da ItaliaOggi
Greco e latino non sono lingue morte: vivono nel liceo classico
Al contrario. È una scuola che raccoglie e adatta la tradizione, i cui saperi sono arricchiti e rinnovati; una scuola di qualità, ma aperta a tutti, che democratizza il capitale simbolico, favorisce l’eguaglianza scolastica e la mobilità tra le generazioni, educa alla riflessione e alla critica (negli anni Trenta tutto l’antifascismo vero degli intellettuali nacque nei licei classici). Ma, insistono i confusi e dogmatici «innovatori», studiare ancora storia e letteratura, greco e latino, queste lingue «morte», serve poco. Non è così: quando i giovani le studiavano, uscivano dai licei capaci di ciò che oggi non sanno più fare: parlare e scrivere in lingua italiana.
Come, tanto e più di tanti aveva capito Giovanni Guareschi: «Il latino è una lingua precisa, essenziale. Verrà abbandonata, non perché inadeguata alle nuove esigenze del progresso, ma perché gli uomini nuovi non saranno più adeguati ad essa. Quando inizierà l’era dei demagoghi, dei ciarlatani, una lingua come quella latina non potrà più servire, e qualsiasi cafone potrà impunemente tenere un discorso pubblico e parlare in modo tale da non essere cacciato a calci giù dalla tribuna. E il segreto consisterà nel fatto che egli, sfruttando un frasario approssimativo, elusivo e di gradevole effetto «sonoro», potrà parlare per un’ora senza dire niente. Cosa impossibile col latino» (nel Candido, 1956, n. 18).