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H. Schneider, Lasciami andare, madre

Helga Schneider, la figlia negata

di Antonio Stanca

      Un’altra edizione, ancora presso Adelphi, è comparsa di Lasciami andare, madre, romanzo della scrittrice tedesca, naturalizzata italiana, Helga Schneider. Vive in Italia, a Bologna, dal 1963, da quando aveva ventisei anni e in italiano ha scritto tutte le sue opere comprese quelle dell’esordio intorno agli anni ’90. La prima edizione di Lasciami andare, madre risale al 2001 e pure allora era stata curata da Adelphi.

   La Schneider è nata in Germania, a Steinberg, nel 1937. Ha ottantotto anni e molte opere, soprattutto romanzi, ha scritto, molte traduzioni ha avuto, molti riconoscimenti ha ottenuto. Un caso singolare, unico, si potrebbe dire della sua vita, di quella precedente al trasferimento in Italia, giacché fin da bambina è stata in posti diversi, in nazioni diverse dell’Europa centrale, specie durante gli anni della seconda guerra mondiale. In verità non è stata solo lei la vittima di una situazione così precaria, così insicura, così pericolosa, ma anche il fratello Peter, più piccolo di pochi anni. Da quando Helga aveva quattro anni e Peter diciannove mesi, nel 1941 con il padre Stefan al fronte, in piena guerra, erano stati abbandonati dalla madre nella casa di Berlino perché si era arruolata nelle SS naziste come guardiana di un campo femminile prima di concentramento, poi di sterminio. Nel 1942, dopo che erano passati dalle cure di una zia a quelle dei nonni paterni, i due bambini si troveranno a vivere un difficile rapporto, specialmente Helga mandata prima in una casa di correzione e poi in collegio, con Ursula, la nuova moglie del padre. A molte altre esperienze, in molti altri posti, tra molte altre persone e situazioni, molti altri disagi materiali e morali, si vedranno esposti. Cresceranno senza essere sicuri di niente, né del cibo né dell’affetto necessario. Si faranno grandi a furia di continui spostamenti, di improvvisi cambiamenti e mentre la guerra divampa con una crudeltà, una ferocia senza precedenti. Nel 1944 succederà che la sorella della matrigna Ursula, Hilde, collaboratrice diretta di un alto funzionario del Reich, Joseph Goebbels, s’interessi di Helga e Peter, li faccia rientrare a Berlino e vivere, fino alla fine della guerra, in una cantina al riparo dai bombardamenti degli alleati ma non completamente liberi dai problemi della fame e del freddo. Sarà in quel periodo che Hilde li farà inserire tra “i piccoli ospiti del Führer” e insieme ad altri bambini li farà entrare nel bunker di Hitler. Lo visiteranno e incontreranno il Führer in persona, ormai piuttosto malandato. Si sta preparando alla fine, quella che già è stata scelta e attuata da Goebbels, mentre Berlino è un unico, immenso rogo.

   Finita la guerra la famiglia, ormai ricomposta, rimarrà a Berlino qualche altro anno finché nel 1948 non rientrerà a Vienna accolta dai nonni paterni. Helga e Peter hanno adesso lei undici e lui quasi nove anni. Erano cresciuti, erano andati avanti nei luoghi dove più acceso era stato il conflitto, più vicino, più minaccioso il pericolo, più difficile evitarlo. Si faranno grandi senza che possano liberarsi di quei ricordi, neanche quando, come farà Helga, decideranno di stabilirsi altrove, di cambiare nazionalità. Nel 1963 lei sceglierà di stare, di vivere in Italia, a Bologna, dove a poco più di cinquant’anni esordirà in una narrativa che continuerà fino ad oggi e che si alimenterà sempre delle sue tristi esperienze. Così sarà anche in Lasciami andare, madre dove ritorna su quanto accaduto nel 1998, quando si era recata a Vienna, con la cugina Eva, per far visita a quella madre che l’aveva abbandonata insieme al fratellino. Già prima, nel 1971, quando aveva saputo che era ancora viva, che aveva scontato i sei anni di carcere ai quali era stata condannata dal Tribunale di Norimberga perché criminale di guerra e che viveva a Vienna, era andata a trovarla e delusa era rimasta per aver scoperto che non aveva rinunciato a quelle aspirazioni, quelle convinzioni proprie della Germania nazista, quelle che l’avevano fatta arruolare nelle SS e svolgere il suo lavoro nei campi femminili di Ravensbrück e di Auschwitz-Birkenau. Era stata rigorosa, quasi crudele e, quel che era stato più grave, aveva abbandonato i piccoli figli per un simile impegno. Nonostante tutto Helga vi sarebbe tornata nel 1998 e ne avrebbe scritto un romanzo anche perché stavolta quella madre non sarebbe stata così intransigente come prima, si sarebbe mostrata, pur tra sopraggiunti problemi di memoria, di ricostruzione, di ordine cronologico, più disposta, più vicina alle richieste, alle domande, ai bisogni della figlia. La capirà di più quando l’accuserà del danno provocato alla propria famiglia, quando la porterà a confessare gli orrori del nazismo, l’assurda convinzione della “soluzione finale”, dello sterminio degli ebrei, quando la farà parlare dell’uso spietato delle camere a gas, dei forni crematori.

   Rimarrà sempre inflessibile, rigida nelle sue posizioni ma si mostrerà capace di capire quanto male aveva subito l’umanità solo perché si affermassero, si diffondessero, valessero ideali assurdi, progetti impossibili.

   L’intero libro sarà un dialogo interminabile tra madre e figlia, sembrerà non voler mai finire soprattutto per volontà di quella madre che così cattiva era stata. Si era riusciti a migliorare se non le tragiche vicende almeno il loro giudizio, si erano ripercorsi, tramite la storia dei due bambini, i più gravi momenti della guerra, ci si era arresi ma non si era rimasti vittima dell’accaduto, si era giunti a dubitarne, a metterlo in discussione. A tanto aveva portato quella bambina, quella Helga abbandonata tra infiniti pericoli da una madre fanatica. Quella madre era riuscita a smuovere quella bambina, l’aveva portata a chiedere comprensione, aiuto, a non voler finire di parlare con la figlia.

   È stato tanto il successo di questo romanzo che nel 2004 Lina Wertmüller ne ha tratto un’opera teatrale e nel 2017 Polly Steele ha fatto un film circa la figura, l’opera, la vita della Schneider.

Valutazione dei Dirigenti scolastici

A.S. 2024-2025

Sistema nazionale di valutazione
dei risultati dei dirigenti scolastici


Nota 31 luglio 2025, AOODGCASIS 4929
Sistema nazionale di valutazione dei risultati dei Dirigenti scolastici – Piattaforma di valutazione dei risultati a.s. 2024/2025 – Rilascio nuove funzionalità

Nota 28 maggio 2025, AOODGSIS 3651
Sistema nazionale di valutazione dei risultati dei Dirigenti scolastici – Messa a disposizione della piattaforma ai Direttori degli Uffici Scolastici Regionali e ai Dirigenti scolastici

Decreto Interdipartimentale 26 marzo 2025, AOODPIT 616
Definizione degli obiettivi dei dirigenti scolastici per l’a.s. 2024/2025 ai sensi del D.M. 12 marzo 2025, n. 47 recante l’adozione del sistema nazionale di valutazione dei risultati dei dirigenti scolastici

Decreto Ministeriale 12 marzo 2025, AOOGABMI 47
Adozione del Sistema nazionale di valutazione dei risultati dei Dirigenti scolastici


Nota 26 febbraio 2025, AOODGOSV 8369
Sistema nazionale di valutazione dei risultati dei Dirigenti scolastici – Adozione del D.M. del 21.02.2025 n. 28

Decreto Ministeriale 21 febbraio 2025, AOOGABMI 28
Adozione del Sistema nazionale di valutazione dei risultati dei dirigenti scolastici


Con Nota 31 luglio 2025, AOODGCASIS 4929, il Ministero comunica che dal 1° agosto al 20 settembre 2025 saranno disponibili le funzioni della piattaforma dedicata al procedimento di valutazione, riferite alle attività previste dalla fase di “Misurazione e valutazione dei risultati in base al conseguimento degli obiettivi” nell’anno scolastico 2024-2025, di competenza dei Dirigenti scolastici.



Con Nota 28 maggio 2025, AOODGSIS 3651, il Ministero segnal che a piattaforma del Sistema nazionale di valutazione dei risultati dei Dirigenti scolastici è accessibile ai Dirigenti scolastici a partire dal 3 giugno 2025, previa autenticazione al sistema SIDI, al seguente percorso “Personale Amministrativo e Dirigenti scolastici” → “Sistema nazionale di valutazione dei risultati dei Dirigenti scolastici”.
La piattaforma invià una mail automatica a tutti i dirigenti scolastici per comunicare l’assegnazione degli obiettivi.
Un video – tutorial è disponibile al seguente link: https://youtu.be/PF-jdBfQizQ


Dal 16 aprile attivo e consultabile nel portale istituzionale Mim lo spazio dedicato al Sistema nazionale di valutazione dei risultati dei dirigenti scolastici. La nuova sezione offre un punto di riferimento chiaro e aggiornato sulla procedura, i tempi, i casi particolari e il piano di accompagnamento.


Emanato il Decreto Interdipartimentale 26 marzo 2025, AOODPIT 616 concernente la definizione degli obiettivi dei dirigenti scolastici per l’a.s. 2024/2025 ai sensi del D.M. 12 marzo 2025, n. 47 recante l’adozione del sistema nazionale di valutazione dei risultati dei dirigenti scolastici

Scheda definizione obiettivi, indicatori e target a.s. 2024/25


Emanato il Decreto Ministeriale 12 marzo 2025, AOOGABMI 47 di adozione del Sistema nazionale di valutazione dei risultati dei dirigenti scolastici, in attuazione delle recenti disposizioni legislative promosse dallo stesso Ministro.

Con questo provvedimento, a decorrere già da questo anno scolastico 2024/2025, la valutazione dei dirigenti scolastici avverrà tenuto conto della specificità delle funzioni e sulla base degli strumenti e dei dati a disposizione del sistema informativo del Ministero e del Sistema nazionale di valutazione dei risultati dei dirigenti scolastici. Il procedimento sarà articolato in una fase di assegnazione degli obiettivi, anche di rilevanza regionale, e in una di valutazione, a cura dei direttori degli Uffici Scolastici Regionali, garantendo altresì un eventuale momento di contraddittorio con gli interessati e il ruolo di un organismo di garanzia. Agli esiti della valutazione sarà collegata la retribuzione di risultato.


A.S. 2018-2019

Nota esplicativa 2 aprile 2019, n. 4
Il procedimento di valutazione dei Dirigenti scolastici per l’a.s. 2018/19

Cronoprogramma 2018/2019

Struttrura Portfolio


Firmato il 4 marzo 2019 l’Accordo MIUR-OO.SS. relativo al procedimento di valutazione dei Dirigenti Scolastici per l’a.s. 2018/2019


A.S. 2017-2018

Con Nota 16 luglio 2018, AOODGOSV 12106, la scadenza per la chiusura delle funzioni per la compilazione online del Portfolio del Dirigente scolastico è stata prorogata dal 31 luglio al 31 agosto 2018.


A partire dal 20 aprile 2018 sul Portale del Sistema nazionale Area Dirigenti – Portfolio DS – Accedi ai servizi di valutazione (raggiungibile all indirizzo https://snv.pubblica.istruzione.it/snv-portale-web/) sono aperte le funzioni per procedere alla compilazione online del Portfolio del Dirigente scolastico.

Cronoprogramma procedimento di valutazione DS – A.S. 2017/18



A.S. 2016-2017

Come previsto dalla Nota 27 aprile 2017, AOODGOSV 4555, a partire dal giorno 27 aprile 2017 e fino al 30 giugno 2017 (prorogato al 31 luglio 2017 dalla Nota 8 giugno 2017, AOODPIT 1182) sul Portale del Sistema nazionale di valutazione (Area Dirigenti – Portfolio DS) sono aperte le funzioni per procedere alla compilazione online del Portfolio del Dirigente scolastico, strumento alla base del procedimento di valutazione, previsto dalle Linee guida di attuazione della Direttiva 18 agosto 2016, AOOUFGAB 36 (vd. Nota esplicativa n. 2).

Non saranno svolte visite da parte dei Nuclei nell’a.s. 2016/17; la valutazione di prima istanza da parte del Nucleo di valutazione e la valutazione finale da parte del Direttore dell’USR avverranno, rispettivamente, entro novembre ed entro dicembre 2017.

La Direttiva ministeriale n. 239, firmata il 21 aprile 2017, avente ad oggetto “Modifiche alla Direttiva 18 agosto 2016 n. 36 sulla valutazione dei dirigenti scolastici“,  prevede che il procedimento di valutazione dei Dirigenti scolastici non avrà effetto sulla determinazione della retribuzione di risultato per l’anno scolastico 2016/17, ma a partire dall’anno scolastico 2017/18.
I riscontri e le osservazioni degli Uffici scolastici regionali sulla procedura di valutazione  saranno inviati ad un Osservatorio (previsto dall’art. 12 della Direttiva), in via di definizione con specifico decreto ministeriale.


Come previsto dalla Nota 11 luglio 2017, AOODGOSV 8603, dal 14 luglio al 31 agosto 2017, sul Portale del Sistema nazionale di valutazione, sono aperte le funzioni per procedere alla compilazione online del Portfolio per i Dirigenti scolastici con incarichi presso l’Amministrazione centrale e periferica del MIUR, altra amministrazione dello Stato, enti pubblici o privati, con retribuzione a carico dell’Amministrazione scolastica.




Faq – Domande Frequenti

IL PORTFOLIO E LA SUA COMPILAZIONE

Parte prima del Portfolio – Anagrafe professionale

  1. Che rilievo assume la parte prima del Portfolio nel procedimento di valutazione?

La prima parte del Portfolio ha l’obiettivo specifico di illustrare e descrivere la “storia” professionale del Dirigente adottando un modello unico di riferimento a livello nazionale e perciò comparabile. L’anagrafe professionale intende raccogliere tutte le informazioni professionali più rilevanti e sarà aggiornabile annualmente. Ogni Dirigente avrà la possibilità di integrare l’anagrafe allegando il proprio curriculum vitae e alcuni documenti che attestino aspetti particolarmente significativi della propria professionalità. Il contenuto dell’anagrafe professionale non influisce sulla compilazione delle rubriche di valutazione da parte dei componenti dei Nuclei di valutazione, ma permette ad essi di poter focalizzare con immediatezza gli elementi informativi più rilevanti sul Dirigente da valutare.

Parte seconda del Portfolio – Autovalutazione e bilancio delle competenze

  1. Che scopo ha la parte seconda del Portfolio?

L’autovalutazione intende tracciare un profilo professionale organico del Dirigente scolastico ed è strutturata prendendo in considerazione le cinque dimensioni professionali riprese dai criteri del comma 93 (citate sotto ogni definizione delle cinque sezioni), dall’esperienza professionale e dalla letteratura nazionale e internazionale sulla leadership. L’obiettivo della compilazione della parte relativa all’autovalutazione è “consentire al Dirigente scolastico una riflessione sul suo ruolo e sui suoi punti di forza/debolezza, nell’ottica dello sviluppo e del miglioramento della professionalità” (Portfolio, p. 8). L’autovalutazione è dunque uno strumento di utile riflessione sul proprio lavoro e sulla coerenza tra le azioni dirigenziali “quotidiane” e gli obiettivi strategici. Non è necessario che il Dirigente scolastico alleghi documentazione a conforto dei livelli che egli stesso si attribuisce, avendo comunque la possibilità di motivare la scelta nell’apposito campo libero.

  1. Che rilievo assume l’autovalutazione nel procedimento di valutazione?

L’autovalutazione non è elemento di valutazione e non influisce sulla compilazione delle rubriche di valutazione da parte dei componenti dei Nuclei di valutazione. Il procedimento di valutazione non prevede che i Nuclei debbano procedere ad una conferma o meno dell’autovalutazione del Dirigente scolastico. Ciò dovrebbe essere ancora più chiaro se si riflette sul fatto che la compilazione della parte seconda del Portfolio è facoltativa. Sia nelle rubriche di autovalutazione sia nelle rubriche di valutazione vengono utilizzati i medesimi descrittori, quantunque raggruppati diversamente, con lo scopo di permettere al Dirigente di compiere un’autovalutazione che prenda in considerazione tutti gli aspetti oggetto di valutazione della sua azione professionale complessiva.

  1. È opportuno compilare il campo “Elementi di contesto”?

La descrizione del livello di complessità del contesto in cui il Dirigente scolastico opera può risultare sicuramente utile per comprendere vincoli e opportunità che impattano sulla sua azione professionale. Molte scelte strategiche del Dirigente scolastico sono orientate, e a volte condizionate, dal contesto nel quale si trova ad operare. Una sintetica ma significativa descrizione del contesto può perciò servire al Dirigente scolastico per meglio motivare le scelte concernenti gli obiettivi e le azioni professionali, e sarà anche di fondamentale importanza per il Nucleo di valutazione, al fine di poter comprendere meglio il contributo del Dirigente scolastico al processo di miglioramento.

Parte terza del Portfolio – Obiettivi e azioni professionali

  1. Che rilievo assume la parte terza del Portfolio nel procedimento di valutazione?

La parte terza del Portfolio assume un rilievo fondamentale tra le fonti da cui il Nucleo di valutazione trae elementi utili per la formulazione del giudizio complessivo per ognuna delle tre aree, in quanto grazie ad essa si può evincere specificatamente “il contributo del dirigente al perseguimento dei risultati per il miglioramento del servizio scolastico previsti nel rapporto di autovalutazione” (Portfolio, p. 22).

  1. È opportuno che il Dirigente scolastico nella parte terza del Portfolio indichi tutte le azioni professionali svolte per la realizzazione degli obiettivi di processo indicati nel RAV?

È opportuno che il Dirigente scolastico si concentri, a propria scelta, sulla base delle risultanze del RAV e degli obiettivi inseriti nella lettera di incarico, su alcune azioni professionali significative (indicativamente due o tre) e descriva brevemente le azioni realizzate, documentando anche i processi più significativi avviati per il perseguimento degli obiettivi di miglioramento della scuola, con la possibilità di allegare file con dati ed evidenze, se non già contenuti nella documentazione inserita in piattaforma. In particolare il Dirigente scolastico, nella parte terza, dovrebbe riportare quelle azioni che evidenziano il valore aggiunto del proprio specifico professionale nella scuola.

  1. Perché la parte terza del Portfolio è strutturata su otto aree?

Le prime sette aree di processo non sono altro che le “le aree di miglioramento organizzativo e gestionale delle istituzioni scolastiche e formative direttamente riconducibili al dirigente scolastico, ai fini della valutazione dei risultati della sua azione dirigenziale, secondo quanto previsto dall’articolo 25 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, e dal contratto collettivo nazionale di lavoro”, ai sensi dell’art. 6 comma 2, punto 2 del D.P.R. 80/2013. Inoltre, sono le aree all’interno delle quali si riconducono gli obiettivi di processo del RAV, interni al Piano di miglioramento, cui si collegano le più significative azioni professionali messe in atto dal Dirigente scolastico per il perseguimento degli obiettivi di miglioramento della scuola inseriti nella lettera di incarico (Portfolio, p. 15). Ad ogni modo il Dirigente scolastico nella compilazione della parte terza del Portfolio può decidere di non riferirsi esclusivamente alle azioni collegate con le sette aree degli obiettivi di processo, ma può inserire anche le azioni per il perseguimento degli obiettivi nazionali e regionali (tutti gli obiettivi presenti nella lettera di incarico saranno infatti riportati proprio all’inizio della parte terza). A tale scopo è presente l’area di processo “Altro”. In sostanza ciò che si chiede al Dirigente scolastico è di fare una selezione mirata delle azioni più significative che permettano al Nucleo di rilevare lo specifico della sua azione professionale.

  1. Quale è la funzione della parte terza del Portfolio rispetto alla compilazione delle rubriche di valutazione da parte del Nucleo di valutazione?

La parte terza del Portfolio è ineludibile nel processo di valutazione: in essa il Dirigente scolastico deve riportare e documentare cosa secondo lui è significativo e specifico della sua professionalità. Al Nucleo spetta valutare il contributo al perseguimento dei risultati di miglioramento previsti nel RAV (così come previsto dal comma 93 dell’art. 1 della L. 107/2015), facendo riferimento a diverse fonti ed evidenze, fra cui sicuramente la parte terza del Portfolio, ma anche ad altri documenti e la stessa visita e/o interlocuzione diretta (Portfolio, p. 23). La valutazione del Nucleo, quindi, deve tener opportunamente conto delle azioni professionali indicate dal Dirigente scolastico nella parte terza, ma deve anche rilevare tutti gli aspetti interni ai criteri del comma 93.

  1. Non sussiste il rischio che l’esplicita connessione delle azioni del Dirigente scolastico soltanto con gli obiettivi desunti dal RAV porti a sottovalutare aspetti rilevanti dell’azione del Dirigente scolastico non contemplate nel RAV?

Tale rischio potenzialmente non sussiste, in quanto il procedimento di valutazione del Dirigente scolastico è rivolto a tutta la sua azione professionale, che deve essere letta in modo globale e unitario, e il Nucleo di valutazione, proprio per valutare gli aspetti più generali dell’azione dirigenziale collegati con i criteri del comma 93 dell’art. 1 della Legge 107/2015, deve prendere in considerazione tutta una serie di documenti specificamente indicati nel Portfolio. È ovvio che nella sua quotidianità professionale il Dirigente scolastico svolge molte azioni, ma all’interno del procedimento di valutazione i passaggi ineludibili in cui si può riscontrare la pertinenza e la coerenza dell’azione dirigenziale volta al perseguimento dei risultati per il miglioramento del servizio scolastico sono le azioni legate agli obiettivi di processo interni al Piano di miglioramento.

  1. Considerato che ad oggi non è stato definito un modello specifico di RAV per i CPIA e pertanto per i Dirigenti scolastici dei Centri non è stato possibile definire degli obiettivi da inserire all’interno del nuovo incarico o ad integrazione dell’incarico in essere a partire dal RAV, il perseguimento di quali obiettivi il Dirigente è tenuto a documentare?

Tutti i CPIA hanno definito all’interno del proprio PTOF le priorità di miglioramento per il prossimo triennio. Il MIUR ha chiesto ai CPIA la trasmissione del PTOF e lo stralcio degli obiettivi di miglioramento ove inseriti nel Piano Triennale deliberato. Tali obiettivi, a seguito di verifica da parte del Direttore USR, sono stati utilizzati per la definizione dell’incarico dei Dirigenti scolastici in quanto a tutti gli effetti obiettivi di miglioramento della scuola.

  1. Che funzione svolge il Repertorio del Dirigente scolastico? È obbligatorio che il Dirigente scolastico vi faccia riferimento?

Il Repertorio è da intendersi come puro e semplice strumento di orientamento professionale, messo a disposizione del Dirigente scolastico esclusivamente al fine di supportarlo nella compilazione della parte terza del Portfolio: di conseguenza, non è obbligatorio che vi si faccia riferimento.

Parte terza del Portfolio – Sezione di caricamento dei documenti

  1. Quali documenti devono essere caricati obbligatoriamente nella sezione riservata presente nella parte terza del Portfolio?

Il Dirigente scolastico avrà cura di provvedere al caricamento dei documenti indicati nell’Allegato n. 1, la cui consultazione è ineludibile da parte del Nucleo di valutazione. Il Dirigente scolastico potrà nella stessa sezione caricare pochi e significativi altri documenti che riterrà strettamente necessari per fornire al Nucleo elementi particolarmente utili per la valutazione relativamente ai criteri generali indicati dalla L. 107/2015.

IL PROCEDIMENTO DI VALUTAZIONE DEI DIRIGENTI SCOLASTICI PER L’A.S. 2016/17

  1. Cosa determinano le modifiche alla Direttiva 36 sul procedimento di valutazione dei Ds?

La Direttiva ministeriale n. 239 del 21/04/2017, avente ad oggetto “Modifiche alla Direttiva 18 agosto 2016 n. 36 sulla valutazione dei dirigenti scolastici” ed in corso di registrazione, ha stabilito che il procedimento di valutazione dei Dirigenti scolastici avrà effetto sulla determinazione della retribuzione di risultato a partire dall’anno scolastico 2017/2018. Di conseguenza nel corrente anno scolastico, 2016/2017, il procedimento verrà attuato ma senza produrre effetti sulla retribuzione di risultato, che sarà determinata, come negli anni precedenti, in relazione alla fascia di complessità dell’istituzione scolastica per la quale è stato conferito l’incarico dirigenziale

  1. I Dirigenti scolastici che andranno in quiescenza a partire dall’a.s. 2017/2018 saranno oggetto di valutazione?

Le modifiche apportate dalla Direttiva ministeriale 239 del 21/04/2017 comportano di fatto l’esclusione dal procedimento di valutazione dei Dirigenti scolastici che andranno in quiescenza a partire dall’a.s. 2017/2018, in quanto la loro retribuzione di risultato non sarà determinata dalla valutazione e gli stessi consigli di miglioramento interni al procedimento di valutazione non saranno ovviamente attuabili nei prossimi anni. I Direttori degli USR comunicheranno ai Dirigenti scolastici che saranno posti in quiescenza a partire dall’a.s. 2017/2018 l’esclusione dal procedimento di valutazione e dalla richiesta di compilazione del Portfolio.

  1. Per il corrente anno scolastico sono previste le visite presso le istituzioni scolastiche?

In considerazione del fatto che quest’anno i Nuclei di valutazione potranno iniziare a operare con l’inizio di giugno e che i mesi di giugno-luglio-agosto sono densi di impegni, è diventato inevitabile, per questo anno scolastico, sospendere le visite. Sono confermati, invece, i contatti a distanza: tutti i Dirigenti scolastici verranno contattati dai Nuclei entro novembre per approfondimenti sul Portfolio e sulla documentazione allegata.


Scuola, on line il portfolio del dirigente scolastico
Strumento chiave per lo sviluppo professionale e la valutazione

La valutazione delle e dei dirigenti scolastici entra nel vivo: è disponibile da oggi, sul sito del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, la versione elettronica del portfolio del dirigente scolastico che conterrà informazioni che vanno dal curriculum, al bilancio delle competenze, agli obiettivi e alle azioni professionali.

Il portfolio consentirà alle dirigenti e ai dirigenti di analizzare i loro compiti e le loro competenze, di fare il punto sugli obiettivi di miglioramento. Sarà quindi uno strumento di supporto per il loro sviluppo professionale, ma anche uno strumento chiave per il processo di autovalutazione e di valutazione.

Il portfolio si compone di quattro parti. La prima (anagrafe professionale) raccoglierà informazioni professionali, dal titolo di studio agli incarichi ricoperti, sarà compilata dalle e dai dirigenti e sarà resa pubblica. La seconda parte riguarderà l’autovalutazione e il bilancio delle competenze: ogni dirigente potrà compilarla (non è obbligatorio) analizzando la propria capacità di gestione, di valorizzazione del personale, di promozione della partecipazione, di monitoraggio e rendicontazione. Questa parte consentirà a ciascuna e ciascun dirigente di riflettere sui propri punti di forza e debolezza, nell’ottica del miglioramento della propria professionalità. La terza parte, particolarmente rilevante ai fini della valutazione, sarà dedicata agli obiettivi e alle azioni professionali, sarà obbligatoria e pubblica, sarà compilata dalle e dai dirigenti che dovranno descrivere le azioni realizzate per raggiungere gli obiettivi previsti dal Piano di miglioramento della loro scuola. Infine la quarta parte sarà dedicata alla  valutazione e agli eventuali consigli di miglioramento, sarà riservata al Nucleo di Valutazione, al Direttore dell’USR e al Dirigente scolastico.

Un primo video tutorial  introduce ed illustra l’utilizzo del portfolio. Ci sarà tempo, per la compilazione, fino al 30 giugno. Le dirigenti e i dirigenti hanno già avuto, l’8 febbraio scorso, una versione cartacea del portfolio per poter familiarizzare con lo strumento. La versione on line, intuitiva e di facile utilizzo, facilita la compilazione, che non richiede un investimento di tempo gravoso: si tratta di fare sintesi di informazioni e documenti già in possesso e soprattutto di evidenziare il proprio specifico professionale per il perseguimento degli obiettivi di miglioramento della scuola. La valutazione delle dirigenti e dei dirigenti ha preso il via ufficialmente con la direttiva numero 36 dello scorso agosto.

Nel frattempo sono stati adottati e pubblicati i Piani regionali di valutazione da parte degli Uffici scolastici. Tra febbraio e marzo le dirigenti e i dirigenti sono stati abbinati ai nuclei di valutazione, nei cui confronti sono state svolte  attività di informazione e formazione, che continueranno anche nei prossimi mesi. Fino a giugno si procederà con la compilazione del portfolio. Fra l’estate e l’autunno ci sarà da parte dei nuclei la vera e propria fase di valutazione  a partire dalla documentazione interna al  portfolio. Dall’anno scolastico 2017/2018 la retribuzione di risultato delle e dei dirigenti sarà legata al processo di valutazione.


Pubblicate le Linee guida per l’attuazione della Direttiva n. 36, del 18 agosto 2016, sulla valutazione dei dirigenti scolastici

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Valutazione dei dirigenti scolastici, pubblicate le Linee Guida

Giannini: “Processo atteso da 15 anni, aiuterà il miglioramento del sistema scolastico”

Sono disponibili da oggi sul sito del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca le Linee Guida per la valutazione dei dirigenti scolastici. Il documento rende operativa la direttiva firmata nei mesi scorsi dal Ministro Stefania Giannini.
“Si tratta di un processo atteso da 15 anni che ha lo scopo di investire sul miglioramento della professionalità dei nostri dirigenti, figure chiave dell’autonomia scolastica – sottolinea il Ministro -. Il sistema di valutazione a cui abbiamo lavorato è un sistema leggero, che si basa sui documenti e gli strumenti di pianificazione e programmazione che le scuole già utilizzano. Nessun appesantimento burocratico. Si parte dall’autovalutazione dei dirigenti che saranno poi accompagnati nel miglioramento del loro lavoro. La valutazione che parte oggi è un processo di supporto a tutto il sistema scolastico”.

Il documento

  • Le Linee guida individuano la tempistica del processo, i documenti e le procedure che saranno utilizzati per valutare i dirigenti, le dimensioni professionali che avranno un peso nel giudizio formulato dai Direttori degli Uffici Scolastici Regionali attraverso la valutazione elaborata dai Nuclei preposti.
    Prima scadenza, gli obiettivi da assegnare ai presidi: già in questi giorni i Direttori degli USR li stanno definendo ed assegnando ai dirigenti scolastici. Gli obiettivi da raggiungere, coerenti con il Rapporto di autovalutazione e il Piano di miglioramento e formativo delle scuole, saranno validi per tre anni. Entro dicembre saranno formulati i Piani regionali per la valutazione. Mentre fra gennaio e maggio i dirigenti scolastici saranno coinvolti in un processo di autovalutazione attraverso una piattaforma on line simile a quella utilizzata per la produzione del Rapporto di autovalutazione da parte delle scuole.
    Cosa faranno i dirigenti? Scatteranno la fotografia del loro operato. Dovranno evidenziare, fra l’altro, le modalità organizzative messe in atto nella loro scuola, le modalità di gestione del personale, le azioni messe in campo per promuovere la partecipazione della comunità scolastica e il rapporto con le realtà del territorio e come hanno promosso il raggiungimento degli obiettivi che hanno ricevuto.
    Entro agosto 2017 ci sarà una valutazione di prima istanza da parte del Nucleo regionale con possibili visite nelle scuole. Successivamente arriverà la valutazione finale da parte del Direttore dell’USR. La restituzione dei riscontri della valutazione da parte del Direttore avverrà entro dicembre 2017.
    L’azione del Dirigente sarà valutata su tre diverse dimensioni professionali:
  • Direzione unitaria, promozione della partecipazione, competenze gestionali e organizzative finalizzate al raggiungimento dei risultati (a quest’area viene attribuito un peso pari al 60% nel risultato finale);
  • Valorizzazione delle risorse professionali, dell’impegno e dei meriti professionali (avrà un peso del 30%);
  • Apprezzamento dell’operato all’interno della comunità professionale e sociale (avrà un peso del 10%).

La valutazione avrà cadenza annuale e inciderà sulla retribuzione di risultato dei dirigenti scolastici. Quattro i livelli di raggiungimento degli obiettivi previsti: “pieno raggiungimento”, “avanzato raggiungimento”, “buon raggiungimento”, “mancato raggiungimento”.


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Martedì 28 giugno, alle ore 10.30, presso la Sala Comunicazione del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, in Viale Trastevere 76/a, sono presentate la Direttiva e la prima nota applicativa sul Sistema di Valutazione dei Dirigenti Scolastici.


Valutazione dei dirigenti scolastici, firmata la direttiva
Giannini: “Da oggi abbiamo uno strumento in più per
il miglioramento del sistema”

Il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Stefania Giannini, ha firmato stamattina la direttiva per la valutazione dei dirigenti scolastici. “Dopo 15 anni di incertezze, attese e sperimentazioni, oggi siamo nelle condizioni di realizzare pienamente la valutazione dei dirigenti scolastici. Questo grazie ad un rinnovato quadro normativo, allo stanziamento di specifiche risorse economiche e alla presenza di risorse umane aggiuntive fra gli ispettori. Tutti effetti della legge 107, la Buona Scuola”, ha commentato Giannini, presentando il documento a Viale Trastevere alla presenza dei direttori generali degli Uffici Scolastici Regionali.

“Ora – ha proseguito – abbiamo in mano uno strumento in più per ottenere un obiettivo importante: il miglioramento del sistema scolastico”. Tre i criteri in base ai quali saranno valutati i dirigenti: “La capacità di indirizzo e di gestione della scuola peserà per il 60% sulla valutazione complessiva – ha spiegato il Ministro -. La capacità di valorizzare le risorse umane, il personale della scuola tutto (docente, amministrativo, tecnico e ausiliario) peserà per il 30%. Il restante 10% si baserà sull’apprezzamento dell’operato del dirigente da parte della comunità scolastica, di coloro che vivono e lavorano nella scuola”. I criteri sono contenuti nelle Linee Guida che saranno abbinate alla direttiva.

Cosa accade ora, in concreto? Ad agosto i dirigenti, oltre 7.000 in tutto il Paese, firmeranno il loro incarico all’interno del quale, per la prima volta, saranno inseriti obiettivi di miglioramento di tre tipi: obiettivi generali individuati dal Ministero, obiettivi legati alle specificità del territorio individuati dagli USR e obiettivi specifici collegati alla scuola che deriveranno dal RAV (il Rapporto di autovalutazione) dell’istituto che il dirigente dovrà guidare. Il RAV è il documento che, dallo scorso anno, le scuole hanno cominciato a compilare per darsi un ‘voto’ sulle cose fatte e fissare le priorità di sviluppo per gli anni successivi.

Un apposito nucleo di esperti compilerà la valutazione dei dirigenti. Quattro i ‘gradi’ di valutazione previsti dalla direttiva: mancato raggiungimento degli obiettivi, buon raggiungimento degli obiettivi, avanzato raggiungimento degli obiettivi, pieno raggiungimento degli obiettivi. L’esito della valutazione sarà utilizzato per la retribuzione di risultato dei dirigenti. Niente più fondi a pioggia, come accade oggi. In caso di mancato raggiungimento degli obiettivi il dirigente potrà essere assegnato, in prima battuta, ad altra scuola. Se la valutazione negativa si ripeterà, sarà messo a disposizione dell’Ufficio Scolastico per svolgere altre mansioni. La valutazione si svolgerà con cadenza annuale a partire dal mese di settembre.



Illustrata alle OO.SS., il 6 maggio, la direttiva sulla valutazione dei Dirigenti scolastici

Come previsto dall’art. 1, cc. 93-94, della Legge 107/15, la valutazione dei dirigenti scolastici è effettuata dal Nucleo per la Valutazione dei Dirigenti scolastici (art. 25, c. 1, D.Lvo 165/01) ed è

  • coerente con l’incarico triennale e con il profilo professionale,
  • connessa alla retribuzione di risultato.

Nell’individuazione degli indicatori per la valutazione del dirigente scolastico si tiene conto

  • del contributo del dirigente al perseguimento dei risultati per il miglioramento del servizio scolastico previsti nel RAV (DPR 80/13), in coerenza con le disposizioni contenute nel D.Lvo 150/09,
  • dei seguenti criteri generali:

a) competenze gestionali ed organizzative finalizzate al raggiungimento dei risultati, correttezza, trasparenza, efficienza ed efficacia dell’azione dirigenziale, in relazione agli obiettivi assegnati nell’incarico triennale;
b) valorizzazione dell’impegno e dei meriti professionali del personale dell’istituto, sotto il profilo individuale e negli ambiti collegiali;
c) apprezzamento del proprio operato all’interno della comunità professionale e sociale;
d) contributo al miglioramento del successo formativo e scolastico degli studenti e dei processi organizzativi e didattici, nell’ambito dei sistemi di autovalutazione, valutazione e rendicontazione sociale;
e) direzione unitaria della scuola, promozione della partecipazione e della collaborazione tra le diverse componenti della comunità scolastica, dei rapporti con il contesto sociale e nella rete di scuole.

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Al via la valutazione dei dirigenti scolastici

Giannini: “Finalmente un sistema per valorizzarli e incentivare il miglioramento”

Le competenze gestionali e amministrative, la capacità di valorizzare il personale scolastico, l’apprezzamento del loro operato da parte della comunità scolastica. Sono alcuni dei criteri in base ai quali, a partire da settembre, saranno valutati i dirigenti scolastici.

“Dopo anni di attese, rinvii e sperimentazioni finalmente si parte. Con la Buona Scuola abbiamo messo i dirigenti scolastici al centro di un preciso progetto culturale che valorizza l’autonomia scolastica. Abbiamo dato a quelli che una volta si chiamavano presidi più strumenti per poter lavorare e più responsabilità. Per questo è necessario attivare un sistema oggettivo e trasparente di valutazione del loro operato che preveda incentivi crescenti per chi raggiunge gli obiettivi di miglioramento della propria scuola”, spiega il Ministro Stefania Giannini.

Oggi la direttiva sulla valutazione dei dirigenti scolastici è stata illustrata al Miur alle Organizzazioni Sindacali e sarà firmata nei prossimi giorni dal Ministro dell’Istruzione dopo il vaglio del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione. Di valutazione dei dirigenti si parla dal 2000, sono state fatte alcune sperimentazioni negli anni successivi, ma il sistema non è mai concretamente partito.
Cosa accadrà con la nuova direttiva? Quando firmeranno il loro contratto, in agosto, i dirigenti scolastici troveranno inseriti in questo documento gli obiettivi di miglioramento che saranno di tre tipi: ci saranno obiettivi generali individuati dal Ministero, obiettivi legati alle specificità del territorio individuati dagli USR e obiettivi specifici sulla scuola che deriveranno dal RAV (il Rapporto di autovalutazione) dell’istituto che il dirigente dovrà guidare. Il RAV è il documento che dal 2015 le scuole compilano per darsi una ‘voto’ sulle cose fatte e fissare le priorità di sviluppo per gli anni successivi.

Un apposito nucleo di esperti compilerà la valutazione dei dirigenti con un esito che potrà andare dal mancato raggiungimento degli obiettivi al completo raggiungimento che corrisponderà ad una valutazione ‘eccellente’. L’esito della valutazione sarà utilizzato per la retribuzione di risultato dei dirigenti. La valutazione si svolgerà con cadenza annuale. In caso di valutazione negativa il dirigente sarà supportato dall’Usr nel miglioramento del proprio lavoro. Sono previsti casi di non rinnovo del contratto presso la scuola affidata al dirigente solo in caso di responsabilità dirigenziali gravi, come già stabilito dal decreto legislativo 165 del 2001.
“La valutazione dei dirigenti ha come obiettivo principale – conclude il Ministro – la loro crescita professionale e, di conseguenza, il miglioramento della comunità scolastica in cui operano. È la prima volta che il nostro Paese affronta concretamente tale percorso che, secondo gli obiettivi di questo Governo, porterà ad una vera attuazione dell’autonomia scolastica, per troppo tempo attesa e mai realizzata fino in fondo”.

Neuroni specchio

Neuroni specchio

Il ruolo della relazione nell’apprendimento scolastico

di Bruno Lorenzo Castrovinci

Nel cuore dell’apprendimento non vi è solo il sapere, ma la relazione. Ogni bambino che entra in una classe porta con sé un mondo fatto di emozioni, bisogni e desideri di connessione. La scuola diventa, così, il primo grande contesto in cui il soggetto sperimenta sé stesso, all’interno di una rete sociale più ampia, fatta di pari, adulti significativi e ambienti simbolici. Apprendere non è un gesto solitario, ma un processo profondamente sociale, radicato nella condivisione, nello scambio, nel riconoscersi nell’altro.

Le neuroscienze contemporanee hanno evidenziato che il cervello è un organo plastico, creato per interagire. Le aree cerebrali deputate all’empatia, alla regolazione emotiva e all’attenzione si attivano in presenza di relazioni significative, e ciò influenza direttamente i processi cognitivi. I cosiddetti neuroni specchio, studiati da Rizzolatti, dimostrano che osservare un’azione o un’emozione negli altri stimola nel nostro cervello le stesse aree che si attiverebbero se fossimo noi stessi a compierla o provarla. Questo conferma che impariamo anche attraverso l’osservazione, la condivisione e l’imitazione.

Le più recenti teorie pedagogiche, da Bruner a Vygotskij, convergono su un punto fondamentale: il cervello apprende meglio quando è in relazione. Ogni apprendimento autentico avviene attraverso la mediazione sociale, linguistica, simbolica. A partire da questa consapevolezza, il cooperative learning e il collaborative learning si configurano come approcci didattici capace di valorizzare l’intelligenza condivisa, trasformando la classe in una comunità attiva e partecipativa, in cui ciascuno è risorsa per l’altro. Ma cosa significa davvero apprendere insieme? E come può questa visione concretizzarsi nei diversi gradi scolastici?

Il cervello sociale e la natura relazionale dell’essere umano

Le neuroscienze affermano che il nostro cervello è cablato per la relazione, ossia predisposto biologicamente a interagire con l’altro. Fin dalla nascita, l’essere umano apprende in modo attivo e multisensoriale, attraverso il contatto visivo, il linguaggio, la gestualità e il tatto, tutti canali che veicolano interazioni fondamentali per lo sviluppo cognitivo ed emotivo. I cosiddetti “neuroni specchio”, scoperti nel cervello dei primati e successivamente nell’uomo, si attivano non solo quando compiamo un’azione, ma anche quando osserviamo un altro individuo compierla, generando una sorta di immedesimazione empatica e motoria. Questo meccanismo è alla base della comprensione intuitiva delle intenzioni altrui, dell’imitazione, della condivisione emozionale e quindi di ogni forma di apprendimento sociale.

Ciò significa che la relazione non è un elemento accessorio dell’apprendere, ma ne costituisce la struttura portante. Quando uno studente si confronta, chiede aiuto, ascolta un compagno o espone il proprio pensiero, attiva reti neuronali che integrano le informazioni cognitive con le dinamiche affettive e motivazionali. In questi momenti, il sapere viene consolidato attraverso l’interazione e il dialogo, generando apprendimenti duraturi e significativi.

Nella scuola dell’infanzia, questa dimensione si concretizza in molteplici situazioni quotidiane. Durante le attività di gioco simbolico, ad esempio, i bambini interpretano ruoli diversi, riproducono situazioni sociali e condividono narrazioni. Quando costruiscono una torre o risolvono un puzzle insieme, sviluppano capacità di negoziazione, cooperazione e problem solving. Le esperienze narrative, lette o drammatizzate, stimolano l’identificazione, la comprensione degli stati mentali altrui e la capacità di regolare le proprie emozioni. È in questi gesti semplici, ma profondamente significativi, che si gettano le basi del pensiero relazionale e si forma quella competenza sociale che accompagnerà il bambino per tutta la vita scolastica e oltre.

Dalla cognizione individuale all’intelligenza condivisa

L’intelligenza non è una dote innata racchiusa in una mente isolata. È un prodotto collettivo, che cresce nei contesti sociali, dove la relazione con l’altro stimola la costruzione del pensiero e della conoscenza. Secondo Vygotskij, ogni funzione mentale superiore compare due volte nello sviluppo: dapprima a livello interpersonale e poi a livello intrapersonale. Questo significa che il bambino impara prima nel dialogo con gli altri, e solo in seguito interiorizza ciò che ha sperimentato socialmente. Il livello di sviluppo potenziale, ossia ciò che un allievo può raggiungere con l’aiuto di un adulto o di un pari più competente, è il cuore della sua teoria della zona di sviluppo prossimale. L’intelligenza si moltiplica nel dialogo, si nutre dell’alterità, si costruisce nella cooperazione.

Apprendere con gli altri è più efficace perché consente non solo di arricchire i propri punti di vista, ma anche di sviluppare competenze metacognitive, come la riflessione sul proprio pensiero, e sociali, come l’empatia e la capacità di negoziazione. La mente si affina grazie al pensiero condiviso, che rende l’apprendimento un processo dialogico e non meccanico. Non si tratta soltanto di accumulare nozioni, ma di imparare a rielaborarle insieme, in modo attivo e significativo.

Nella scuola primaria questa dinamica si realizza pienamente quando una classe viene guidata a lavorare in piccoli gruppi cooperativi. Durante un’attività di matematica, ad esempio, gli alunni possono proporre strategie diverse per risolvere un problema, confrontarsi e correggersi a vicenda, sperimentando l’efficacia del ragionamento collettivo. In un laboratorio di scienze, osservano insieme una pianta, ne discutono i cambiamenti, ipotizzano cause, registrano le trasformazioni e costruiscono collettivamente una mappa concettuale. Anche in un’attività di scrittura creativa, collaborano per inventare una storia comune, riflettendo sul lessico, sulla coerenza del testo e sul messaggio che desiderano comunicare. In tutti questi casi, l’apprendimento si trasforma in un’esperienza dialogica, cooperativa e non competitiva, in cui ciascun bambino sente di avere un ruolo attivo e riconosciuto nel processo.

La classe come comunità di apprendimento

La classe non può più essere considerata un insieme di individui isolati, seduti in file ad ascoltare passivamente. Deve diventare un luogo vivo, dove si sperimenta, si dialoga, si cresce insieme. Una vera comunità di apprendimento è un ambiente in cui ogni voce conta, dove l’errore è accolto come occasione, dove il sapere nasce dall’incontro tra soggettività differenti. In questo contesto, il ruolo del docente cambia radicalmente. Non è più un semplice trasmettitore di nozioni, ma si configura come un facilitatore e un mediatore culturale, un promotore di connessioni, capace di orchestrare relazioni, stimolare il confronto, valorizzare la cooperazione e sostenere l’autonomia degli studenti. Tale trasformazione implica un nuovo modo di pensare la didattica, basato sulla progettazione partecipata, sulla responsabilizzazione dei discenti e sull’adozione di strategie inclusive.

Nella scuola secondaria di primo grado, la costruzione di una comunità di apprendimento può emergere attraverso progetti interdisciplinari a forte valenza formativa. Si pensi a un percorso su ambiente e sostenibilità, in cui i ragazzi lavorano in cooperative learning per realizzare un video informativo, ciascuno con un ruolo preciso: chi scrive il testo, chi ricerca i dati, chi si occupa della grafica, chi cura l’aspetto tecnico. In questo modo, si apprende attraverso la cooperazione, si sviluppano competenze trasversali, come la comunicazione efficace, il pensiero critico, la gestione dei conflitti e il problem solving. Inoltre, si coltiva il senso di appartenenza al gruppo e alla scuola, si rafforzano i legami interpersonali e si favorisce l’inclusione degli studenti più fragili. L’apprendimento diventa così un processo condiviso, dinamico e significativo, capace di motivare profondamente e di lasciare tracce durature nel vissuto degli alunni.

Il cooperative learning come strategia per apprendere insieme

Il cooperative learning è una metodologia didattica fondata su strutture precise, in cui ogni membro del gruppo ha un compito definito e contribuisce al raggiungimento di un obiettivo comune. Non è un semplice lavoro di gruppo, ma una modalità organizzata di apprendere insieme, fondata su principi pedagogici ben definiti e supportata da numerose evidenze scientifiche. I principi fondamentali sono la dipendenza positiva, l’interazione faccia a faccia, la responsabilità individuale, le abilità sociali e la riflessione sul lavoro svolto. Questi elementi contribuiscono a creare un ambiente inclusivo, cooperativo e motivante, in cui ogni studente si sente valorizzato per le proprie risorse uniche. Questa strategia favorisce la motivazione intrinseca, potenzia le competenze trasversali e migliora il rendimento scolastico, oltre a sviluppare un atteggiamento critico, dialogico e responsabile verso il sapere. Inoltre, abitua a gestire i conflitti, a negoziare significati e a trovare soluzioni condivise in modo costruttivo, responsabilizzando i partecipanti nella costruzione di un clima relazionale positivo.

Nella scuola secondaria di secondo grado, il cooperative learning può essere applicato in diversi contesti disciplinari. In un laboratorio di filosofia, ad esempio, gli studenti possono essere suddivisi in gruppi per analizzare un brano di Platone, Hannah Arendt o Simone Weil, producendo una sintesi collettiva da esporre alla classe attraverso una rappresentazione teatrale, una mappa concettuale o un dibattito regolato. In un modulo di educazione civica, i ragazzi possono simulare un’assemblea parlamentare, assumendo ruoli diversi, documentandosi su normative reali e progettando una proposta di legge condivisa. Anche nella letteratura, il cooperative learning può essere utilizzato per analizzare romanzi da prospettive multiple, confrontare interpretazioni e costruire recensioni collettive. In ambito scientifico, può favorire la realizzazione di esperimenti cooperativi, con registrazione e interpretazione condivisa dei dati. In tutti questi casi, l’apprendimento diventa partecipazione attiva, riflessione critica, costruzione condivisa del sapere e occasione per allenare la cittadinanza democratica.

Collaborative learning e peer learning: apprendere con e attraverso i pari

Accanto al cooperative learning, altre due metodologie attive pongono al centro la relazione tra pari come motore dell’apprendimento: il collaborative learning e il peer learning. Entrambe si fondano sulla convinzione che la conoscenza sia un costrutto sociale e che il confronto fra studenti generi pensiero critico, autonomia e consapevolezza.

Il collaborative learning si basa sull’assunzione che gli studenti lavorino insieme per costruire significati condivisi, risolvere problemi complessi o produrre artefatti cognitivi (come relazioni, presentazioni, progetti). A differenza del cooperative learning, nel collaborative learning i ruoli non sono assegnati rigidamente e il processo è più flessibile e aperto, lasciando spazio alla negoziazione spontanea delle responsabilità. Questo approccio promuove il pensiero creativo e la capacità di autoregolarsi nel gruppo.

Il peer learning, invece, si realizza quando studenti di pari livello o con competenze leggermente differenti si aiutano reciprocamente, insegnando e imparando insieme. Può assumere la forma del tutoring tra pari, del confronto su esercizi, della revisione reciproca dei compiti. Questa modalità consente di consolidare le conoscenze, sviluppare l’empatia cognitiva e rafforzare l’autoefficacia.

Entrambe le strategie si prestano a essere applicate in ogni ordine di scuola. Nella scuola primaria, il peer learning può manifestarsi nei momenti in cui un bambino spiega a un compagno un’operazione matematica o lo aiuta nella lettura. Nella scuola secondaria di primo grado, il collaborative learning si esprime nella stesura condivisa di articoli per un giornalino scolastico. Nella secondaria di secondo grado, può essere adottato per realizzare podcast, dossier tematici o ricerche multimediali a più voci. In tutti i casi, la dimensione relazionale non è solo un mezzo, ma diventa essa stessa oggetto di apprendimento.

Apprendere relazionandosi, un investimento per la vita

Educare all’intelligenza condivisa non significa rinunciare alla valorizzazione dell’individuo, ma comprenderlo in una rete di relazioni significative che lo aiutino a fiorire. Ogni persona costruisce la propria identità non in isolamento, ma nel continuo confronto con l’altro. La scuola, in quanto microcosmo sociale, ha il compito di educare al dialogo, all’ascolto attivo, all’empatia, rendendo le relazioni il terreno fertile su cui crescono la conoscenza, la consapevolezza e la responsabilità personale. Insegnare a collaborare, a mettersi nei panni dell’altro, a comunicare in modo efficace è uno dei compiti fondamentali della scuola del futuro, chiamata ad affrontare le sfide dell’iperconnessione e dell’isolamento emotivo.

Le competenze relazionali non sono un’aggiunta accessoria al curricolo, ma costituiscono un prerequisito per ogni forma di apprendimento autentico. Studi pedagogici e neuroscientifici dimostrano che un clima relazionale positivo potenzia le funzioni esecutive, favorisce la regolazione emotiva e sostiene la motivazione a imparare. In un mondo complesso, fragile e interdipendente, la capacità di costruire ponti, di cooperare, di agire insieme per il bene comune non è solo auspicabile, ma necessaria per la sopravvivenza democratica e ambientale del pianeta.

Promuovere una didattica fondata sulla relazione significa preparare i giovani a vivere nella società in modo consapevole, etico e responsabile, sviluppando un senso di appartenenza e di impegno verso il contesto in cui vivono. E questo vale per ogni età, dal bambino che costruisce una torre con un compagno, imparando il valore della cooperazione, allo studente che discute con i suoi pari il significato della giustizia, esercitando il pensiero critico e l’etica del confronto. Insegnare a pensare insieme è un atto profondamente educativo, perché educa non solo alla conoscenza, ma alla convivenza civile.

Conclusione

Dal cervello sociale al cooperative e al collaborative learning, il percorso è chiaro: imparare è un atto collettivo. Le neuroscienze ci mostrano quanto la relazione sia il nutrimento del pensiero, la pedagogia ci offre gli strumenti per trasformare questa consapevolezza in pratica educativa. Una scuola che crede nell’intelligenza condivisa è una scuola che accoglie, che ascolta, che include. È una scuola che prepara non solo studenti competenti, ma cittadini solidali, capaci di costruire con gli altri un mondo più giusto. Perché si impara sempre insieme, anche quando si studia da soli. E perché, in fondo, ogni sapere ha senso solo se riesce a essere condiviso.

Carta del docente

Con le modifiche introdotte dal decreto-legge numero 45 del 7 aprile 2025, contenente “Ulteriori disposizioni urgenti in materia di attuazione delle misure del Piano nazionale di ripresa e resilienza e per l’avvio dell’anno scolastico 2025/2026”, la Carta del docente è stata estesa, per l’anno scolastico 2024/2025, anche ai docenti con contratto a tempo determinato annuale per un importo pari a 500 euro.

A partire da martedì 24 giugno 2025 sono quindi aperte le funzioni di accesso alla piattaforma Carta del docente al personale docente con contratto a termine fino al 31/08/2025. I docenti destinatari potranno utilizzare il bonus fino al 31/08/2026.

Per accedere al bonus basta fare accesso con la propria identità digitale sulla piattaforma https://www.cartadeldocente.istruzione.it/.

Nei luoghi deserti costruiremo con mattoni nuovi

Dal 22 al 27 agosto prossimi il Ministero dell’Istruzione e del Merito parteciperà alla 46esima edizione del Meeting per l’amicizia fra i popoli. “Nei luoghi deserti costruiremo con mattoni nuovi” è il titolo dell’edizione di quest’anno della manifestazione che si terrà presso la Fiera di Rimini.

Il Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara sarà al Meeting nella giornata del 26 agosto per l’evento “I giovani e la sfida della formazione”, in programma alle ore 13.00 presso l’Auditorium isybank D3.

Per tutta la durata del Meeting, il Ministero sarà presente con uno spazio informativo, realizzato in collaborazione con l’Ufficio scolastico regionale per l’Emilia-Romagna: il personale risponderà alle domande di studenti, famiglie e docenti e fornirà approfondimenti sulle novità per il mondo della scuola. Al centro degli eventi proposti dal Ministero ci saranno, poi, anche gli ITS Academy e la nuova filiera formativa tecnologico-professionale 4+2, con una serie di seminari e tavoli di confronto aperti sia al personale scolastico che a genitori e ragazzi.

All’interno dello spazio MIM (posizionato presso il padiglione C2) sarà inoltre allestita un’area dedicata ai bambini, con materiali e strumenti per attività di disegno e creatività libera. Saranno presenti anche aree dimostrative dedicate all’innovazione didattica, dove i visitatori potranno usare, insieme ai docenti e con la collaborazione di INDIRE, stampanti 3D, visori per la realtà aumentata e i MusicBlocks, strumenti educativi realizzati con mattoncini che aiutano i più piccoli a comprendere in modo intuitivo il funzionamento delle note e della composizione musicale. Particolare attenzione sarà data anche al tema dello sport a scuola con un tavolo di approfondimento e attività dedicate.

Programma

Gazzetta ufficiale – Serie Generale n. 189

189 del 16-08-2025

Educazione civica e voto di condotta

Educazione civica e voto di condotta: strumenti formativi, non sanzionatori

di Rita Manzara

Nel panorama educativo italiano, l’educazione civica e il voto di condotta rappresentano due pilastri fondamentali, poiché sono due strumenti centrali per la formazione della persona e del cittadino.

Tuttavia, in un tempo in cui la scuola è spesso chiamata a rispondere a emergenze educative e a gestire comportamenti problematici, le ultime modifiche normative in materia hanno sollevato un acceso dibattito.

Il rischio, infatti, che i suddetti strumenti assumano una connotazione punitiva è obiettivamente concreto, poiché possono essere percepiti come sanzioni disciplinari anziché come opportunità formative.

È lecito, allora, chiedersi se l’introduzione dell’educazione civica come disciplina obbligatoria (Legge n. 92/2019) e la riforma del voto di condotta (DPR 122/2009, aggiornato in tempi recenti) mirino realmente a responsabilizzare gli studenti e a renderli parte attiva della comunità scolastica.

La risposta, dal punto di vista pedagogico e normativo, dovrebbe essere chiaramente affermativa: questi strumenti devono essere utilizzati per formare cittadini consapevoli, dal momento che la scuola, per sua natura, deve essere un luogo di crescita e partecipazione, non di repressione.

Quest’ultima interpretazione costituisce, peraltro, un reale pericolo poiché l’associazione del voto di condotta a possibili bocciature o ad obblighi “riparatori” rischia di creare una visione distorta: punire comportamenti per educare. Una logica che contrasta con i principi fondanti dello Statuto degli Studenti e delle Studentesse (DPR 249/1998), dove il senso civico viene promosso attraverso esperienze, dialogo e coinvolgimento.

Vediamo di approfondire i termini della questione.

Per quanto concerne l’evoluzione del voto di condotta come criterio vincolante per la promozione, con la riforma Valditara (che ha modificato il DPR 122/2009) esso rischia di trasformarsi da semplice indicatore del comportamento a strumento punitivo.

La riforma in esame, nata con l’intento di responsabilizzare gli studenti, introduce cambiamenti sostanziali: un voto inferiore a 6 comporta automaticamente la bocciatura, mentre un voto pari a 6 ha come conseguenza la sospensione del giudizio e l’obbligo di produrre un elaborato riguardante la cittadinanza attiva. Anche le sospensioni disciplinari vanno trasformate in attività educative e socialmente utili.

Tale impostazione solleva dubbi tra educatori, psicologi e giuristi: posto in questi termini, il voto in questione è davvero capace di misurare la crescita morale dello studente, oppure rischia di diventare una semplificazione dell’identità comportamentale, cioè la trasformazione della valutazione in uno strumento di controllo e di compressione dell’autonomia, con conseguente perdita di significato pedagogico nella costruzione del sé?

Si rileva un serio pericolo di una deriva degli strumenti formativi in meccanismi sanzionatori poiché questa valutazione può diventare una misura repressiva: usare il voto di condotta come leva disciplinare può scoraggiare il dissenso, anziché educarlo.

Questa situazione può generare sfiducia, demotivazione e senso di ingiustizia tra gli studenti.

La scuola deve essere autorevole, non autoritaria, come ha sottolineato anche il ministro Valditara.

Volendo portare il discorso sul piano della riflessione pedagogica, educare  non significa punire: secondo le teorie di John Dewey, Paulo Freire e Edgar Morin, l’educazione deve promuovere il pensiero critico e la coscienza etica, favorire la partecipazione attiva e il dialogo, sviluppare la responsabilità sociale e non l’obbedienza passiva.

Una valutazione del comportamento dovrebbe evidenziare progressi, non punire l’errore, dovrebbe far emergere potenzialità, non limitare il futuro, dovrebbe sostenere il dialogo, non inasprire il conflitto.

Quest’ultimo atteggiamento educativo risulta in linea col già citato Statuto degli studenti e delle studentesse (DPR 249/1998) che, oltre a prevedere sanzioni educative e proporzionate, stabilisce i diritti e i doveri degli studenti.

Tornando all’educazione civica, si tratta di una disciplina trasversale presente in tutte le scuole italiane che ha l’obiettivo di promuovere la conoscenza della Costituzione, della legalità, della sostenibilità ambientale e della cittadinanza digitale.

È appena il caso di ricordare che questi ambiti non vanno insegnati come contenuti astratti, ma vissuti attraverso esperienze, dialoghi, riflessioni e pratiche quotidiane.

La scuola, in tale prospettiva, rappresenta un laboratorio di democrazia e l’educazione civica diventa “cultura del bene comune” che, per produrre gli effetti auspicati, deve essere integrata nel curricolo e non relegata a momenti isolati, deve coinvolgere docenti formati ed esperti di cittadinanza e deve collegarsi a progetti reali: volontariato, simulazioni parlamentari, giornate della legalità, ecc.

Solo così si può sviluppare nei ragazzi la coscienza del cittadino, capace di agire in favore della comunità, rispettare le istituzioni e contribuire alla vita democratica.

Non si tratta, quindi, solo di una materia scolastica, ma di un progetto educativo che mira a formare cittadini consapevoli, responsabili e attivi. Non è un insieme di regole da imparare a memoria, ma un processo di interiorizzazione di valori democratici, etici e sociali afferenti alle scienze pedagogiche e sociologiche: il senso civico, come capacità di agire responsabilmente per il bene di tutti, la partecipazione consapevole alla vita pubblica, la comprensione dei diversi punti di vista, la solidarietà e l’educazione morale che porta allo sviluppo della coscienza individuale.

In quest’ottica, la vera educazione civica non può essere connotata come “pena accessoria”, cioè come riparazione di un brutto voto, ma si coltiva nel tempo, promuovendo il pensiero critico, la reciprocità, il rispetto delle regole, la presenza attiva nella collettività.

Ogni progetto, ogni laboratorio, ogni dibattito è un’occasione per “allenare” la coscienza del cittadino, quella voce interna che spinge a scegliere il bene comune anche quando “nessuno ci guarda”.

Anche se l’idea di assegnare elaborati o attività sull’educazione alla cittadinanza attiva come conseguenza di comportamenti negativi da parte degli studenti può sembrare, a prima vista, una strategia educativa, questa pratica rischia di snaturare profondamente il valore formativo della disciplina, trasformandola da strumento di crescita collettiva a misura correttiva individuale.

In altre parole l’approfondimento delle tematiche inerenti l’educazione civica deve riguardare tutti, non solo chi “sbaglia”, poiché le sue tematiche — legalità, diritti e doveri, sostenibilità, partecipazione — sono patrimonio comune, non risposte a comportamenti scorretti.

Quando solo chi ha tenuto condotte negative è chiamato a riflettere sulla cittadinanza attiva, si crea una associazione distorta: educazione civica = rimprovero.

Questo approccio può generare resistenza o disinteresse negli studenti, che percepiscono la disciplina come un obbligo imposto, non come un’opportunità di crescita.

In tal modo, si perde l’occasione di coinvolgere l’intera comunità scolastica in un percorso condiviso di consapevolezza e responsabilità.

Affinchè l’ educazione civica si configuri come percorso inclusivo, l’approfondimento delle tematiche civiche dovrebbe essere trasversale e continuativo, integrato nella vita scolastica di tutti gli studenti. Progetti, dibattiti, laboratori e attività pratiche dovrebbero coinvolgere l’intero gruppo classe, favorendo il confronto e la costruzione di valori comuni. Solo così si può promuovere una cultura della cittadinanza attiva che non sia reattiva, ma proattiva.

In sintesi, l’educazione civica non deve essere il “castigo” per chi sbaglia, ma il terreno fertile su cui tutti gli studenti imparano a essere cittadini.

In conclusione, formare cittadini consapevoli è il compito più alto della scuola, che deve essere una  palestra di cittadinanza.

Non si tratta solo di rispettare le regole, ma di comprenderne il valore. Non di seguire passivamente, ma di partecipare attivamente. Educazione civica e voto di condotta devono essere ponti, non barriere. Perché ciò che conta è quello che ogni ragazzo si dà ogni giorno scegliendo chi essere.

Per fare questo è necessario ripensare il voto di condotta come traccia formativa, non come sentenza, riconoscere l’educazione civica come esperienza vissuta, non come contenuto da studiare, nonché restituire ai ragazzi la possibilità di sbagliare, riflettere e crescere.

Chiediamoci: vogliamo una scuola che giudica o una scuola che forma? Se crediamo nella seconda, dobbiamo avere il coraggio di costruire strumenti educativi coerenti, inclusivi e dialogici. Perché il vero successo educativo non è la condotta impeccabile, ma la capacità di scegliere il giusto anche quando non c’è nessuno a sorvegliare.

Educare alla cittadinanza significa accendere una luce, non piantare un cartello di divieto.

Gazzetta ufficiale – Serie Generale n. 188

188 del 14-08-2025

Gazzetta ufficiale – Serie Generale n. 187

187 del 13-08-2025

Assicurazione sanitaria integrativa

Scuola: assicurazione sanitaria integrativa. FLC CGIL non firma contratto integrativo in previsione dei propri passaggi statutari

Roma, 12 agosto – “Si è conclusa ieri sera la trattativa lampo del Ministero dell’Istruzione sulla stipula del contratto collettivo integrativo per la definizione dei criteri di accesso del personale della scuola alla polizza sanitaria con decorrenza 1° gennaio 2026. L’accesso sarà riservato ai lavoratori di ruolo e ai supplenti con contratti fino al 31 agosto. Restano esclusi circa 230 mila supplenti, tra docenti e Ata, con contratti al 30 giugno, salvo un generico impegno del Ministero a trovare in futuro fondi aggiuntivi anche per loro”. È quanto si legge in una nota della Federazione Lavoratori della Conoscenza CGIL.

“Chi aderisce alla polizza potrà beneficiare di un rimborso spese solo in caso di grandi interventi o per cure odontoiatriche (una seduta di igiene dentale e una visita specialistica). Allo studio del Ministero (che si avvale del broker assicurativo MARSH per la definizione del bando europeo) possibili ampliamenti della polizza per ottenere il rimborso spese legato alla prevenzione oncologica, al parto e ad un pacchetto per la prevenzione cardiologica. Anche se, continua la nota, durante la trattativa di ieri, queste eventuali estensioni non sono state indicate con chiarezza e con certezza”.

“Questa misura, limitata a soli 4 anni, si avvale di un finanziamento di 260 milioni di euro di cui 250 sottratti con un taglio drastico ai fondi per il funzionamento didattico e amministrativo delle scuole. Si tratta di risorse indispensabili per il funzionamento delle istituzioni scolastiche – sottolinea il sindacato di categoria – le quali saranno costrette, come è già accaduto in passato, ad aumentare il cosiddetto ‘contributo volontario’ a carico delle famiglie per continuare a far fronte alle spese di gestione.”

Per la FLC CGIL: “Si contrappone il diritto primario alla salute ad un altro diritto primario garantito dalla Costituzione come l’accesso gratuito all’istruzione. La materia inoltre, è stata discussa in sede ministeriale con spazi negoziali pressoché inesistenti. Infatti il sindacato si è limitato a prendere atto del fatto che si tratta di stipulare una polizza per l’assistenza sanitaria integrativa e non di scegliere e contrattare (come sarebbe logico) la forma di welfare contrattuale più consona per il personale della scuola. Peraltro, visto il numero di oltre 1,2 milioni di addetti nel settore, lo stanziamento di 65 milioni ad anno potrà darà una copertura annua di circa 54 euro a lavoratore. Da qui i notevoli limiti delle prestazioni riservate al personale”.  

Per il sindacato di categoria: “Sono necessarie la copertura per tutto il personale della scuola, incluso quello a tempo determinato; chiarezza delle prestazioni erogate e caratterizzazioni sulle reali necessità sanitarie del personale in stragrande maggioranza femminile e infine, risorse aggiuntive, non sottratte cioè agli studenti e alle scuole, e adeguate alla numerosità del personale”.

“L’assistenza sanitaria integrativa diventa l’unico modo per indorare la pillola amara di una mancata valorizzazione del personale scolastico, considerato che per il rinnovo del contratto di lavoro i finanziamenti disposti in legge di bilancio non garantiscono neanche il recupero integrale dell’inflazione. Si conferma così la scarsa attenzione del Governo ai lavoratori precari, sia sul versante della stabilizzazione del posto di lavoro, che delle tutele. Ricordiamo infatti, che nell’anno scolastico 2024/2025, secondo nostre stime, i contratti a tempo determinato fino al 30 giugno sono stati circa 230 mila e i contratti fino al 31 agosto circa 75 mila, per un totale che supera le 300 mila unità, vale a dire il 25% di tutto il personale. A questi numeri monstre si devono aggiungere le migliaia di supplenti temporanei;

“Infine, conclude la nota, non possiamo che sottolineare che tutta questa operazione rappresenta una sconfitta che il Governo tenta di coprire, quella di chi non potenzia il servizio sanitario nazionale universale, dirottando soldi pubblici finalizzati alle scuole sul servizio sanitario privato. La FLC si è riservata, prima di assumere qualsiasi decisione, di fare i passaggi interni previsti dal proprio Statuto”.

Gazzetta ufficiale – Serie Generale n. 186

Il Magister e i suoi nemici

Il Magister e i suoi nemici

di Giovanni Fioravanti

Stando all’intervento della professoressa Loredana Perla, su La Stampa del 30 luglio scorso, le Nuove Indicazioni, uscite dal lavoro della commissione da lei presieduta, sarebbero il prodotto di un “riformismo culturale”. Cosa intenda la nostra pedagogista per riformismo culturale non è dato sapere, ma si presume, dalle sue stesse parole, che si tratti di un qualcosa che ha di mira “la scuola cognitiva”, “la scuola dell’istruzione”, che non sarebbe stata in grado di rispondere alle domande fondamentali della vita come solo il Magister con il suo carisma può suscitare nei suoi allievi. Spiega che l’alternativa progressista della “scomparsa dell’insegnante” e “dell’insegnamento tradizionale” non ha funzionato, e questo fenomeno avrebbe iniziato a diffondersi come un virus nelle nostre scuole già sul finire degli anni 80 del secolo scorso.

Per questo invoca, a conclusione del suo intervento, “la rigenerazione di paradigmi culturali che restituiscono agli insegnanti e al loro ruolo fondamentale il posto che meritano”.

Ci troviamo di fronte all’uso di due espressioni assai impegnative: “riformismo culturale”, “paradigmi culturali”. Ragionando, i paradigmi culturali dovrebbero precedere il riformismo culturale, perché si presume che quest’ultimo sia al servizio dei modelli culturali che si vogliono diffondere. Ma quali siano i modelli non vengono esplicitati. Da chi discendono? A cosa fanno riferimento? Chi sono i “maggiori suoi”?

Dal pensiero della Perla, suffragato dal “buon senso” dell’ultima fatica del ministro Valditara, appare chiaro che riformismo e paradigmi culturali sono tutto fuorché la scuola progressista, la quale avrebbe i suoi connotati nell’abolizione dello studio del latino alle scuole medie e nella “Lettera ad una professoressa” dei ragazzi di Barbiana.

La qualcosa può andare bene per la vulgata, per far vendere libri alla professoressa Paola Mastrocola, ma non certo per chi ha in mano le sorti del nostro sistema formativo.

Perché quel Magister a cui vogliamo restituire centralità e autorevolezza di cosa lo nutriamo? Di quale cultura professionale deve essere dotato per divenire autorevole punto di riferimento di generazioni e generazioni di allievi?

È il Magister di cui scrive Ivano Dionigi  per cui la scuola la fanno i maestri e non i ministri come affermava  Manara Valgimigli?

Pare tutto il contrario: Magister è colui che è in grado di realizzare l’idea di scuola che coltivano Valditara e la Perla unitamente alla loro combriccola. Ma non funziona così.

Basterebbe possedere un po’ di cultura della scuola per non cadere in un simile, madornale errore.

Quel che succede sul finire degli anni ’80 del secolo scorso e inizia a far spirare aria nuova in una scuola chiusa su se stessa ha un’altra storia che nulla ha a che vedere con espressioni totalmente vuote di significato come “scuola progressista”, “pedagogia progressista” o “alternativa progressista”, che usate da chi si occupa di scuola denunciano solamente una profonda carenza di cultura professionale.

Una storia che ha il suo inizio tra gli anni 60 e 70 del secolo scorso, quando la formazione degli insegnanti, in particolare quella dei maestri, in una scuola ancora fortemente gentiliana, era affidata prevalentemente alla pedagogia tradizionale, alla pedagogia intesa soprattutto come riflessione filosofica sull’alunno e sul come si deve insegnare.

Ma negli stessi anni si sviluppa l’idea che l’educazione deve essere studiata in modo più scientifico, in particolare secondo un approccio interdisciplinare e fondato sull’attività d’aula. Si diffondevano i contributi  delle scienze umane e, dunque, l’educazione non poteva che abbeverarsi al loro apporto, in particolare alla psicologia, alla sociologia, all’antropologia, alla didattica, alla storia dell’educazione, in sintesi nascevano le scienze dell’educazione. Le scienze dell’educazione non cancellano la pedagogia, ma la riscattano dal suo vassallaggio filosofico, integrandola in un progetto più ampio, in grado di affrontare le sfide educative moderne con strumenti scientifici, interdisciplinari e orientati alla prassi.

La società moderna richiede risposte pratiche, fondate sui dati per affrontare problemi educativi reali: dispersione scolastica, diseguaglianze, bisogni educativi speciali, formazione degli insegnanti.

Le scienze dell’educazione permettono di progettare interventi educativi efficaci, basandosi su ricerche empiriche, non solo su teorie normative o ideali astratti.

A livello internazionale, l’approccio scientifico e multidisciplinare all’educazione si è affermato come standard, nei sistemi anglosassoni si parla di educational sciences o education studies. L’Italia ha seguito questa tendenza, soprattutto a partire dagli anni ’90 del secolo scorso, con la riforma dei corsi universitari.

Nel 1970 Einaudi pubblica La psicologia del bambino, scritto da Jane Piaget con Bärbel Inhelder, ma già qualche anno prima il lavoro dello psicologo svizzero è oggetto di studio nelle facoltà di magistero più avvertite, come quella di Padova.

Nel 1966 Armando pubblica Dopo Dewey: il processo di apprendimento nelle due culture di Jerome Bruner. Sempre nel 1966 Giunti-Barbera pubblicherà Pensiero e linguaggio di Lev Semënovič Vygotskij. Opere che iniziano a girare tra i giovani insegnanti, nelle università, preparando una classe docente che entra a lavorare nella scuola accanto alle generazioni precedenti formate al pensiero di Gentile e di Giuseppe Lombardo Radice. Portatori di paradigmi culturali nuovi che dovranno attendere i programmi per la scuola elementare del 1985 per trovare piena accoglienza e costituire la cultura professionale di nuove generazioni di maestri. Ma la scuola rimarrà sempre la stessa, salvo aggiustamenti apportati per far fronte a una spinta sociale orientata al rinnovamento attraverso l’istituzione dei nidi, delle scuole dell’infanzia, del tempo pieno, dell’integrazione dei portatori di handicap nella scuola di tutti.

Si diffondono anche pensieri eretici per la matrice gentiliana coniugata all’umanesimo integrale di Jacques Maritain della scuola italiana. Come la pedagogia degli oppressi di Paulo Freire, come la scuola apparato di Stato di Luis Althusser, come il pensiero del sociologo francese Pierre Bourdieu sulle diseguaglianze educative.

La sociologia dell’educazione si nutre delle opere di Émile Durkheim e di Basil Bernard Bernstein, l’antropologia culturale dei lavori di Margaret Mead e di Bronisław  Malinowski.

Ho voluto tracciare solo a grandi linee il profilo di un vero rinnovamento culturale, ben più ricco dei contributi e delle letture di tantissimi autori fondamentali per le scienze dell’educazione, che ha costituito la formazione professionale di una parte importante del corpo docente, che se non è riuscito a cambiare radicalmente il nostro sistema formativo ha però indubbiamente contribuito a fornire una base scientifica alle pratiche d’aula e al rapporto tra docenti e alunni. Un filone culturale che si è nutrito sempre di nuovi apporti, fino al pensiero di Edgar Morin da cui poi sono scaturite le Indicazioni curricolari del 2012.

Certo una cultura democratica e progressista, una cultura che guarda avanti e non in dietro, una cultura prodotto della ricerca continua, della capacità di fornire risposte alla complessità dei tempi che viviamo e che vivranno le nuove generazioni. Nessuna semplificazione, nessuna etichetta, ma l’impegno a misurarsi con nuove domande e nuovi interrogativi, che solo l’incapacità a fornire risposte può indurre a invocare il passato e ripiegare su di esso mostrando la propria fragilità e impotenza intellettuale.

Questo è ciò di cui oggi si tratta, ciò che realmente ci troviamo di fronte, che tenta di sottrarsi alle proprie responsabilità riparandosi dietro allo scudo dei danni causati dalla scuola progressista, che nessuno ha mai visto. Ciò che abbiamo veduto è l’impegno a studiare, a conoscere, a formarsi in modo permanente di tanti insegnanti, consapevoli di essere spesso disarmati di fronte ai problemi quotidiani da affrontare, mentre affabulatori senza cultura cianciano di riformismo culturale, di paradigmi culturali privi di ogni consistenza scientifica, teorica e pratica. Laudatores temporis acti fuori dal tempo che hanno scoperto l’usato sicuro, la cultura del passato, incapaci di concepire la cultura del futuro.

L’intelligenza artificiale e la scuola

L’intelligenza artificiale e la scuola: una sfida culturale

di Enrico Fortunato Maranzana

La scuola si sta attrezzando per sfruttare le opportunità offerte dall’intelligenza artificiale, ma ne interpreta le potenzialità in funzione dell’insegnamento tradizionale. In questo modo, la finalità educativa è accantonata.


La domanda centrale, invece, dovrebbe essere: come utilizzare le nuove tecnologie per promuovere capacità? (legge 12/2020).

A questo proposito, vale ricordare due saggezze complementari:

  •  «Il mestiere devi rubarlo», dice un proverbio: l’osservazione e la pratica precedono e sostengono la teoria;
  • «Se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco», sottolineava Confucio: la vera comprensione nasce dall’operatività.

Le conoscenze, infatti, nascono dai procedimenti e, attraverso questi, si sviluppano le capacità.

Esemplificando: sette fasi possono rappresentare un processo di ricerca, promuovendo altrettante capacità:

  1. Formulazione del problema (capacità di progettare)
  2. Raccolta delle informazioni (capacità di selezionare)
  3. Analisi delle informazioni (capacità di analizzare)
  4. Formulazione di ipotesi (capacità di correlare, d’essere creativi)
  5. Sperimentazione: applicazione di strategie, ottenimento dei risultati (capacità di inventare, di modellare)
  6. Controllo: utilizzo dello scostamento tra attese ed esiti (capacità di controllare, di valutare, di capitalizzare)
  7. Comunicazione dei risultati (capacità di comunicare, d’argomentare, di sintetizzare)

Da qui discende la questione: come l’intelligenza artificiale può facilitare la progettazione educativa?

A titolo d’esempio, si propone un’occasione d’apprendimento sul principio di Archimede.

Gli studenti sono immersi nel contesto problemico dello scienziato greco; devono rispondere alla domanda: perché un corpo galleggia?

All’IA è assegnato il compito di realizzare un ambiente interattivo in cui l’utente fornisce le dimensioni di una zattera (da cui dipende il peso) e la zavorra. A ogni tentativo, il sistema restituisce uno dei due possibili esiti: galleggia, affonda.

Gli studenti, lavorando in piccoli gruppi, cercano la risposta. I risultati sono poi condivisi e discussi. Solo alla fine il docente, dopo aver sintetizzato le produzioni, sistematizza.

Il lavoro di gruppo assume un valore fondamentale: favorisce la condivisione delle conoscenze, stimola la collaborazione, abitua alla valutazione del punto di vista altrui e al coordinamento, tempra la flessibilità e apre la disponibilità al cambiamento, capacità essenziali per affrontare la complessità del mondo contemporaneo.

L’intelligenza artificiale, rispondendo alle richieste ben formulate del docente, genera un ambiente di apprendimento stimolante, in cui gli studenti operano avendo presente l’origine e il senso del loro agire.

In questo scenario, la professionalità del docente si valorizza: come una guida alpina accompagna l’escursionista, così l’insegnante aiuta gli studenti a sviluppare le loro qualità. Gli insegnanti devono smettere di essere ripetitori per diventare progettisti.

La vera sfida non è tecnica ma culturale: occorre ripensare la scuola come luogo di sviluppo delle capacità, non come trampolino per il mondo del lavoro.

La progettualità formativa, educativa e dell’istruzione, “sostanza dell’autonomia dell’istituzione scolastica” (DPR 275/99), deve finalmente uscire dal cassetto.

Gazzetta ufficiale – Serie Generale n. 185

185 del 11-08-2025

Scrivere per apprendere

Scrivere per apprendere

Prompt generativi e intelligenza artificiale nella didattica riflessiva

di Bruno Lorenzo Castrovinci

Scrivere non è un semplice esercizio tecnico, né un momento accessorio della vita scolastica. È, piuttosto, un gesto cognitivo ed emotivo che permette allo studente di entrare in relazione con sé stesso e con il mondo. La scrittura è il luogo in cui il pensiero prende forma, si chiarisce, si approfondisce, diventa materia viva, plasmabile, capace di restituire una visione del reale arricchito dalla soggettività.

Ogni parola scelta, ogni frase articolata è il risultato di un processo interiore che trasforma l’implicito in esplicito, il confuso in ordinato, l’informe in consapevole. Questo processo non è mai neutro, perchè chi scrive impara a conoscersi, a dare un nome alle emozioni, a collegare fatti, idee, esperienze. In una società in cui la velocità tende a sacrificare la profondità e l’immediatezza prevale sull’elaborazione, educare alla scrittura significa educare alla lentezza, alla riflessione, alla costruzione di significati personali.

Non si tratta di un atto isolato ma di un percorso, che si rinnova ogni volta che si scrive e che può essere potenziato dall’uso consapevole di strumenti come l’intelligenza artificiale. Quando la scrittura è usata come pratica quotidiana, articolata su diversi registri e forme testuali, essa diventa uno strumento di metacognizione, capace di rendere visibile il pensiero, di attivare la consapevolezza del proprio modo di apprendere e di stimolare una riflessione costante su ciò che si è, che si pensa e che si impara.

Il significato dei prompt nella scrittura scolastica

I prompt sono stimoli iniziali, suggestioni o input che attivano il processo di scrittura, innescando il pensiero, suscitando immagini mentali, richiamando emozioni o esperienze. La loro forza risiede nella capacità di non fornire risposte, ma di aprire domande, di lasciare spazio alla complessità, di generare percorsi diversi per ciascuno studente. Possono assumere molteplici forme: una frase da completare, una situazione immaginaria, una citazione letteraria o filosofica, una fotografia, una domanda aperta, una condizione ipotetica. La varietà dei prompt consente di attivare differenti aree cognitive, favorendo l’elaborazione personale, la rielaborazione creativa e la connessione tra le discipline.

Nel contesto scolastico, i prompt diventano strumenti pedagogici potenti, perché sollecitano la partecipazione attiva dello studente, stimolano la riflessione, favoriscono l’espressione di vissuti personali e l’elaborazione critica delle conoscenze. Sono ponti tra ciò che si studia e ciò che si vive, tra il sapere formale e la soggettività. Quando integrati con l’intelligenza artificiale, i prompt possono essere personalizzati in tempo reale, adattati ai diversi livelli cognitivi, emotivi e linguistici, diventando dispositivi inclusivi e dinamici. L’IA può suggerire varianti, ampliare i riferimenti, proporre collegamenti intertestuali o interdisciplinari, stimolando una scrittura dialogica e profonda.

Un prompt ben formulato non guida lo studente verso una risposta predefinita, ma lo invita ad abitare il proprio pensiero, ad esercitare la propria voce, a costruire un testo autentico. Rende la scrittura un laboratorio di ricerca, in cui l’alunno diventa autore e non semplice esecutore, esploratore e non ripetitore. In questo modo, il prompt non è più solo uno strumento didattico, ma un dispositivo formativo che stimola il pensiero divergente, il confronto critico e la capacità di dare senso al mondo attraverso le parole.

Scuola dell’infanzia: dare forma alle emozioni con le parole

Nella scuola dell’infanzia, i bambini sono ancora alle prime esperienze con il linguaggio simbolico, ma possiedono una straordinaria capacità di immaginare, di raccontare, di giocare con le parole e con le immagini mentali. In questa fase, l’obiettivo educativo prioritario non è tanto quello di produrre testi strutturati, quanto di stimolare la verbalizzazione, la narrazione, la capacità di rappresentare il mondo interiore attraverso simboli, suoni, colori, parole. I prompt, in questa fase, possono essere veicolati attraverso immagini evocative, racconti orali, oggetti della quotidianità o esperienze sensoriali.

Un esempio pratico potrebbe essere l’osservazione condivisa di un disegno che rappresenta un prato fiorito, accompagnata dalla domanda aperta: “Cosa succede se i fiori iniziano a parlare tra loro?”. Da questa semplice suggestione, possono nascere storie collettive o individuali, che il bambino racconta a voce, drammatizza con il corpo, costruisce con il disegno o modella con il materiale manipolativo. Il ruolo dell’insegnante è centrale nell’ascolto, nella valorizzazione della risposta, nella riformulazione e nel rilancio creativo. L’intelligenza artificiale educativa può affiancare l’adulto proponendo nuove domande, suggerendo immagini o suoni coerenti con l’universo simbolico del bambino, stimolando narrazioni interattive e personalizzate.

Questa forma di pre-scrittura è fondamentale per lo sviluppo del linguaggio, dell’immaginazione e della consapevolezza di sé. Raccontare ciò che si pensa o si sogna, dare voce a oggetti animati o a personaggi fantastici, aiuta il bambino a costruire il senso di identità, a esplorare emozioni complesse, a riconoscersi come soggetto comunicante. Ogni prompt diventa, così, una finestra sull’universo interiore del bambino, uno strumento per avviare un processo di alfabetizzazione emotiva e narrativa, una prima forma di accesso alla parola come luogo di significato e relazione.

Scuola primaria: scrivere per conoscersi e raccontarsi

Nella scuola primaria, la scrittura non rappresenta soltanto una competenza linguistica da acquisire progressivamente, ma si configura come un mezzo potente per esprimere sé stessi, per consolidare l’identità in formazione e per esplorare la realtà circostante con sguardo critico e creativo. A partire dai primi anni del percorso scolastico, bambini e bambine cominciano a padroneggiare le strutture del racconto, a distinguere le descrizioni dagli eventi, a dare forma scritta a ciò che immaginano o provano. La scrittura, dunque, diventa non solo un esercizio tecnico, ma una palestra emozionale e cognitiva.

Un efficace orientamento in questa direzione può venire dall’introduzione di prompt generativi, ovvero spunti di scrittura che coniughino esperienza personale, immaginazione e riflessione. Un esempio significativo è il celebre “Scrivi una lettera a te stesso tra dieci anni”, un invito che stimola il bambino a proiettarsi nel futuro, esercitando sia la fantasia sia la capacità introspettiva. Attraverso questo tipo di attività, i piccoli scrittori possono dare voce ai propri sogni, paure, desideri, maturando una prima consapevolezza di sé e delle proprie aspirazioni.

L’intelligenza artificiale può offrire un supporto creativo e personalizzato in questo processo, arricchendo l’esperienza di scrittura con domande guidate, che aiutano a focalizzare il pensiero: “Che lavoro ti piacerebbe fare? Dove vivresti? Chi vorresti accanto?”. Questi stimoli, calibrati sull’età e sul livello di maturazione emotiva, favoriscono l’autonarrazione e incoraggiano la costruzione di un dialogo interiore, spesso difficile da attivare nei contesti scolastici tradizionali.

Non meno importante è il ruolo della scrittura nella formazione della coscienza civica. In questo ambito, prompt come “Immagina di essere il sindaco della tua città per un giorno: cosa cambieresti?” attivano nei bambini una riflessione concreta sul proprio ambiente di vita e sulle dinamiche sociali che lo regolano. Scrivere da un punto di vista civico, anche se simulato, significa assumere una prospettiva di responsabilità, immedesimarsi negli altri, pensare in termini di bene comune e imparare a dare forma alle proprie idee su giustizia, equità, ambiente, convivenza.

La scrittura, in questo senso, si fa palestra di cittadinanza attiva, luogo dove si esercita la possibilità di pensare soluzioni, proporre cambiamenti, riconoscere diritti e doveri. Attraverso la parola scritta, il bambino può cominciare a sentirsi parte di una comunità, con il diritto di esprimere opinioni e il dovere di ascoltare e rispettare quelle altrui. Si sviluppa così non solo il pensiero critico, ma anche l’empatia, intesa come capacità di comprendere i punti di vista differenti dal proprio.

L’approccio narrativo riflessivo, sostenuto da una guida sensibile del docente e da strumenti innovativi come l’intelligenza artificiale, consente alla scrittura di diventare un vero e proprio strumento pedagogico trasversale, capace di favorire competenze linguistiche, emotive, cognitive e sociali. Si costruisce così uno spazio educativo in cui l’alunno non è solo un esecutore, ma un autore del proprio percorso, capace di narrare il mondo e di immaginarne uno migliore.

Scuola secondaria di primo grado: dal racconto alla riflessione

Durante la preadolescenza, la scrittura diventa uno spazio privilegiato per l’elaborazione del sé, dei cambiamenti emotivi, delle relazioni e del confronto con il mondo esterno. Gli studenti di questa fascia d’età iniziano a vivere trasformazioni profonde, che coinvolgono la percezione di sé, il rapporto con i pari, la gestione delle emozioni e la definizione dell’identità. La scrittura, in questo contesto, rappresenta un canale espressivo e formativo fondamentale, perché consente di dare voce a pensieri spesso non detti, a insicurezze, a desideri inespressi.

I prompt possono assumere una forma più complessa e stimolante, adeguata allo sviluppo cognitivo e affettivo di questa età. Un esempio è: “Racconta un momento in cui ti sei sentito diverso dagli altri”. Questo tipo di stimolo permette allo studente di esplorare la propria identità, di affrontare vissuti delicati, di sviluppare empatia verso sé stesso e gli altri. L’intelligenza artificiale può suggerire strutture narrative, parole chiave per ampliare il vocabolario emotivo, oppure offrire esempi tratti da testi letterari o autobiografici vicini alla sensibilità adolescenziale, come i romanzi di formazione o i racconti in prima persona.

Anche in ambito disciplinare i prompt possono essere utilizzati per favorire una comprensione più profonda dei contenuti attraverso l’immedesimazione. Ad esempio: “Scrivi il diario di un gladiatore romano prima della battaglia” aiuta a esplorare il contesto storico con uno sguardo emotivo; “Immagina di essere una molecola d’acqua nel suo viaggio attraverso il ciclo naturale” stimola la comprensione dei processi scientifici attraverso la narrazione. L’IA può fornire spunti narrativi, accompagnare l’organizzazione testuale e offrire feedback costruttivi durante la scrittura. Questi stimoli, ben calibrati, favoriscono un apprendimento integrato, in cui emozione, sapere e immaginazione si intrecciano per produrre testi autentici, sentiti e cognitivamente significativi.

Scuola secondaria di secondo grado: la scrittura come laboratorio del pensiero

Nel percorso delle scuole superiori, la scrittura si configura come una vera e propria palestra intellettuale, uno spazio in cui il pensiero si affina e si mette alla prova. Gli studenti, ormai capaci di affrontare temi complessi con maggiore autonomia, trovano nei prompt generativi l’occasione per sviluppare testi argomentativi, riflessivi, creativi e interdisciplinari. I prompt proposti possono stimolare riflessioni filosofiche, etiche, scientifiche, civiche e letterarie, innescando un dialogo tra la conoscenza disciplinare e la sensibilità individuale.

Un esempio particolarmente attuale è: “L’intelligenza artificiale migliora o impoverisce il pensiero umano?”. Una domanda del genere consente allo studente di esercitare la propria capacità argomentativa, di confrontare prospettive teoriche, di formulare ipotesi fondate e di elaborare contro-argomentazioni. L’IA stessa, se integrata nel processo, può suggerire domande guida, raffinare lo stile, offrire citazioni filosofiche, dati scientifici o riferimenti storici che arricchiscono il contenuto. L’obiettivo non è quello di ottenere una risposta giusta, ma di strutturare un pensiero solido, articolato e personale.

Accanto ai prompt argomentativi, un ruolo significativo lo svolgono anche quelli creativi, capaci di rinnovare l’approccio ai testi letterari. Il suggerimento “Scrivi una pagina di diario dal punto di vista di Antigone prima della condanna” consente allo studente di immergersi nei conflitti etici e umani del personaggio, sviluppando empatia e capacità di immedesimazione. Questo tipo di scrittura trasforma l’analisi letteraria in esperienza vissuta, facilitando la comprensione profonda dell’opera.

Anche in ambito scientifico, l’uso dei prompt è strategico per stimolare il pensiero sistemico e la capacità progettuale. Un esempio è: “Immagina un mondo senza energia elettrica: come cambierebbero le nostre vite?”. A partire da questa suggestione, lo studente può analizzare le interconnessioni tra scienza, ambiente, economia, tecnologia e società, sviluppando una visione critica e integrata dei problemi contemporanei. La scrittura, in questi casi, diventa luogo di connessione tra sapere, etica e responsabilità, contribuendo a formare cittadini consapevoli, capaci di orientarsi con autonomia nel pensiero e nell’azione.

Scrittura metacognitiva: pensare a ciò che si è scritto

Oltre alla produzione del testo, è fondamentale promuovere la riflessione sul processo stesso della scrittura, affinché essa non sia percepita come un semplice compito da svolgere, ma come un percorso di consapevolezza in cui lo studente diventa protagonista attivo del proprio apprendimento. La scrittura, infatti, non è solo un prodotto, ma anche e soprattutto un processo  fatto di scelte, revisioni, tentativi, dubbi, intuizioni. In quest’ottica, assumono un ruolo centrale i prompt metacognitivi, ovvero quegli stimoli che invitano a pensare su come si è pensato, su ciò che si è fatto e sulle ragioni di certe decisioni compositive.

Domande come “Cosa hai imparato scrivendo questo testo?”, “Quali parti ti hanno messo in difficoltà?”, “Cosa ti è piaciuto scrivere di più?”, “In che modo potresti migliorarlo?” aprono uno spazio riflessivo che accompagna la scrittura verso una dimensione più profonda e duratura. L’obiettivo non è semplicemente correggere, ma comprendere: comprendere il proprio stile, le strategie che funzionano, gli ostacoli incontrati e i passi compiuti per superarli. In questo modo, l’errore non è più un fallimento da nascondere, ma un’opportunità di crescita, un indicatore prezioso per orientare il cammino.

L’intelligenza artificiale può giocare un ruolo cruciale anche in questa fase, generando domande metacognitive in modo adattivo, calibrate sul contenuto del testo, sul registro linguistico utilizzato, sulle emozioni espresse o sulle strutture narrative impiegate. Questo consente un’interazione più personalizzata e dinamica, capace di valorizzare le unicità di ogni studente e di stimolare un dialogo interiore autentico. La scrittura, così, si trasforma in una forma di autoconoscenza, in un diario di bordo che accompagna il percorso cognitivo e affettivo dell’alunno.

Secondo le neuroscienze educative, la metacognizione è uno dei fattori più rilevanti per consolidare gli apprendimenti a lungo termine. Essa attiva le funzioni esecutive del cervello, rafforza i circuiti della memoria e potenzia la capacità di problem solving. Sviluppare la capacità di riflettere sul proprio pensiero significa potenziare l’autoefficacia, cioè la fiducia nelle proprie risorse, e sviluppare l’autonomia nell’apprendere. Scrivere per riflettere su come si scrive non è un’attività accessoria, ma un passaggio fondamentale per la crescita personale e scolastica, spesso trascurato nella pratica quotidiana.

Favorire spazi di metacognizione nella scuola primaria significa seminare precocemente il gusto per l’esplorazione interiore, il senso critico, la capacità di auto-valutarsi in modo costruttivo. In un mondo sempre più veloce e frammentato, educare i bambini a rallentare, a rileggersi, a interrogarsi su ciò che sentono e pensano, rappresenta una scelta pedagogica coraggiosa e necessaria. È proprio in questa prospettiva che la scrittura torna a essere ciò che dovrebbe essere: un atto formativo integrale, in cui linguaggio, pensiero ed emozione si intrecciano per costruire conoscenza e consapevolezza di sé.

Conclusione: una nuova grammatica del pensiero

L’intelligenza artificiale non sostituisce l’atto di scrivere, né può rimpiazzare la complessità dell’esperienza umana che si riflette nei testi. Tuttavia, se integrata in modo critico e consapevole, può diventare un potente alleato pedagogico, capace di accompagnare e arricchire il processo di scrittura. I prompt generativi, quando progettati con competenza e sensibilità didattica, diventano ponti tra sapere e immaginazione, tra disciplina e interiorità, tra scuola e vita. Offrono stimoli dinamici, personalizzabili e inclusivi, che permettono allo studente di attivare la propria voce e di sviluppare una scrittura autentica, capace di connettere emozione, riflessione e conoscenza.

Scrivere per apprendere, con l’aiuto dell’IA, significa riconoscere nella parola scritta non soltanto un prodotto, ma un processo in divenire, una forma di pensiero e un atto di consapevolezza. Significa restituire centralità al pensiero lento, alla capacità di fermarsi, di osservare, di riformulare. Significa anche educare allo spirito critico, alla responsabilità etica e alla profondità creativa, in un’epoca dominata dall’immediatezza e dalla superficialità. La scrittura resta, oggi più che mai, un atto profondamente umano, capace di costruire senso, identità e visione del mondo. E grazie ai nuovi strumenti digitali, può diventare anche un atto ancora più inclusivo, dialogico e trasformativo.