La storia di Adam

La storia di Adam, il bambino palestinese con autismo a cui vengono negate le cure
SuperAbile INAIL del 20/01/2024

BETLEMME. “Adam non parla, è completamente muto. Sta chiuso dentro la sua stanza a Betlemme mentre le sue quattro sorelle giocano nel salotto. Dall’inizio della guerra è sempre a casa, o al massimo esce nel giardino di famiglia. Non si muove più in là del raggio di osservazione dei genitori”, si legge in un articolo. 

“Abbiamo sempre paura che scappi e che si metta in situazioni pericolose- ha raccontato il padre Hani, come riporta l’articolo- Abbiamo scoperto che era autistico quando aveva più o meno quattro anni. Lo dovevamo portare in un centro specializzato a Gerusalemme, avrebbe dovuto fare riabilitazione per 21 giorni ma per superare il checkpoint che da Betlemme porta a Gerusalemme per noi è necessario un permesso speciale”. 

E ancora: “Nel 2015 Hani, la moglie e il figlio Adam riescono, dopo una lunga trafila, ad ottenere il permesso. Il primo giorno superano il ‘checkpoint’ ma dal secondo giorno in poi diventa sempre più difficile accompagnare Adam a fare riabilitazione”. 

“Abbiamo avuto questi permessi di ingresso e il primo giorno è andata bene- ha raccontato Hani- abbiamo addirittura preso il pullman. Il giorno dopo però ci hanno fermato dicendo che noi non potevamo entrare. Adam invece sì. Io e mia moglie abbiamo il permesso come accompagnatori, saremmo dovuti andare con lui fino al centro di riabilitazione ma la soldatessa dal secondo giorno ha iniziato a vietarci il passaggio”. Improvvisamente i permessi di Hani e della moglie non si trovavano più. 

E riporta l’articolo: “Adam aveva 4 anni, nonostante la precocità dei bambini palestinesi che già dai primi anni d’età sono abituati a muoversi da soli, a vedere i soldati, i checkpoint e le armi, arrivare da solo a Gerusalemme non è possibile per un bambino di soli 4 anni, figuriamoci se completamente muto”.

 “Come si può pensare che un bambino di 4 anni che ha l’autismo possa andare da solo? Il soldato continuava a dirmi: ‘Il bambino può passare, voi no’. Un bambino che non parla. Un bambino di quattro anni, un bambino che ha un problema. Per me è stato un disastro. Ero disperato, era una cosa inaccettabile”.  

La situazione è andata avanti così per ventuno giorni. Adam ha perso tante lezioni del corso di riabilitazione che avrebbe dovuto fare. “Questo è stato l’episodio che più mi ha colpito, sono rimasto colpito profondamente”, continua il padre.

La speranza nella scuola di Betlemme, l’unica per bambini autistici nella città ma la guerra ha bloccato l’erogazione delle cure 

“Dopo più di due anni di attesa Adam- spiegano i media- ha iniziato una nuova scuola tesco-palestinese a Betlemme, l’unica per bimbi autistici in città, e una volta al mese ha cominciato delle cure da un medico specializzato poco fuori Ramallah. Sta nei territori del quarantotto e ha un ambulatorio che riceve i bambini con disabilità cognitive. Lavora sia con i bambini palestinesi che con quelli israeliani. Dall’inizio della guerra, però, è impossibile per Hani e suo figlio raggiungere i territori del ‘48, il che vuol dire che le cure mediche per Adam sono bloccate da più di tre mesi”. 

“Non vedo più nessun cambiamento- spiega nell’articolo amareggiato il padre- sono molto preoccupato, ho paura possa peggiorare ma soprattutto penso a quando noi non ci saremo più. Crescere un bambino autistico in Palestina vuol dire riuscire a fargli vedere il mondo che vediamo noi. Non possiamo permetterci che lui continui a stare nel suo, un mondo in cui i militari, l’occupazione, la guerra non esistono”. 

“Adam scappa spesso,- spiega ancora l’articolo- crede di poter fare delle cose, sono corrette dal suo punto di vista, ma in realtà lo mettono in pericolo. Anche perché vivendo sotto occupazione militare è un rischio pensare di poter fare tutto. Nel maggio del 2020 un ragazzo autistico palestinese, Lyad Hallaq, fu ucciso da un poliziotto israeliano nella città vecchia di Gerusalemme per non essersi fermato ad un controllo. Sul suo caso non è ancora stata fatta giustizia”. 

“Le difficoltà nell’aiutarlo sono enormi. Attualmente è difficile, non so se potremo continuare a fare le visite. Però posso dire con certezza che siamo staccati dal mondo reale. Con Adam non viviamo più una vita normale, ma una vita fatta di compromessi in cui cerchiamo di andare incontro al suo mondo e fare entrare lui nel nostro”, conclude Hani.