Emofilia: utilizzare la realtà virtuale per educare i pazienti

Emofilia: utilizzare la realtà virtuale per educare i pazienti a gestire al meglio la patologia
Osservatorio Malattie Rare del 20/06/2023

Il progetto HemoVR, promosso da Bayer, si propone di spiegare l’importanza della profilassi e dell’aderenza alla terapia attraverso un approccio altamente “immersivo”

Dispositivi per la realtà virtuale o aumentata sono stati introdotti in ambito sanitario ormai da qualche anno, a beneficio sia dei medici che dei pazienti. Per ora, le persone che più hanno giovato di questo approccio tecnologico sono state quelle affette da patologie psichiatriche o neurodegenerative, oppure con disabilità motorie. Ben presto, tuttavia, questo tipo di digital healthpotrebbe essere disponibile anche per i pazienti con emofilia, rara patologia emorragica, di origine genetica, legata a un difetto nella coagulazione del sangue.

Durante il recente incontro FedEmo Giovani, che si è svolto a Roma il 15 e il 16 aprile di quest’anno, è stato presentato un innovativo progetto basato proprio sulla realtà virtuale, denominato HemoVR e promosso da Bayer, in cui è stato utilizzato un prototipo di visore VR Meta Quest 2 (dispositivo generalmente utilizzato per i videogiochi) per spiegare ai pazienti con emofilia, e ai loro caregiver, l’importanza della profilassi e dell’aderenza alla terapia con un approccio più “immersivo”. Durante l’evento, quindi, contemporaneamente alla presentazione dei temi caldi legati alla gestione della patologia, è stato chiesto ai partecipanti di testare il nuovo visore per dare un’opinione personale sulla validità e utilità del progetto HemoVR.

All’incontro, che ha proposto contenuti e riflessioni importanti in un confronto vivace e fruibile, ha partecipato attivamente anche la dottoressa Chiara Biasoli, responsabile del Centro Emofilia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Bufalini di Cesena, che abbiamo intervistato per farci raccontare questa esperienza.

Dottoressa Biasoli, ci può spiegare brevemente com’è organizzato il Centro Emofilia dell’Ospedale Bufalini di Cesena e com’è strutturata la presa in carico dei pazienti?
L’Ospedale Bufalini di Cesena ospita uno dei tre Centri MEC (malattie emorragiche congenite) dell’Emilia-Romagna. Dal 2018, infatti, nella nostra regione sono presenti tre centri spoke [destinati all’accoglienza e alle cure di I livello, N.d.R.]: uno a Parma, uno a Bologna e uno, appunto, a Cesena. La struttura di Parma, oltre a essere centro spoke, è anche centro hub, ovvero ha un ruolo di coordinamento della rete, di gestione del registro regionale MEC e di riferimento clinico nella gestione dei casi più complessi. Attualmente stiamo rimodulando l’organizzazione del centro di Cesena per assicurare competenze cliniche inerenti alla patologia emorragica a tutti i vari specialisti che, oltre all’ematologo, si occupano della corretta presa in carico del paziente (ortopedico, fisiatria, fisioterapista, odontoiatra, ginecologo, medico genetista). L’idea è quella di creare percorsi dedicati coinvolgendo il territorio, i medici di medicina generale, i pediatri di libera scelta e i colleghi del pronto soccorso e della medicina d’urgenza.

Secondo lei quanto è importante educare i pazienti con emofilia, soprattutto i più giovani, a una corretta gestione della malattia?
Credo che sia fondamentale. Penso che il rapporto di reciproca stima e fiducia che si instaura tra personale sanitario da un lato, e paziente, famiglia e caregiver dall’altro, sia alla base di un’efficace gestione di questa patologia rara. È un rapporto profondo, che inizia fin dalla più giovane età e che va modulato a seconda della fase della vita del nostro paziente.

Quali strumenti utilizza, di solito, per insegnare alle persone affette da emofilia ad affrontare la vita con la patologia?
Dedico tempo, mi mostro disponibile all’ascolto, presento materiale scientifico comprensibile, consiglio la consultazione di siti online seri e sicuri, ma soprattutto sprono i pazienti a diventare membri attivi delle associazioni, che svolgono un ruolo fondamentale di rete, supporto e informazione.

Di recente ha avuto modo di partecipare a un evento in cui è stato utilizzato un innovativo approccio basato sulla realtà virtuale proprio per spiegare alle persone con emofilia e ai rispettivi caregiver l’importanza della profilassi e dell’aderenza alla terapia. Ci può raccontare la sua esperienza? Qual è stata la reazione dei pazienti coinvolti in questa iniziativa?
In occasione dell’incontro di aprile con i giovani di FedEmo, la Federazione nazionale delle Associazioni Emofilici, è stato presentato un prototipo di visore, realizzato da Bayer e tuttora in via di sviluppo, che potrebbe migliorare l’aderenza terapeutica e incrementare la consapevolezza dell’importanza di una corretta profilassi in un’epoca in cui, per l’emofilia, sono disponibili trattamenti altamente personalizzati. Potrebbero beneficiare di questo approccio soprattutto i più giovani, che hanno padronanza della tecnologia, ma non escluderei la partecipazione anche di pazienti più adulti. Durante l’evento, infatti, tutti i ragazzi con emofilia e i caregiver presenti hanno voluto testare il visore. Personalmente mi sembra un metodo di formazione interessante e promettente.

Secondo lei, nel prossimo futuro, i più moderni strumenti tecnologici, tra cui proprio la realtà virtuale, potranno contribuire a migliorare il percorso educazionale delle persone con emofilia. 
Credo di sì. Tuttavia, senza cadere nel banale o nella superficialità, sono convinta che il fulcro di ogni percorso educazionale di questo tipo risieda nel valore dei messaggi che vogliamo trasmettere, indipendentemente dal mezzo utilizzato per veicolarli. Oggi i pazienti con emofilia hanno la possibilità di essere trattati con terapie efficaci e, come sottolineato in precedenza, molto personalizzate. Dobbiamo far crescere questa consapevolezza, mantenendo viva la collaborazione e il dialogo tra medico e paziente.

Questi stessi strumenti potranno migliorare anche la comunicazione tra medico e paziente?
Una ricetta per migliorare la comunicazione medico-paziente? Io non ce l’ho, ma penso che entrambe le parti in causa si debbano impegnare a coltivare il dialogo. Noi clinici non dobbiamo mai smettere di studiare, confrontarci, conoscere e comprendere la patologia, ascoltare i pazienti e osservarli “a tutto tondo”. Le persone con emofilia hanno la grande fortuna di avere a disposizione non solo un sistema sanitario validissimo, ma anche associazioni, come FedEmo, pronte ad accoglierle e ad aiutarle, e perciò non devono dimenticare di avere il dovere di utilizzare le risorse che vengono loro rese disponibili con correttezza e senso civico. Insomma, anche la digital health può rivoluzionare il rapporto tra medico e paziente, ma servono standard condivisi e linee guida per un uso consapevole e responsabile.

di Giulia Virtù