Archivi categoria: Psicologia

A. Damasio, Il sé viene dalla mente

Il mio, il tuo, il suo sè

di Adriana Rumbolo

E’ arrivato con il corriere il libro di Damasio “Il SE’ VIENE ALLA MENTE” Ho letto le prime pagine correndo nel passato, ritornando in pochi minuti , indietro di anni Il ricordo nitido dei risvegli. infantili quando aprivo gli occhi sempre con entusiasmo per quello , che mi aspettava e che la miriade di contenuti presenti nella mia mente, a prescindere dal loro ordine o dalla loro intensità fossero connessi a me, il proprietario della mente, attraverso lacci invisibili che li univano in quella festa mobile proiettata in avanti che chiamiamo “sè” ; e non meno importante, il fatto che quella connessione fosse sentita. Vi era, nell’esperienza del mio sè connesso, la qualità di ciò che è sentito Il risveglio ha implicato che la mia mente, dopo la sua temporanea assenza,tornasse a presentarsi con me dentro, e che entrambi, la proprietà (la mente) e il proprietario (me) venissero rintracciati. Il risveglio mi ha consentito di riemergere e di esaminare i miei possedimenti mentali, la proiezione a tutto cielo di un film magico, in parte documentario e in parte fiction, atrimenti noto come” mente umana cosciente”.(A.Damasio”Il sè viene dalla mente”pag.14). Mi sono commossa al ricordo, a ogni risveglio, di quello stato di benessere così naturale, spontaneo ,ma anche indifeso nel bambino tanto da doversi nascondere, per sopravvivere, nell’inconscio più remoto. Riappariva silenzioso quando la natura lo tutelava o il contenuto di un libro lo rassicurava o una vecchia mano gli prendeva la sua sentendola. Al posto di quel “sè” contratto, tanti dogmi, pregiudizi, forzature inutili, immobilismo apparente mentre per fortuna il vero “sè” continuava a registrare e sentire tutto per restituirlo, appena possibile e se possibile. Ecco quali danni,” l’educazione” quando nega il sentire, può fare Davanti al”sè momentaneamente assente.” strade tortuose ,infruttuose e in salita ma la possibilità ,a volte, affidata alla sua vitalità di base di riemergere e tornare con entusiasmo al risveglio. dott.ssa Adriana Rumbolo

Sulla epistemologia genetica di Jean Piaget

“Nota essenziale sulla epistemologia genetica e sulla potenziale psicopedagogia clinica di Jean Piaget”

di Gianfranco Purpi

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…Io ho mi sono cimentato in studi approfonditi e soprattutto appassionati su tutta la produzione,le ricerche e il pensiero di Jean Piaget,…che promanano antropologicamente…( e in quanto a concetto teoretico generativo di fondamento filosofico delle sue ricerche di psicologia dell’età evolutiva!),…dallo “slancio vitale divinizzante contingentista/possibilistico (…ma anche provvidenzialistico e pascaliano) di Henry Bergson …e dallo strutturalismo bio/neuro/fisiologico e psico/apprenditivo/epistemico di Chomsky!

… Così,sembra indubbio scientificamente che,lo stesso Jean Piaget,…approdi sempre pervasivamente verso la costruzione di un contributo originale configurante una sua peculiare “‘epistemologia genetica” di indagine e di anamnesi clinico/diagnostiche da integrare e funzionalizzare sempre in prospettiva transdisciplinare/interdiscinare e nomotetico/idiografica con tutte le diverse scienze umane che sono sempre,nello stesso tempo e per lo stesso motivo,…”scienze pedagogiche”… di una filosofia in quanto filosofia/metodologia criticistica sempre fondata sulla “paideia” dell’educazione scolarizzata….da personalismo/critico/cristianizzante/storicistico…

…Così,…dobbiamo mettere a fuoco bene i rapporti interdisciplinari/transdisciplinari e le intersecanti dialettiche di formulazione teorico/prassica e analitico/sintetica,…tra J. Piaget e i diversi filoni della psicopedagogia dello strutturalismo didattico/antropologico di J.Bruner,della prospettiva comportamentista di Skinner,degli autori del Mastery Learning (Bloom,Blook; ecc.),dei teorici degli orientamenti della “non/direttività”(K.Rogers,ecc.),… e della “psicologia umanistica” (Maslov,ecc.),ancorchè della prospettiva psicanalitica d’intendere e presuppore intepretativamente le variabili soggettive ed oggettive della psicanalisi pedagogicizzante (da Freud e Jung a Brenner e Blanco) ;..ancorché…gli orizzonti fi pedagogia della destrutturazione didattica …e della “descolarizzazione” di Illhic…

…A Piaget …non si è “opposto” mai nessuno,…ma tutti hanno teorizzato,riconosciuto e acclarato la consapevolezza che lo stesso ginevrino si pone come generativo “epistemologo della conoscenza e ricercatore descrittivo”… di psicologia dell’età evolutiva (…e quindi quale teorico dell’apprendimento umano in orizzonte di descrittività situazionale e di docimologia cibernetica/semiologica/sistemica delle diverse variabili psicosociali di analisi dell’insegnamento e di analisi dell’apprendimento)……Tutti tali indirizzi,prospettive,autori e orientamenti di psicopedagogia e quindi di psicodidattica e progettualità di funzione docente (a livello di didassi e di metodologia didattica o di didattica della metodologia…) …hanno riconosciuto sempre la necessità di fondarsi sulle premesse descrittive ed epistemologiche (e di filosofia dell’educazione e di pedagogia sperimentalizzante!) …messe in luce e descritte dalla ricerca piagettiana per evolverne e strutturarne a compimento produttivo/elaborativo … le diverse potenziali implicanze di quest’ultima (…in chiave di “teoria dell’istruzione”, di “meta/razionalizzazione curricolare” delle diverse variabili d’insegnamento/apprendimento di programmazione operativa,… e quindi di teorizzazioni sistemiche,cibernetiche e semiologiche dell’analisi e della progettazione della relazione didattico/educativa in quanto progettualità delle diverse funzioni dell’insegnamento/istruzione e di apprendimento/motivazione/interesse/formazione, …entro le coordinate di logica pedagogica normativa e prescrittiva…sempre da rinvenire inconfutabilmente sul solco dewejano ed entro la logica neocriticistica delle più attuali razionalizzazioni scientifico/sperimentali!)…

…Si pensi,infatti, che il testo più rilevante,in questo senso, di Jerome Bruner , è stato e sarà sempre:”Verso una teoria dell’istruzione” (Armando Ed. , Roma ) …,laddove,per questo, si definiscono e si fissano esplicitamente le peculiarità,le pregnanze e le differenziazioni fondamentali…tra “educazione casualistica ambientale” (… in quanto mera contingentistica socializzazione/acculturazione ambientale , … anche attraverso le “agenzie educative parallele alla scuola e relative ai flussi dei mass/media o della veicolazione informatica”) ; …e le prerogative genetico/generative funzionalistiche di ogni modello etico/sociale ,antropologico e di civiltà della società civile/politica…che non può non scaturire dall’ “educazione pedagogica peculiare dei soli istituti scolastici assiomaticamente intesi” (quindi,per questo, in quanto oggettualità di “Pedagogia sistemica della scuola” , …figlia di una “metateoria culturale” della funzione docente e dell’apprendimento/formazione,…sempre anticipata e strutturalistica (Bruner), individualizzata/personalizzata (Autori del Mastery Learning),accelerata (Skinner),intenzionalizzata/sistemica(autori della psicopedagogia olodinamica di Renzo Titone e della “psicologia umanistica” di Maslow e del personalismo cristiano/critico maritainiano/mouneriano), “non direttiva” (Rogers, Zavalloni,ecc), intenzionalizzata/arte- fatta e teleologico/assiologica,ecc. .

…Comunque ,i diversi contenuti e le diverse prospettive di legittimazione teoretica fondante, di studio scientifico produttivo e di sperimentazione psicopedagogica e didattica , …esplicitate e/o proiettate in frammentazione prospettica da Jean Piaget …al panorama della più recente ricerca psicopedagogica, di filosofia dell’educazione pedagogica , di Teoria della scuola, di Teoria dell’apprendimento/insegnamento , …e ,soprattutto,…di “epistemologia genetica”;…si possono rinvenire sistemicamente e didascalicamente compendiati nella complessa/valoriale contestuale opera di Guido Petter (si veda , in particolare, Guido Petter:Lo sviluppo mentale nelle ricerche di Jean Piaget, Edizione Giunti, 1990) , ma anche di Evandro Agazzi, dello stesso Piaget , di Furth e Whacs , di Aebli, di Hill, di Clotilde Pontecorvo, di Fabrizio Ravaglioli , di Cesare Scurati,di Elio Damiano,di Mario Mencarelli,di Mario Manno e di Margaret Mead tanto (…per citare alcuni dei molteplici “piagettiani”!)….

 

Inidoneità dei docenti

Inidoneità dei docenti: le patologie che la determinano

di Vittorio Lodolo D’Oria

Quali sono le “patologie professionali” degli insegnanti? Si tratta unicamente delle “disfonie” causate dalle laringiti croniche riconosciute anche nelle cause di servizio? Oppure vi sono forse altre malattie, magari più frequenti ma sconosciute?
Questo è l’interrogativo cui ha cercato di rispondere il presente studio – svolto con la collaborazione del Conbs – che ha esaminato le diagnosi formulate dai Collegi Medici per determinare l’inidoneità all’insegnamento per motivi di salute.

Lo studio dimostra che l’inidoneità degli insegnanti è causata da patologie psichiatriche in oltre il 60% dei casi (il 70% delle quali appartengono all’area ansioso-depressiva), mentre le “disfonie” sono appena il 13% (5 volte di meno). Ne consegue che debbono essere ritenute patologie professionali dei docenti anche e soprattutto le patologie psichiatriche, per poi muoversi di conseguenza con piani di prevenzione e cura nel rispetto del dettato normativo sulla tutela della salute dei lavoratori (art.27 D.L. 81/08).

Il problema, comune ad altre nazioni dove viene però affrontato con risolutezza, vede un Governo italiano distratto, che non attua studi epidemiologici su base nazionale, non valuta la salute della categoria professionale prima di licenziare le riforme previdenziali, ma al contrario penalizza i docenti (l’82% di questi sono donne) che si ammalano (decreto Brunetta, abolizione della causa di servizio, spending review).

L’ansia è una paura irrisolta?

L’ansia è una paura irrisolta?

di Adriana Rumbolo

La paura “sociale” primeggia  nei  nostri cervelli  ha scritto uno studente di quindici anni e la sua definizione, così precisa e di sintesi,  mi lasciò senza parole: era la verità Causa  di  disturbi comportamentali, scolastici, relazionali, psicosomatici,    la paura sociale(paura di non essere all’altezza delle aspettative degli altri, paura di non potere dire la propria opinione o di non potersi ribellare a qualcosa o a qualcuno, paura di non essere accettato per  come sei e tante altre…) originata da un trauma o da messaggi minacciosi e continui di una o più persone ,   copre di ombre sempre più spesse la psiche  del soggetto  per cui i messaggi del disagio saranno   più gravi   e  incomprensibili  . Difficoltà scolastiche ,    rinunce frettolose  o  esplosioni di aggressività, sempre la paura “sociale” all’origine. Perché questa paura  è tanto  potente e c’è seria   difficoltà  ad   identificarla ed accettarla?Forse perché blocca la crescita psicologica  trasformandola  in “adattamento passivo”   con  contrazione emotiva -cognitiva-corporea.  Il soggetto   smarrisce il diritto alla parola, non fa esperienza dei  suoi meccanismi difensivi,  non sa disporre di  sè,  perché non gode più  dell’equilibrio   emotivo , cognitivo, corporeo che la natura gli ha dato come guida nell’interazione ambientale e i suoi  conseguenzali   insuccessi  si nutriranno  di   sensi di colpa,Potrebbe avere una qualità di vita relazionale e di lavoro  veramente disastrosa!   .A questi bambini  non rimane che mettere a disposizione degli altri tutte le loro potenzialità non sapendo  più   goderne loro . La soluzione potrebbe essere :capire e vincere questa  paura e sdoganare la propria autonomia .  .Peccato che, perché questo possa avvenire   ci vuole  tempo, tanto tempo, a volte una vita .. .Un ragazzo  di  dodici anni  ha detto:”la paura sociale  è una scultura senza  materia”.    Inoltre genera ansia e contagia  tutto il sistema emotivo,  il cervello e il corpo. Se abbiamo una paura reale l’ansia generata  si chiamerà prudenza e sarà positiva  ma se  la paura è sociale  l’ansia  piano,piano avrà due caratteristiche:la presenza costante  molto sgradevole di  un’attesa incombente negativa , gravi disturbi alimentari,  sessuali-affettivi, del sonno,  crisi di panico e tanti , tanti altri… L’antidoto potrebbe essere come si è scritto recuperare e rafforzare  l’autostima . Spesso la paura-sociale nasce  in famiglia nei primi anni di vita perché proprio in  quegli anni si stabiliscono le prime e più importanti relazioni emotive –affettive cognitive  La scuola potrebbe  fare qualcosa?Forse, si  .Il bambino nella scuola   trova  una “famiglia”nuova,  più grande    con  più relazioni (cervello sociale ),l’insegnante  una nuova  figura adulta  di riferimento, la possibilità di  esprimersi, realizzarsi   in varie attività  in cui  una sana competizione potrebbe   aiutare l’autostima,  sfruttando l’interdipendenza  cognitiva – emotiva .L’insegnante  figura centrale è il capogruppo da cui potrebbe dipendere in gran parte la qualità dei rapporti sociali fra i bambini , essere ben conscia che una sua lode come un suo parere negativo lavorano costantemente  sull’autostima del ragazzo,Mantenere il suo prestigio, non penalizzando il dialogo  .Educare   le  emozioni perché uno degli scopi fondamentali dell’educazione è interporre una tappa valutativa, non automatica fra oggetti causativi e risposte emozionali.. Ricordarsi l’unione mente-corpo permettendo alla classe di  potersi muovere spesso , anche in silenzio. Non  trascurare la creatività e  quando  insegna  matematica o  grammatica dovrebbe adattare le regole a un percorso  già presente nel cervello: “ il percorso della logica” . Sto pensando alla mia prima esperienza d’insegnante. Ero veramente molto giovane  e nella scuola dove insegnava una delle mie sorelle erano ad anno inoltrato rimasti senza l’insegnante di matematica .L’incarico fu proposto a me. Fatti due calcoli accettai .Arrivata a scuola con i miei soliti mocassini ,la gonna di tweed e un golfino,ma consapevole del mio ruolo: per la prima volta entravo in una classe non da allieva. Mentre mi aspettavano, il preside per tenerli tranquilli,  gli aveva assegnato un compito. All’inizio mi guardavano incuriositi, poi dopo il primo impatto uno studente  si alzò, si avvicinò alla cattedra e mi chiese un chiarimento sul compito .Non sapevo la riposta ,ma fortunatamente ebbi un’idea(non avevo molta scelta e neppure molto tempo),chiesi ai ragazzi ,per favore ,un attimo di attenzione e dissi;”Ragazzi  ,se nel compito avete dei dubbi ,non preoccupatevi,andate avanti e fate come potete .Io poi prenderò i vostri fogli, nel pomeriggio li guarderò così potrò vedere a che punto siete e quali  temi sarà opportuno rispiegare .Forse ,nel passato,  qualcuno aveva parlato così anche a me. Colmai velocemente le mie lacune,ma soprattutto  riuscii  ad entrare in un’ empatia così profonda  con i ragazzi che le mie spiegazioni o esercitazioni  essendo  nel  rispetto della naturale  logica del cervello  non trovavano barriere difensive  per cui i ragazzi potevano dare il meglio di sé con  soddisfazione e divertimento .L’autostima cresceva e la sua crescita beneficiava tutta la personalità dello studente L’incontro natura e cultura  non può essere penalizzato  da barriere inutili e resistenti,   spesso figlie della paura sociale.

Emozione e ragione

Emozione e ragione non si mescolano più di olio e acqua…

di Adriana Rumbolo

Scrive Damasio nella sua introduzione all'”Errore di Cartesio”: “Sin da giovane ero stato avvertito che le decisioni solide scaturiscono da una mente fredda, e che emozioni e ragione non si mescolano  di  più che olio e acqua.

Così ero cresciuto nella consuetudine di pensare che i meccanismi della ragione fossero disposti in una provincia separata della nostra mente, nella quale non doveva consentirsi alle emozioni di penetrare”

Ora , finalmente,  le neuroscienze  hanno tecnologie per immagini che permettono ai neuroscienziati di entrare nel cervello umano e mostrare , in un cervello vivente la ricostruzione di quel cervello

E’ quindi ancora più sorprendente e nuovo la dimostrazione che l’assenza di emozione  e sentimento  sia non meno dannosa, non meno capace di compromettere la razionalità.

Certi aspetti  del processo dell’emozione e del sentimento sono indispensabili per la razionalità..

Ma, la vecchia  consuetudine,  di fronte a queste scoperte accenna solo a qualche scricchiolio di cambiamento.

Di  fronte   alla resistenza al cambiamento ho pensato che se la scienza ha bisogno  di prove, di risultati,  avrei tentato di ottenerne  qualcuno .nel percorso educativo delle emozioni.

Ho preparato  un programma per studenti di 14/ 16 anni in scuole pubbliche finalizzato alla conoscenza del cervello in particolare. di quello emotivo e  all’unione mente ,cervello ,corpo.

Se   dalla conoscenza e gestione  delle emozioni ,si fossero manifestati nei ragazzi, chiaramente , miglioramenti nell’apprendimento, nel comportamento potevamo ribadire  senza ombra di dubbio che  emozione e cognizione sono processi mentali distinti , ma interagenti,mediati da sistemi cerebrali  parimenti distinti ma, interagenti che si influenzano e si arricchiscono reciprocamente.

Stando alla lettura in materia,poi,  sembra che senza emozione non ci sia adeguata elaborazione delle cose apprese nè , forse, apprendimento(Boncinelli E,2000).

Nel  mio  programma  scrivevo già dell’importanza della plasticità del cervello,delle emozioni e della  vita relazionale , ma eravamo nel 96/97 e questi temi non erano ancora stati  sufficientemente divulgati. per essere ben compresi e così “è la solita psicologia” è stato il mio salvacondotto per entrare nel mondo blindato della scuola.

Devo ringraziare quegli insegnanti che mi hanno aperto la porta delle loro classi ospitandomi  e  condividendo il programma.

L’incontro con i ragazzi  è avvenuto in un clima di grande serenità.

Subito sono entrata nell’argomento.

Ero lì per fornire informazioni sul cervello(la sua storia , le emozioni ,l’unione mente-corpo etc…) e quanto

alla luce di   queste informazioni , con esempi di vita quotidiana, loro  potevano  modificare  ,con   risultati migliori  nella vita relazionale. affettiva e di lavoro

Il  programma   poi  riconosceva  a ognuno il diritto di  dialogo e di  elaborare le nuove informazioni con tempi e modi emotivi propri .

.Finalmente non avevano intermediari giudici  nel  conoscersi e nell’interpretare il proprio sentire.

Era stato messo in silenzio il coro eterogeneo dei  vari giudizi critici (padre, madre, insegnanti, allenatori sportivi, compagni superficiali)molto diversi l’uno dagli altri per cui la voce del ragazzo,  si perdeva.

Dopo circa un quarto d’ora che parlavo, molte mani alzate segnalavano che il mio messaggio era stato recepito e si stava accendendo  un  dialogo intenso, vivace che spaziava libero nella conoscenza e  mi orientava nel percorso di un’esperienza  in ,quel momento, forse,  unica in Italia

Si è finiti così, nel bel mezzo di una rivoluzione, in cui i confini  fra materie rigidamente scolastiche e la moda, la musica ,lo sport, l’arte, il trucco,tanti aspetti sociali si sono disciolti per fare posto alla più vasta interdisciplinarietà  unita proprio dalle emozioni.

Io ero preparata sull’argomento e ricordavo bene i miei 15 anni  ma,loro li avevano ora i  15 anni e  dialogare con loro era per me estremamente utile.

A  quell’età  poi la conoscenza e la gestione dell’emozioni li aiutava a una migliore percezione  del corpo che spesso proprio nell’adolescenza si rifugia  in una rigidità difensiva molto pericolosa per l’equilibrio psicologico.

Per finire mi riallaccio a  Damasio per ribadire  il legame forte e permanente tra le zone del  cervello che regolano il corpo e il  corpo stesso.

Resta l’amarezza che  anche dopo scoperte  tanto importanti e    un’esperienza così significativa proprio nella  scuola si  continua a privilegiare la cognizione e non ci  si rende conto che per  sostenere tutta la tecnologia  che avanza a ritmo vertiginoso,  la conoscenza  e la  gestione corretta  delle  emozioni  è  ancora più necessaria.

 

Attacchi di panico o ”sindrome di pinocchio”?

Attacchi di panico o ”sindrome di pinocchio”?

di Adriana Rumbolo

Perché non chiamare l’attacco di panico, sindrome di Pinocchio?
Il burattino è imprigionato nel proprio corpo di legno, rigido.

Non può avere conoscenza e coscienza di quel corpo tanto da organizzarlo e usufruire dei suoi mezzi, e forse per questo passa da una sventura all’altra.

Così un soggetto con il corpo ingabbiato e irrigidito da paure e insicurezze di fronte anche a piccoli problemi quotidiani, non godendo della coscienza e della conoscenza del proprio corpo, verrà sopraffatto dai sintomi allo sbando di molte funzioni fisiologiche e neurologiche coinvolte nella sofferenza corporea e percepirà l’angoscia di una fine imminente.

Per fortuna che l’attacco di panico è reversibile e non lascia danni fisici: resta il percorso in salita alla ricerca di chi e che cosa abbia bloccato quel corpo con massicci messaggi di paure e disistime.

Una volta liberato il corpo, si ristabilirà la fortissima associazione tra la regolazione del corpo all’interno del cervello e il corpo stesso.

Addio, attacchi di panico!

G. Manganelli, Pinocchio: un libro parallelo

Gentile Lietta Manganelli,

ho  letto per la prima volta, Pinocchio: un libro parallelo.

Suo padre scrive che in ogni  libro ci sono tanti libri, infiniti  libri; sto pensando che anche in una lettera ci potrebbero essere infiniti messaggi

Non  riuscirò  a  trasmetterglieli  tutti, ma  qualcuno  forse, si

Il libro di suo padre pagina dopo pagina mi ha stupita, mi ha tenuta in attesa, mi ha coinvolta, mi ha fatto riflettere e alla fine mi ha lasciata la voglia di rileggerlo sicura di  provare nuove  emozioni  e trovare risposte inattese.

Nel libro di suo  padre:l’onestà di essere chiaro, di andare fino in fondo,senza perdere il rispetto o il pudore dell’argomento o delle parole.

Gioca con  le parole con amore  perché costruiscono il filo che passando di riga in riga  permette  alle emozioni  più o meno imbrigliate di raccontarsi. ché  senza racconto non possono esistere

Il racconto  ripercorre la nascita,  l’infanzia e la crescita di un burattino-bambino,  le tre  metamorfosi  della vita che si ripeteranno all’infinito:nascita, infanzia , crescita ;nascita,  infanzia crescita e le conseguenze  quando  quelle intense metamorfosi. sono socialmente troppo faticose.

Usa giustamente con ironia il termine pedagogo.

Pedagogo,  non è brutta come parola ,si avvale  di un’etimologia a noi cara. finchè   non le si da un significato misterioso, enorme, giudicante ,come psicologia  psicoanalisi.

In lui ho sentito  grande attenzione  all’infanzia per quanti pericoli può non incontrare, ma subire  quando gli negano la sua logica difensiva , la sua ingenuità  e la punizione sempre dietro l’angolo.

Nella famiglia o  strano nucleo familiare del burattino una lente d’ingrandimento per  capire, senza fare sconti

Ho trovato nell’opera di suo padre un libro  dove c’è una ricerca introspettiva  continua che può raccontare solo chi, ha straordinaria   padronanza linguistica ,ricchezza di vocaboli e necessità personale di una comunicazione chiara.

Suo  padre scende alla ricerca delle verità più nascoste dell’io, partendo dal quotidiano senza passare  dalla via degli intellettualismi;anch’io che mi occupo del percorso di crescita la chiamo “psicologia neorealista”.

Poi la raffinatezza letteraria, poetica e la dissacrazione che a volte è necessaria per capire , e per capirsi .

E’  un libro filosofico, sociologico, esistenziale.,unico e necessario.

Ora le dico ,e spero di dirlo bene che la lettura  di  quest’opera  è stata per me una graditissima  sorpresa,  ma mi ha lasciato  un profondo rammarico  perché  non campeggia nei libri di scuola. nella facoltà di psicologia e  non viene usato nei monologhi teatrali.

E soprattutto   non è obbligatorio  sul tavolo o sul comodino degli insegnanti.

E’ stato il giornalista Marco Minghetti   ,che non conosco personalmente,   a segnalarmelo attraverso facebook.

E per concludere :Dio salvi se ce ne fossero i G. Manganelli , perché il  mondo ha bisogno di loro.

Cordialmente, Adriana Rumbolo

Neuroscienze affettive, emotive e cognitive

Neuroscienze  affettive, emotive e cognitive

di Adriana Rumbolo

 

Un gruppo di ragazzini 8/9 anni cammina in una strada di campagna,  con decisione, verso un boschetto.

E’ primavera e nei giorni  scorsi è piovuto.

Davanti a  un fosso che i ragazzi sono abituati a superare con un salto, quel giorno si fermano: in fondo al fosso è rimasta acqua della pioggia e se il salto non riuscisse bene , finirci dentro  non presenterebbe pericolo di vita, ma sporcare, forse irrimediabilmente scarpe e calzettoni, si..

Un danno che i genitori non avrebbero capito.

E  allora, un’alternativa.

Rapidamente  uno  del  gruppo , leader momentaneo, perché   gli è venuta per primo un’idea,   spiega:  bisogna trovare un  legno abbastanza lungo e grosso  per conficcarlo nella sponda opposta del fosso e facendo leva saltarlo, senza pericolo di finirci dentro.

Loro sono abituati a saltare in lungo,  in alto,  gli ostacoli ma questa è un’esperienza nuova e tutti s’impegnano.

Si organizzano e piano, piano chi meglio e chi peggio ci riescono.

L’idea nata dalla continua esperienza dell’apprendimento quotidiano, dalla  fiducia percepita e radicata nel proprio corpo, in un intensa vita dinamica, unite all’euforia di un’esperienza nuova , e l’orgoglio dell’esibizione davanti ai compagni e la paura incombente dei genitori  di fronte a un danno fisico o all’abbigliamento,  dà un chiaro messaggio che, in una manciata di minuti, corpo,  emozioni , cognizioni, interagiscono sapientemente per realizzare l’obiettivo.

Il bambino percepisce  quest’ equilibrio,  guida nell’interazione con l’ambiente e non si chiederebbe il perché: c’è.

Sente invece un forte malessere se qualcosa  o qualcuno  disturba quest’equilibrio incasellando le sue potenzialità, la sua fantasia i suoi sogni, il suo corpo, facendolo sentire  insicuro e minacciato pronto solo a una difesa scomposta come un animale in gabbia.

Credo sarebbe inutile in quelle condizioni mostrargli i cartelli delle domande mirate

come: cosa fai, cosa ti aspetti, cosa eviti, da cosa ti  difendi?

Apriamo, se riusciamo, la gabbia  per offrire rispetto, silenziosità sorriso e spesso un soggetto farà come gli animali che rilasciati dopo una breve cattività, a fin di bene (a scopo curativo), hanno un attimo  di smarrimento e recuperato  tutto il proprio sé s’ inoltreranno nella foresta metafora della vita.

L’essere umano è un animale più complesso ma una volta uscito dalla gabbia, quando sarà pronto, aprirà lui un dialogo.

Guai se il primo incontro  fosse con un altro soggetto che tendesse a un’indagine affrettata , o vedesse prioritari interessi o persone estranei a quella situazione.

L’umiltà è importante nell’attimo  del primo approccio.

 

Famiglia: Natura e Cultura

Famiglia: Natura e Cultura

di Adriana Rumbolo

La Natura tuonò, maschio e femmina:ogni incontro, preludio di attrazione e probabile incontro sessuale e poi:
• Maschio libero
• Femmina con possibile maternità e accudimento cuccioli .
La Cultura ordinò:uomo e donna: attrazione sessuale selettiva, matrimonio, famiglia ,procreazione .educazione figli
• Uomo, donna :Genitori

Famiglia: matrimonio, festa, acquisto casa, nuovo ruolo sociale, sessualità benedetta si incontrano nella più difficile convivenza di natura e cultura.
La monogamia sembra non appartenga alla razza umana.
Gli sposi spesso definiti maturi solo per la “decisione di sposarsi”, senza alcuna esperienza della nuova quotidianità che li aspetta
Il ruolo sociale , legalizzato dal contratto della loro unione.
Ma la cosa più importante che i neosposi portano con sé e che nessuno conosce ,forse nemmeno loro, é la “dote personale” ovvero il percorso del proprio vissuto nel bene e nel male con apparati genici ed esperienze differenti.
E’ vero che prima del matrimonio la coppia , spesso, ha già vissuto momenti intimi di convivenza e condivisione su tanti piani, ma è in seguito che li aspetterà una nuova esperienza del vero e autentico senso di stare insieme.
Sarebbe augurabile che arrivassero protetti da approfondimenti e informazioni il più ricco e vario possibile: religioso, psicologico, scientifico, etc. e la coscienza che nelle divergenze importanti negoziare è la chiave migliore e si può e si deve chiedere aiuto.
Nelle foto della cerimonia l’ultima traccia del mito del Principe Azzurro e della Bella Addormentata poi un’altra realtà, altrettanto bella ,ma sicuramente meno fiabesca.
Chiusi fra le mura domestiche,senza testimoni si troveranno nudi più nell’anima che nel corpo
Il soggetto più fragile e immaturo spesso ,pretenderà, come garanzia d’amore eterno e inossidabile che l’altro si faccia carico delle sue problematiche del passato più o meno gravi per sopportarle o risolverle .e se non avviene l’accuserà di non amarlo/a e si potrebbe aprire subito una crisi a macchia d’olio.
A pochi è stato insegnato che se si vuole cambiare qualcosa è bene cominciare da se stessi..
In famiglia entra una brutta copia di tribunale e gli indici puntati si sprecheranno .
Non si può più rimandare di approfondire il percorso già iniziato prima del matrimonio ora in un contesto più realistico .
Cancellare le competizioni , essere chiari e comprensivi con se stessi e con l’altro/E perseguire un ‘armonia mente__corpo sicuramente non ancora compiuta .
Pensare che quanto avviene non dipende solo dalla coppia che non è, avulsa dalla vita: siamo in mezzo a mille eventi imprevedibili e imprevisti che inevitabilmente ci coinvolgeranno( malattie,crisi economiche,,,,,)quindi sarebbe opportuno mettere al bando anche i sensi di colpa.
Se la negoziazione presentasse difficoltà e la comunicazione si mescolasse a crescente aggressività o rabbia distruttiva ,non esitare a chiedere ,con urgenza, aiuto soprattutto prima dell’arrivo di un bambino.
La famiglia non è facile ma al momento non sapremmo come sostituirla ,e poiché dopo tanti anni facendo il suo bilancio ci troviamo drammi e tragedie ma anche ricordi insostituibili di struggente tenerezza e bisogno di radici e di identità si potrebbe tentare di prevenire e contenere le espressioni peggiori per migliorarla.
Dopo essersi dedicati all’armonia della coppia spesso, un bambino diventerà il desiderio primario
La famiglia si allargherà con un altro individuo tutto nuovo e diverso da conoscere ed educare.
La scienza ci spiega che il progetto genetico comincia a svilupparsi nella cellula uovo appena fecondata.
In realtà i geni fanno due cose nel più ampio senso biologico: ci rendono tutti uguali (siamo tutti umani), e ci distinguono anche gli uni dagli altri (ognuno di noi ha un corredo genico unico che concorre alla nostra individualità).
Da subito è necessario l’insegnamento della mamma al bambino, della modulazione delle emozioni:paura, rabbia, angoscia da separazione che si trovano nel cervello inferiore ,che in quella fase è dominante perché il cervello razionale superiore del bambino non è ancora pronto al loro controllo
Anche i veterinari si raccomandano di non staccare i cuccioli dalla madre ,prematuramente,prima che gli abbia insegnato l’autocontrollo emotivo.
Che il dialogo sia sempre il parafulmine privilegiato per raccontare e raccontarsi ,che le “regole” siano motivate e la partecipazione attiva ai progetti familiari apra continue finestre sul mondo con cui negoziare per fare esperienze
Poi l’altalena che prima era tutta sbilanciata dalla parte della famiglia, comincerà a bilanciarsi perché i cuccioli sempre più sentiranno il sano bisogno, esplorando il mondo intorno, di affermarsi nel gruppo dei pari.
Nella scuola l’incontro con una figura molto importante:l’insegnante, depositaria di regole ,di conoscenze , con il ruolo di “facilitatore” nella gestione del gruppo
.Fin dalla scuola materna è importantissimo educare il “cervello sociale” e
continuare poi in tutto il percorso scolastico…
Quindi in una classe, atteggiamenti di prepotenza che sono spie di serio
disordine emotivo nel soggetto che prevarica e di grave falla, dei
meccanismi difensivi nel soggetto che subisce non devono passare sotto
silenzio e l’importanza del limite va ribadita ogni volta che sia
necessario.
Attraverso il dialogo con i ragazzi ci si adoperi per una
rivisitazione delle emozioni e delle regole di una buona convivenza affinchè
non solo i soggetti implicati, ma tutto il gruppo ne possa beneficiare
Il bambino che ha già fatto il primo e più importante percorso emotivo nella famiglia dove il danno più grave potrebbe essere stato quello di non avere potuto esprimere se stesso .facendolo sentire costantemente insicuro e minacciato, potrebbe lanciare proprio nella scuola messaggi di disagio nel comportamento e nell’apprendimento :la scuola grande lente d’ingrandimento dei disordini emotivi a seconda dell’età può coinvolgere i ragazzi in incontri per un tagliando emotivo dove se è necessario concorrerà anche la famiglia nella sua dinamica di accompagnamento di un soggetto in crescita.
La famiglia non va mai in vacanza , ma sarebbe opportuno prendere delle sane distanze per esempio nell’adolescenza.
Nessun mammifero trattiene un cucciolo divenuto adulto ,anzi lo allontana con decisione
Nei confronti degli adolescenti dovremmo essere più coraggiosi e responsabili rispondendo alle domande su cosa avviene al loro corpo, perché avvertono delle sensazioni mai sperimentate prima, perché si sentono attratti dagli altri.
Assolvere questo compito non è facile perché spesso, i tabù che creano le barriere tra le generazioni sono gli stessi che vivono i genitori, in molti casi “vittime di un’educazione assente ,distorta , sbagliata
.Però è un compito che fortunatamente non deve e a volte non può essere assolto esclusivamente dalla famiglia
:La scuola non può restarne estranea
In un incontro in una scuola media delle mamme mi fecero una domanda molto importante e saggia:”Ci dia informazioni per educare i nostri figli maschi ad essere meno dipendenti, più autonomi insomma meno mammoni”
.A quella riunione erano presenti 28 mamme , 2 papà.
Le ho guardate incredula era la prima volta che delle mamme mi facevano questa richiesta ed è stato importante che la facessero a scuola ribadendo la loro fiducia nell’istituzione
La madre che è così importante nei primi mesi per la sua influenza sulla stabilità affettivo_ emotiva del bambino , poi per tanti motivi(amor di pace, necessità varie padre che svicola ) si occupa da sola dell’educazione dei figli rifiutandone ,inconsciamente la maturazione sessuale, forse perché esiste solo il ruolo di madre dei cuccioli e non quello di madre di un uomo, con gravi pericoli per l’equilibrio psicologico dei figli.
La scuola non deve avere paura dell’educazione sessuale perché parlare di educazione sessuale equivale a educazione affettivo_emotiva e viceversa.
E la famiglia è sempre lì a sostenere colpe che sarebbe più giusto condividere con la società,

Così ho conosciuto Amalia Ciardi Duprè

Così ho conosciuto Amalia Ciardi Duprè

di Adriana Rumbolo

Ci siamo incontrate sul marciapiede, in via degli Artisti.

Lei ritornava a casa tenendo con le mani  una piccola opera, esposta per alcuni giorni a una mostra,  e un comune conoscente ci ha presentate.

Sono stata subito piacevolmente attratta dalla statuetta: non molto alta 30cm. circa rappresentava una giovane donna in attesa di un bimbo; l’espressione fiera , invincibile i capelli all’indietro come se camminando contro vento, lo sfidasse.

Fui investita da una grande emozione.

Quell’opera riusciva a comunicare  la forza della maternità e quindi della vita.

Per la prima volta, sentii forte il desiderio di toccare una scultura e di accarezzarla e glielo dissi: “Non conosco bene la scultura, ma la sua opera ha destato in me questo desiderio”.

Lei  mi rispose con quel suo sorriso fanciullesco e saggio.

Poi per motivi personali passò un po’ di tempo prima  che entrassi nel suo studio.

Lo studio di Amalia è un grande salone, potrei definirlo un grande spazio: all’ingresso ci sono dei pannelli scorrevoli che possono servire per esporre disegni.

Si prosegue sempre fra le sue opere alcune finite altre no per poi accedere in un altro ambiente dove si affacciano  due soppalchi e anche lassù tante basi di cartone su cui sono appoggiate altre statue di vari materiali: terracotta, marmo, bronzo, materiale refrattario.

Fin dall’inizio ebbi  la sensazione di entrare in un ambiente ricco di emozioni, di persone, di storie.

Quasi per gioco ho cominciato a dialogare con le statue e scherzando le salutavo: buongiorno, buona sera!

Quando una attirava maggiormente la mia attenzione  la commentavo con lei: “Amalia ,che emozione questa mamma con un grappolo di bambini intorno alla sua figura o che spuntavano da sotto la veste della mamma come fanno i bambini quando giocano a nascondino:f igure che mi stupivano e mi trasmettevano messaggi.”

Un’altra volta era un mito etrusco minaccioso, potente e allora lei mi raccontava le storie di queste opere me le spiegava con la sua semplicità ricca  di profonda cultura e sempre aperta a ogni argomento.

Un pomeriggio d’inverno all’imbrunire, mentre sorseggiavamo  un tè rigorosamente con un servizio di antica manifattura Richard-Ginori e deliziosi cucchiaini d’argento dell’ottocento, arrivarono degli addetti per riportare delle statue dopo una mostra.

Per agevolare il lavoro vennero  accese le luci anche dei soppalchi.

Allora si creò casualmente un gioco di  chiaro-scuri che evidenziarono molto  l’armonia espressiva delle statue e un soppalco diventò un palcoscenico.

Era molto suggestivo ed io mi rammaricai di non avere una cinepresa  per fissare quello spettacolo  magico.

Dopo le ho detto: “Sai Amalia penso”, e quando dico così,  lei mi guarda con il suo sorriso fanciullesco e mi incoraggia, dimmi, dimmi e io proseguo, “penso che tu lasci un po’ delle tue emozioni nelle opere che poi le trasmettono in chi le guarda.

Ultimamente  ha creato delle composizioni di  incontri di coppia: un uomo e una  donna  che esprimono il forte  desiderio di appartenersi. L’uomo tende a realizzarlo avvolgendo la sua donna nella dolcezza perché lei rassicurata  lo accolga in completo abbandono.

Ho studiato come la chimica dell’amore possa scatenare questi atteggiamenti ma esprimerli con marmo, o  materiale refrattario o, bronzo mi ha fatto pensare: il grande artista è un ladro che riesce a rubare le emozioni  più profonde, misteriose a fin di bene perché poi  ce le restituisce più vere e libere da pregiudizi.

Allora anche Amalia Ciardi  Duprè è una meravigliosa “ladra”!

 

Sei di orientamento reichiano?

Sei di orientamento reichiano?

di Adriana Rumbolo

Mi è stata rivolta questa domanda, giorni fa.

Non avrei saputo rispondere subito.

Ho pensato  un po’e ho ricordato: all’università, per un esame di filosofia il programma comprendeva tre libri,”Psicologia di massa del fascismo”,di W. Reich “L’Io diviso” di Laing e un altro di cui non ricordo il titolo.

Si diceva che la scelta dei testi dipendesse dall’orientamento politico, di sinistra, del professore.

All’esame non si parlò molto di Reich se non per sottolineare che una società molto repressiva sessualmente  potesse influenzare molti soggetti che poi per questa educazione avrebbero espresso la loro energia sessuale, ora patologica,  nel potere  politico-religioso con le conseguenze e i deliranti episodi che tutti conoscevamo.

Poiché era legato al fascismo se ne discusse come se il fenomeno fosse circoscritto solo a quel  momento storico-politico che ci aveva insegnato a diffidare di una rigida educazione sessuale

Poi non ho più sentito parlare di Reich  se non quando rivedevo quel libro per caso fra gli altri nella mia libreria

Ho pensato: perché si può pensare a Reich  leggendo i miei scritti?

Scrive R. Sassone.

Agli inizi degli anni ’30 Reich elaborò una nuova procedura che chiamò ”analisi del carattere”, insoddisfatto dei metodi che allora si usavano per analizzare le resistenze.

Reich invece si rese conto che il paziente manifestava la sua resistenza all’analisi mediante il suo atteggiamento.

Cominciò quindi ad osservare attentamente, non soltanto cosa veniva comunicato, ma “come”.

Il paziente si difende con il suo comportamento: quindi il carattere funziona come resistenza.

Sono resistenze il tono di voce, i gesti, il modo di sorridere, l’intercalare, etc…

La concezione del carattere come struttura difensiva consentì a Reich di elaborare in maniera sistematica l’analisi delle resistenze e del transfert.

Il paziente divenendo consapevole del suo “come”, comincia a togliersi la maschera, fa emergere le emozioni nascoste ed appare con evidenza il transfert negativo.

L’ analisi del carattere segna un salto di qualità nel percorso analitico e nella concezione dell’uomo per tre motivi: perché introduce il corpo nel setting, pur se lasciato ancora nello sfondo, perché afferma  l’identità funzionale tra psiche e soma e perché getta le basi della visione sistemica dell’individuo.

Infatti, Reich definiva carattere un sistema organizzato, costituito dall’insieme delle difese narcisistiche.

Questo sistema comprende diversi piani continuamente integrati e correlati.

Il corpo, le emozioni e le attività cognitive sono talmente interconnessi nell’ambito della struttura del carattere, una determinata caratteristica dell’individuo la si trova su tutti i piani in cui si esprime.

Un esempio  semplicissimo: chi ha un carattere molto rigido ha un corpo rigido, emozioni rigide, atteggiamenti  rigidi e un modo di pensare rigido.

Non c’è esperienza umana che non sia contemporaneamente fisica, emotiva e mentale.

Questa visione integrale dell’uomo diverrà nei decenni successivi un’acquisizione del paradigma scientifico: Reich diede consistenza alla medicina psicosomatica, spiegando in tal  modo il linguaggio dell’intero biosistema.

Ma solo  più  tardi, con la Vegetoterapia, Reich interviene direttamente sul corpo per accelerare la destrutturazione delle difese per mezzo delle emozioni  imprigionate inconsapevolmente e trattenute da contrazioni croniche in certi gruppi muscolari che esprimono ognuno la storia dell’individuo.

Infatti Reich definiva carattere un sistema organizzato, costituito dall’insieme delle difese narcisistiche.

L’intervento mirato sul corpo consente infatti l’abreazione di emozioni così antiche che si riferiscono ad esperienze avvenute in fase preverbale ed intrauterina.

Nella mia esperienza a scuola uno studente di 16 anni era diventato molto passivo e rifiutava anche di fare ginnastica pur non avendo nessun impedimento fisico.

Ne parlammo, io l’insegnante di applicazioni tecniche e l’insegnante di ginnastica.

Quando mi chiesero cosa era meglio fare risposi: tutto pur di riaprire la comunicazione.

I due insegnanti si misero con impegno e rispetto: uscirono anche con lo studente per mangiare una pizza insieme, senza mai forzarlo,  finchè  il ragazzo riprese  a fare ginnastica si riaprì nella comunicazione concludendo l’anno scolastico  positivamente.

Questi insegnanti li ricordo sempre  perché  unici e dotati di grande sensibilità.

Naturalmente Reich diede molto risalto anche all’importanza della respirazione.

Reich  si applica fin dal 1927 allo studio dell’energia sessuale e dell’energia vitale nell’organismo  e vorrei  concludere con  il suo pensiero: “Nell’autoconsapevolezza e nell’anelito alla perfezione della conoscenza e della piena integrazione delle proprie biofunzioni, l’energia cosmica diviene consapevole di sè.

In questo divenire consapevole di sè, ciò che si chiama destino umano è tolto dal campo del misticismo.

Esso diviene una realtà di dimensioni cosmiche che si fonde comprensibilmente con tutte le grandi filosofie e tutte le grandi religioni dell’uomo e intorno all’uomo”.

Ero un’adolescente quando nella piazza di Forlì dicevo a un amico: “Vedi tutto questo è un microcosmo” (con noi dentro).

Lui taceva e io pensavo: “E’ bello avere un amico intelligente”.

Dopo anni mi disse: “Adriana io allora, non ti capivo”.

Un po’ di delusione.

Grazie, gentile e competente conoscente.

Autostima scaricabarile

Autostima scaricabarile

di Adriana Rumbolo

Un giorno entro a scuola per avere uno dei miei incontri con i ragazzi di una prima superiore

I corridoi sono affollati: è l’intervallo.

Come entro nella mia classe , in attesa che suoni la campanella di fine intervallo, duo o tre ragazzine indicandomi una compagna, che, seduta in uno degli ultimi banchi,  piange disperatamente, mi bisbigliano:l’ha lasciata il ragazzo!

Mi dirigo alla cattedra, appoggio i miei libri, la borsa e mi posiziono davanti alla cattedra pronta a iniziare.

Suona la campanella, tutta la classe rientra ed allora visto che il pianto è coram  populo chiedo che cosa sia successo.

Per l’impossibilità dell’interessata di  rispondere, alcune compagne sovrapponendosi nel parlare: l’ha lasciata il ragazzo, via email.

Segue un profondo silenzio, sto mettendo ordine nelle mie idee.

Ma le compagne incalzano: le ha scritto che l’ha solo usata.

Di nuovo silenzio, ma questa volta un silenzio esigente;aspettano la soluzione proprio da me.

In fondo, sono l’esperta.

Anche Giovanna ha interrotto il pianto e nei suoi occhi è imperativa la richiesta: perché è successo?

Ho bisogno di qualche precisazione e le chiedo da quanto tempo frequenta il ragazzo.

Da tre settimane? Si può chiamare storia.

Chiedo a Giovanna se conosce un negozio di oggetti sacri:. candele, ceri, etc… e le suggerisco di comprare un cero, un bel cero, senza badare a spese e accenderlo davanti al santo al quale è più devota.

Mi guardano molto sorprese e un po’ deluse.

Ho iniziato scherzosamente, per sdrammatizzare, ma ora devo essere chiara.

Proseguo: spesso incontriamo persone con cui possiamo avere un rapporto affettivo  d’amore, di amicizia o di lavoro

Ci sono soggetti, che, sentendosi a disagio,pensando di non essere accettati, invece di lavorare sulla propria stima cercano un soggetto ingenuo per sminuirlo con parole e atteggiamenti spregiativi sentendosi appagati dall’umiliazione che infliggono,  rifugiandosi  in un delirio di onnipotenza.

La loro autostima è apparentemente salva.

Il ragazzo non amava Giovanna perché ancora  incapace di amare.

Per questo il consiglio di accendere il cero  per “grazia ricevuta”.

A quel  punto il dialogo si accende, perché ognuna aveva episodi simili da raccontare ed è stato importante approfondire un aspetto della vita relazionale così diffuso.

Giovanna non piange più perché dal chiarimento il ragazzo ne è uscito veramente male e il gruppo ha rivisto nella compagna una di loro e non  la “povera Giovanna abbandonata”.

A scuola di comunità

La tessitura della conoscenza
A scuola di comunità

di Mariacristina Grazioli

 

PREMESSA

L’idea dell’Uomo, in quanto individuo singolo, e l’idea dell’Uomo come insieme di persone, sono state spesso contrapposte.

Per quale motivo un Uomo singolo è differente dalla Societas a cui appartiene?

Una domanda, questa, a cui più spesso filosofi e sociologi hanno dedicato grande attenzione, nell’intento di esaminare, con le speculazioni dialettiche tipiche dei loro ambiti di studio, ciò che anche nella realtà quotidiana, il comune Uomo delle strada coglie con evidenza.

Non è forse vero che noi- Uomini e Donne- sappiamo essere assai differenti, se colti nei nostri aspetti di persone singole,  o individui che si relazionano con altri individui?

L’apprendimento, poi, è da considerarsi un processo con un senso forte e determinato: fare comprendere il mondo e dare il significato ai mille misteri dell’esistenza.

In questo percorso l’individuo incorre – a fasi alterne e in modo più o meno formale- nella consapevolezza che, l’espressione “vivere umano” si estrinseca sia come singolo, sia nelle formazioni sociali.

 

DAL MITO ALL’IDENTITA’ PSICOLOGICA: IL PROCESSO DI TESSITURA DELLA CONOSCENZA

Penelope era una donna che tesseva tutto il giorno .

Tesseva davanti ai suoi familiari e alla società a cui apparteneva. Nella sua tessitura sviluppava la consapevolezza di appartenere ad un gruppo sociale ed evidenziava le sue conoscenze, anche tecniche , che tutta la comunità le riconosceva.

Nella sua tela deponeva  le sue competenze e le sue idee di donna, di madre , di regina assediata: quella tela rappresentava la sua identità negoziata con il contesto.

Di notte Penelope assecondava un processo inverso, distruggendo la stessa tela che , sapientemente, aveva prodotto durante il giorno.

Era l’atto  attraverso cui si riappropriava di se stessa, della propria individualità e invertiva le regole e le pratiche apprese.

Nella distruzione sapiente , tornava ad essere se stessa; nasceva , allora,  una sorta di “conoscenza nella distruzione”, distruzione  delle convenzioni e  distruzione degli apprendimenti per convenienza.

Alla Persona che si allontana dal Gruppo dunque è consentita solo una “conoscenza per distruzione”?

O meglio, è consentito un autonomo percorso degli apprendimenti che portano alla conoscenza, in assenza di interrelazione sociale?

Penelope era una donna che sapeva sviluppare il massimo potenziale individuale , in relazione ai contesti differenti a cui si doveva , per necessità, rapportare.

Di giorno sviluppava la socialità e le convenzioni. Di notte la solitudine e l’introspezione. Un’unica persona alle prese con i contesti e con la relazione di socializzazione con il mondo, i diversi modelli di vita.

E al centro del suo vivere, Penelope metteva  la “tessitura” ove negoziare le istanze contrapposte e manifestare le sue competenze di donna, determinata a confrontasi con l’ambiente e la vita in genere.

 

SCUOLA: AGENZIA FORMATIVA DEGLI INDIVIDUI NEL CONTESTO SOCIALE

La scuola è il contesto educativo formale per eccellenza, da tutti riconosciuta come l’agenzia primaria di produzione di apprendimento e , in ultima istanza,  di conoscenza.

A scuola, l’interazione tra attività  individuali   o condivise, ricomprende anche le  relazioni tra individui che vivono lo stesso ambiente di apprendimento.

Non mancano poi le interrelazione con i ruoli , organizzativi o  istituzionali, e  i ruoli sociali meno formalizzati , ma altamente significativi per il processo di discernimento prima e  di costruzione attiva dell’apprendimento poi.

L’ambiente scolastico rappresenta un luogo “ percepito” a funzione ecologica.

Gli studi di Brofenbrenner ci indicano che è proprio a scuola che si delinea la possibilità del soggetto che appende di “vedere” il contesto, apprezzandolo.

In tale operazione simbolica , vi è un progressivo adattamento all’ambiente sociale , che sfocia nel più alto comportamento di partecipazione.

La “transazione ecologica” viene perciò intesa come il passaggio progressivo di situazioni di cambiamento di ruolo e ambiente, su quattro livelli distinti.

Si va da una fase di “microsistema” caratterizzato da rapporti intimi e ristretti, ad una fase di “mesosistema”, inteso come rapporti tra microsistemi, per giungere all’”esosistema”, o contesti di influenza, e  al “macrosistema”, caratterizzato da storia e cultura trasversali a tutti gli altri livelli.

In una visione ecologica , i cambiamenti hanno molte possibilità di innescarsi per questo processo di interscambio tra le situazioni ambientali.

Le Transazioni sono, per certi versi, motori di sviluppo verso la conoscenza , attraverso gli apprendimenti di contesto.

Nella scuola , l’ambiente di apprendimento , caratterizzato prevalentemente da relazioni significative, attiva un processo comunicativo complesso.

Il processo di apprendimento scolastico porta l’individuo ad esporsi alle procedure di comunicazione tra diversi contesti.

Secondo la teoria di Ogbu, studiata sui  “paradossi comunicativi” in contesto scolastico, il ruolo della comunicazione è fondamentale per la costruzione delle rappresentazioni culturali del soggetto. Dunque i traguardi in termini di conoscenza sono raggiunti dall’individuo che si “muove” nel sistema sociale , ecologicamente inteso. Non vi è frattura ,allora, e non vi è discrasia tra la natura individuale e quella sociale , ma compartecipazione e interazione.

 

IDENTITA’ SOGGETTIVA E METAFORA DEL TESSUTO

In una bella analisi sull’identità e intersoggettività a scuola, Liguorio e Spataro ricercano le note salienti delle psicologia socio costruttivista, che considera la conoscenza come il risultato di un processo attivo e sociale.

Il focus è sul ruolo dell’altro da sé, che determina modi di pensare ed esprimere di se stessi .

La psicologia dell’apprendimento ritiene che il processo del soggetto verso le acquisizioni culturali è tanto più significativo, quanto viene percepito come favorevole a tutto ciò che attiene alla nostra identità; ossia si apprende con più convinzione se  i contenuti cognitivi e culturali ci appartengono.

In ambito scolastico, la relazione con gli altri ci consente di cogliere chi siamo , nel tempo presente, ma anche nelle utili prospettive dell’orientamento al futuro possibile, ove l’incontro educativo tra docente e discente consente la costruzione di nuove forme di interiorità ed esteriorità.

E’ bella la metafora fornita dalle autrici , che paragonano la trama intersoggettiva  ad un tessuto malleabile . A questa fa da contrappunto l’ordito del contesto del soggetto. Trama ed ordito compongono dunque il tessuto degli apprendimenti , tradotti degli psicologi in “ sistemi referenziali condivisi”.

Nelle definizione di J.Bruner , la predisposizione alla comunicazione degli esseri umani è connotata dalle competenze comunicative , attraverso le quali si sviluppano relazioni significative ; oltre a ciò la comunicazione tra soggetti evidenzia la capacità di cogliere i contesti e le specificità intersoggettive.

In effetti il concetto di intersoggettività ha a che fare con la capacità di descrivere il rapporto tra un individuo ed un altro.

 

LA CLASSE- LUOGO DI TESSITURA DELLA CONOSCENZA

Ancora meraviglia sapere che l’apprendimento collaborativo e il lavoro di gruppo e nel gruppo siano ancora scarsamente diffusi.

In effetti si fa fatica a cogliere queste modalità come   le pratiche costanti dei processi di formazione.

Le metodologie delle pedagogia collaborativa – che hanno tracce indelebili negli studi di Dewey degli anni cinquanta- fino ad arrivare a Freinet e Cousinet, non sono ancora sufficientemente diffuse.

Il perché di questa mancata occasione può avere diverse spiegazioni, ma c’è da chiedersi in che misura il contributo degli studi pedagogici, abbiamo un impatto di rilievo sui sistemi formativi formali, e sulle scelte strategiche dei decisori politici.

E’ forse più interessante collegare i “modelli” sistemici delle istituzioni scolastiche all’ analisi socio-economiche, piuttosto che alle teorie delle scienza dell’educazione? Sembra di sì. Non si spiegherebbe, infatti, l’enfasi attuale sull’analisi dei sistemi di valutazione o la continua ed “intermittente” modifica alle indicazioni sulle procedure di analisi degli apprendimenti, in termini di verifica e valutazione. Non pare che il passaggio dai “giudizi”, ai “voti” sia significativo se non sostenuto da una profonda scelta dell’assetto metodologico e didattico. Ci si chiede dunque perché l’interlocutore politico- istituzionale , parta dalla “fine” del processo di formazione , per giungere al miglioramento degli standard, senza peraltro ritoccare il “percorso”.

Il docente, disorientato dalle innumerevoli applicazioni regolative e normative, dove trova lo spazio di espressione delle procedure della didattica e della pedagogia sottesa?

L’urgenza dettata dall’applicazione delle nuove modalità di  di valutazione , cambiate ogni due – tre anni, cosa lascia nelle cultura pedagogica dei professionisti dell’educazione?

Ovviamente sono domande retoriche tese solo a sollecitare l’analisi del lettore. In realtà se ad una risposta si vuole arrivare, occorre partire dall’idea di “classe”, lontana dell’immagine di mero “contenitore”.

Il processo di apprendimento nell’analisi cognitivista

Non è accanto all’idea di acquisizioni nozionistiche, con “immagazzinamento” di informazioni.

Il Sapere è altro. Il processo che sostiene il percorso di apprendimento prevede la strutturazione di una idonea modalità di insegnamento, ove trasferire la conoscenza attraverso una relazione di aiuto significativa.

L’apprendimento- lontano dall’idea mi mera acquisizione- ha bisogno di strategie consapevoli e mediate dal docente.

Ma l’apprendimento in ambito scolastico ha a che fare con il processo di partecipazione e condivisione; la “classe” come baricentro della natura sociale dell’apprendimento, rappresenta con forza l’idea che è nella “comunità” che si sviluppa l’apprendimento.

 

L’APPRENDIMENTO IN CLASSE E IL POTENZIALE DELL’APPRENDIMENTO IN COMUNITA’

L’attuale orientamento delle psicologia dell’educazione considera la “classe” come comunità un elemento imprescindibile del processo di acquisizione delle conoscenze e del Sapere.

Nel nuovissimo modello KBC ( Knowledge Buildig Community) di Scardamalia  e Bereiter , l’idea portante è che gli studenti si preparino alla sfide delle società del terzo millennio attraverso un lavoro costante in “comunità di ricerca”. La conoscenza dunque, è un “prodotto” collettivo, costruito in un processo di responsabilità diffusa, individuale e collegiale

La “tessitura” della conoscenza si compone di orditi , trame, fili, composti con sapienza e pazienza, attraverso un lavoro incessante di negoziazione .

Attraverso un metodo progressivo di apprendimento delle materie, intese come linguaggi, valori e pratiche, gli studenti acquisiscono le conoscenze base a cui si sovrappongono quelli determinati dagli altri soggetti del processo di apprendimento.

Nell’ambito ,dunque, della formalizzazione della proposta scolastica si sviluppa una vera e propria “tessitura” delle conoscenza ; alle “conoscenze” accademiche apportate dai docenti , si innestano le “conoscenze” ingenue apportate dai pari e le “conoscenze” scolastico-istituzionali, determinate dagli Ordinamenti scolastici e dalla pressi pedagogico-didattiche ( ricerca di Colomb e Audigier-1999).

Vi è perciò apprendimento efficace e vera conoscenza con l’integrazione di tutti questi linguaggi, attraverso un processo continuo di negoziazione intersoggettiva; ed è proprio la “classe” e il contesto scolastico in genere l’ambiente fondamentale dove potere garantire il raggiungimento del massimo potenziale di ciascuno e di tutti, in un’operosa tessitura, ora individuale , ora collettiva della conoscenza.

Affettivo dipendente, Indipendente regole

Affettivo dipendente, indipendente regole

di Adriana Rumbolo

Una paura che mi ossessiona è l’abbandono da parte dei miei amici, perché al solo pensiero di rimanere “sola“ senza l’appoggio dei miei amici ad affrontare alcune circostanze sono spaventata.
Da tutto ciò deduco che sono dipendente dai miei amici e noto che trascuro la mia personalità, mi faccio in quattro sempre per gli altri, ma da qualche tempo (dopo episodi accaduti) ho deciso di cambiare il mio atteggiamento cercando di curare di più la mia persona pur mantenendo il rapporto con i miei amici
. (F. anni14)
Questa riflessione scritta da una studentessa denuncia un disagio molto diffuso, la dipendenza affettiva, ma fa anche ben sperare.
Spesso un neonato sembra non aver vissuto appieno la sua prima fase quando la mamma dovrebbe essere un tutto: cibo, calore, sicurezza, odori già percepiti, contatti piacevoli, suoni familiari.
A volte solo il cibo potrebbe, per varie cause, rimanere nel ricordo di quei momenti, lasciandosi dietro un vuoto di nostalgia di qualcosa di bello, di indispensabile che diventerà sempre più confuso, ma continuerà a influenzare le scelte affettive assorbendo gran parte delle risorse di un soggetto finché il conflitto non sarà risolto.
Potrebbero rimanere come eterni lavori in corso una carezza appena accennata e forse un pianto mai espressi compiutamente.
Accade soprattutto nella famiglia dove attecchiscono le prime dipendenze e le conseguenti gerarchie affettive perché un fratello, il padre, la madre, una sorella tendono ad esercitare potere su un familiare non attraverso una corrispondenza di affetti o di simpatia o di interessi reciproci ma sminuendolo o annullandolo.
Il bambino che subisce, sarà poi combattuto fra il desiderio fortissimo di avere amore tanto da mendicarlo e la paura che gli sarà negato proprio dalla persona per lui più importante.
Allora potrebbe scattare un terribile compromesso: non chiederà più amore perché non può perdere la sicurezza di una casa, di un letto, del cibo. Si esprimerà con una serenità apparente ma non smetterà con ossessione, sprecando molte energie e affidandosi a illusioni affettive, di cercare di risolvere il suo conflitto, sempre in condizione di sottomissione.
La conseguente contrazione emotiva porterà gravi danni a tutta la personalità nella vita relazionale, affettiva di lavoro e sempre più la consapevolezza di non valere molto.
Potrebbe sviluppare inoltre una naturale diffidenza verso le regole di quel mondo che non l’ha compreso aggravando la sua situazione con l’etichetta di ribelle.
Da allora una sola parola d’ordine: okay, tutto bene.
Qualora riuscisse a chiedere aiuto lo farà con soggezione, esitazione diventando facile preda di imbrogli e di truffe.
Nutrirà ammirazione per tutti gli altri e se qualcosa non andasse bene concluderà che è solo colpa sua.
Il distacco da una qualsiasi persona vissuta come stampella affettiva indispensabile, sarà un dramma e farà di tutto per sostituirla velocemente.
Sembra strano ma le gerarchie non è tanto il più forte a stabilirle, ma il più debole a favorirle.
La gerarchia non si forma dall’alto, ma dal basso.
In qualsiasi rapporto relazionale in particolare affettivo se un soggetto percepisce nell’altro una fragilità un cedimento, automaticamente si sentirà di poter affermare la sua presunta superiorità nata, non per un colpo di “stato, forza”, ma sulla debolezza, e ne renderà partecipe il gruppo che la ufficializzerà, con tutte le sue conseguenze.
Qualche tempo fa, in televisione, una signora ebrea che era stata prigioniera ad Auschwitz raccontò la sua terribile esperienza e concluse che quando, dopo anni, aveva capito che i suoi carcerieri erano soggetti fragili, che non valevano niente, il suo dolore era stato ancora più forte.
Una studentessa, mentre si parlava della dipendenza affettiva nella vita di gruppo ha scritto: ”quando finalmente un soggetto ha maggiore conoscenza del proprio patrimonio emozionale, si può usare l’espressione ”trattare alla pari” senza concetto d’inferiorità rispetto ad altre persone”.
Aveva ben compreso l’importanza della conoscenza e della gestione delle emozioni.
Le esperienze quotidiane e una buona rieducazione comportamentale potrebbero liberare tanti soggetti dall’ingombrante dipendenza affettiva.

Il cervello nella Scuola

Il cervello nella Scuola
di Adriana Rumbolo

Invio, come lettera aperta, al Ministro Profumo, un libro (non arriva a 100 pagine) dove ho raccolto l’esperienza fatta in scuole pubbliche del comune e della provincia di Firenze dove abito con circa 1300 studenti di 12/16 anni per dieci anni.

Credo sia l’unica  con queste caratteristiche in Italia.

Naturalmente è  tutta documentata e non avrei potuto realizzarla senza  l’aiuto di pochi insegnanti di buona volontà, ma in un clima difficile che per fortuna riuscivamo a tenere fuori fuori dalla classe.

Perchè mi rivolgo al Ministro?

Perchè, senza cadere in noiose retoriche, la risposta delle autorità  competenti via, via che le aggionavo è  sempre stata: “Ma perchè lei vuole parlare del cervello?”

Ringrazio chi  darà una mano ai ragazzi perchè crescano più coscientemente responsabili e con la fiducia nelle loro risorse.

dott.ssa Adriana Rumbolo