inefficiente (che, in luogo di chiedere conto ai propri dirigenti coinvolti, li ha premiati confermandoli nei posti di massima responsabilità) e di una giustizia amministrativa ancorata ad un esasperato formalismo. E alimenteranno, anziché spegnerlo, un non lieve contenzioso che, esauriti infruttuosamente i gradi di giudizio interni, è destinato a sfociare davanti la Corte europea dei diritti dell’uomo, adusa a pronunciare rifuggendo dai cavilli implausibili: tipo le buste trasparenti il cui interno può (forse) leggersi un controluce, sicché, astrattamente (sic!), può venir meno l’anonimato del concorrente; ovvero la sollecita sostituzione del presidente della commissione esaminatrice con un dirigente di seconda fascia – pure prevista dal bando concorsuale – senza, però, una previa, puntuale e defatigante ricerca di ( improbabili) professori universitari ordinari, magistrati o avvocati dello Stato, dirigenti generali: che – astrattamente – avrebbero potuto (forse!) far passare gli elaborati di ricorrenti bocciati? Nel mentre la stessa operazione, nella medesima tempistica, è avvenuta in altre regioni ed è infine passata indenne dal vaglio giurisdizionale.

Le sarà sicuramente noto che la Corte europea segue, piuttosto, i principi sostanziali del diritto, tra i quali campeggia la tutela piena e incondizionata delle posizioni soggettive guadagnate da cittadini palesemente incolpevoli.

Nello specifico, ripercorrendo le fattispecie (mal)regolate dal citato decreto-legge 58/14 e dalla sua legge di conversione 87/14, riteniamo che:

2.1- Si deve subito procedere con l’ordinario rinnovo del concorso a dirigente scolastico per i soli ricorrenti vittoriosi della Toscana, secondo le disposizioni di cui al D.D.G. del 13 luglio 2011, atteso che – tra le altre possibili considerazioni – lo stringatissimo prefigurato nuovo sistema di reclutamento è tuttora privo del regolamento di attuazione.

Dovranno quindi costituirsi le commissioni esaminatrici conformemente al giudicato degli alti magistrati di Palazzo Spada, tal che i predetti ricorrenti possano conseguire il c.d. bene della vita loro riconosciuto: che non è certo la nomina a dirigente scolastico, ma il diritto a (ri)partecipare al concorso, che se sarà superato consentirà loro la collocazione in una graduatoria ad esaurimento, ai sensi del decreto-legge 104/13, art. 17, comma 1 bis, convertito dalla legge 214/13. In ciò, tecnicamente, consiste l’obbligo dell’Amministrazione di portare ad esecuzione la sentenza.

2.2- Contemporaneamente bisognerà predisporre una puntuale soluzione normativa, non limitata alla salvaguardia delle posizioni dei dirigenti toscani già vincitori o idonei nel concorso cassato, ma estesa a coloro che potrebbero essere esposti a situazioni simili. Soluzione normativa che è già pronta, semplicemente richiamandosi la legge 202/10 per l’analogo concorso a suo tempo annullato dalla Corte di giustizia amministrativa per la regione Sicilia: reiterazione delle procedure concorsuali in obbligata esecuzione del giudicato, ma consistenti nella presentazione di una relazione scritta sull’esperienza maturata in funzione di dirigente e sua discussione davanti la commissione esaminatrice, il cui positivo giudizio formalizza la nomina a dirigente, con la riattribuzione della sede in fatto occupata; ovvero, per i già vincitori cui non sia stato ancora attribuito l’incarico e/o per gli idonei, presentazione di un progetto elaborato su un argomento da loro scelto tra quelli già affrontati nel corso della procedura concorsuale annullata, al cui giudizio positivo consegue la conferma della posizione già occupata nella graduatoria generale finale di merito.

2.3- Parimenti, l’elaborazione di un progetto su un argomento scelto tra quelli svolti sempre in sede di procedura concorsuale poi annullata, se oggetto di giudizio positivo consentirà ai 96 ex vincitori in Lombardia, poi risultati respinti nella ricorrezione delle medesime prove scritte, la conferma del proprio precedente punteggio complessivo e di essere collocati, secondo il relativo ordine, in coda alla nuova graduatoria e beneficiando del citato decreto-legge 104/13 (graduatoria ad esaurimento).

2.4- Ad un’altrettanto mirata e selettiva procedura concorsuale dovranno essere interessati coloro che figurano nelle code concorsuali oggetto di contenzioso giudiziario tuttora in corso, risalenti al bando di cui al D.D.G. del 22 novembre 2004 (primo concorso ordinario a dirigente scolastico), peraltro menzionate nel D.L. 58/14. Anche per questi soggetti, prima della riproposizione della procedura concorsuale standard, sia pure in sessioni riservate, dovranno recuperarsi e riconoscersi le prove già positivamente sostenute.

2.5- In termini differenti si pone il problema dei c.d. presidi incaricati, figura residuale e ad esaurimento, di poche decine di persone che, da anni, svolgono la funzione dirigenziale. Funzione già riconosciuta dai giudici del lavoro quanto agli aspetti economici, ma, per gli aspetti normativi, tenuta a bagnomaria dall’Amministrazione; che pure continua ad avvalersi dell’opera di questi cirenei, quasi sempre destinati in scuole di risulta o di frontiera.

Al riguardo, mette conto rimarcare che a breve la Corte di giustizia europea, sulla scorta delle conclusioni rassegnate dall’avvocato generale presso la medesima, ragionevolmente – in virtù della prevalenza, ratione materiae, del diritto comunitario sul diritto interno – sanzionerà lo Stato italiano per l’abuso dei contratti a termine, in violazione della direttiva UE 1999/70, vietante in senso lato discriminazioni irragionevoli nei confronti di chi svolge le stesse funzioni o mansioni dei lavoratori a tempo indeterminato; formalmente recepita dal D. LGS. 368/01 e valevole pacificamente anche nel pubblico impiego. Di conseguenza sarà smentita la stupefacente sentenza della nostrana Corte di cassazione, n. 10127 del 20 giugno 2012, di non applicabilità della normativa comunitaria de qua perché esistono norme speciali interne regolanti l’attribuzione delle supplenze e/o di incarichi a termine nella scuola! Di conseguenza, secondo gli esimi togati garanti dell’esatta osservanza e dell’uniforme applicazione del diritto:

a)per il personale della scuola non dovrebbe darsi luogo alla conversione dei rapporti di lavoro in corso a titolo precario in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, anche se protratti per anni e anche se relativi alla copertura dei posti vacanti in organico di diritto, per corrispondere – dunque – non già ad esigenze eccezionali e transeunti dell’Amministrazione, bensì e in fatto ad esigenze ordinarie e dotate di stabilità nel tempo;

b) a questo personale – figlio di un dio minore – non si dovrebbe nemmeno riconoscere il risarcimento del danno, in luogo della sua mancata assunzione negli organici;

c) addirittura, non gli spetterebbe nessun incremento stipendiale, a significare la legittimità di essere sottopagato per legge.

Sicché i presidi incaricati dovranno essere immessi direttamente in ruolo, purché non in quiescenza dal primo settembre 2014. Perché è moralmente e giuridicamente giusto che sia così, e non fosse altro per evitare al bilancio dello Stato un salasso – in termini di condanna pecuniaria dotata di effettiva dissuasività – ben più consistente dei risibili costi della loro doverosa normalizzazione.

Né può allegarsi l’ostacolo posto dall’articolo 97, terzo comma della Costituzione, secondo cui agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede per concorso. Perché, a seguire, è scritto che sono fatti salvi i casi stabiliti dalla legge. E la legge in discorso (o atto equiparato) non si vede come possa essere dichiarata incostituzionale da un ipotetico giudizio davanti la Consulta, in quanto non può di certo dirsi affetta da irragionevolezza : si tratta di soggetti che svolgono – in qualche caso continuativamente da dieci anni e più! – funzioni dirigenziali, al pari dei colleghi di ruolo, senza mai essere incorsi in valutazioni negative formalizzate in atti e, per ciò, in re ipsa idonei.

3- Sgombrato il campo dai focolai del contenzioso, sempre in agguato e suscettibile di protrarsi su tempi biblici in ragione di un sistema giudiziario – il nostro – alquanto barocco, si dovrà poi dettagliare ed implementare il nuovo dispositivo di reclutamento della dirigenza scolastica, ora centralizzato e affidato all’appena istituita unica Scuola Nazionale dell’Amministrazione: e si andrà ben oltre il 31 dicembre 2014!

Ma medio tempore premono le urgenze. Abbiamo detto: una scuola, un dirigente!

I numeri in circolazione concordano nel disegnare un quadro preoccupante: 1000 istituzioni scolastiche normodimensionate sono senza titolare, cui si aggiungono le 180 dirette da chi aveva avanzato istanza di mantenimento in servizio, ora vietata dalla legge con effetto retroattivo, e in più vi sono le 475 istituzioni scolastiche sottodimensionate, acefale sempre ex lege.

Risulta che il MIUR abbia richiesto al MEF soltanto 630 nuove assunzioni, tuttora prive di via libera a poco più di quindici giorni dall’inizio del nuovo anno scolastico.

Fatti i conti: più di 1000 scuole saranno affidate in reggenza; con la situazione che si presenta veramente critica in alcune regioni del Nord, Toscana e Piemonte su tutte, ma anche in Campania, dove l’ultimo concorso ordinario bandito nel 2011 è ancora bloccato e sotto la lente della magistratura penale.

Vi è però la possibilità di interventi, ancorché non compiutamente risolutivi.

3.1- Si può, in primo luogo, assicurare lo scorrimento delle graduatorie dei vincitori e idonei a tutt’oggi non esaurite (ad esempio, in Puglia, Calabria, Sardegna, Lombardia…) per coprire buona parte delle sedi eccedenti e disponibili: quelle normodimensionate e poi quelle sottodimensionate (ante).

3.2- Nell’evenienza che in qualche regione residuino vincitori o idonei per carenza di sedi – e auspicando il ripristino della dimensione nazionale piena per il futuro concorso – potrebbe ben attivarsi la previsione resa permanente dal D.L. 90/14, risolvendo il rapporto di lavoro nei confronti di chi, avendo compiuto il sessantaduesimo anno d’età, vanti l’anzianità contributiva di 42 anni e 6 mesi se uomo o 41 anni e 6 mesi se donna.

3.3- All’opposto, nelle regioni prive di graduatorie di vincitori o idonei, potrà farsi un’eccezione all’altra norma del decreto legge testé citato, accogliendo le domande di mantenimento in servizio, per non più di due anni, di dirigenti scolastici che abbiano raggiunto l’età della vecchiaia.

3.4- Non sappiamo se quanto suggerito possa rientrare o meno nel budget di un miliardo di euro. In ogni caso, la reggenza di istituzioni scolastiche dovrebbe essere l’extrema ratio.

#Scuolebelle?

#Scuolebelle ?

Sono cominciati i lavori di ripristino nelle scuole in tutta Italia. Vengono spesi al meglio i soldi dei cittadini ?

di Mario Coviello

“ Il piano di edilizia scolastica, fortemente voluto dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi ,fin dal discorso di fiducia alle Camere del 24 febbraio 2014, prende il via.
Un piano, composto da tre principali filoni, che coinvolgerà complessivamente 21.230 interventi in edifici scolastici per investimenti pari a 1.094.000.000 di euro. Quattro milioni di studenti e una scuola italiana su due sono protagonisti di questo primo progetto, che porta nell’arco del biennio 2014-2015 ad avere scuole più belle, più sicure e più nuove.” Con queste paroleIl Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha dato avvio al programma di ripristino e mantenimento della funzionalità e del decoro degli immobili adibiti ad istituzioni scolastiche denominato #Scuolebelle.

In tutta Italia questi interventi hanno avuto inizio nel mese di luglio e si interrompono solo in questa settimana di ferragosto per riprendere il 16. Si tratta di interventi di piccola manutenzione e giardinaggio che sono finanziati con i risparmi delle convenzioni per gli appalti di pulizia CONSIP. In Basilicata la società che ha vinto l’appalto con un ribasso del 68% è la Team Service che si occupa delle pulizie in tutte le scuole anche della Calabria. La Team Service ha iniziato il servizio il primo aprile 2014 con l’obbligo di far lavorare tutte le persone del precedente appalto. Un ribasso del 68% ha comportato, per fare un esempio, che nell’Istituto Comprensivo di Bella 16 persone che assicuravano 35 ore settimanali di pulizia e vigilanza ne fanno solo 7 a settimana e di conseguenza la vigilanza in istituti che offrono attività per cinque giorni a settimana per almeno 8 ore non è stata più assicurata e anche per la pulizia sono nati molti problemi.

Secondo gli accordi i risparmi dell’appalto vanno alle stesse ditte appaltatrici. Coinvolti nell’operazione, i 24.000 ex LSU addetti alle pulizie, di cui circa 400 in Basilicata: lavoratori per la maggior parte sopra i 50 anni di età e per 2/3 donne, costretti a doversi “riqualificare” da pulitori ad “abbellitori” con corsi di formazione fatti in fretta e furia,  per vedersi ancora costretti a non lavorare, tra cassa in deroga e ferie forzate, e a non avere certezza di futuro e reddito.

Eppure i soldi non mancano. Stando alle dichiarazioni del Governo, 110 milioni, abbinati a 40 milioni in capo al MIUR, finanzieranno gli interventi. Ulteriori 300 milioni sono in attesa di essere sbloccati nel 2015 e riguarderanno 10.160 plessi. In totale si tratta quindi di 17.961 interventi di piccola manutenzione. L’Istituto Comprensivo di Bella è scuola capofila per gli appalti per la manutenzione anche delle scuole di Barile e. e di due scuole di Potenza la “ Sinisgalli e Potenza Terzo. Io che sono un dirigente scolastico e con me la Direttrice dei Servizi Amministrativi,e questo avviene in tutte le scuole, non abbiamo le competenze tecniche per garantire che i lavori vengano eseguiti a regola d’arte, considerato che, secondo l’appalto un metro quadro di pitturazione costa circa 100 euro. E’ vero che il governo e l’ANCI hanno raccomandato ai Comuni di collaborare con le scuole con questa raccomandazione “trattandosi di fondi statali che arrivano direttamente alle scuole per interventi di manutenzione ordinaria, si invitano i Comuni alla massima collaborazione al fine di cogliere l’opportunità per il miglior utilizzo di tutte le risorse disponibili, consentendo un reale miglioramento del decoro e della funzionalità delle scuole, anche mediante il coordinamento con gli eventuali interventi già programmati dai Comuni.” .Ma quanti sono i tecnici comunali disponibili nei mesi di luglio ed agosto e quali poteri hanno per eventualmente far correggere interventi di manutenzione non idonei ? Nelle scuole la vigilanza sulle opere si aggiunge a tutto il lavoro per gli organici e le graduatorie che si deve portare avanti a ranghi ridotti per le ferie nel mese di agosto. E per le scuole nelle quali non si interviene entro i primi di settembre quando potranno essere fatti i lavori finanziati se gli alunni sono nelle aule e nelle palestre ?

Gli accordi del 28 marzo scorso, sottoscritti dai sindacati , dalle imprese e dal Governo, avrebbero tra l’altro dovuto ripristinare per gli ex Lsu condizioni di reddito e di contratto ad oggi rimaste solo sulla carta .Gli ex LSU di Bella attualmente lavorano in una scuola di Potenza. Con la ripresa delle lezioni per quante ore questo personale assicurerà il servizio di pulizia e vigilanza considerato che ad oggi alle scuole non è stato assegnata alcuna risorsa per questi servizi indispensabili ?

Questo sistema degli appalti risulta più costoso e meno efficiente rispetto alla internalizzazione del servizio e l’assunzione diretta dei lavoratori con una loro effettiva stabilizzazione dei rapporti di lavoro. Solo la stabilità garantisce ai lavoratori la serenità per il presente ed il futuro e quel legame con la scuola in cui si opera che è garanzia di qualità ed efficienza. Come dirigenti scolastici continueremo e con più forza a chiedere scuole belle e pulite e a pretendere con ogni mezzo che negli appalti pubblici ci sia il rispetto della piena legalità.

Prospettare senza conoscere

Prospettare senza conoscere

di Enrico Maranzana

Alla direzione del PD del 31 luglio il segretario Matteo Renzi ha rinforzato quanto aveva scritto in rete sulle sue E-news: ”Il cantiere più importante richiederà tre mesi di consultazione con le famiglie e docenti e comprenderà gli argomenti da studiare, la formazione e l’assunzione del corpo docente, il rapporto con il territorio e l’autonomia”.

 

Consultazioni – una tipica metodologia della Customer satisfaction che postula: la qualità di un prodotto o di un servizio è determinata dal grado di soddisfazione del cliente.

Una scelta incongruente con la questione scolastica.

La legge dello Stato ha rimodellato il sistema educativo di istruzione e di formazione in conformità ai canoni delle scienze dell’amministrazione.

Il legislatore, riconosciuta la dimensione del problema scolastico, ha abbattuto la corrispondente complessità attribuendo a una pluralità di soggetti, funzionalmente strutturati, specifiche responsabilità.

Le scuole hanno sistematicamente eluso la norma: l’organizzazione scolastica è rimasta ancorata al modello gerarchico lineare, nonostante la sua comprovata inefficacia rispetto alle problematiche poste dalla dinamicità e variabilità del mondo contemporaneo.

Il mancato riconoscimento dell’anomalia gestionale rende irrisolvibili i problemi posti: la loro corretta collocazione all’interno del sistema legislativo e la loro puntuale definizione avrebbero permesso di prefigurare alcuni percorsi risolutivi.

 

Argomenti da studiare – Il sistema educativo è orientato alla “promozione dell’apprendimento” per consolidare e sviluppare le capacità dei giovani.

Le capacità si manifestano sotto forma di competenze.

La promozione di competenze, generali e specifiche, è il traguardo che qualifica la vita di una scuola.

Le “conoscenze e le abilità” sono il mezzo per conseguire il risultato.

 

Perché parlare di strumenti dimenticando la finalità istituzionale?

 

Formazione e l’assunzione del corpo docente – La mancata identificazione dell’orientamento del sistema educativo rende l’operazione priva di significato.

 

Nelle scuole non esistono mansionari: i docenti vivono nell’indeterminatezza da cui il mancato riconoscimento della loro professionalità.

 

 

Il rapporto con il territorio – I consigli di circolo/di istitutoelaborano e adottano gli indirizzi generali” per adattare il servizio scolastico sia alle direttive centrali, sia alle esigenze locali.

 

Non esiste scuola che abbia dato corso alle indicazioni della legge.

 

 

Autonomia –La progettualità è la sostanza dell’autonomia scolastica”.

Il progettare implica il coordinamento di tutte le risorse verso la meta: la promozione delle competenze.

 

Che senso ha porsi il problema dell’autonomia in una situazione caratterizzata dalla vaghezza terminologica/concettuale.

 

Cosa significa competenza generale?

Cosa significa competenza specifica?

Competenza sta per adattamento?

Competenza sta per affermazione delle potenzialità individuali?

Una competenza è una primitiva?

Se competenza non fosse una primitiva quali le sue componenti?

Le competenze si possono insegnare?

Come si promuovono le competenze?

A chi compete la responsabilità della promozione delle competenze?

Non chiudete le biblioteche

NON CHIUDETE LE BIBLIOTECHE “Pronto Soccorso Culturale”
La bibliomediateca scolastica “A. Malanga” dell’Istituto Comprensivo di Bella è aperta anche nei mesi estivi

di Mario Coviello

Il lunedì e il giovedì, dalle 10,00 alle 12,00, un gruppo di bambini e ragazzi attende, davanti all’ingresso della biblioteca, la maestra Clementina Grieco che anche nei mesi di giugno,luglio e agosto, offre gratuitamente il suo tempo per dare la possibilità ai ragazzi di consultare libri ed enciclopedie, di collegarsi ad internet e fare ricerche, ascoltare musica, collegarsi con Skipe con i compagni che sono in vacanza al mare o in montagna.

Si siedono ai tavoli, mettono in ordine libri e quaderni e cominciano a fare i compiti per le vacanze. Lavorano insieme, si consultano, si aiutano, si confrontano e la maestra Clementina, il professor Mario Priore, responsabile della biblioteca, sono a disposizione per consigliare, aiutare, indirizzare.

E la biblioteca diviene luogo di lettura, riflessione, di concentrazione; e i ragazzi assaporano la lentezza dell’approfondimento, la bellezza della cura senza approssimazione.

Dopo un poco arrivano i lettori incalliti hanno bisogno di altri libri in prestito perché quelli che hanno preso la settimana scorsa li hanno divorati.Sono ragazzi dagli otto agli undici anni che hanno conosciuto durante le mostre del libro e nel corso delle sette edizioni del Torneo di lettura che l’Istituto Comprensivo di Bella organizza da venti anni, Federico Appel e il suo Alessandro Magno ironico e curioso, David Conati con gli amici virtuali. Hanno incontrato Antonio Ferrara, premio Andersen, e la sua maestra capitano che hanno tanto amato e il protagonista de “ Il ragazzo e la tempesta”, adolescente alla ricerca di un padre lontano. Hanno amato il nonno che era un ciliegio di Angela Nanetti,il serpegatto di Emanuela Nava e tanti altri.

E la lettura è divenuta per loro compagna di vita. Quando chiedi perché vengono in biblioteca ti rispondono che in biblioteca c’è silenzio, si possono concentrare. Raccontano che amano cercare, sfogliare, annusare i libri che sono a portata delle loro mani,non sono chiusi a chiave in scaffali irraggiungibili.

Anche la biblioteca scolastica di Bella vive dal mese di aprile 2014 un periodo molto difficile. E’ sempre più difficile tenerla aperta perché le due addette che si sono aggiornate e hanno imparato a catalogare i libri e ad accogliere i giovani lettori sono personale ex LSU, lavoratori precari nelle scuole da almeno 10 anni, che assicurano non più ventisette ore a settimana di lavoro ma solo sette. E in quelle sette ore a settimana devono fare altro : pulire, vigilare…. E ancora una volta, in questa Italia in crisi, nella scuola pubblica italiana con sempre meno fondi, la cultura, la bellezza divengono superflue, non necessarie.

Grazie all’impegno dei docenti è stato possibile portare a termine la settima edizione del Torneo di lettura che ha visto oltre 1000 studenti di undici scuole in rete della Basilicata leggere i libri consigliati, commentarli, sintetizzarli e discuterli con gli autori che con i loro fedeli lettori si sono confrontati e realizzato laboratori di scrittura creativa. E ragazzi dagli otto ai 18 anni si sono divertiti ad inventare storie , hanno ragionato sui social media, sul rapporto difficile con i genitori, la fatica di diventare grandi, sforzandosi di rimanere unici, non omologati.

Quest’anno, durante l’estate bellese 2014, nella settimana della cultura voluta dall’Amministrazione comunale, dal 18 al 23 agosto, i ragazzi della scuola di Bella presenteranno in piazza i corti che hanno ideato leggendo i libri del Torneo, partecipando a Ciak Junior a Treviso, le animazioni che raccontano l’Iliade in maniera ironica e leggera e leggeranno brani dai libri che hanno amato di più.

E’ proprio per questo che le biblioteche non si devono chiudere. Le giovani generazioni per crescere hanno bisogno di biblioteche , luoghi di vita. Gli anziani sempre più soli hanno bisogno di biblioteche per raccontare le loro e sentirsi a vivi, necessari. Le mamme hanno bisogno di biblioteche per dimenticare la fatica e le preoccupazioni con l’ultimo romanzo rosa, magari leggermente “ hot”.

Non abbiamo nessuna intenzione di cedere, continueremo la nostra battaglia. Aiutateci.

DS e DSA

DS e DSA
Il Dirigente Scolastico e i Disturbi Specifici di Apprendimento
nella Scuola Secondaria di Secondo Grado

di Giovanni Soldini
(Dirigente Tecnico MIUR- USR Marche)

 

INDICE

Introduzione
Il Dirigente Scolastico
Il Referente d’Istituto
Rapporti con il territorio
Interventi abilitativi e riabilitativi
Lo screening per il rilevamento dei DS nella scuola secondaria superiore
La dislessia nella scuola secondaria di secondo grado
Prognosi del disturbo
La scuola media superiore di fronte a un dislessico
Certificazione e diagnosi alunni con DSA
La formazione
Le prove INVALSI
Le novità sugli Esami di Stato
Conclusioni
Bibliografia

 

Introduzione

In Italia è in corso un diffuso dibattito culturale e scientifico sui disturbi specifici dell’apprendimento (DSA), stimolato ulteriormente dalla recente promulgazione della Legge n° 170 del 8 ottobre 2010 (Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico).

La rilevanza dell’argomento è dovuta alla prevalenza dei DSA (oscillante tra il 2,5 e il 3,5 % della popolazione in età evolutiva per la lingua italiana) e alle conseguenze che questi disturbi determinano a livello individuale, traducendosi spesso in un abbassamento del livello scolastico conseguito (con frequenti abbandoni nel corso della scuola secondaria di secondo grado) e una conseguente riduzione della realizzazione delle proprie potenzialità sociali e lavorative.

Si tratta di disturbi che coinvolgono trasversalmente i servizi sanitari specialistici e la scuola: entrambe queste istituzioni sono sollecitate a fornire risposte adeguate ai bisogni dei soggetti con DSA.

Il presente contributo insiste sulla fertile ed attuale ricerca intorno ai motivi ed alle urgenze di una diagnostica pedagogica [1], dal senso plurale e complesso, utilizzabile in ogni sede in cui si esercitano azioni educative, abilitative, riabilitative, ecc., interessa pertanto i pedagogisti come tutte le altre figure pedagogiche (insegnanti, educatori, terapisti, counselor, mediatori).

In questo lavoro ci soffermeremo in particolare ad analizzare il ruolo specifico del Dirigente Scolastico (DS) nei confronti delle problematiche relative ad alunni con Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA), con particolare riferimento alla scuola secondaria di secondo grado.

 

[1] In proposito Crispiani P., Giaconi C., Diogene 2008. Manuale di diagnostica pedagogica, Junior, Bergamo 2008.

E anche questa è fatta

E anche questa è fatta

I docenti precari con tre anni di servizio hanno affrontato l’esame dei PAS, i Percorsi Abilitanti Speciali. Le riflessione di un dirigente scolastico componente di commissioni d’esame presso l’Università degli Studi della Basilicata.

 di Mario Coviello

Dopo i corsi per il conseguimento del TFA, Tirocinio Formativo Attivo, quest’anno, sempre entro la fine di luglio si concludono in tutte le università italiane i PAS.

Ho fatto parte, per due giorni in questa terza settimana di un luglio incerto e in crisi come la nostra Italia, presso l’Università di Basilicata, di due commissioni per gli esami finali dei PAS, Percorsi Abilitanti Speciali, corsi di abilitazione all’insegnamento riservati a docenti delle scuole di primo e secondo grado con almeno tre anni di precariato.

Gli addetti ai lavori sono a conoscenza delle lotte tra docenti precari che hanno superato gli ultimi concorsi e sono in attesa di incarico a tempo indeterminato, docenti che hanno frequentato e superato il Tirocinio Formativo Attivo, e i docenti con più di tre anni di insegnamento che chiedevano questi PAS che alla fine di questo difficile anno scolastico sono finalmente partiti.

In qualità di dirigente scolastico ho dovuto superare le difficoltà che le assenze di questi docenti nel pomeriggio e non solo hanno creato soprattutto nelle classi a tempo pieno, a tempo prolungato e per l’insegnamento degli strumenti musicali.

Durante le due giornate di esami ho conosciuto docenti precari di elettronica,matematica applicata , matematica e fisica, educazione artistica, storia dell’arte, tecnologia, operatori dei servizi sociosanitari. Ognuno di essi si è presentato con il suo vissuto, le sue esperienze e ha raccontato se stesso e la scuola italiana di questi anni difficili.

Ho esaminato con gli altri membri delle commissioni, tutti docenti dell’Università di Basilicata, in qualità di rappresentante della Direzione Regionale di Basilicata del Ministero dell’istruzione 20 candidati, 19 della Basilicata e una docente proveniente dalla provincia di Salerno. Già nel mese di luglio dello scorso avevo fatto parte di una commissione per gli esami finali dei corsi di Tirocinio Formativo Attivo.

In prevalenza docenti donne, quasi tutte laureate con in media cinque anni di insegnamento.

Un docente vive la condizione di precario da 20 anni .

L’esame si svolge con la presentazione di un “ elaborato originale “, così recita l’ordinanza, nel quale i candidati illustrano le loro esperienze pregresse, sintetizzano i contenuti dei corsi frequentati , per ciascuno dei quali hanno sostenuto un esame con relativa valutazione, e presentano una unità di apprendimento che ha lo scopo di dimostrare il possesso dei contenuti disciplinari e di competenze didattiche.

Sfido i miei lettori a presentarsi con disinvoltura davanti ad una commissione per sostenere un esame. Tutti i candidati erano visibilmente emozionati , hanno gestito e quasi sempre l’hanno padroneggiata.

I candidati avevano a disposizione 10 minuti e li hanno utilizzati presentando quasi tutti in Power Point i loro lavori.

Abbiamo ascoltato con attenzione partecipata le loro relazioni perché molti hanno presentato quanto fanno in classe con i loro alunni e i volti sorridenti dei ragazzi e delle ragazze che fino ai primi di giugno hanno dato senso alle nostre aule con il loro sorriso ci hanno ricordato che la scuola pubblica italiana ha un compito difficile ed esaltante educare e formare il nostro futuro.

E ho imparato che si può visitare una chiesa ricca di affreschi da poco restaurati a Tricarico con un tour virtuale , ho conosciuto una terza media di Corleto che ha preparato una guida del paese, una classe di Paestum che ha costrito un gioco per conoscere l’area degli cavi della cittadina in provincia di Salerno.

Ho potuto apprendere che la relazione agli operatori socio sanitari si insegna anche osservando i cani e riflettendo sulle differenze nel comunicare tra l’uomo e l’animale.

Tutti i candidati, soprattutto i laureati in ingegneria, hanno scritto che il corso è stato utile perché ha dato loro la possibilità di riflettere insieme sulla scuola pubblica di oggi e sulle giovani generazioni e sul loro modo di costruire il sapere.

Tutti hanno sottolineato che il ruolo del docente non è più quello di un “trasmettitore “ ma di un promotore di conoscenze, abilità e competenze,. Il docente deve imparare ad  aiutare ciascun alunno a costruire il proprio sapere facendo leva sull’ “imparare ad imparare “ , sul lavoro di gruppo, sull’insegnamento laboratoriale

Tutti si sono soffermati sull’insegnamento ai diversabili e agli alunni con bisogni educativi speciali e nelle loro unità di apprendimento hanno raccontato come operare con questi alunni e come valutarli.

Tutti hanno presentato l’alunno della scuola di oggi “nativo digitale” e la frequenza dei PAS ha “ costretto” molti di loro ad affinare le loro competenze sull’uso a fini didattici delle nuove tecnologie.

Nei loro visi ho letto la fatica di tre mesi di corso frequentati ad aprile, maggio e giugno, soprattutto il sabato, la domenica e nei pomeriggi; le centinaia di chilometri percorsi dopo aver cominciato la giornata alle sei di mattina per correre a scuola, insegnare, fare gli scrutini, gli esami di stato e studiare.

Ho letto l’impegno per sostenere esami. E prepare la tesi finale.

So che tutto questo non è semplice, che i corsi potevano essere organizzati meglio, con tempi distesi anche per consentire ai docenti di mettere in pratica in classe quanto apprendevano.

Non so fino a che punto con questi corsi sono state costruisce competenze solide nei docenti.

Ma mi ha commosso in quasi tutti i docenti che ho conosciuto per questi esami la passione per il loro lavoro, la cura, l’impegno, il desiderio di migliorare.

L’esperienza è stata faticosa perché nella seconda giornata abbiamo cominciato alle dieci di mattina e abbiamo lavorato ininterrottamente fino alle 18,00.

Tutti i candidati si sono abilitati e molti con il massimo dei voti, sommando i risultati degli esami disciplinari alla prova finale.A tutti ho raccomandato di coltivare la passione per l’insegnamento, mettendo al primo posto comunque e sempre l’alunno e le sue necessità e possibilità.

Sia l’esperienza dello scorso anno che quella di quest’anno ha rafforzato la mia convinzione sulla necessità dell’aggiornamento continuo a scuola dei docenti.

La nostra società in così continua e rapida trasformazione, definita liquida da Sigmud Bauman nei suoi innumerevoli saggi e “ complessa” da Edgar Morin che chiede per gli alunni non una testa piena ma una “testa ben fatta”; la nostra società che con le scoperte nel campo delle neuroscienze ha dimostrato che l’uomo vive di emozioni e modifica i suoi comportamenti in base ad esse, dando ragione a quanto Daniel Goleman ha scritto, già più di quindici anni fa, di “intelligenza emotiva “ ,ha sempre più bisogno di docenti motivati, esperti e qualificati e, con tutti i loro limiti, i PAS hanno aiutato in questa direzione.

A proposito dell’orario di lavoro dei docenti, per una rivoluzione ragionevole

A proposito dell’orario di lavoro dei docenti, per una rivoluzione ragionevole *

di Andrea Avon

 

Nell’ultima parte della scorsa Legislatura (novembre 2012) è balzata agli onori della cronaca l’ipotesi governativa di aumentare unilateralmente l’orario settimanale di docenza degli insegnanti di Scuola Secondaria, portandolo da 18 a 24 ore. La proposta non ha avuto successo, prefigurando un’intollerabile assegnazione di ben 12 classi ad un insegnante (conseguenza che avrebbe riguardato i docenti di discipline con 2 ore settimanali di lezione), ma ha avuto il merito di inserire nell’agenda della prossima tornata contrattuale la necessaria rielaborazione della disciplina dell’orario di lavoro dei docenti.

La verità inconfessabile: retribuzione senza prestazione

A parere di chi scrive non vi è alcuna necessità di modificare unilateralmente il dettato contrattuale in argomento, essendo sufficiente riprendere in mano il vigente C.C.N.L. per confrontarlo con lo specchio della realtà, in nome degli ordinari principi della logica e della coerenza giuridica in materia di diritto del lavoro.

L’art.28 del Contratto distingue le prestazioni dovute da parte dei docenti per “attività di insegnamento” da quelle “funzionali” all’insegnamento. Le prime vengono quantificate in modo differenziato tra i vari ordini di scuola su base settimanale (25 per la Scuola dell’Infanzia, 22 più 2 di programmazione per la Scuola Primaria, 18 per la Scuola Secondaria di I e II grado). Il C.C.N.L. non precisa per quante settimane all’anno vanno garantite le prestazioni di insegnamento, limitandosi ad inquadrarle “nell’ambito del calendario scolastico” regionale.

Sulla base dei calendari disposti dalle diverse Regioni negli ultimi anni i docenti di Scuola dell’Infanzia prestano il proprio orario di insegnamento per 36 settimane all’anno mentre i colleghi della Scuola Primaria e della Scuola Secondaria lo fanno per 33-34 settimane.Va rilevato che nella Scuola Secondaria puòessere stimato un ulteriore impegno individuale di circa 2-3 settimane per lo svolgimento degli Esami di Stato (che non impiegano la totalità dei docenti e vedono un’anomala retribuzione aggiuntiva per i soli insegnanti del II grado).

Si può quindi affermare che la generalità dei docenti italiani ottempera ai propri obblighi di insegnamento mediamente per 36 settimane all’anno. Tale semplice considerazione di fatto deve tenere conto che su 52 settimane che compongono l’anno solare 6 corrispondono alle ferie spettanti e 2 possono essere ascritte alla sommatoria delle “feste comandate”, con un conseguente buco di 8 settimane (52 settimane – 36 – 6 – 2 = 8 settimane): in pratica per circa due mesi all’anno i docenti vengono regolarmente retribuiti senza prestare alcuna attività di insegnamento.

Nell’ambito di tali 8 settimane di mancato insegnamento rientra la prima quindicina del mese di settembre, periodo nel quale gli Organi Collegiali cominciano a riunirsi per impostare l’avvio dell’anno scolastico. Tra le 36 settimane sopra conteggiate “di insegnamento” rientrano invece per tutti anche gli ultimi 15-20 giorni del mese di giugno, durante i quali vengono svolte anche sedute degli Organi Collegiali conclusive dell’anno scolastico. Da tali elementi può essere quindi tratta la conseguenza che mediamente per almeno 6 settimane all’anno tutti i docenti italiani di ruolo percepiscono regolarmente lo stipendio senza offrire alcuna prestazione lavorativa.

Una scontata conseguenza di tale situazione è costituita dal teatrino amministrativo costituito dall’annuale richiesta delle ferie estive da parte del personale docente (regolata dall’art. 13 del C.C.N.L.): ognuno è infatti tenuto a formalizzare una richiesta di fruizione delle ferie non godute in corso d’anno (che possono essere già state fruite per un massimo di sei giorni di lezione, con la rigorosa prassi di non richiedere mai alcun giorno di ferie durante le sospensioni delle lezioni – Natale, Carnevale, Pasqua, Elezioni, etc. -). Si assiste quindi nei mesi di luglio e agosto all’imbarazzante finzione della richiesta delle ferie per qualche settimana, mentre in realtà ciascun docente starà lontano dal luogo di lavoro per almeno nove settimane di fila.

Quanto sin qui riportato costituisce esclusivamente un’analisi di dati di fatto, incontestabili e forse inconfessabili, che possono rappresentare una delle basi di partenza per riconsiderare in modo complessivo la disciplina dell’orario annuale di lavoro dei docenti della scuola italiana.

 

L’altra faccia della medaglia: grandi fatiche e prestazioni diversificate

Nelle 38 settimane annuali in cui i docenti lavorano (33-34 di insegnamento nella Scuola Primaria o 36 di insegnamento/Esami negli altri ordini di scuola e, rispettivamente, altre 4-5 o 2 di non insegnamento), essi sono tenuti a garantire, in base al C.C.N.L., una serie innumerevole di prestazioni:

–       40 ore di Consiglio di Intersezione/Interclasse/Classe (art.29);

–       40 ore di Collegio dei Docenti (art.29 );

–       i rapporti individuali con famiglie e studenti nel numero di ore fissato dal Consiglio di Istituto (art.29);

–       la preparazione delle lezioni e delle esercitazioni nel numero di ore necessario (art.29);

–       la correzione degli elaborati nel numero di ore necessario (art.29);

–       lo svolgimento degli scrutini con la compilazione dei relativi atti di valutazione nel numero di ore necessario (art.29);

–       5 minuti di vigilanza precedenti l’inizio delle lezioni e l’assistenza degli alunni al momento dell’uscita, quotidianamente (art.29);

–       ogni altra attività necessaria di programmazione, progettazione, ricerca, valutazione, documentazione, studio e sistematizzazione della pratica didattica, aggiornamento e formazione prevista dagli ordinamenti scolastici (artt. 27 e 29).

Tali prestazioni rientrano nel concetto di “funzione docente”, introdotto dal Contratto del 1988 (che allora aveva la forma del Decreto del Presidente della Repubblica), per la quale venne introdotto un considerevole incremento retributivo, superiore al 10%, da allora sempre confermato nelle diverse tornate contrattuali successive. Si tratta, quindi, di prestazioni particolarmente gravose, ricomprese a pieno titolo nella retribuzione mensilmente percepita dai docenti.

L’intero complesso delle prestazioni di insegnamento e di quelle relative alla funzione docente si caratterizza inoltre da una diversa intensità di lavoro, che risale alle motivazioni ed alle caratteristiche culturali e professionali proprie di ciascun singolo docente: in particolare gli sforzi di ideazione e valutazione didattica e la relazione formativa con alunni e famiglie risultano evidentemente di entità quantitativa molto diversa tra docenti impegnati al massimo nel perseguire il successo formativo dei propri allievi e colleghi invece più propensi ad un ruolo di spettatori dei vari percorsi di crescita.

In realtà tali sottili e fondamentali differenze di atteggiamento professionale non possono trovare formali distinzioni in sede contrattuale, se non nella parte dedicata al codice disciplinare: prestazioni di qualità devono essere ordinariamente pretese da parte del personale ed eventuali carenze a riguardo non possono che sottostare al rigoroso setaccio della rispondenza o meno ai doveri professionali.

Altri fattori che possono differenziare le prestazioni degli insegnanti, con particolare riferimento a quelle relative alla funzione docente, afferiscono alle distinzioni ipotizzabili tra i diversi profili professionali presenti nella categoria: si ritiene generalmente che il peso di “preparazione e correzione” delle attività didattiche sia inferiore per i docenti di Scuola dell’Infanzia e per gli insegnanti di alcune discipline che non prevedono esercitazioni scritte.

Nel caso della Scuola dell’Infanzia va rilevato innanzitutto che un eventuale minor carico relativo alla “funzione docente” viene compensato dalla maggiore entità dell’orario settimanale di insegnamento e da un calendario scolastico mediamente prolungato per 2-3 settimane all’anno. Per i docenti di alcune discipline (in particolare nella Scuola Secondaria) nelle quali si riscontra un minor numero di esercitazioni da preparare e correggere va invece rilevato che tali insegnanti sono generalmente impegnati in misura molto più cospicua nel ricevimento e nelle attività collegiali della decina di Consigli di Classe di cui fanno parte.

Sull’argomento, tuttavia, va evidenziato soprattutto che un docente serio, qualsiasi sia la disciplina di insegnamento o l’ordine scolastico di appartenenza, dedica un gran tempo alla preparazione delle esercitazioni/attività ed altrettanto alle rilevazioni emergenti, utili per le osservazioni e le valutazioni del caso.

Ancora una volta, quindi, le supposte differenze di fatica professionale richiesta dal Contratto ai diversi profili della docenza appaiono non particolarmente rilevanti sotto l’aspetto contrattuale, che giustamente ne parifica le responsabilità; il ruolo unico dei docenti può apparire quindi un orizzonte ragionevole, nel quale risolvere anche l’inspiegabile differenziazione retributiva e di orario settimanale di insegnamento tra docenti dei diversi ordini scolastici (permangono infatti un numero sensibilmente minore di ore di lezione ed una maggior retribuzione per i docenti di Scuola Secondaria anche nell’attuale situazione, in cui non vi è più alcuna differenza di titolo di studio d’accesso ai diversi profili di insegnamento).

 

Alla ricerca di un equilibrio contrattuale

L’elemento da ultimo segnalato, costituito dal necessario graduale orientamento verso un quantum orario ed un livello retributivo omogenei tra i docenti dei diversi ordini di scuola, appare molto delicato e complesso. Si ritiene vada affrontato nel medio periodo, tenendo conto delle ineliminabili connessioni con l’orario settimanale ed il calendario scolastico previsti per gli allievi dei diversi ordini, evitando rivolte socio-professionali e contraccolpi economici non sostenibili per le casse dello Stato: appare necessario indirizzarsi verso un orario comune (su base annuale) delle ore di insegnamento (con possibili leggere distinzioni debitamente motivate), generalizzando gli impegni minimi di programmazione collegiale settimanale, non prima però di essere intervenuti seriamente sulle finzioni contrattuali sin qui denunciate.

Per una risistemazione della disciplina contrattuale dell’orario di lavoro degli insegnanti la prima mossa indispensabile è infatti rappresentata dalla necessità di considerare a livello annuale il complesso degli impegni professionali: nel confronto con le altre categorie di lavoratori non appare più sostenibile mantenere la classe degli insegnanti in una posizione retribuita anche nei periodi in cui non viene effettuata alcuna prestazione.

In tale ambito può essere riconosciuto che i docenti siano soggetti ad una particolare usura psico-fisica, inevitabile per sostenere sempre il confronto formativo con alunni e famiglie ai massimi livelli di efficienza; di conseguenza può essere accettata l’idea che all’eccellenza delle prestazioni (di cui evidentemente bisogna rendere conto) risultino funzionali frequenti periodi di sospensione. In base a tali considerazioni possono essere valutate come salutari le periodiche pause didattiche (feste comandate, eventuali ponti,interruzione delle lezioni per Natale, Carnevale, Pasqua, Elezioni e nei mesi estivi): in modo corrispondente, però, le prestazioni retribuite ma non rese nelle giornate lavorative comprese in tali periodi vanno evidentemente redistribuite sulla restante parte dell’anno solare.

 

Prime prospettive per un graduale riordino dell’orario di lavoro dei docenti

Senza intervenire in modo traumatico sulla base oraria settimanale delle ore di insegnamento dovute da parte dei docenti dei diversi ordini di scuola, appare quindi possibile sin d’ora dare applicazione alle vigenti previsioni del C.C.N.L. con il correttivo della loro distribuzione sull’intero anno solare.

Si tratterebbe di esplicitare nell’imminente tornata di rinnovo contrattuale che il quantum settimanale di ore di insegnamento va calcolato su base annuale, ricomprendendovi cioè un numero di settimane di lavoro non prestato, da ridistribuire nell’arco dei restanti mesi, dando applicazione ad una disciplina che mantenga in equilibrio le ragioni di unitarietà del sistema e le opportunità che si vogliono offrire all’Autonomia scolastica.

Abbiamo visto in precedenza che le settimane nelle quali in un anno i docenti non offrono alcun servizio ma vengono regolarmente retribuiti (dopo aver fruito delle ferie e delle altre garanzie contrattuali) sono quanto meno 6, in tutti gli ordini scolastici; in ciascuna di esse attualmente non vengono prestate 25 ore di insegnamento nella Scuola dell’Infanzia, 22 nella Scuola Primaria e 18 nella Scuola Secondaria.

Se si volesse procedere per gradi, si potrebbero richiedere tali prestazioni in una prima fase nella misura corrispondente a 3 settimane di lavoro all’anno (già retribuite). In tal modo, tenendo presente che la parte economica del Contratto considera 1 ora di insegnamento equivalente a 2 ore di non insegnamento, da subito si potrebbe contare per ciascun docente sulle seguenti risorse orarie:

–   Scuola dell’Infanzia: annualmente 75 (=25×3) ore di insegnamento o 150 di non insegnamento (o un mix equipollente tra le due tipologie orarie).

–   Scuola Primaria: annualmente 66 (=22×3) ore di insegnamento o 132 di non insegnamento (o un mix equipollente tra le due tipologie orarie).

–   Scuola Secondaria: annualmente 54 (=18×3) ore di insegnamento o 108 di non insegnamento (o un mix equipollente tra le due tipologie orarie).

Le risorse in tal modo disponibili sarebbero una manna per rispondere a numerosissimi punti critici dell’attuale ordinamento: le compresenze necessarie per il lavoro a gruppi nella Scuola dell’Infanzia e nella Scuola Primaria (da estendere anche nella Scuola Secondaria), le supplenze orarie interne (quanto meno per eliminare le pluri-dannose distribuzioni degli alunni scoperti tra le varie classi), il confronto collegiale programmato tra colleghi di classe (fortemente deficitario soprattutto nella Scuola Secondaria, in ore di non insegnamento), il rinforzo di gruppi di ricerca – coordinamento didattico (anch’esso in orario di non insegnamento) e così via.

Naturalmente se si volesse completare l’opera in una seconda fase nella quale richiedere le prestazioni non rese anche per le restanti 3 settimane annuali, le risorse così a disposizione verrebbero a raddoppiare, senza costi aggiuntivi per lo Stato.

 

Vie d’uscita per amore della verità e per rivendicare la dignità professionale

Prospettare soluzioni come quelle sin qui descritte significa esprimere la volontà di dare piena attuazione alle vigenti disposizioni contrattuali, facendo venir meno una finzione che ha sempre caratterizzato il rapporto di lavoro degli insegnanti.

Anche le migliori espressioni della qualità docente, fortunatamente numerose, stanno pagando nella nostra società un discredito che deriva sicuramente dal mancato intervento disciplinare nei casi di prestazioni scadenti, ma che è almeno in parte dovuto anche alla vox populi che accusa la categoria di godere di un numero eccessivo di giornate di lavoro retribuite pur in assenza di prestazioni.

Eliminare la fondatezza di tali posizioni indiscriminate (attraverso una puntuale ed integrale applicazione delle previsioni contrattuali) significherebbe poter confinare le critiche rivolte alla categoria alle sole situazioni concrete di disservizio, quando cioè diverrebbe possibile distinguere le personali responsabilità dei docenti in fallo e dei rispettivi dirigenti.

Oltre all’auspicato recupero della credibilità professionale della classe degli insegnanti, non più criticabili per un iniquo sconto di prestazioni lavorative, le misure qui proposte consentirebbero al contempo di fornire al sistema una formidabile entità di risorse umane aggiuntive, equamente dovute in identica misura su tutto il territorio nazionale, ma opportunamente modulabili da parte di ciascuna istituzione scolastica autonoma. Competerebbe infatti a ciascun Collegio dei Docenti (con il decisivo ruolo dei dirigenti scolastici) determinare per ciascun docente, in una visione organizzativa di sistema, la distribuzione delle prestazioni dovute tra ore di insegnamento e ore di non insegnamento ed i relativi campi di intervento. La tanto bistrattata autonomia riceverebbe così una potente iniezione di risorse e di corrispondenti responsabilità ideative e realizzative, tutti elementi necessari per iniziare a compiere il salto di qualità atteso da anni.

Una ricalibratura del Contratto nazionale per l’attuazione dell’orario di lavoro su base annuale consentirebbe infine di creare le condizioni per il successivo passaggio al ruolo unico dei docenti, con carichi lavorativi e retribuzione omogenei.

Una volta entrati nell’ordine di idee di rivedere l’entità quantitativa complessiva delle prestazioni dovute, potrebbe essere posta come base di calcolo settimanale per l’intera categoria lo schema delle 20 ore di insegnamento + 2 di programmazione collegiale (da ridistribuirepoi sull’intero anno solare, come sopra descritto), fermi restando i doveri professionali attinenti alla “funzione docente”. A tale riferimento di ordine generale potrebbero essere apportati i necessari correttivi: per esempio il surplus di fatiche richiesto ai docenti di Scuola Secondaria (le 2-3 settimane da spendere per gli Esami di Stato) potrebbe tradursi nella riduzione della base di calcolo settimanale al modello 18 ore + 2, eliminando naturalmente ogni residua indennità aggiuntiva. Contemporaneamente per gli insegnanti di Scuola dell’Infanzia l’oggettivo minor carico relativo agli impegni di valutazione formale ed alla preparazione grafica del materiale didattico necessario per le esercitazioni potrebbero comportare l’adozione del modello 22 ore + 2.

La nuova uniformità retributiva dovrebbe essere ricalibrata in sede di rinnovo contrattuale, per esempio con un aumento medio generalizzato del 5% annuale, nettamente ricompensato per le casse dello Stato dalle ben maggiori prestazioni rese. La misura potrebbe essere sarebbe salutata con favore da gran parte della categoria e contemporaneamente si potrebbe contare sulle risorse necessarie per colmare le attuali carenze più evidenti nell’organizzazione scolastica. In tutti gli ordini scolastici si recupererebbero in termini orari le risorse perdute con la graduale eliminazione del Fondo di Istituto, indispensabili per assicurare le prestazioni di coordinamento interno; nelle Scuole dell’Infanzia e Primarie le “ore non prestate” (per 6 settimane all’anno) consentirebbero un considerevole aumento delle possibile lavoro per gruppi mentre nelle Scuole Secondarie, oltre a detto vantaggio, si potrebbe finalmente contare sugli obblighi contrattuali necessari per assicurare l’indispensabile collegialità dell’azione dei Consigli di classe, il relativo coordinamento ed il superamento delle annose difficoltà relative alle supplenze interne.

Ciascun dirigente ed ogni Istituto, infine, sarebbero tenuti a sostenere una concreta prova di Autonomia, in quanto dovrebbero trovare il miglior modo per l’impiego di risorse effettivamente disponibili per dare tangibili risposte alle esigenze organizzative e formative emergenti nel proprio contesto.

 

* Lo scorso anno, sul n.11/2013 della rivista “Dirigere la scuola” è stato pubblicato un contributo dello scrivente sul tema dell’orario di lavoro dei docenti. Nell’estate 2014 l’argomento è ritornato d’attualità e, su gentile concessione di Euroedizioni, viene qui riproposto quell’articolo, dal titolo L’orario di lavoro annuale dei docenti, tra fatiche e finzioni contrattuali: cambiamenti per rilanciare la scuola dell’Autonomia”

Ministro, non si sottragga alle sue responsabilità!

Ministro Giannini, non si sottragga alle sue responsabilità!

di Enrico Maranzana

 

Stiamo riflettendo su un nuovo pacchetto di misure incisive che riguardano le competenze degli studenti, la valorizzazione del ruolo degli insegnanti e la governance e l’autonomia delle scuole. Nei prossimi mesi ci sarà una CONSULTAZIONE per arrivare finalmente in autunno ad una visione omogenea del tema scuola” ha annunciato il ministro Giannini.

Leggendo in trasparenza l’asserzione se ne coglie la sostanza. A tal fine la si trasli in ambito scolastico e la si riferisca a un docente di matematica che introduce la sua progettazione didattica dicendo ai propri studenti: “Ho prefigurato il lavoro di classe ma voglio il vostro assenso. Mi confronterò con voi per concordare l’immagine della disciplina scientifica che sostanzierà il mio lavoro”.

La razionalità deve essere l’unico, il sicuro, l’indiscusso riferimento del governo del sistema educativo.

Come un medico identifica le terapie in base alla scienza medica, così la cultura contemporanea deve guidare il disegno dell’architettura scolastica.

 

Il problema educativo è complesso: l’adozione di un’appropriata metodologia per il suo abbattimento è essenziale.

Il sistema delle regole scolastiche contengono quanto necessario per tracciare l’itinerario risolutivo che, per successive approssimazioni, assegna specifiche responsabilità ai diversi soggetti interagenti.

 

  1. Il Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione definisce gli obiettivi formativi nei diversi gradi e tipologie di istruzione” e li esprime sotto forma di competenze generali.

 

  1. Il Consiglio di circolo/d’Istituto “elabora e adotta gli indirizzi generali” integrando le competenze generali nazionali adeguandole alle esigenze locali. Le trasmette al collegio dei docenti per la predisposizione del Piano dell’Offerta Formativa.

 

  1. Il Collegio dei docenti  “cura la programmazione dell’azione educativa anche al fine di adeguare, nell’ambito degli ordinamenti della scuola stabiliti dallo Stato [1], i programmi di insegnamento alle specifiche esigenze ambientali [2]”. A tal fine identifica le capacità che le competenze generali presuppongono e le monitorizza per “valutare periodicamente l’andamento complessivo dell’azione didattica per verificarne l’efficacia in rapporto agli orientamenti e agli obiettivi programmati, proponendo, ove necessario, opportune misure per il miglioramento dell’attività scolastica

 

  1. Il Consiglio di classe “realizza il coordinamento didattico e tesse rapporti interdisciplinari” prefigurando percorsi d’apprendimento unitari che conducano gli studenti alla conquista dei traguardi indicati dal Collegio dei docenti.

 

  1. Il docente progetta occasione didattiche per promuovere competenze specifiche, espressione di conoscenze disciplinari e delle capacità collegialmente individuate.

Un cambiamento profondo dell’ordinaria professionalità in quanto la promozione di una competenza richiede “il diretto coinvolgimento dell’individuo e il suo prendere parte attiva, tanto da imparare con tutti i cinque sensi e non soltanto mediante l’ascolto e lo studio solitario”.

Situazione che richiede l’arricchimento della tradizionale immagine delle discipline, integrandola con “i metodi propri di indagine” che hanno condotto a soluzione le problematiche generative delle conoscenze.

 

Una competenza non può essere insegnata .. si acquisisce praticandola

 

da cui discende: “il lavoro in laboratorio e le attività ad esso connesse sono particolarmente importanti perché consentono di attivare processi didattici in cui gli allievi diventano protagonisti e superano l’atteggiamento di passività e di estraneità che caratterizza spesso il loro atteggiamento di fronte alle lezioni frontali”.

 

La proposta ministeriale d’indire una consultazione generale appare stridente con la scansione illustrata: la dimensione del problema educativo sembra sottostimata così come non traspare l’esigenza di ridefinire la funzione docente.

ASSENZA/PRESENZA. ESSERE/FARE

ASSENZA/PRESENZA. ESSERE/FARE

Dinanzi alle dichiarazioni del sottosegretario all’istruzione si può soltanto sedersi un attimo, trasecolare e infine pensare al perché di un accanimento che non ha eguali nel mondo. Poi la mente va alla storia degli ultimi trent’anni vissuti a tamponare le falle dei tagli, di una valutazione a base di quiz, di ritorni a epoche preistoriche (vedi maestro unico, per citarne uno che ha fatto rabbrividire pure le foreste ), ma non voglio di nuovo elencare le assurdità che hanno messo in ginocchio le conquiste fatte a prezzo di studi e grandi sacrifici personali e professionali di tante insegnanti che hanno portato ad esempio la scuola elementare a diventare un ordine di scuola studiato da tanti Paesi grazie ai risultati conseguiti. Voglio invece dire chiaro e tondo che l’insegnamento ai figli e alle figlie di tutti compresi i nostri non è un lavoro come un altro. Sembra, a me che insegno, tanto normale affermarlo ancora una volta, ma pare che perfino un ingegnere (vedi dott. Reggi) non riesca a capirlo. Allora lo riaffermo, non si sa mai che qualcuno ascolti. Passi per tanta parte dell’opinione pubblica e di chi preferisce denigrare e offendere una categoria come la mia, ma una persona, a cui è stato dato un incarico tanto delicato, dovrebbe fare atto di modestia e riflettere prima di fare annunci di stravolgimenti epocali per poi nel giro di poche ore attutirli, smorzarli… Comunque ognuno si assumerà le proprie responsabilità. Come maestra mi assumo la mia e qui dirò ciò che penso.

La prima considerazione è rivolta, come mi pare d’obbligo, ai bambini e alle bambine: essi hanno assoluto bisogno di staccare la spina dall’ambiente scolastico, di vivere muovendosi il più possibile insieme ai propri cari e amici. So che mi attirerò qualche strale, ma non mi interessa: io sono adulta e vaccinata, quindi affermo pure la validità dei compiti delle vacanze adeguati all’età e alla maturità: l’eseguirli a casa propria o in un centro estivo li fa pensare per qualche minuto, li fa rielaborare vissuti scolastici positivi e negativi, li tiene ancorati al senso di realtà. La ricerca di equilibrio tra svago e realtà’ di lavoro si apprende da piccoli e sarà utile per sempre. Se il ministro crede che la scuola, sempre e solo la scuola, incentivi le assunzioni di responsabilità e di apprendimento di cosa significa impegno non conosce i piccoli: essi hanno bisogno di esperienze pratiche ma anche interiori all’esterno dell’istituzione per poi su di esse e tramite esse riflettere coralmente con i compagni a scuola. Il tempo lungo delle vacanze è prezioso.

La seconda considerazione è rivolta ai genitori: essi probabilmente hanno difficoltà a gestire lavoro e accudimento dei figli. Anzi, sicuramente. Nonostante ciò non dovrebbero rivolgere le loro rimostranze verso la scuola, bensì richiedere al governo di turno di spendere denaro nella direzione di un welfare degno di questo nome…richiederlo con forza. Infatti se essi vogliono qualità d’istruzione-educazione da parte delle insegnanti e degli insegnanti, devono rendersi conto del fatto che questi ultimi non sono né badanti né animatori, che hanno necessità di ritemprare la mente e di caricarsi di esperienze al di fuori della scuola per poter arricchire il proprio bagaglio culturale e umano. E dirò di questo nelle righe che seguono, perché la terza considerazione è rivolta alle e agli insegnanti come me. In un generale clima similculturale che ammorba la vita di tutti e tutte, dilaga il mito del fare e del fare veloci. Se non si fa, sembra non esserci più il senso dell’essere.

Ebbene l’insegnante fruttuoso è invece quello che si ferma. Si ferma e rallenta, fa della propria ‘assenza’ una ‘presenza’ densa di pensiero per ognuno e ognuna dei propri studenti, per la qual cosa e proprio al contrario di ciò che vorrebbe il dott. Reggi, ha imprescindibile urgenza di periodi nei quali pensare, studiare, aggiornarsi per risolvere difficoltà relazionali e didattiche. L’ assenza da scuola gli dà modo di rielaborare percorsi, di costruirne altri, di leggere e interiorizzare sostanza e forma lontane dalla propria, di stabilire contatti umani e significativi dai quali trarre linfa nuova. L’insegnante fruttuoso vive perennemente a contatto con ogni studente, se li porta a casa, per la strada, al mare, ovunque cammini, ovunque sia. L’insegnante lavora di testa. Sempre. Anzi, durante i mesi di lavoro attivo, del fare per intenderci, quello che piace alla cultura dominante, vorrebbe poter staccare per ritrovare serenità e energie da usare nelle sfide quotidiane che il contatto con un numero crescente di ragazzi e ragazze presenta. Le soluzioni nascono dall’assenza, dal distacco dall’aula e dalle mura dell’edificio scolastico. Non a caso in alcuni Paesi si concede l’anno sabbatico. Sarebbe ora che le politiche ministeriali tenessero in alta considerazione ciò che un insegnante dovrebbe essere e diventare, invece si pensa a cosa dovrebbe fare, a quante ore dovrebbe stare in ‘presenza’ per far piacere ad altre categorie che sulla carta paiono ‘fare’ di più. Insomma, uno Stato maturo, chiamiamolo così per capirci subito, dovrebbe infischiarsene delle ‘invidie’, delle contumelie, delle piccinerie e dare grande fiducia al lavoro intellettuale alla base di un buon insegnamento e di soddisfacenti apprendimenti. In questi anni si è assistito a un proliferare di carichi senza alcun senso pedagogico e didattico, ad esempio l’obbligo della compilazione giornaliera del registro elettronico, per dirne una, l’istituto di nuove commissioni sui Bes, per dirne un’altra, adempimenti burocratici di vario tipo, progetti slegati dalla programmazione di classe…valutazione in decimi perfino alla primaria, ecc…Ebbene il risultato è stato, mi ripeto, un fare fare fare in presenza (altro che 36 ore!)…ma ricadute su un innalzamento della qualità didattica, sugli apprendimenti dei singoli, poche! Tanto è vero che sono in aumento disortografie, disgrafie, casi di bambini depressi e ipercinetici, ecc…Se qualcuno volesse riflettere sui perché scoprirebbe che gli insegnanti, i quali fino a un certo punto avevano fatto miracoli nonostante tagli a tempo, spazio, persone , non hanno più avuto il tempo di farli, di ‘rallentare’, di pensare in ‘assenza’ a ciò che serviva a questo e a quello studente metodologicamente e didatticamente, umanamente e relazionalmente, in presenza. Cari decisori, qui è in ballo molto di più di ciò che avete in mente, qui è drammaticamente evidente il rischio di ritrovarsi insegnanti demotivati, sfiduciati o, di contro, assillati dal fare per il fare e il far vedere quanto si ‘vale’ col ‘fare’, insegnanti mal disposti verso colleghi di lavoro in continua competizione. Qui ne va della sopravvivenza dell’insegnante che dà frutti a ognuno, quello fruttuoso, pensante, quello dell’essere prima del fare. Perciò è in ballo il futuro dell’istruzione, del non uno di meno di ormai antica memoria!

Claudia Fanti, maestra elementare 

Riorganizzare l’istruzione

Riorganizzare l’istruzione

di Stefano Stefanel

         L’interessante intervento di Antonio Valentino Progressione di carriera e figure di sistema pone in maniera estremamente corretta quello che è un  problema centrale della scuola italiana: la totale assenza di una carriera dei docenti che poggi sulle esigenze della scuola e non sull’anzianità del personale. Una proposta analoga l’aveva avanzata anche Giancarlo Cerini qualche tempo fa:  Non solo “spending review, www.edscuola.it, 1 gennaio 2014. Chi lavora nella scuola sa che non è più tempo di improvvisazione, di esperienze buttate via, di egualitarismo che uccide l’equità. Dunque ritengo che la proposta di Valentino sia veramente intelligente e da esplorare magari attraverso l’attivazione di una consultazione a più livelli che definisca bene percorsi e profili.

La proposta di Valentino però contiene anche due “polpette avvelenate”, una che anche lui riconosce e un’altra che sta purtroppo nelle cose:

–      le figure di sistema non devono diventare una “piccola casta” di teorici dell’autonomia e templari delle competenze;

–      la proposta di Valentino (come quella di Cerini) prevede un aumento di costi e di organico, visto che gli esoneri o i semi esoneri non verrebbero ricavati da una contrazione degli orari, ma da un aumento delle cattedre (e questa pare un’utopia bella e buona).

Ritengo però che prima di entrare nel merito di questi due problemi vada spazzato il campo dagli equivoci presenti nella funzione docente e stratificati in un Contratto che ormai è un dinosauro privo di contatti con la realtà. Gli equivoci stanno negli articoli 28 e 29 del Contratto Collettivo Nazionale laddove distingue tra ore di insegnamento, ore funzionali, ore non conteggiabili, ore per esami e scrutini, ecc.. Se non si leva questo macigno dalla funzione docente non si può modificare nulla. Il motivo è per me molto semplice: l’articolo 28 disciplina il “lavoro”, l’articolo 29 le “aggiunte”. E come si vede chiaramente tutto quello che propone Valentino sta nelle “aggiunte”.

Nel periodo caldo della dissennata proposta del Governo Monti di alzare a 24 le ore di cattedra dei professori, i sindacati e i docenti stessi portarono ad esempio le ore funzionali del loro lavoro, mentre il Governo parlava di insegnamento. E nel caos che si è creato tutto è rimasto intatto. Qualcuno parlò anche di un impegno di 1700 ore annue dei docenti (se io fossi stato al governo avrei proposto subito un Contratto per 1700 ore annue tutto incluso).

Io mi accontenterei di un contratto che preveda per tutti gli insegnanti (dalle scuole dell’infanzia a quelle secondarie di secondo grado) un impegno annuale di 1200 ore che comprendano tutto (orario curricolare, esami, scrutini, funzioni di sistema, correzione di compiti, preparazione delle lezioni, ecc.) e che siano definite nell’ambito del piano delle attività della scuola dal docente con il dirigente. Queste ore vanno espletate quando servono e poi il docente ha diritto di stare a casa senza che qualcuno possa dire che viene pagato e non lavora. Ma vanno declinate su base annuale, con un piano rigoroso che tenga conto di tutte le esigenze della scuola. Se in queste 1200 ci sta tutto vuol dire che tutte le ore valgono uguale, perché la scuola è un organismo complesso. Qualcuno sarà più utilizzato come docente di classe, qualcun altro come figura di sistema.

A quel punto si può decidere come creare la progressione di carriera. Non può esserci progressione di carriera se quei famigerati articoli mettono un tipo di lavoro davanti all’altro. Se quegli articoli stabiliscono che una parte di lavoro non deve essere calcolata. Se non permettono che ogni scuola abbia le sue esigenze e le possa definire col personale.

Non ci dovrebbero essere ore buche, orari settimanali, rigidità, ecc. Ma solo l’esigenza della scuola nell’ambito di un lavoro atipico che si fa quando serve. Fatto questo poi è possibile ragionare sulla proposta di Valentino. Altrimenti sempre della seconda serie parliamo.

Una possibile lettura del Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia

Una possibile lettura del Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia

di Margherita Marzario

Abstract: L’Autrice ci offre un commento del Preambolo del più importante atto internazionale sull’infanzia navigando in un mare di riferimenti letterari e specialistici per riscoprire, ancora una volta, la bellezza del diventare ed essere famiglia.

 

Nell’art. 45 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia (approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 20 novembre 1989, a New York) si stabilisce di “promuovere l’effettiva applicazione della Convenzione” e, in più punti degli articoli precedenti, si parla di piena realizzazione dei diritti del fanciullo e degli obblighi contratti in virtù della Convenzione. Sarebbe interessante, per conoscere meglio la Convenzione e concretizzarne l’attuazione, rileggere – attraverso citazioni di scrittori ed esperti – il suo Preambolo, come il miglior progetto ispiratore di qualsiasi progetto (dall’educazione alla legislazione) che riguardi il bambino e che guardi il bambino come il massimo progetto di vita.

“È il momento di guarire dalla sindrome dell’abbondanza” (Giovanni Bollea, padre della moderna neuropsichiatria infantile italiana). Nel secondo capoverso del Preambolo si parla di “un migliore tenore di vita in una ampia libertà”: l’abbondanza diventa soffocante, induce a falsi bisogni e non consente delle libere scelte perché si ha tutto, pertanto è diseducativa. Bisogna, invece, dare il necessario (soprattutto quelle competenze affettive, relazionali e sociali) per “preparare il fanciullo ad assumere le responsabilità della vita in una società libera” (art. 29 lettera d Convenzione).

L’enunciato più significativo del Preambolo è contenuto nel quinto capoverso: “Convinti che la famiglia, quale nucleo fondamentale della società e quale ambiente naturale per la crescita ed il benessere di tutti i suoi membri ed in particolare dei fanciulli debba ricevere l’assistenza e la protezione necessarie per assumere pienamente le sue responsabilità all’interno della comunità”. “È una famiglia disturbata quella in cui ogni membro ha un ruolo fisso, e la comunicazione è rigidamente limitata alle espressioni che si adattano a questi ruoli. Nessun membro è libero di esprimere pienamente le sue esperienze, i desideri, i bisogni e i sentimenti, ma deve limitarsi a recitare la sua parte, in conformità a quella che recitano gli altri componenti della famiglia. In tutte le famiglie esistono dei ruoli ma, con il cambiare delle circostanze, anche i vari membri devono cambiare e adattarsi alle novità perché la famiglia resti sana. Così il tipo di cure materne appropriate per un bambino di un anno sarà del tutto inopportuno per un tredicenne; anche il ruolo materno deve cambiare per adattarsi alla realtà. Nelle famiglie disturbate, molti aspetti importanti della realtà vengono negati, e i ruoli restano rigidi. Quando nessuno può discutere quello che riguarda un singolo membro della famiglia o la famiglia nel suo insieme, quando questi discorsi sono proibiti implicitamente (se si cambia argomento) o esplicitamente (“Noi non parliamo di queste cose!”), si impara a non credere alle proprie percezioni e ai propri sentimenti” (da “Donne che amano troppo” di Robin Norwood). La famiglia sia luogo di “pathos”, sofferenza e passione, luogo di condivisione della sofferenza e della passione, di educazione alla sofferenza e alla passione, e non sia luogo patologico o patogeno. “Chi subisce il fascino di relazioni così dolorose, infatti, non si stima e non si piace: sono donne che a loro volta hanno avuto figure maschili di riferimento (padri, fratelli, compagni) fragili e anaffettivi, per cui pensano di non meritarsi amore e attenzione, ma solo questa crudele altalena di sentimenti. Lasciare un uomo così ambivalente è il primo passo verso una maggiore consapevolezza del proprio valore” (Maria Rita Parsi, psicologa e psicoterapeuta). Consapevolezza è avere contezza con altri di qualcosa: è questa la “coeducazione” sentimentale, prima, e sessuale, poi, di cui si ha bisogno in famiglia.

Non solo l’educazione emotivo-affettiva, sentimentale e sessuale, ma anche l’educazione economica e finanziaria è una delle responsabilità della famiglia. “Non si può dire che ci sia in assoluto un modo di pensare e di fare migliore dell’altro, in quanto anche l’educazione al denaro dipende dalle regole e dall’esempio che si danno in famiglia. Dal nostro punto di vista, è importante aiutare i bambini a comprendere il ciclo del denaro e del guadagno: questo significa, per esempio, educare i piccoli al fatto che, a fronte di un lavoretto che si fa a casa, si può ricevere un piccolo compenso; che, con la paghetta che si riceve, si può iniziare a risparmiare; che il risparmio può essere speso con modalità ben definite con i genitori” (Giovanna Boggio Robutti, esperta di educazione finanziaria e cittadinanza economica).

“I bambini sono degli artisti nell’approfittare di ogni occasione per essere felici” (lo scrittore svizzero Robert Walsen). “[…] il fanciullo per il pieno ed armonioso sviluppo della sua personalità deve crescere in un ambiente familiare, in un’atmosfera di felicità, amore e comprensione” (dal sesto capoverso del Preambolo). La felicità è inscritta nei bambini, infatti felicità ha la stessa radice “fe” di feto, figlio, fecondità e altre voci. Sono spesso gli adulti ad infelicitarli con i loro egoismi o con scelte esclusivamente personali, anche “fatte per il loro bene”. Bisogna capire e far capire che la felicità non è un obiettivo cui mirare, ma un’atmosfera da cui si è circondati, da cui ci si deve lasciar avvolgere e da cui deriva il benessere (e non il contrario). “Io ero un bambino abbastanza felice. Non avevo alcun motivo per abbandonare la casa dei miei genitori, con cui avevo un rapporto addirittura troppo buono per la mia età” (Simone Perotti, scrittore e navigatore). Crescendo non ci si ricorda delle singole cose ricevute, ma delle relazioni vissute e dell’atmosfera respirata.

“La gioventù possiede ali rivestite dalle piume della poesia e innervate dall’illusione, con le quali trasporta i giovani lontano, oltre le nubi. Là essi vedono il cosmo inondato dalla prismatica luce dell’arcobaleno e odono la vita intonare inni di gloria e maestà; ma ben presto quelle liriche ali vengono strappate dalle tempeste dell’esperienza ed essi precipitano nel mondo della realtà. Il mondo della realtà è uno specchio magico dove gli uomini si scoprono rimpiccioliti e deformi” (Kahlil Gibran in “Ali spezzate”). I giovani hanno diritto alla loro giovinezza e a tutto ciò che la caratterizza. Devono “crescere in un ambiente familiare, in un’atmosfera di felicità, amore e comprensione” (dal sesto capoverso del Preambolo) per affrontare la realtà che viene loro lasciata dagli adulti. Non si parli male dei giovani, ma si cerchi di parlare con loro.

Nell’autobiografico “Lettere di un padre alla figlia che si droga” il giornalista Luciano Doddoli, nella XV lettera indirizzata alla figlia Francesca, scrive: “[…] mio padre non mi dava quello che doveva dare, ma siccome io non potevo dirglielo e nemmeno pensarlo tutta la colpa era mia e io provavo vergogna dinanzi a mio padre. E poi: io non ti ho dato tutto quello che dovevo darti, ma poiché tu non potevi dirmi e neppure pensare che io ero il responsabile, tu ti vergogni di me. Oppure, tu non mi dai quello che mi devi dare ma io non posso dirlo e neppure pensarlo, perché forse voglio altre cose; allora la colpa è mia ed io non so neppure farti una carezza e mi vergogno di te. Infine: io non so darti quello che ti debbo dare (io non posso darti quello che ti debbo dare) e neppure tu. Io assumo le tue colpe e tu le mie. E non ci incontreremo mai”. La genitorialità e la famiglia sono innanzitutto “comunicazione”; la mancanza di comunicazione è una delle principali cause della disgregazione familiare. Comunicare dal latino “cum”, insieme, e “munus”, impegno. Facendosi carico insieme dei pesi della vita nasce quell’atmosfera di “comprensione” in cui deve crescere il fanciullo (dal sesto capoverso del Preambolo).

“«Come è possibile che l’amore, così tenero e affascinante nel suo nascere, messo alla prova diventi tirannico e crudele?». Con questa domanda Shakespeare – convinto della necessità di credere nell’amore e di allenarsi in quest’arte, per non passare dall’amore all’odio – ha sfidato i suoi lettori” (Valentino Salvoldi, teologo e scrittore). Sfida che bisognerebbe lanciare anche a quei genitori che si contendono i figli quando finisce l’amore nella coppia. Le sorti del sentimento dell’amore tra gli adulti non devono compromettere l’amore dovuto ai bambini. “[…] il fanciullo per il pieno ed armonioso sviluppo della sua personalità deve crescere in un ambiente familiare, in un’atmosfera di felicità, amore e comprensione” (dal sesto capoverso del Preambolo). Si noti che questo capoverso segue a quello sulla famiglia perché, anche se non si può garantire al bambino una famiglia intesa come nucleo familiare, gli si deve assicurare (da “sine cura”, senza affanno o preoccupazione) “l’ambiente familiare”.

“La scuola degli antichi Greci era assai diversa dalla nostra. Socrate parlava ai giovanetti dei misteri della vita, della psicologia (ante litteram), della filosofia. Lo faceva a piccoli gruppi di ragazzini seduti in circolo intorno al fuoco, dialogando. Quel che i giovani avrebbero dovuto affrontare non era forse la loro vita? Ciò che serve alla loro vita non è forse ciò che produce personalità, armonia, equilibrio?” (da “Il libro dei grandi contrari filosofici” di Oscar Brenifier). “[…] il pieno ed armonioso sviluppo della sua personalità” (dal sesto capoverso del Preambolo): ovunque si parla dello sviluppo della personalità del bambino (anche nelle sentenze che decidono soluzioni poco condivisibili per dirimere assurdi conflitti familiari che, di certo, non contribuiscono positivamente allo sviluppo della personalità del bambino), ma non se ne parla con lui. Per il pieno ed armonioso sviluppo della personalità del bambino bisognerebbe cominciare a parlarne con lui adottando il “circle time” (“tempo del cerchio”) innanzitutto in famiglia e non stando attorno ad un televisore o soli dinanzi ad un computer.

“Chi vuol essere amato bisogna che faccia vedere che ama. Chi sa di essere amato, ama, e chi è amato ottiene tutto, specialmente dai giovani” (don Giovanni Bosco, educatore). “[…] il fanciullo per il pieno ed armonioso sviluppo della sua personalità deve crescere in un ambiente familiare, in un’atmosfera di felicità, amore e comprensione” (dal sesto capoverso del Preambolo). Don Giovanni Bosco era solito parlare di amorevolezza nello stile educativo, che non è l’amore senza limiti o addirittura patogeno o patologico come quello che spesso si manifesta oggi, ma un linguaggio d’amore che rivela disponibilità e premura. Questo è “[…] assicurare al fanciullo la protezione e le cure necessarie al suo benessere” (art. 3 par. 2 Convenzione).

Significativi il titolo e il testo della canzone di Giorgio Gaber, “Non insegnate ai bambini”. I bambini non hanno bisogno di insegnamenti dal pulpito, ma di segni nella vita: “[…] il fanciullo per il pieno ed armonioso sviluppo della sua personalità deve crescere in un ambiente familiare, in un’atmosfera di felicità, amore e comprensione” (dal sesto capoverso del Preambolo) e “l’orientamento ed i consigli necessari all’esercizio dei diritti” (art. 5 Convenzione).

“Il problema non è la violenza dei ragazzi, ma lo spegnimento completo della loro capacità di combattere. A ben sapere, infatti, la violenza non è segno di forza, ma di debolezza” (il pedagogista Pino Pellegrino). “[…] occorre preparare appieno il fanciullo ad avere una vita individuale nella società, ed allevarlo nello spirito degli ideali proclamati nello Statuto delle Nazioni Unite e in particolare nello spirito di pace, di dignità, di tolleranza, di libertà, di eguaglianza e di solidarietà” (dal settimo capoverso del Preambolo). Il tutto comincia e continua con l’educazione, nelle sue varie forme di coeducazione, educazione permanente ed altre. L’educazione comincia a casa e dovrebbe continuare a casa senza le continue deleghe cui si assiste.

“Sono tanti i modi in cui la famiglia può educare ad essere se stessi, anche solo attraverso una normale vita quotidiana” (Giuseppe Savagnone, esperto di educazione). “Normale” è ciò che è “regolare”: le regole della vita di relazione familiare devono essere riconoscimento dell’altro, rispetto, reciprocità, responsabilità, ruoli ridefiniti. In tal modo la famiglia si assume pienamente le sue responsabilità all’interno della comunità (dal quinto capoverso del Preambolo) e prepara appieno il fanciullo ad avere una vita individuale nella società (dal settimo capoverso del Preambolo).

“E la Matematica? La Matematica potrà aver contribuito allo sviluppo del nostro ragionamento. La Storia potrà aver offerto occasioni di riflessione sul correre degli eventi. La Geografia avrà contribuito ai futuri piani delle vostre vacanze. Ma accanto a questo, stando all’esperienza diffusa, per poter avere un nostro posto nel mondo avremo dovuto assumere scampoli di buon senso e di esperienza dalle direzioni più disparate, senza che qualcuno si sia posto il problema di portarci a riflettere sulla nostra vita, sulla nostra dimensione umana, come se l’argomento fosse procrastinabile, di scarsa urgenza” (Simone Perotti, scrittore e navigatore). La vita deve essere la priorità e le materie (da “mater”, madre) scolastiche o discipline (da “discere”, imparare) dovrebbero essere finalizzate ad essa. Perché “[…] occorre preparare appieno il fanciullo ad avere una vita individuale nella società” (dal settimo capoverso del Preambolo) e “[…] preparare il fanciullo ad assumere le responsabilità della vita in una società libera” (dalla lettera d dell’art. 29 Convenzione).

“[…] bisogna riconoscere che nella società occidentale contemporanea l’umiltà non ha vita facile, perché deve confrontarsi con un principio che viene assolutizzato e ormai è una parola d’ordine, un imperativo incontestabile: l’autorealizzazione. Nella nostra società, pervasa di narcisismo, auto realizzarsi vuol dire costruirsi e farsi da sé, e godere di sé, delle proprie qualità, della propria riuscita, senza dipendere da nessuno, senza alcun legame schiavizzante. Questo principio, velenoso, rende tristi e infelici, e impedisce alle giovani generazioni di scoprire il senso di pienezza, di forza, di maturità e di serenità […]. Impedisce alle giovani generazioni di scoprire il senso di compiutezza, la bellezza e la felicità che c’è nell’affinare e spendere – a costo di sacrifici – le nostre qualità migliori per altri, affinché essi siano felici, compiuti” (la giornalista e scrittrice Cristina Uguccioni). È necessario e doveroso far capire ai bambini e ai ragazzi che si è come gli altri e con gli altri: allevare il fanciullo “in particolare nello spirito di pace, di dignità, di tolleranza, di libertà, di eguaglianza e di solidarietà” (dal settimo capoverso del Preambolo).

“I bambini sono i nostri messaggi vivi, inviati a un’epoca che non vedremo” (John W. Whitehead, giurista). Si inviano i messaggi nell’educazione, che non è diventata una sfida o un’emergenza ma lo è sempre stata: allevare il fanciullo “nello spirito degli ideali” (dal settimo capoverso del Preambolo). Trasmettere sani e duraturi ideali e non costruire vani e perituri idoli (a cominciare dai figli stessi): in tal modo si dà fiducia e futuro.

“Quando il bambino dimostra di aver compreso i limiti in determinate situazioni, va sempre rinforzato positivamente. Il rinforzo non si riferisce a una ricompensa materiale (per esempio dire “ti compro un gioco se fai il bravo”) ma a una ricompensa di tipo affettivo come un abbraccio, passare del tempo in più con il bambino per fare qualcosa che a lui piace, ecc. Le ricompense affettive aumentano l’autostima del bambino e rappresentano una fonte significativa di valorizzazione della sua persona” (Elisa Mazzola, psicologa e psicoterapeuta). Nel settimo capoverso del Preambolo e nell’art. 18 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia si dice “allevare il fanciullo”. “Allevare” significa “levare su, alzare verso”, e per questo servono anche i “rinforzi”, positivi o negativi.

“Tu mi hai dato più amore in dieci anni di quanto molti bambini ne ricevano in tutta la vita. È vero, non puoi più giocare a palla con me nei fine settimana, né portarmi fuori a colazione, né raccontarmi le tue storie o passarmi di nascosto qualche spicciolo. Ma io so che sei ancora con me. Sei nel mio cuore e nelle mie ossa. Sento la tua voce, dentro di me, che mi aiuta e mi guida nella vita. Quando non so che cosa fare, cerco di immaginare quello che mi consiglieresti tu. Sei ancora qui, a darmi consiglio e ad aiutarmi a capire le cose. So che qualunque cosa accada, ti vorrò sempre bene e ti ricorderò” (da un racconto di Bruno Ferrero, salesiano e scrittore). I padri siano padri e le madri consentano e li sostengano nell’esserlo. Non si rendano i bambini orfani di padri più di quanto non faccia la morte fisica. Paternità è protezione (quella più volte menzionata nella Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia sin dal Preambolo) ed è il senso ed il ricordo della paternità che devono avere i bambini. Così si trasmette pienamente e veramente loro la vita e si rispettano i loro diritti. Anche questo significa “incoraggiare la Cooperazione internazionale” (art. 45 Convenzione) a favore dell’infanzia e della vita!

Chi zavorra l’innovazione educativa?

Chi zavorra l’innovazione educativa?

di Enrico Maranzana

 

L’articolo di fondo del Corriere della Sera del 30 giugno, “Gli abusivi della cattedra”, stigmatizza l’operato della giustizia amministrativa che ha annullato la bocciatura di uno studente liceale con gravi carenze in tre materie. Lo scritto ha avuto numerosi commenti che, tranne in un caso, hanno condiviso la denuncia per l’indebita intromissione.

Quale distanza separa la cultura contemporanea dal mondo accademico e dall’ordinario sentire!

Quale distanza separa lo Stato di diritto dal sentire comune!

Non si osserva un elefante con il microscopio!

Per esplorare il campo in cui nasce il problema e per una sua corretta definizione è essenziale scegliere un adeguato livello d’osservazione.

 

Il legislatore, per dominare le dinamiche socio-culturali, ha finalizzato il sistema educativo alla promozione e al consolidamento delle capacità dei giovani, capacità che si manifestano sotto forma di competenze, generali e specifiche.

Un traguardo che la scuola unitariamente deve perseguire, armonizzando tutti gli insegnamenti: la conoscenza rappresenta il mezzo, lo strumento per far lievitare le qualità degli strumenti.

La conoscenza non è più il fine ma il mezzo per progettare  percorsi didattici.

 

La levata di scudi contro la sentenza del Tar del Lazio ha un significato clinico: la fissità; non si vuol abbandonare il tradizionale modello di scuola.

La giustizia amministrativa, invece, rappresenta un significativo contributo per l’ammodernamento dell’istituzione scolastica, un’occasione per supervisionarne l’ordinaria gestione. Un indirizzo che il Miur sta percorrendo – in rete: “Avrà successo l’impresa del ministro Giannini?”

 

“Sono ancora i professori ad avere la responsabilità pedagogica dell’insegnamento nelle nostre scuole?” è la domanda posta inizialmente dall’editoriale del corriere. Rimando in rete a “All’origine della dispersione scolastica” per saggiare la dimensione della questione posta.

 

Un nuovo management nelle scuole?

Un nuovo management nelle scuole?
Partire col piede giusto

di Domenico Sarracino

 

Le questioni che urgono nel nostro sistema scolastico sono diverse e si vanno sempre più aggrovigliando in un modo che non può non preoccupare. La direzione, la gestione e la responsabilità delle scuole – cioè il ruolo dirigenziale e quello del cosiddetto “middle management” – si pongono con una particolare evidenza, a seguito dei noti processi di dimensionamento, accorpamento e riorganizzazione che l’infausta stagione dei tagli lineari ha riversato sulle scuole negli ultimi anni. La complessità sia quantitativa che soprattutto qualitativa, che si è determinata, non è stata accompagnata da solidi e strutturati assetti e soluzioni organizzative di tipo nuovo, mentre la questione dell’articolazione della carriera docente – che a ciò si associa strettamente – è rimasta sullo sfondo, oggetto di un lungo ed irrisolto dibattito. E comunque è a tutti chiaro che così non si può continuare, che le mega scuole determinate dai nuovi parametri richiedono un ripensamento complessivo. Ben sapendo che entrambe – gestione del sistema e sviluppo della carriera docente – sono materie delicatissime, da maneggiare con estrema prudenza e senso della realtà effettiva delle scuole. Al Miur ci sono cantieri, tavoli e non so che altro; ed ora improvvisamente anche fretta, tanta: il che non può non impensierire chi conosce le scuole ed il danno che politiche ed interventi spesso improvvisati, poco soppesati, e privi dei necessari supporti hanno determinato, creando un diffuso scetticismo e diffidenza. Fa bene perciò chi segnala il timore, molto diffuso, di modelli organizzativi calati dall’alto, che- come è spesso capitato- sono apparsi o sono stati cartacei, farraginosi e inadatti al fine. E’necessario lavorare con molta prudenza – e spendendo il tempo che occorre – a creare modelli che evidenzino il maggiore impegno quantitativo e qualitativo, e fare in modo che siano costruiti a partire dalle esperienze e dalle diversificate esigenze di funzionamento che presentano le istituzioni scolastiche. Guai, ad esempio, a non tenere bene in conto il rischio che si possano creare nelle scuole altre tensioni e malumori ( e temo anche contrapposizioni) che si aggiungono a quelli, non pochi, già esistenti e dovuti alla scarsità di fondi, alla situazione contrattuale, all’incertezza dei diritti-doveri, alle crescenti incomprensioni con le famiglie, alla conflittualità che si va diffondendo, alle condizioni dei docenti precari , alla necessità di affinare e personalizzare la didattica in condizioni lavorative che restano immutate o addirittura peggiorano…

 

I segnali da dare

Credo perciò che un nuovo modello di organizzazione e funzionamento delle scuole – che è cosa necessaria – possa veramente decollare e non impantanarsi se avviene considerando adeguatamente le concrete situazioni già sperimentate in questo campo, coinvolgendo gli interessati, e in un quadro di politiche scolastiche che diano evidenti segnali di una nuova e coerente attenzione al mondo della scuola. Evitando insomma che da un lato si ricada in proclami di avveniristiche innovazioni e astratte ingegnerie organizzative, e dall’altro, subito dopo, arrivino contrordini, marce indietro, tagli negli organici, nelle risorse, nel funzionamento, ecc. Insomma è necessario che innanzitutto si manifesti e si percepisca l’intenzione di voler aprire una fase nuova: a partire dal riconoscimento di tutto il lavoro docente, dal rinnovo dei contratti, dal mantenimento degli impegni presi, dalla serietà del reclutamento, dall’incentivazione alla buona formazione, dalla qualità delle strutture e dei servizi.

Le attenzioni da sviluppare sono perciò diverse e complesse. Provo a segnalarne qualcuna a chi dovrà provvedere a mettere a punto proposte complete e ben strutturate che investono aspetti giuridico-contrattuali,   profili professionali, assetti organizzativi e gestionali, criteri e procedure di reclutamento, trasparenza ed imparzialità.

Le istituzioni scolastiche sono comunità educative

E’ necessario più di ogni altra cosa, che questi modelli non siano mediati da altri mondi – che rispondono a finalità, logiche e realtà organizzative proprie – ma scaturiscano dalle peculiari finalità e funzioni proprie delle scuole, non a caso definite anche comunità scolastiche. In quest’ottica il tema del disegno di una diversa leadership e/o management nelle scuole ( che preferirei chiamare di guida e di propulsione) implica anche – e non mi pare che sia stato ancora richiamato- il ripensamento del ruolo del dirigente. Si tratta di mettere in campo forme di guida più articolate e diffuse, ma anche responsabilizzanti , che da un lato siano in grado di essere più vicine ai processi didattici, all’organizzazione curricolare, alle complessità territoriali, alle articolazioni degli indirizzi di studio, all’interazione con alunni, genitori e Istituzioni, e dall’altro siano capaci di evitare i rischi di disarmonie e/o di smarrimento del carattere unitario che il progetto educativo delle scuole deve necessariamente mantenere.

Di una peculiare importanza è il tema delle modalità di reclutamento delle nuove figure di sistema: bisogna evitare la corsa a certificazioni, titoli, attestati ed al “mercato” che su questa materia sta sempre dietro l’angolo. Bisogna che sia chiaro che la nuova carriera dovrebbe essere legata ad un maggiore impegno, evitando che chi non intraprende questa strada si senta meno coinvolto, deresponsabilizzato o di minor valore: insomma che non si tratta di premiare o punire ma di riconoscere compiti e funzioni diversi, il cui accesso è aperto a tutti quelli che vogliono provarci. Preoccupazione condivisibile è quella che riguarda l’ individuazione delle nuove figure di sistema: chi deve scegliere, con quali procedure e garanzie, e sulla base di che cosa. A me pare evidente che, da un lato, chi ha l’onere della responsabilità complessiva di un’istituzione scolastica debba avere anche la possibilità di determinarne la sua organizzazione e funzionamento, e dall’altro che    siano previsti contrappesi (altre figure, esperti, organismi), in modo da garantire ai docenti imparzialità, trasparenza ed equilibrio. Ma, affinchè ciò possa davvero funzionare è necessario avere cura di determinare un quadro di reale responsabilità, diverso dalle pastoie attuali,   in primo luogo del dirigente, ma anche di chi con lui viene a condividere la conduzione delle scuole.

La riflessione che manca

Chiedevo prudenza e conoscenza dello stato delle cose anche perché a me pare che sia mancata finora una vera ed analitica riflessione sulle figure di sistema così come sono state sperimentate: si è frettolosamente preso atto della loro inadeguatezza, non sono stati considerati i chiaroscuri che pure ci sono stati, e si è subito girato pagina come purtroppo frequentemente avviene. Sarebbe necessario, invece, sottoporre ad uno sguardo riflessivo e ravvicinato tutta la filiera che ha caratterizzato l’esperienza di queste nuove figure: finalità e compiti previsti, risultati e buone pratiche, modalità di individuazione, tipologie di compiti affidati, difficoltà oggettive e/o soggettive, tempi e situazioni per operare. Cito ad esempio, richiamando l’esperienza concreta, che una delle difficoltà sta anche nei tempi da dedicare al compito che non sono solo quelli del lavoro preparatorio, ma anche quelli di espletamento che spesso coincidono con l’orario di insegnamento ora del docente figura di sistema ora degli altri docenti; e che tale difficoltà non si risolve neppure utilizzando sempre il giorno libero settimanale, soprattutto se capita di sabato , per difficoltà nei contatti soprattutto con altri enti, Istituzioni, associazioni, ecc. Insomma, riflettendo su questo esempio, si ricava già una prima indicazione: bisogna prevedere nell’ambito dell’orario di servizio un tempo specifico da destinare al nuovo compito, agendo o sulla riduzione delle ore di insegnamento o sull’ aumento complessivo dell’orario di lavoro settimanale complessivo. E così di seguito altre importanti indicazioni potrebbero venire dalla riflessione critica sui criteri e modalità di scelta che i collegi docenti hanno considerato nel definire i profili professionali delle figure di sistema, sulle esperienze realizzate, sulle situazioni in cui hanno funzionato ed in quelle in cui si sono ingolfate, sul ruolo che intorno ad esse ha saputo giocare il Ds, sulle differenti esigenze presentate nelle aree di intervento, tra quella didattico-progettuale e quella organizzativa e gestionale.

Bisogna produrre idee chiare, essere disposti a confrontarle con la realtà e a sperimentarle, conquistarsi la credibilità, rendere evidente che non esistono preclusioni a priori, che non si vuole dividere né classificare, ma determinare nuovi compiti e carichi di lavoro , che siano per questo remunerati e capaci di aprire l’accesso a ruoli e carriere diverse, permettendo a chi vuole, ed è disposto a fare di più o diversamente, di poterlo fare.

Insomma l’impresa va tentata, ma occorre che sia pensata da dentro le scuole, nel quadro di un vero rinnovamento, di una valorizzazione del ruolo delle scuole e dei suoi operatori, delle risorse che occorrono e di chiari assetti normativi e giuridico-contrattuali.