Convivenze di fatto, unioni civili, permessi e congedi lavorativi

da Handylex

Convivenze di fatto, unioni civili, permessi e congedi lavorativi

Una recente Sentenza della Corte Costituzionale (depositata il 23 settembre scorso) riapre l’annosa questione relativa alla concessione dei permessi concessi ai lavoratori dipendenti che assistono un congiunto con grave disabilità ed in particolare sui requisiti di accesso a tali benefici.

La pronuncia, peraltro, giunge in uno scenario di cambiamento normativo derivante dalla recente norma sulle unioni civili e sulle convivenze di fatto, la legge 20 maggio 2016, n. 76.

Le premesse

Merita un cenno la vicenda umana che ha dato origine alla Sentenza (n. 213 del 5 luglio 2016) e che è ripercorsa in premessa della stessa.

La “storia” è quella di una coppia di fatto. Lei dipendente dell’Azienda Ospedaliera di Livorno, lui affetto da Morbo di Parkinson, separato e privo di sostegno continuativo da parte di altri familiari stretti.

Alla dipendente vengono per lungo tempo concessi i permessi lavorativi previsti dall’articolo 33 della legge 104/1992, ma nel 2011 la ASL si rende conto che la normativa vigente non ammette la concessione dei permessi per chi vive more uxorio (cioè le coppie di fatto). Quindi sospende la concessione dei permessi e trattiene in busta paga le somme per il recupero delle ore di permesso (a suo avviso) indebitamente fruite nel periodo 2003-2010, maggiorate della rivalutazione monetaria e degli interessi dalla trattenuta al saldo.

L’interessata opportunamente si rivolge al Giudice che con sentenza non definitiva dell’8 gennaio 2014, dichiara l’insussistenza del diritto dell’Azienda ospedaliera di recuperare, attraverso importi trattenuti in busta paga ed ore di lavoro, i già usufruiti periodi di permesso ex art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992 e condannava la USL alla restituzione delle somme indebitamente trattenute nonché al pagamento, in suo favore, di una somma pari alla retribuzione ad essa spettante per le ore di lavoro svolto in esecuzione del piano di recupero predisposto dalla USL, oltre accessori di legge.

La questione di legittimità costituzionale

Ma la ricorrente non chiede solo la restituzione delle somme trattenute dalla ASL da cui dipende, ma anche che fosse sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992, nella parte in cui non include il convivente more uxorio tra i beneficiari del permesso mensile retribuito, per violazione degli artt. 2, 3, 32 e 38 della Costituzione nonché dell’art. 117, in relazione agli artt. 1, 3, 7, 20 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007.

A questo punto il Giudice di Livorno decide di sollevare la questione di legittimità di fronte al Giudice della Legge e cioè la Corte Costituzionale.

Le considerazione e la ricostruzione dei presupposti che confermano i dubbi di legittimità sono estremamente accurati, puntuali anche nei riferimenti alla Carta dei diritti fondamentali UE e alle sentenze già pronunciate in Italia e in Europa.

La sintesi estrema della riflessione è che la comprovata convivenza di fatto è da ricondursi al concetto di “formazione sociale” comunque tutelato dall’articolo 2 della Costituzione, ma ancora prima che i permessi lavorativi sono intesi come un supporto alla persona con grave disabilità e non una mera agevolazione al lavoratore.

L’Avvocatura generale dello Stato (incaricata dal Presidente del Consiglio dei ministri) e INPS che di fronte alla Corte Costituzionale tentano di opporsi a tale lettura, non sono del medesimo avviso.

In particolare l’Avvocatura generale sottolinea come il legislatore abbia inteso correlare il diritto ai permessi retribuiti agli obblighi giuridici di assistenza che si impongono nell’ambito della famiglia fondata sul matrimonio.

Ma la Corte Costituzionale non è affatto dello stesso parere e ne motiva compiutamente le ragioni che sono insite nel diritto all’assistenza da parte della persona con disabilità e tale diritto non può essere compresso nel caso la convivenza non sia formalizzata in matrimonio.

Pertanto conclude la Corte: “la norma in questione, nel non includere il convivente tra i soggetti legittimati a fruire del permesso mensile retribuito, vìola, quindi, gli invocati parametri costituzionali, risolvendosi in un inammissibile impedimento all’effettività dell’assistenza e dell’integrazione” (…) “Va, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992, nella parte in cui non include il convivente tra i soggetti legittimati a fruire del permesso mensile retribuito per l’assistenza alla persona con handicap in situazione di gravità, in alternativa al coniuge, parente o affine entro il secondo grado.”

Risvolti operativi

Sotto il profilo giuridico è fuor di dubbio che dal momento del deposito della Sentenza non può più essere negata la concessione dei permessi lavorativi nel caso di convivenze di fatto, di coppie, cioè, che vivono more uxorio (cioè senza aver formalizzato il matrimonio).

Sotto il profilo pratico INPS (e verosimilmente anche Dipartimento Funzione Pubblica) dovranno diramare circolari applicative e fornire istruzioni operative per l’applicazione della sentenza (già comunque vigente e cogente).

Da subito gli interessati possono presentare domanda di concessione dei permessi lavorativi citando la Sentenza n. 213 del 5 luglio 2016. È verosimile che gli uffici preposti al momento tengano in sospeso la concessione dei permessi, in attesa di “istruzioni”.

I congedi biennali

Più complessa è la questione legata ai congedi retribuiti fino a due anni (articolo 42, decreto legislativo 151/2001) che, lo ricordiamo sono concessi per l’assistenza al coniuge, ai fratelli, alle sorelle, ai figli (tutti solo se conviventi) e ai genitori (anche non conviventi).

Quell’articolo non è all’oggetto della Sentenza, cioè non è stato dichiarato illegittimo nella parte in cui non prevede la concessione alle coppie di fatto.

Ragionevolmente essendovi i medesimi presupposti, in sede applicativa, anche onde evitare ulteriori contenziosi, è auspicabile che venga applicato lo stesso principio sancito dalla Corte per i permessi, ma così potrebbe non essere.

Se così non fosse si genererebbe la situazione paradossale per cui i permessi (ex art. 33, legge 104/1992) siano concessi anche alle coppie di fatto, mentre i congedi (ex art. 42, decreto legislativo 151/2001) non lo siano.

Unioni civili e convivenze di fatto

In realtà la Sentenza rafforza principi ed indicazioni espresse dalla recente legge 20 maggio 2016, n. 76 che riguarda sia le unioni civili che le convivenze di fatto.

Per definizione l’unione civile è costituita da due persone maggiorenni dello stesso sesso mediante dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile ed alla presenza di due testimoni.

Per «conviventi di fatto», invece, si intendono due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile. Il caso appunto oggetto della Sentenza della Corte.

Le persone legate in un’unione civile hanno certamente già diritto ai permessi (legge 104/1992) e ai congedi (d. lgs 151), indipendentemente dalla Sentenza, in forza dell’articolo 1, comma 20 che prevede espressamente “Al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso.”

Quindi il principio e il diritto è sancito in modo evidente anche se il successivo comma 28 prevede uno o più decreti di riordino e coordinamento complessivo della normativa.

Più debole – almeno fino alla Sentenza 213/2016 – erano, nella legge 76/2016 le espressioni riguardo alla convivenza di fatto che richiama e riconosce comunque gli stabili “legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale.”

In questo quadro, in conclusione, molto si giocherà nella produzione delle circolari applicative e anche nei decreti attesi in applicazione della legge 76/2016.