Esami, è ora di Invalsi. Un incubo per i ragazzi? No, aiuta a studiare meglio

da Corriere.it

E per le superiori il test dovrebbe debuttare nella maturità 2015

Esami, è ora di Invalsi. Un incubo per i ragazzi? No, aiuta a studiare meglio

Pro e contro della prova. Il ministro: ampliare la valutazione. Un papà: «Finalmente ho visto mio figlio studiare ragionando»

di Antonella De Gregorio

Saranno 590mila studenti, 20mila classi, a chiudere l’esame di terza media, il 19 giugno, con la controversa prova Invalsi: un testo letterario tratto da un romanzo, da un racconto o da una novella e un testo informativo di taglio scientifico, storico, politico o sociale su cui esibire comprensione e conoscenze grammaticali. E una parte di matematica, con 25-30 domande di quattro aree: algebra, geometria, relazioni e funzioni, e statistica e probabilità. Come l’anno passato. Identiche le raccomandazioni e i divieti: si potranno portare penna (non cancellabile), righello, squadra e goniometro; banditi calcolatrice e vocabolario. Per evitare copiature, le prove sono state organizzate in cinque versioni differenti con le domande uguali per tutti, ma in ordine diverso. E dal responsabile Invalsi arrivano parole rasserenanti per l’esito del test: «Non può mettere più di tanto a rischio la promozione», spiega Roberto Ricci: «Il punteggio ottenuto condiziona in una minima percentuale, pari a circa il 15%, il voto finale. Questo significa che, anche se al test si ottiene il punteggio minimo di 4, ma si ha la sufficienza in tutte le altre prove che compongono l’esame, la promozione sarà ugualmente assicurata». Certo, per chi ha una media alta, uno «scivolone» all’Invalsi potrebbe rivelarsi fatale per la media e far tramontare i sogni di lode. Niente Invalsi, invece, ancora per quest’anno, per i ragazzi delle superiori: per loro i test potrebbero arrivare dalla maturità 2015, ma le modalità non sono ancora definite: potrebbero affiancare o sostituire il «quizzone» della terza prova.

Le proteste

Non si annunciano «ribellioni» come quelle registrate in diverse scuole nel mese di maggio, all’appuntamento con le prove standardizzate per misurare i livelli di apprendimento e le competenze in italiano e matematica degli alunni di seconda e quinta elementare e delle seconde superiori. Parte degli studenti e frange di professori hanno protestato contro i «test a crocette imposti dall’alto» e quello che ritengono un giudizio sul proprio operato, proponendo il boicottaggio, non presentandosi a scuola, consegnando i fogli ricamati con disegni e sberleffi.

 

I vantaggi

Della campagna delle istituzioni per mettere in luce i vantaggi di questo tipo di valutazione si è parlato a lungo: la presidente dell’Invalsi, Anna Maria Ajello è anche intervenuta con una lettera aperta agli insegnanti, in cui spiegava che i test «servono a costruire parametri del reale funzionamento della scuola italiana» e per «dare alle singole scuole un punto di riferimento esterno e verificato». Non per spaccare il Paese, per assegnare medaglie agli insegnanti, per stigmatizzare realtà più lente della media. E neanche per sanzionare i deficit: il sistema – dice Roberto Ricci – per sua natura serve, al più, a segnalarli.

«L’Invalsi non si tocca»

Comunque l’Invalsi non si tocca. Anche se, magari, un po’ si può cambiare. Lo dice da tempo il ministro dell’istruzione, Stefania Giannini. Che alla valutazione non vuole rinunciare: «È imprescindibile per migliorare la scuola – dice – unico vero strumento per salvare questo Paese». «Bisogna entrare appieno in questa logica, andando avanti, completando gli strumenti a disposizione – sostiene il ministro – Queste prove, che, è vero, in alcuni casi non sono diagnostiche, per esempio sui Bes, misurano l’apprendimento in due aree specifiche. È un po’ come se per valutare un ospedale si prendesse in considerazione il funzionamento di due reparti. E invece la valutazione deve comprendere tutto: strutture, personale, funzionamento complessivo».

Le raccomandazioni Ue

Lo chiede anche Bruxelles, che ha messo fretta al ministro, con le Raccomandazioni emanate nei primi giorni di giugno: la numero 14 si occupa proprio di scuola e professori e chiede all’Italia di «compiere sforzi per migliorare la qualità dell’insegnamento e la dotazione di capitale umano a tutti i livelli di istruzione». Anche, suggerisce esplicitamente la Commissione europea «diversificando la carriera dei docenti la cui progressione deve essere meglio correlata al merito e alle competenze, associata a una valutazione generalizzata del sistema educativo».

In «cantiere»

Ma se è stato chiarito che la valutazione degli apprendimenti non servirà tout court per valutare gli insegnanti – e magari collegare merito e stipendio – resta da vedere quale sarà lo strumento di misurazione delle funzioni e delle carriere proposto da quel «cantiere» su reclutamento, formazione e valorizzazione dei docenti voluto dal premier per elaborare proposte per la scuola.

Un aiuto alla didattica

Intanto, così com’è formulata, la prova sembra aprire nuove prospettive sul modo di insegnare. Ne è convinto Giovanni Carrada, padre di un ragazzo che sostiene in questi giorni l’esame di terza media. Divulgatore scientifico, autore di programmi per la Rai in cui si ragiona anche di scienza e divulgazione, afferma: «Per la prima volta, per la preparazione dell’Invalsi ho visto in mano a mio figlio un libro in cui la matematica è stata trattata come dovrebbe: non si chiede di fare operazioni astratte, ma i problemi proposti sono tratti dal mondo reale e i quesiti strutturati in modo che si debbano trovare le soluzioni ragionando». È il modo più avanzato di insegnare la matematica, sostiene Carrada. E, anche, la base del successo dei sistemi educativi più evoluti: Olanda, Finlandia e gli altri Paesi nordici, dove non ci si ferma alla conoscenza astratta, ma si chiede anche di saperla applicare. «Forse il grande buco nero della prova in questione, oggi, è che misuri qualcosa di diverso da ciò che si studia tutto l’anno», aggiunge. E anche che i risultati siano pubblici e confrontabili solo per una scuola su sette.