Giovani, la voce di chi grida per voi

GIOVANI LA VOCE DI CHI GRIDA PER VOI

di Umberto Tenuta

Giovani,  la voce di chi grida per voi, di chi grida nel deserto.

 

Non sono Giovanni!

Sono Umberto.

Ma non importa chi sono, importano coloro per i quali grido.

Grido per i giovani, per gli uomini di domani, gli operai, i tecnici, i docenti, i dirigenti, i politici, i giornalisti, gli scrittori, i filosofi, i poeti.

I sacerdoti.

Si, sono tutti i cittadini che abiteranno la penisola italiana tra una manciata di anni, quando ancora saremo in tempo per prenderci addosso i loro rimproveri, le loro severe condanne per quello che avremmo dovuto fare e non abbiamo fatto per il loro futuro che è diventato triste presente.

No, non pensate che questa sia una profezia partorita dalla mia fantasia malata.

Malata è, sì, malata è la scuola!

Malata grave, moribonda.

Qualcuno meno ottimista di me ne ha già certificato la morte.

Ho già gridato di correre al suo capezzale, di procedere ad una terapia intensiva, costi quel che costi, ne va di mezzo, non tanto la morte di un’asettica istituzione, ma di coloro che in essa non trovano l’ossigeno della vita.

Sì, nella nostra scuola manca l’ossigeno della vita, l’ossigeno sospeso nell’aria dei cieli azzurri, e le bombole di ossigeno non si vedono, non arrivano da nessuna parte.

L’allarme è stato già dato, non solo da questo misero menestrello, ma dall’intera folla di coloro che operano nella scuola, anche con gli striscioni sotto le finestre di Viale Trastevere.

Non si è affacciato nessuno, tutti hanno fatto finta di non vedere e di non sentire, seduti nelle dorate poltrone ministeriali.

Ma io non posso tacere, non me la sento di tradire i miei fratelli, più piccoli di me, ma di maggiori speranze per il loro futuro, per il loro domani, per il domani di una gloriosa terra di uomini grandi che nel mondo l’hanno resa ammirata e invidiata.

Come è possibile rimanere sordi alle voci dei giovani che sorridono alla vita e non vorrebbero essere imprigionati nelle file dei banchi allineati, seduti, immobili, le orecchie tappate, le bocche cucite, gli occhi costretti a guardare convergenti in una sola direzione, quella del docente che dalla cattedra parla, legge, spiega, dimostra, sì, dimostra lui, e poi chiama a ripetere, a mettere fuori, a vomitare quello che essi, i giovani, gli studenti, hanno visto, hanno udito, hanno ingoiato?

Come è possibile rimanere sordi ai tremori che il cuore dei giovani agita per un’intera mattinata, nel timore che il docente punti il dito sul loro nome segnato nel registro di classe?

Matteo è andato nelle aule che Gli hanno segnalato e che non erano le aule con i vetri rotti, con l’intonaco cadente, con i pavimenti sconnessi, che solo abbellivano i rondinoni di carta nera inchiodati alle pareti?

Non c’è mamma che nel suo tugurio non crei una culla colorata, variopinta, gioiosa al proprio bimbo e poi trema nel vedersi il figlioletto costretto a vivere nelle grigie pareti delle aule di verde stinto abbruttite!

Di quanti secoli è vecchia la nostra scuola, nella quale, salve poche lodevoli eccezioni, ci sono solo insegnanti che nonostante tutto fanno il loro dovere, e non invece maestre liete?

Signora Ministra Giannini, quante lettere di amore per la sua scuola Le hanno inviato gli scolari d’Italia?

Quante grazie del cuore Le hanno cantato?

Suvvia, c’è un grido di dolore che le inviano le maestre ed i maestri, anche a nome delle mamme e dei papà.

Porti questo grido nel Consiglio dei ministri e chieda che, prima di assistere i giovani, a tutti i giovani sia assicurato la piena formazione della loro personalità, il successo formativo.

Solo così domani non avremo giovani che piangono le loro delusioni, ma giovani felici che felix rendono non solo la Campania ma tutta intera la patria Italia.

Grazie, Ministra Giannini, porti il sorriso, porti la gioia di educare alle Sue maestre, ai Suoi maestri!

Ma porti soprattutto ai Suoi studenti la gioia di bere, di dissetarsi, di alimentarsi alle fonti della cultura!

Non importa poi tanto se ai vetri delle aule ci sia solo qualche vaso di orchidee.