L’insegnamento: incontro fra la libertà del docente e quella del discente

SINTESI DEGLI INTERVENTI
del Convegno dal titolo
L’insegnamento: incontro fra la libertà del docente e quella del discente
organizzato dall’ Associazione Europea Scuola e Professionalità Insegnante
nell’ambito delle iniziative promosse dal Coordinamento dei Centri Culturali Cattolici diocesani per la celebrazione dell’Anno Costantiniano
il 9 maggio 2013 presso la sede dell’Associazione
in via Col di Lana 12 Milano

Redazione a cura di Lucia Parisi e Alfonso Indelicato

INTRODUZIONE
Sollecitata dal responsabile dei Centri Culturali Cattolici diocesani Mons. Dott. Giovanni Balconi a contribuire alle iniziative per la celebrazione dell’Anno Costantiniano, l’AESPI ha risposto secondo la propria vocazione, che è quella di organizzare eventi che riguardano la scuola. E poiché l’Anno Costantiniano parla di libertà, ecco che abbiamo pensato di interrogarci sul significato, e l’estensione, e i limiti, che questo concetto trova fra le mura delle nostre istituzioni scolastiche, nella quotidiana dialettica fra insegnante e allievo. Il tema è affascinante e grandioso, ed è inutile specificare se ci avesse preoccupato o meno il doverlo affrontare, una volta presa la decisione. Ci ha però subito confortato (oltre a una certa pratica nell’organizzazione di eventi maturata negli anni) il sapere che ci avrebbero aiutato – intervenendo come relatori – uno studioso di vaglia come il Prof. Giacomo Samek Ludovici, e un uomo che di scuola sa tutto per averla vissuta sia come docente che come Dirigente, il Cav. Angelo Mocchetti. Mancava uno studente per affrontare l’argomento da tutte le prospettive, e l’abbiamo trovato nell’amico Francesco Quattrociocchi, giovane laureando ancora fresco di studi liceali. A questi collaboratori non occasionali ma amici dell’Associazione ha fatto da comprimario chi scrive questa introduzione. Il Presidente Prof. Angelo Ruggiero
ha introdotto l’evento insieme a Mons. Balconi, che finora non è mai mancato ai convegni che l’AESPI organizza in qualità di Centro Culturale Cattolico, e che possiamo sperare vorrà ancora accompagnarci in questo cammino di ricerca.

“SINTESI” NON “ATTI”
La redazione degli atti di un convegno è operazione laboriosa. Come tale, per un’Associazione allo stesso tempo agile ed impegnata su diversi fronti come la nostra, non è facile intraprenderla e portarla a compimento. Per questo motivo in occasione di convegni e di corsi abbiamo intrapreso già da qualche tempo una strada diversa. In luogo, cioè, di pubblicare gli interventi testuali integrali oppure delle relazioni compiutamente sviluppate e redatte, preferiamo raccogliere le sintesi degli interventi, siano esse sotto forma di bozza, di appunti o di semplice scaletta. L’operazione ha due vantaggi: in primo luogo esime noi dal fastidio di sbobinare e i relatori da quello stendere le relazioni; in secondo luogo, permette di offrire ai lettori testi più vivi e spontanei, i quali inoltre sono la traccia del lavoro così come nasce nella mente del convegnista e così come egli lo realizza in progress o, come preferiamo dire noi cultori di un certo patriottismo linguistico, eundo.

L’intervento di Mons. Balconi
Mons. Balconi ha ricordato che L’Editto di Milano del 313 ha un significato epocale perché segna l’initium libertatis dell’uomo moderno. In un certo senso con l’Editto di Milano emergono per la prima volta nella storia le due dimensioni che oggi chiamiamo “libertà religiosa” e “laicità dello Stato”. Sono due aspetti decisivi per la buona organizzazione della società e della politica. Gli avvenimenti che seguirono, ha proseguito Balconi, segnarono l’inizio di una storia lunga e travagliata. La situazione sarebbe cambiata profondamente – certo su un piano di riflessione teologica più che fattuale – con la promulgazione della dichiarazione “Dignitatis humanae” del dicembre ’65, la cui straordinaria qualità consiste nell’aver trasferito il tema della libertà religiosa dalla nozione di verità a quella dei diritti della persona. Se l’errore non ha diritti, ha ricordato il nostro illustre ospite, una persona ha dei diritti anche quando sbaglia. Chiaramente non si tratta di un diritto al cospetto di Dio: è un diritto rispetto ad altre persone, alla comunità e allo Stato. Si aprono qui diverse problematiche: ricerca religiosa e la sua espressione comunitaria; libertà religiosa e pace sociale.
Infine Mons. Balconi ha ricordato che la città di Milano e le terre lombarde sono e saranno sempre più abitate da tanti nuovi italiani. Saremo dunque chiamati a fare i conti con civiltà e culture differenti. La Chiesa ambrosiana è a sua volta chiamata ad un’opera di trasformazione della propria presenza nella società plurale, società in cui i cristiani continueranno a testimoniare l’importanza e l’utilità della dimensione pubblica delle fede. Il nostro – egli ha concluso – è un
tempo che domanda una nuova, larga cultura del sociale e del politico. L’insieme deve brillare in ogni frammento a beneficio della comunità cristiana e di tutta la società civile: vita buona e buon governo vanno infatti di pari passo.

Insegnare alla libertà, educare alla libertà
di Giacomo Samek Lodovici:
Scaletta dell’intervento
1. Nesso tra verità e libertà: la verità rende liberi
2. Educare significa proporre una visione (ritenuta) vera del bene umano
3. Per un certo liberalismo la scuola non deve educare, bensì proporre tutte le principali visioni del bene sullo piano, in modo che lo studente scelga
4. Critica di questa prospettiva:
– la neutralità è impossibile: qualsiasi resoconto di un avvenimento, questione, argomento è una sintesi degli aspetti (ritenuti) rilevanti e ciò è possibile solo sulla base di criteri rilevanza
– di fatto la scuola non è mai davvero neutrale: è uno specchio dell’impostazione culturale prevalente in una società
5. Per educare alla libertà è fondamentale che la scuola promuova e sviluppi il senso critico degli allievi, in modo che possano il più possibile conoscere la verità, la quale rende liberi (cfr. n. 1)
6. Per educare alla libertà ogni docente deve, prima di ogni cosa, realizzare il riconoscimento nei riguardi dell’allievo: fargli capire che vuole il suo bene, il suo fiorire.
Giacomo Samek Lodovici è docente di Storia delle dottrine morali e di Filsofia della storia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. E’ autore di diverse pubblicazioni, fra le quali ricordiamo i volumi: La felicità del bene. Una rilettura di Tommaso d’Aquino; L’esistenza di Dio; L’utilità del bene; Jeremy Bentham, l’utilitarismo e il consequenzialismo; L’emozione del bene; Alcune idee sulla virtù. E’inoltre autore di numerosissimi saggi brevi ed articoli su prestigiose riviste di filosofia e teologia. Come relatore ai convegni, Samek Lodovici ha una singolare prerogativa: poiché si presenta in modo estremamente distinto e discreto, chi non lo conosce potrebbe aspettarsi da lui affermazioni anodine e concilianti. Invece egli pur con voce bassa e tratto signorile sviluppa argomenti ed attinge a conclusioni che con il politichally correct ben poco hanno a che vedere. Nulla è lontano dalle sue posizioni quanto la debolezza del pensiero contemporaneo o la liquidità che si vuole attribuire alla società odierna. Il filosofo è uomo dai valori forti, vorremmo dire perenni, che egli declina con
inesorabile garbo per chi ne accetta ed anche per chi ne rifiuta il profondo valore spirituale.

Libertà e cambiamento
di Angelo Mochetti
“ Si educa attraverso ciò che si dice, di più attraverso ciò che si fa, ancor di più attraverso ciò che si è” – Ignazio di Antiochia.
Parafrasando quanto sopra anche la mia presentazione risentirà della mia esperienza e del mio modo di essere. Alcune domande resteranno aperte, ma non sarà un male perché la curiosità è il preludio alla conoscenza.
Nella mia attività di dirigente ho potuto sperimentare lo scambio di contenuti con i docenti, la pazienza, l’attesa, il non dipendere troppo da se stessi.
Libertà: stato di autonomia essenzialmente sentito come diritto e come tale garantito da una precisa volontà e coscienza di ordine morale, sociale, politica (Devoto-Oli)
La libertà di cui parleremo è la libertà possibile.
La leadership del docente, come altre leadership , si manifesta all’interno di un sistema. Una libertà dl tutto staccata dal sistema di appartenenza porta in un vicolo cieco. Parleremo quindi di libertà possibile e di cambiamento possibile.
La libertà di insegnamento trae la sua origine dall’interpretazione dell’articolo 33 della nostra Costituzione. In base a tale articolo vi sono interpretazioni che rimandano al diritto civile, alle definizioni da enciclopedia, all’interpretazioni sindacali. Su questo argomento occorre anche ricordare la Convenzione Europea dei Diritti Umani. Gli stessi regolamenti che il Parlamento Europeo emana hanno valore di legge per gli stati membri. Le stesse recenti sentenze sul velo islamico e sull’esposizione del crocifisso rimandano a tali fonti legislative.
L’argomento della libertà di insegnamento è ripreso anche dalla legge ordinaria. Ricordiamo a questo proposito il D. Lgs. n°297/1994 , art.1.
Le norme che definiscono la libertà di insegnamento forse non sono sufficienti. La domanda fondamentale, infatti, è: “Come garantire la libertà di insegnamento?” I profili estrinseci di tale professione hanno altri nomi: “stato giuridico degli insegnanti”; “organizzazione del lavoro”; “rapporto di lavoro”; “rapporti all’interno degli organi collegiali”; etc. … Si tratta di profili giuridici e contenuti che possono modificare i principi generali di libertà. Ricordo inoltre che dal 1993 i contratti di lavoro scolastici sono di natura privatistica ( legge 421/1992 art.2, comma 1). Lo stesso Dirigente come parte pubblica firma contratti interni di istituto con le RSU. Come si vede sono molteplici le situazioni che, pur senza dichiararlo, incidono sulla libertà di insegnamento.
Per definire il successo di un sistema scolastico e in qualche modo la sua libertà, ovviamente non bastano i concetti e le garanzie di legge. In un mondo globalizzato il confronto si fa planetario e l’OCSE ha stabilito una serie di indicatori per definire le possibilità concrete di successo di un sistema scolastico. Gli indicatori sono organizzati e classificati in sei aree:
1) il contesto generale in cui si sviluppa l’educazione in ogni Paese
2) le risorse finanziarie e umane in essa investite
3) i tassi di accesso e partecipazione ai diversi livelli di istruzione e di conseguimento dei vari titoli di studio
4) le caratteristiche, pedagogiche e organizzative, dell’ambiente scolastico in cui l’educazione ha luogo
5) l’inserimento sociale e professionale dei giovani a conclusione della formazione
6) i livelli di apprendimento raggiunti dagli studenti in discipline chiave
Inoltre i termini sottesi alla libertà di insegnamento sono:
CODICE DEONTOLOGICO: la deontologia professionale si incarna nella professione e diventa espressione dell’autonomia e della libertà
ETICA: modo di comportarsi nel rapporto con gli altri nella dimensione pubblica. Presuppone la libertà di scelte consapevoli. Poggia sul senso di responsabilità.
MORALE: voce della coscienza, legge interiorizzata, rapporto con se stessi in una gerarchia di valori. Giusto e ingiusto. Poggia sul senso di colpa
ETICA DELLA RESPONSABILITA’ A SCUOLA: la caratteristica fondamentale è la relazione educativa .Si avvale di contenuti, programmi, valori … ma anche abitudini, convenzioni, atteggiamenti … la percezione dell’altro è basata sull’aspettativa della sua coerenza.
L’ETICA DELLA CURA: scrive il filosofo Hans Yonas “ La responsabilità è la cura per un altro essere quando venga riconosciuta come dovere … Che cosa capiterà a quell’essere, se io non mi prendo cura di lui? Quanto più oscura risulta la risposta tanto più nitidamente delineata è la responsabilità …” Specularmente : “Soltanto chi detiene una responsabilità può agire in modo irresponsabile”
LIMITE DELL’ETICA DELLA CURA. La storia della pedagogia moderna europea può essere fatta risalire a l’“Emilio” di Jean Jacques Rousseau. Da quel momento educatori e docenti si sono trovati davanti l’enorme compito di concepire il rapporto educativo centrato sulla “psicologia dello studente”. L’enfasi sull’aspetto psicologico rischia però di sviare da una pedagogia centrata sull’ascolto didattico. L’apprendimento è un processo complesso legato a quattro aspetti che si sostengono fra loro: motivazione, socialità,
esperienza diretta, sostenibilità personale. Il contesto del gruppo classe è per questo fondamentale. Ricordo a questo proposito la funzione dei neuroni specchio che sono una classe di neuroni che si attivano selettivamente sia quando si compie un’azione, sia quando la si osserva compiuta da altri, in particolare da pari, e se sostenuta dai quattro aspetti dell’apprendimento citati.
In termini di apprendimento vanno altresì ricordate le ultime disposizioni ministeriali in merito ai bisogni educativi speciali: alunni disabili, alunni con disturbi evolutivi specifici, alunni in situazioni di svantaggio.
LO STUDENTE. Lo studente è una costruzione sociale che, nell’epoca moderna, risale ai collegi dei gesuiti a partire dalla metà del 1500. Per circa quattro secoli non ci saranno diritti ma solo doveri fino al 1900 quando irrompe lo studente massa. Nel 1912 in Italia le scuole superiori contavano duecentomila studenti, ma già nel 1962 ( anno in cui veniva costituita la media unica dell’obbligo) gli studenti delle scuole superiori raggiungevano un milione e, alla fine degli anni settanta diventavano due milioni. In poco più di cinquanta anni gli studenti aumentano di dieci volte. L’istruzione, l’educazione cambiano. Le regole di integrazione nella società, i modelli di riferimento, le aspettative circa il futuro si modificano. Si affermano forme di indifferenza e di relativismo. La condizione reale dello studente massa costringe la scuola a cambiare. Ricordiamo gli organi collegiali della scuola ( 1974), lo statuto degli studenti e delle studentesse ( 1998) e il patto di corresponsabilità tra famiglie e scuola.
CAMBIANO LE RELAZIONI FAMIGLIARI. Tutti i problemi dell’educazione si rinnovano secondo una nuova complessità. I genitori con gli anni hanno ridotto notevolmente la quota di autorità da somministrare ai propri figli, promuovendo la trasformazione della famiglia tradizionale, normativa ed etica, in una famiglia affettiva, maggiormente orientata alla contrattazione e alla relazione. Come conseguenza si sono creati generazioni di adolescenti che ritengono legittimo e importante esprimere prima di tutto se stessi, secondo uno schema di consolidato individualismo.
UN CAMBIAMENTO POSSIBILE. L’etica della responsabilità collegata all’etica della cura coincide con l’etica professionale.
– La prima misura per un docente è la parola consapevole. Prima il pensiero e poi la parola consapevole. Persino i numeri prima di diventare tali per essere spiegati sono stati un’idea, un pensiero.
– La scuola ha il compito di formare le nuove generazioni, ma senza l’esempio della coerenza degli adulti poco si potrebbe fare. Per educare gli studenti all’etica pubblica si può partire sollecitando la riflessività della classe . La classe è una comunità in cui si può provare a cambiare e far cambiare, esaltando l’onestà dei comportamenti e rifuggendo gli atteggiamenti opportunistici.
– La vulnerabilità dell’essere informazione interpella le dimensioni sopra citate
– E’ opportuno interrogarsi sulle proprie strategie di insegnamento per promuovere in tutti, nel rispetto del merito, il successo formativo. Prima di tutto, ognuno porta se stesso all’interno della classe. Gli atteggiamenti non si possono insegnare e il piacere di imparare è correlato al piacere di insegnare. Quando il sapere è solo nozionistico e cumulativo la mente tende a divenire convergente e smette di cercare altre soluzioni
– Per far sì che dei ragazzi diventino adulti autonomi occorre lasciare loro spazio, tuttavia si diventa adulti anche con il rigore e l’autorità di chi insegna
– Non siamo migliori di chi ci ha preceduto e non siamo padroni unilaterali di noi stessi perché ognuno di noi viene ad essere ciò che è grazie alla civiltà in cui è immerso, alle tradizioni e alle generazioni che lo hanno preceduto… dobbiamo almeno restituire quanto ricevuto!
Angelo Mocchetti è laureato in Scienze Politiche ed ha conseguito il Master per qualifica dirigenziale presso l’Università Bocconi. E’ stato Dirigente scolastico in diversi istituti situati nella provincia milanese e in quella varesina, vicino alla sua Rescaldina dove ha ricoperto anche delicati incarichi amministrativi: fra i tanti quelli di Assessore alla Cultura e Vicesindaco. Attualmente dirige l’Istituto Comprensivo di Cesate ed è reggente dell’Istituto Comprensivo Alighieri di Rescaldina. E’ autore di numerosi interventi su periodici letterari, membro di giurie di concorsi artistici e poetici, cultore di storia locale. Uomo di profonda cultura e sensibilità, ha preferito condurre la sua vita e la sua carriera nella dimensione appartata ma umanamente ricca della provincia, cercando di evitare le luci della ribalta. Ci è riuscito solo in parte, perché sovente le luci lo hanno cercato e si sono inesorabilmente indirizzate su di lui: è recente la sua nomina a Cavaliere della Repubblica, venuta dopo diversi altri riconoscimenti e prima di altri ancora che, malauguratamente per il suo connaturato riserbo, lo aspettano al varco.

Post-gentilianesimo e post-positivismo nella scuola d’oggi
di Alfonso Indelicato
Nella supposizione che sia il docente a coartare la libertà intima (si tratta degli atti eliciti, non di quelli imperati) dell’alunno, e non viceversa, mi sono chiesto a quale tipologia possa appartenere questo docente.
Propongo in proposito una distinzione netta, a costo che sembri, se non caricaturale, estremizzata. Vedo da una parte il docente sicuro di sé (al limite del narcisismo), individualista, insofferente degli aspetti burocratici della professione; dall’altra l’insegnante che si coordina scrupolosamente coi
colleghi, che frequenta corsi di aggiornamento sulla didattica, che si interessa di valutazione, che “si mette in discussione”. E’ chiaro che fra le due tipologie c’è uno sterminato ventaglio di tipi intermedi.
Ora, è chiaro che la prima tipologia sommariamente delineata è una tipologia “gentiliana”, consapevolmente o meno da parte del soggetto che la incarna, mentre la seconda si può ricondurre alla scuola pedagogica positivistica, quella facente capo, almeno in Italia, ad Aristide Gabelli e allo stesso Ardigò, almeno quando di pedagogia si occupava.
Secondo ogni idealismo detto “romantico” la realtà è spirito, pensiero. Non esiste realtà alcuna al di fuori del pensiero. Questo è l’assunto fondamentale comune alla triade dei filosofi idealisti tedeschi (F S H).
Il nome di attualismo, la cifra specifica dell’idealismo gentiliano, deriva dal ridurre tutta la realtà a spirito (spiritualismo assoluto) e dall’intendere lo spirito come ‘atto’ non nel senso aristotelico di realtà pienamente realizzata (actum), ma all’opposto nel senso di actus, o realtà che è in quanto si fa. Atto è la stessa autocoscienza come processo pratico e teorico insieme di fondazione di sé.
Ciò premesso, vediamo i conseguenti punti fermi della pedagogia di Gentile:
Rifiuto del presupposto dualistico, unità di educatore ed educando nello Spirito (non è un’identificazione o una proiezione);
Educazione come sintesi tra docente e discente nell’atto concreto dell’educazione;
L’educazione è atto spirituale che unisce due spiriti, nel senso che i due soggetti diventano una cosa sola nello Spirito, che è uno.
Nel momento in cui io insegno il contenuto X, compio un atto spirituale. Nel momento in cui lo studente apprende X, compie lo STESSO atto spirituale: ecco
la sintesi concreta “Ma il maestro che parla, non pensa ad altro che a ciò di cui parla; è tutto raccolto in quel pensiero, né può distrarsi. La scuola, l’ambiente tutto e lo scolaro non sono più niente di nuovo per lui, non fermano e non attirano più la sua attenzione; egli non se n’accorge più; tutto è stato assorbito nella sua determinata soggettività, la cui vita nuova è invece nell’argomento che gli offre materia alla presente lezione (SdPcSF). Come chi è assorto nella lettura dell’Ariosto, non solo non sente il peso dell’aria che grava su tutta la superficie del suo corpo, né quello dei panni ond’è vestito: non solo si scorda la fame, la sete, e quanti altri bisogni e guai maggiori può avere addosso; ma non vede il libro che gli porge il farmaco salutare,non ne sente il peso che pur ne regge, non bada ai caratteri, romani o elzeviri, ond’è impresso; volta le pagine senz’avvedersene; è tutto nel mondo della sua fantasia. E come, se a un tratto mancasse una pagina al suo volume o una grossa macchia impedisse il corso della lettura, o un improvviso sbatter d’usci
spezzasse l’incanto, il lettore si ritroverebbe allora col suo libro in mano e s’avvedrebbe di aver letto quel libro, e di non essere già stato nel mondo lieto e meraviglioso della immaginazione ariostea; così, se qualche cosa venga a turbare quella situazione felice in cui il maestro si trova nell’atto della sua lezione, se una folata di vento dalle aperte finestre trascini seco a volo le carte d’un tavolino, o se quell’alunno che se ne stava zitto e intento come bevesse il discorso del maestro cogli occhi, rompa in uno sguaiato sbadiglio, è ovvio che il povero maestro sia smontato. La parola gli muore sulle labbra, perché il pensiero gli si è interrotto a mezzo, perché quella sua determinata soggettività si è improvvisamente rimutata di dentro(dal “Sommario di pedagogia come scienza filosofica”).
Insomma insegnante e alunno scompaiono nella loro materialità soggettiva e sono “uno” nell’argomento trattato, insegnato-imparato. E’ un concetto suggestivo, il quale effettivamente illustra in modo efficacissimo quella magia che si crea in classe durante certe lezioni (giorni fortunati!) quando l’insegnante spiega e si accorge che i suoi studenti anticipano le sue parole, e la spiegazione diventa un pensare insieme. E’ però un concetto che evidentemente baipassa tanti problemi (quelli della struttura anche materiale dell’istituto, quella dell’organizzazione, ecc. ecc.) ma ha quanto meno il pregio di sottolineare ciò che è essenziale nell’esperienza scolastica;
Certo il rischio è quello dell’autoreferenzialità e dell’autoritarismo quando manchi l’autorevolezza.
Corollari: Gentile critica la pedagogia positivistica in quanto meccanica, astratta, vuota e mnemonica.
Pedagogia non è una scienza distinta dalle altre, è filosofia (“Sommario di pedagogia come scienza filosofica”).
Non esiste il metodo didattico.
Non esiste “programma” (ma vedi il ferreo coordinamento di materia) perché la stessa materia culturale può essere vivificata in modi diversi, nell’unicità irripetibile dell’atto educativo.
Abolito il tirocinio per le maestre.
Ed ora veniamo all’altra tipologia di docente, assai meno individualistica, anzi per nulla tale (ricordiamo che nella mitologia di certo didattismo degli anni ’80 c’era l’insegnante “intercambiabile”, capace di sostituire in tutto e per tutto il collega assente). Bene, non si creda che questo sia privo problemi.
Il “facilitatore di cultura”, amante dei quiz a risposta chiusa, che non compra libri di testo se non sono didattizzati, è davvero meno autoritario del prof gentiliano? In apparenza sì, ma sentiamo cosa scrive in proposito Lucia Lumbelli in “Per un’osservazione sistematica degli errori di comunicazione nella
prassi scolatica” tratto da “Pedagogia della comunicazione verbale” ed. Franco Angeli.
Osserva la Lumbelli che anche quando ci si propone un modello di insegnamento antiautoritario e inclusivo, in cui si sottolinea il valore della libertà espressiva, di fatto quelli che l’autrice chiama – con riferimento alla teoria sistemica – “disturbi di comunicazione”. Insiste particolarmente sul doppio legame della comunicazione paradossale. Questa si ha una persona in posizione one-up dà a chi è in one-down un comando che in realtà comprende due sottocomandi in reciproca contraddizione, in modo che qualunque scelta faccia incorre in errore.
Ecco alcuni esempi di questo tipo di comunicazione:
a) “Dai Tiziana, scrivi tutto quello che vuoi, scrivi cose carine”
b) “Se non vi interessa non leggo più, però vi do 4 in Storia”
c) “Avevate una nazione a scelta. Tu cosa hai portato?” Il Paraguay” “Naturalmente. Hai scelto la più corta”.
d) “Dimmi quali sono i sentimenti che ti hanno colpito di più.” “L’amore tra i protagonisti.” “Ma no, questi non sono i più importanti.”
e) “Sì, il compito è andato bene. Ma è farina del tuo sacco?”
Ora, questo “disturbo” è particolarmente presente non nella comunicazione autoritaria, ma in quella che lascia spazio all’espressività del discente, ossia (chiamiamola così) finto-antiautoritaria.
Insomma sarei tentato di concludere che il docente “democratico” conserva in pectore un io gentiliano il quale reclama i suoi diritti, vuole i suoi spazi, ma
poiché viene inibito e censurato dal primo, riemerge in forme ambigue, vendicative, destabilizzanti.
Meglio, allora, il docente individualista e fascinatore?
Alfonso Indelicato è laureato in Filosofia teoretica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Esperto di Comunicazione Efficace e Psicologia della Scrittura, dal 1992 è iscritto all’Albo del Tribunale di Milano quale perito grafico. Ha tenuto corsi di scrittura creativa aperti alla cittadinanza, con riscontro sulla stampa milanese. E’ stato dirigente provinciale della GILDA degli Insegnanti e membro del Collegio Nazionale dei Probiviri della stessa. Insegnante di Italiano e Storia presso gli Istituti secondari di II grado, è dal 2010 in comando presso l’ Associazione Europea Scuola e Professionalità insegnante, di cui cura le relazioni esterne.

Libertà di insegnamento e libertà di apprendimento
di Francesco Quattrociocchi
La libertà di insegnamento non può andare in contrasto con la libertà di apprendimento e quindi va tutelato il diritto dello studente a ricevere un’educazione obiettiva e completa.
Legittimamente i docenti hanno le loro idee ma a volte capita che cerchino di inculcarle agli allievi, e ciò avviene in maniera subdola e senza che questi siano messi nella condizione di documentarsi, informarsi, farsi un’idea e magari di discutere. E’ la pratica del lavaggio del cervello degli studenti ad opera di quegli insegnanti che confondono l’insegnamento con l’ideologia.
Sono due generazioni, quelle dei docenti e dei discenti, che dalla loro diversità potrebbero solo trarne vantaggio se si intendessero le loro visioni come complementari piuttosto che sentirle come conflittuali solo perché poste partendo da piani differenti.
In aula, dove insieme all’apprendimento didattico si dovrebbe favorire la formazione del giovane che si sta per affacciare al mondo degli adulti, il confronto tra visioni critiche differenti, anche se non opposte, non è il punto d’avvio di alcun dibattito (che chiaramente non si intende portare avanti) né il punto d’arrivo (c’è un unica verità di cui l’intellighenzia è custode).
Purtroppo qualche docente e qualche preside, nostalgico del ’68, dimentica che il muro di Berlino è caduto e che con esso è finita un’epoca. E’ la politica dell’egemonia della sinistra nella scuola, orchestrata in primo luogo dai sindacati, gli stessi che si sono sempre opposti a qualsivoglia tentativo di riforma della scuola perché vista come una minaccia al sessantottismo a vantaggio del merito.
In questo scenario è ovvio che anche la realtà storica e culturale sia stata manipolata a favore della stessa parte politica che pretende di dominare la cultura: basti pensare al ricordo delle foibe che sui libri di storia delle superiori ha meritato appena qualche paragrafo e che solo negli ultimi anni, grazie alle battaglie del centrodestra, ha preso dignità.
Da studente non mi sono mai trovato, come invece amici di altre realtà, nei giorni di manifestazione ad essere “caldamente invitato” da professori irriducibili a seguire la lezione in piazza per manifestare dissenso. Chiaramente chi non avesse rispettato questo obbligo sarebbe stato interrogato alla prima occasione utile sull’argomento della “lezione all’aperto”.
Piuttosto quello che mi è capitato è di aver notato, da studente, un ripetersi di coincidenze particolari: a ridosso di campagne elettorali e referendum si verifica un insolito interesse da parte di certi insegnanti per alcuni specifici temi di attualità. Ho vissuto in prima persona il caso dell’improvviso fascino per l’“idraulica” in concomitanza del referendum sulla gestione dei servizi idrici. Il tema, affrontato senza nessuna analisi delle posizioni contrarie, sembrava più una questione di propaganda politica.
Un altro fatto da annotare è l’abitudine di alcuni insegnanti a sfavorire gli alunni
che hanno il coraggio di farsi una propria opinione (soprattutto se di una certa
posizione). Questo atteggiamento, scorretto e arrogante, è di una certa
gravità perché penalizza gli studenti doppiamente: nell’immediato e nelle
scelte future poiché crea nei più deboli la convinzione di non valere
abbastanza e li porta quindi a rivedere a ribasso le proprie aspirazioni.
In un’epoca in cui tutto è messo in discussione, pare ormai che da parte della
famiglia e della scuola non ci possa più essere una comune visione
dell’educazione dei giovani; tutto ciò porta al declino della tradizionale dignità
dell’insegnante e alla svendita del futuro degli studenti.
Francesco Quattrociocchi ha 22 anni. Si è diplomato al Liceo Scientifico Vittorio
Veneto di Milano e ha proseguito gli studi all’Università Bicocca nella facoltà di
Economia e Commercio presso la qule è attualmente inscritto.
Fin dagli anni del liceo si è occupato della diffusione delle informazioni di
interesse degli studenti e di interventi di attuazione del diritto allo studio, attività
che continua anche in Ateneo come componete della rappresentanza
studentesca.