La scuola tra autonomia e semplificazione

LA SCUOLA TRA AUTONOMIA E SEMPLIFICAZIONE

di Gian Carlo Sacchi

Secondo appuntamento parlamentare del ministro Giannini ed ancora per dichiarazioni programmatiche. L’elenco delle buone intenzioni è pressappoco uguale a quello precedente; è la premessa a proporre alcune parole chiave che preludono ad un certo cambiamento, anche se poi in concreto non ci sono indicazioni precise su come darvi attuazione e si riprende a toccare fugacemente tutte le emergenze non da oggi presenti nel nostro sistema.

SEMPLIFICAZIONE è il primo termine introdotto. Già perché il corpo normativo sull’istruzione è enorme tanto che da più parti si chiede di riorganizzarlo in un testo unico: quello del 1994 infatti è superato. A ciò aggiungasi la legislazione regionale e quanto regolamentato dagli enti locali nell’esercizio ormai consolidato delle loro prerogative in materia di servizi all’infanzia. Ma dare organicità alle disposizioni è semplificare ? Nel portato programmatico nulla si dice infatti di una semplificazione che sta nel superamento del centralismo ministeriale, anche adesso che il governo di cui fa parte si sta impegnando per la revisione del titolo quinto della Costituzione e che sarebbe interessante sapere come il ministro dell’istruzione intende contribuirvi. Norme generali e livelli essenziali delle prestazioni potrebbero bastare, se poi la gestione venisse demandata alla periferia ed alle autonomie delle scuole. L’ordinamento scolastico, quello che garantisce la parità dei diritti di tutti i cittadini sul territorio nazionale potrebbe essere una parte del ruolo delle scuole (curricolo nazionale), le quali a loro volta possono assumere compiti e risorse che la comunità sociale può chiamare a svolgere (curricolo locale) . Come si fa a pensare a scuole aperte, come vuole il ministro, quando ogni loro azione deve essere regolamentata dalla “circolare” ? Per il welfare non ci vuole una normativa nazionale, basta l’ISEE e per la sanità dopo la legge quadro servono le intese stato- regioni sui finanziamenti. Smettiamo dunque di parlare di semplificazione quando dobbiamo ancora effettuare il decentramento previsto nel 1998 e che nemmeno questa volta compare nelle dichiarazioni del ministro.

Il secondo termine è PROGRAMMAZIONE. Interessante sarebbe poter esercitare da parte del governo centrale la programmazione, se fossero chiari e fluidi gli altri livelli di governance. Così non è e dunque il ministero sarà permanentemente quello delle emergenze perché tutti i problemi vanno risolti erga omnes e le situazioni più carenti vanno a detrimento di quelle più efficienti. La programmazione è già in piccola parte decentrata alla regioni, ma riguarda solo la rete scolastica e non le persone che la devono mettere in pratica. Non si può infatti programmare con una gestione centralizzata del personale: un conto è il contatto nazionale, altro sono le esigenze e le risposte che vanno data ai singoli territori. Non c’è bisogno di tanti esempi, ma la dispersione, i rapporti con il mondo del lavoro richiedono maggiore flessibilità; i problemi della montagna e delle isole non possono essere affrontati con il rinato modello delle pluriclassi, che si pensavano definitivamente superate all’insegna di una corretta istruzione per tutti e che oggi vengono mercanteggiate per peer education. I territori, dice il ministro, devono avere la scuola come “presidio pedagogico” e non solo la caserma dei carabinieri, ma come si fa, non solo per carenza di risorse (gli standard introdotti da Gelmini-Tremonti sono ancora in vigore), ma soprattutto per mancanza di spazio alle decisioni locali.

Si parla di organico funzionale e lo si limita ai docenti di sostegno, ma forse il ministro non ricorda che sulla fine del 1990 fu lo stesso ministero ad introdurlo nelle sperimentazioni del tempo lungo nelle scuole medie e dell’autonomia nelle superiori. Per la scuola primaria ci sono stati i “moduli” che andavano in quella direzione. Cose definitivamente scomparse dalla scena ? Anche il doppio organico nella scuola dell’infanzia si fa fatica a mantenere. Forse proprio queste modalità di gestione del personale stesso possono essere funzionali alla programmazione e già all’epoca del governo Monti qualcosa era riemerso, anche se riferito quasi esclusivamente alle reti di scuole.

Per gli Istituti Tecnici Superiori, un altro passaggio della relazione programmatica, trasformati da molte regioni in “poli tecnici” sarebbe preferibile una buona sinergia con le regioni stesse piuttosto che rimpiangere una direzione generale al ministero. Insomma si parla di programmazione con un occhio alla gestione, che proprio non riusciamo a separare nella nostra cultura di governo.

Il terzo tema toccato è quello della VALUTAZIONE; è questa la nuova moda che non si può fare a meno di introdurre stabilmente nella nostra politica. Nessun problema; si trovino la risorse per mettere in atto il regolamento recentemente emanato, ma si sa che ogni buona valutazione produce una retroazione capace di miglioramento e di innovazione. Ma come si può migliorare se non c’è autonomia progettuale e gestionale da parte delle scuole ? I miglioramenti infatti sono personalizzati. Il rischio della valutazione in un sistema centralistico, dove tutto è adempimento, non è la stimolazione, ma un colpo letale, che va a danno proprio le realtà già più deboli.

Senza nulla togliere al sempre più preciso e prezioso lavoro dell’INVAlSI resta tutto il problema degli standard, in relazione ai livelli essenziali delle prestazioni, di una valutazione per competenze, di un incremento della prospettiva dei “crediti” e di una opportuna discussione sul valore dei “titoli”.

Se si vuole veramente andare verso l’INTERNAZIONALIZZAZIONE del nostro sistema, altra parola magica, da protagonisti e non subendo, come avviene adesso, gli strascichi dell’Unione Europea e le brutte figure delle indagini internazionali, occorre che sia il sistema stesso a portarsi verso l’organizzazione in atto un po’ in tutti gli altri Paesi specialmente europei. Allora la parola che nel discorso del ministro è ancora troppo tra le righe e che andrebbe esplicitata nell’incipit è AUTONOMIA, che corrisponde o a governi locali o a forte decentramento sul territorio. Di tutto ciò esistono per gran parte i presupposti giuridici ed esempi virtuosi in diverse parti d’Italia. Manca la volontà politica, e per ora i programmi di questo ministero non sembrano avere tra le priorità la ridiscussione del vero tappo che blocca lo sviluppo del nostro sistema: i rapporti tra i poteri centrali e quelli locali ed il ruolo delle relative burocrazie, fino ad arrivare ai dirigenti scolastici. Qui si può intervenire subito anche per assecondare la spending review che anziché gli sprechi rischia di tagliare i servizi.

Dopo aver sorvolato l’autonomia il ministro compie uno scivolone sulla libertà della scuola; una scuola libera che deve assecondare la libertà di educazione, e con ciò una promessa a realizzare la “parità”. Una legge, la n. 62/2000, è stata fatta da chi aveva a cuore l’autonomia e non la privatizzazione, ma è caduta per tanta parte nella deriva dei diplomifici. Un sistema integrato pubblico-privato è già presente in Italia nelle politiche per l’infanzia e nella formazione professionale; non dovrebbe essere difficile applicarlo in via definitiva anche nella scuola, ma attenzione che per superare il fuoco di sbarramento ideologico ci vuole onestà intellettuale e politica, quella cioè di pensare ad un sistema dell’education autonomo che non deve ricevere legittimazione da questa o quella parte, ma dal suo ruolo nella società che qualunque politica deve impegnarsi a sostenere.