SULLA LETTERA APERTA DI CGIL-CISL-UIL-SNALS AI DIRIGENTI SCOLASTICI

SULLA LETTERA APERTA DI CGIL-CISL-UIL-SNALS AI DIRIGENTI SCOLASTICI: HIC RHODUS HIC SALTA!

– Francesco G. Nuzzaci –

Forse perché non sparata in prima pagina sui rispettivi siti, ma fatta circolare in modo semiclandestino, abbiamo avuto contezza un po’ in ritardo della Lettera aperta, datata 3 marzo 2015, indirizzata dai sindacati generalisti di comparto ai dirigenti scolastici, che – si peritano di precisare, ma non ce n’era bisogno – rappresentano in maggioranza, sia pure in rapporto 1:100 alla massa degli indistinti lavoratori della scuola (docenti e ATA).

Nella circostanza e in premessa, stigmatizzano il comportamento dell’ANP per la sua ultima rottura del rapporto unitario costruito a difesa della condizione retributiva dei dirigenti scolastici (sic!), dopo che, unitariamente, aveva sottoscritto tutti i contratti della vergogna e le allegate dichiarazioni, altrettanto congiunte, di rinvio sine die dell’equiparazione retributiva con le restanti dirigenze pubbliche; e dopo che, parimenti, aveva contrastato l’azione di DIRIGENTISCUOLA di perseguirla per via giudiziaria, acclarata la sterilità dei tavoli negoziali, che hanno vieppiù progressivamente allargato la forbice stipendiale. E sempre all’ANP imputano, respingendola, la ideologica rivendicazione della dirigenza amministrativa tout court, che umilia la vera professionalità specifica e di alto profilo della dirigenza scolastica.

Al riguardo – con una spericolata acrobazia linguistica, essendo contrari al ruolo unico, che segna il discrimine tra dirigenza e non dirigenza, ma non avendo il coraggio di affermarlo apertis verbis, informano del loro impegno solennemente ridicolo, di aver proposto al Parlamento – quando? – di richiamare la dirigenza scolastica nel testo di legge sulla dirigenza amministrativa(!), ribadendo il suo carattere speciale e la sua coerenza con le norme relative al sistema educativo di istruzione e formazione e all’autonomia delle scuole. Ciò perché la dirigenza scolastica deve continuare ad essere definita in rapporto ad entrambe le dimensioni che la caratterizzano: quella amministrativa e gestionale e quella organizzativa della comunità scolastica che pretende una specificità che le altre dirigenze pubbliche non hanno.

Per parte nostra diciamo che ripetersi può essere stucchevole, per cui rinviamo i colleghi a quanto di recente pubblicato sul sito, in particolare Ruolo unico della dirigenza scolastica: significative convergenze e scontate defezioni e, da ultimo, La spoliazione della dirigenza scolastica.

Qui vogliamo solo renderli avvertiti dell’ennesima colossale turlupinatura che si tenta di perpetrare nei loro confronti giocando confusivamente con le parole. E siccome vige il detto che più che le parole contano i soggetti che le pronunciano, mette conto annotare che:

1.L’attuale status di dirigenti pezzenti, cristallizzati in figli di un dio minore e reclusi nella riserva indiana dell’area quinta per non infettare le dirigenze vere, è il frutto del pactum sceleris tra l’Amministrazione e la Quadruplice di comparto agente in condizioni di monopolio, che ha avuto via libera nell’imporre al Legislatore dell’epoca, per la sola neonata dirigenza scolastica, la creazione precostituita ex lege di un’apposita area contrattuale all’interno del comparto scuola, riprendendosi alla lettera la formula figurante nel CCNL Scuola stipulato il 4 agosto 1995, in un assetto ordinamentale preautonomistico: di mantenere una distinta area della specifica dirigenza scolastica nell’ambito del comparto scuola, non assimilabile alla dirigenza – la generale dirigenza pubblica – regolata dal D. Lgs n. 29 del 1993. Ciò per tenerla sotto scacco allo scopo di incondizionata tutela della controparte dei lavoratori, e non avendosi per conseguenza nessun interesse a rinunciare a questa comoda posizione di rendita;

2.In sede di prima audizione davanti la Commissione cultura del Senato, presieduta dalla senatrice Finocchiaro, l’attuale ed eterno presidente dell’ANP, intervenuto prima del segretario nazionale di DIRIGENTISCUOLA, non ha speso una parola-una sulla testuale esclusione della dirigenza scolastica dal ruolo unico della dirigenza statale e, latamente, pubblica, così come non l’hanno spesa – né allora né finora: gli atti sono lì a testimoniarlo inoppugnabilmente – CGIL, CISL, UIL e SNALS;

3.La lettera dell’articolo 10 del DDL 1577 è cristallina, nel rifisionomizzare la figura del dirigente – di ogni dirigente, se dirigente – come soggetto attributario di autonomi poteri di gestione di risorse umane, finanziarie e strumentali per la loro ottimale combinazione preordinata alla realizzazione dello scopo-programma-progetto predefinito dal committente politico (paradigma: art. 16, D. Lgs 165/01, per i capidipartimento e direttori generali) o assegnato dal dirigente di vertice (esempio paradigmatico: successivo art. 17 per i dirigenti amministrativi e tecnici di attuale seconda fascia), ovvero direttamente prescritto da fonte normativa e con possibilità di ulteriori obiettivi specifici nel provvedimento d’incarico ( per i dirigenti preposti alla conduzione di istituzioni scolastiche, enti-organi dello Stato, funzionalmente autonome, secondo il paradigma figurante nell’art. 1, comma 2, D.P.R. 275/99, integrabile con i contenuti della funzione compendiati nell’art. 25 del D. Lgs 165/01, cit.), con esclusiva responsabilità di risultato.

La funzione dirigenziale è dunque, strutturalmente e finalisticamente, unica, indipendentemente dal suo luogo di esercizio, tanto ciò vero che – tra l’altro – è ora previsto un unico sistema di reclutamento e formazione ( per la dirigente scolastica anticipato dalla legge 128/13). Ciò è a dire che quella ridisegnata è una figura non eccessivamente specializzata siccome generalista o organizzatoria.

Conseguentemente – giova ricordarlo – vengono istituiti tre ruoli unici (per lo Stato, per le regioni, per gli enti locali), distinti ma coordinati e suscettibili di reciproche compenetrazioni: ciò che importa l’abolizione delle due attuali fasce gerarchizzate, di una dirigenza a carriera garantita, non più compatibili con una dirigenza che si vuole position based, contrassegnata dalla piena interscambiabilità e rotazione degli incarichi in virtù delle competenze culturali e professionali volta per volta allegabili da ogni dirigente, a prescindere dal pregresso luogo di esercizio (le singole amministrazioni) della funzione e in esito ad una rigorosa valutazione degli obiettivi assegnati e delle capacità organizzativo-gestionali dimostrate; con l’ulteriore corollario dell’omogeneizzazione delle retribuzioni, quindi della riparametrazione delle inerenti voci (tabellare, posizione fissa e variabile, risultato), nei limiti delle risorse complessivamente destinate dalle vigenti disposizioni legislative e contrattuali, rapportate esclusivamente ai carichi quali-quantitativi di lavoro e afferenti responsabilità.

E’ di palmare evidenza che tutti i connotati della riscritta dirigenza si attagliano perfettamente a quella esplicata nelle singole istituzioni scolastiche, nel mentre non sono rinvenibili – sotto il triplice profilo concettuale, strutturale e funzionale – nelle distinte figure dei professional, caratterizzati, invece, dal possesso e dall’esercizio di competenze circoscritte, di natura squisitamente tecnica, erogate all’interno della struttura organizzativa, privi di compiti di gestione di risorse umane e finanziarie, o esercitati in misura marginale ed eventuale, come nel caso di quasi tutta l’articolata odierna dirigenza medica, eccetto gli ex primari ospedalieri che, pur preposti alla conduzione di strutture dipartimentali complesse, hanno comunque anch’essi, come funzione preponderante, il compimento del c.d. atto medico.

Dunque, se ci si dispone frigido pacatoque animo anziché abbandonarsi ad improbabili elucubrazioni, ancor più se in palese malafede, quella scolastica è una dirigenza a tutto tondo, neanche comparabile con la (pseudo) dirigenza medica e di certo non qualificabile come dirigenza professionale (di per sé una sorta di ossimoro), quasi che la sua funzione fosse quella di un esperto disciplinare che insegna la propria materia, con quel che la integra e la supporta ( ciò che invece è tipico della funzione docente: cfr. artt. 1 e 395 del D. Lgs 297/94 e artt. 26 e 27 CCNL Scuola).

Sicché – come si legge nella Lettera aperta – non è dato di capire che cosa ci sia da difendere e da rivendicare per rendere coerente la funzione della dirigenza scolastica con il quadro normativo dell’autonomia scolastica: è già tutto scritto nella norma di diritto positivo!

Certamente, l’accesso alla dirigenza scolastica, oltre agli ordinari requisiti di accesso ad ogni dirigenza, impone la provenienza dalla funzione docente, perché il Legislatore – con libera valutazione – ritiene evidentemente importante che il dirigente preposto alla conduzione delle istituzioni scolastiche abbia confidenza con i processi educativi, affinità di linguaggio con i professionisti della formazione che deve coordinare, familiarità con contesti organizzativi contrassegnati da legami deboli, in cui l’interpretazione prevale sull’esecuzione, in luogo dei lineari canoni propri delle procedure prevalentemente standardizzate.

Ragion per cui – per tutte le dirigenze aventi, per così dire, profili più o meno marcati di peculiarità – ha previsto, all’interno del ruolo unico della dirigenza statale, l’eventuale confluenza di carriere speciali e di altrettante non precisate professionalità speciali, senza pregiudizio dell’ applicabilità nei loro confronti di tutti gli ordinari e generali istituti della dirigenza pubblica, inclusa la mobilità in uscita.

Senonché, le anonime e non disinteressate mani che in poco più di un mese hanno partorito ben quattro versioni del DDL 1577 infine approdato al Senato, hanno inopinatamente escluso dal ruolo unico i dirigenti delle istituzioni scolastiche, senza che possano essere collocati nelle predette carriere o professionalità speciali, difettandone il presupposto: il loro inserimento nel ruolo unico.

Conclusione lapalissiana: al di fuori del ruolo unico non vi è dirigenza! E se non vi è dirigenza, essa permanendo fuori dal ruolo unico, non si riesce proprio a comprendere su quali basi possano fondare CGIL, CISL, UIL e SNALS il riconoscimento, per i cirenei della scuola, della dignità professionale e di retribuzione che va ben oltre l’attuale posizione in cui sono stati relegati dalla cattiva politica.

Siamo riusciti a far uscire allo scoperto l’ANP, che nel recente ultimo suo Congresso pare addirittura aver assunto una posizione più realista del re.

Abbiamo concorso, con la forza della documentata argomentazione e il peso di cospicui numeri, che al 31 dicembre 2014 rendono DIRIGENTISCUOLA virtualmente rappresentativa, in attesa dell’ufficializzazione in sede ARAN, a far guadagnare alle associazioni professionali ANDIS e DISAL la consapevolezza dell’implausibilià, e della pericolosità, del dirigente leader ed educatore, non manager ( nella versione del sottosegretario Faraone: sindaco della comunità scolastica!), sì da trasformarlo in un semplice coordinatore della didattica.

Offriamo ora la possibilità a CGIL, CISL, UIL e SNALS di dimostrare in concreto che non stanno reiterando l’ennesimo bluff. Basta che, avendo le stesse dichiarato di voler ricostruire un più largo rapporto unitario a difesa della condizione retributiva – e della dignità – dei dirigenti scolastici, sottoscrivano il seguente, o consimile ma inequivoco, emendamento all’art. 10 del DDL 1577, in procinto di essere licenziato dalla Commissione cultura del Senato per poi passare alla Camera:

Sono inclusi nel ruolo unico dei dirigenti dello Stato i dirigenti delle istituzioni scolastiche ed educative.

Gli stessi potranno essere collocati, all’interno del predetto ruolo unico, in una delle previste sezioni delle professionalità speciali in ragione della complessa funzione che sono chiamati a svolgere, integrante competenze di ordine gestionale, con diretta ed esclusiva responsabilità, e peculiari competenze di natura tecnico-professionale connesse alla qualifica di provenienza, senza pregiudizio della piena mobilità in uscita e dell’applicabilità degli istituti che connotano l’intera dirigenza pubblica.

Il rapporto di lavoro è regolato dall’unico contratto di area della dirigenza statale, ovvero in una sezione dello stesso, assicurandosi in ogni caso un trattamento economico complessivo non inferiore a quello delle altre figure dirigenziali.

Per l’appunto, hic Rhodus hic salta!