Bocciare o non bocciare? Entriamo nel merito

da Il Sole 24 Ore

Bocciare o non bocciare? Entriamo nel merito

di Flavia Foradini

Nel ricorrente dibattito sulla bontà della bocciatura come strumento didattico, una delle posizioni dominanti da diversi anni è quella dell’Ocse, che lo ritiene un mezzo costoso e inefficace.
Cominciamo dal fattore soldi, e sgombriamo subito il campo: l’Ocse è un’organizzazione di stampo economico e dunque ha una naturale tendenza a misurare il mondo attraverso la lente della partita doppia. Solo da qualche tempo ha scoperto che l’equità e il benessere psicofisico, sia percepito che reale, possono essere virtuosi motori per una crescita economica e che il Pil da solo non basta al progresso del mondo. Svolta apprezzabile, verrebbe da dire. Tuttavia, ritenere tuttora che la categoria del costo possa essere rilevante in una questione delicata come quella del bocciare o meno uno studente, appare perlomeno bizzarro.
Cercando di evitare sprechi e inefficienze, la scuola nell’insieme di tutte le sue componenti dovrebbe essere per uno stato civile una scelta prioritaria, non importa quanto costosa. L’educazione e la formazione delle nuove generazioni dovrebbero poter beneficiare di un approccio schiettamente olistico, perché la posta in gioco è troppo alta e ne va del futuro di una nazione.
La seconda tesi degli analisti dell’Ocse è che la bocciatura sia un mezzo dai benefici discutibili, cui in Italia si ricorra troppo.
I dati ufficiali forniti dal Miur relativamente agli esiti degli ultimi esami di stato nelle scuole italiane dicono quanto segue:
Nell’estate 2016 alla secondaria di primo grado gli ammessi sono stati il 97,6% e di questi i promossi sono stati il 99,8%.
Alla maturità è stato ammesso il 96% degli studenti e di questi il 99,5% è stato promosso.
Se volgiamo lo sguardo agli anni intermedi, in prima e seconda media il 97,4% degli studenti dell’anno scolastico 2015-16 è stato promosso alla classe successiva.
Fin qui parliamo quindi di percentuali che difficilmente si potrebbero definire altrimenti che fisiologiche.
Per gli anni dal primo al quarto della scuola secondaria superiore, il discorso cambia. I bocciati nell’anno 2015-16 sono stati il 7,7% (in calo dal 9% del 2014-15, l’anno di riferimento dell’ultimo Rapporto Pisa-Ocse). Un dato dunque rilevante, che quindi conviene spacchettare: alla fine del primo anno di superiori i bocciati erano il 12,3% (13,7% lo scorso anno); alla fine del secondo anno il 6,8% (contro l’8,3%); al terzo anno 6,2% (7,7%); al quarto anno 4,4% (5,3%).
Lasciamo ora per un attimo i dati di cui sopra e soffermiamoci sull’efficacia della bocciatura come strumento, anzi come estremo rimedio, perché una bocciatura non è un fulmine a ciel sereno né viene comminata a cuor leggero. Un consiglio di classe pesa e soppesa prestazioni, comportamento, motivazione allo studio, sfondo famigliare, prima di prendere una decisione su cui può gravare anche la propensione dei presidi ad offrire al pubblico statistiche gradevoli allo sguardo e foriere di copiose iscrizioni l’anno successivo. Per cui, generalmente se genitori e ragazzi in difficoltà rispetto alle competenze da acquisire, fanno occhi da cerbiatto alla consegna di una pagella estiva negativa, forse è perché non hanno reagito a sufficienza alla lunga serie di avvisi scritti, telefonici, via email, alle richieste di colloqui, ai corsi di recupero, ai tutoraggi, senza contare voti e comunicazioni attraverso il registro elettronico, che danno conto minuto per minuto di ciò che accade a scuola. Un buon numero di bocciature sarebbero evitabili, se vi fosse maggiore ascolto dei segnali di allarme lanciati verso studenti e genitori. Ma in Italia la considerazione della categoria dei docenti da parte della società è al minimo storico e la tendenza a ritenere che le colpe di ogni insuccesso risiedano nell’incapacità professionale degli operatori scolastici, è grande.
Tuttavia converrebbe ricordare che secondo Pisa 2015, fra il 2005 e il 2013 in Italia la spesa media per studente è diminuita dell’11%, mentre nei Paesi Ocse è cresciuta mediamente del 19%, e che le “classi pollaio” sulle quali la “Buona scuola” ha elegantemente glissato, non aiutano ad evitare bocciature, perché vanificano la possibilità di un’attenzione individuale ai bisogni dei discenti. Invece che scagliarsi contro le scuole, forse i genitori dovrebbero pretendere classi di taglia accettabile.
Oltre a problemi concreti di non acquisizione delle competenze necessarie da parte degli studenti, vi possono essere anche comportamenti di spiccata svogliatezza, o condotte che possono influire negativamente sullo sviluppo futuro in quanto cittadini e sul comportamento del resto della classe: per esempio ritardi e assenze continui, anche se debitamente giustificati dai genitori, impreparazione cronica, abituale mancanza di materiali scolastici, assenze strategiche ai test, disturbo delle lezioni e dei compagni, e magari atti prevaricanti o violenti. In questi casi, che possono essere presenti anche in modo rilevante nelle percentuali di bocciati di cui sopra, non sanzionare in crescendo, con ultima ratio la bocciatura, sarebbe un diseducativo lasciapassare, che potrebbe anche finire col far diventare gli studenti in questione un esempio da emulare, con effetti devastanti sui proseliti.
Certo i comportamenti di cui sopra possono essere semplicemente segnali di disinteresse alla scuola, di voglia di fare altro: un’invocazione lanciata agli adulti per ottenere un cambiamento.
E qui sono di aiuto i dati dell’ultimo studio di AlmaDiploma, che ha preso in considerazione 40.000 studenti di 261 scuole in varie regioni. Dati che, se messi vicini a quelli di cui sopra, dicono molto: il 47% dei diplomati alla scuola superiore, se potesse tornare indietro, sceglierebbe un’altra scuola.
Ecco dunque spiegata la percentuale del 12,3% di bocciature al primo anno di secondaria superiore. E’ assai più bassa del 47%, ma è una prova in più che la scuola boccia solo in casi gravi: le statistiche del Miur dell’estate 2016 dicono infatti pure che al primo anno il 23,5% degli studenti di secondaria superiore, ha avuto sospensioni di giudizio, e con ciò arriviamo ad una percentuale di disallineati pari al 37,8%.
Ciò che resta può bene essere spiegato con i graziati a giugno con aiuti al 6 ovvero con buonisti 6 di fantasia + calcione.
I dati di cui sopra rendono legittimo ipotizzare che una buona fetta di quella metà degli adolescenti italiani, che si dichiara apertamente scontento delle scelte compiute a 14 anni, arrivi alla maturità con aiutini, spinte, o massicce dose di corsi di recupero scolastici o domestici, senza riuscire ad appassionarsi a ciò studia (o magari mostrando comportamenti al limite dei regolamenti) e soprattutto avendo acquisito competenze risicate che renderanno difficile un orizzonte lavorativo concreto: candidati alla coorte Neet.
E qui forse sarebbe opportuno ricordare pure che secondo PISA 2015, il 23% degli studenti italiani, alla fine della scuola dell’obbligo non ha accettabili basi alfanumeriche (vedi anche le classi pollaio di cui sopra).
Un indubitabile punto debole nella catena educativa e una fonte di insuccessi scolastici è evidentemente la cerniera tra scuola media e scuola superiore, che produce la maggior parte delle bocciature.
Da parte della scuola, serve una riflessione sull’efficacia delle azioni di orientamento dei quattordicenni.
Da parte dei genitori, una riconsiderazione delle ambizioni personali e delle tradizioni di famiglia, a tutto vantaggio di un’osservazione attenta di talenti e fragilità, potenzialità e desideri dei figli. E’ inutile mandare un ragazzo al liceo scientifico, se gli piace solo montare e smontare il motorino. E’ inutile pretendere che ami la fisica, se non fa altro che disegnare tutto il giorno. E’ inutile fargli studiare il greco antico, se la sua passione sono i fornelli.
In Italia vi è una peculiare passione per il liceo a tutti i costi, come se un avvocato neghittoso e scadente, fosse meglio di un meccanico appagato nell’infilare le mani nella coppa dell’olio.
In un Paese socialmente fra i più immobili al mondo, è un’illusione ritenere che il liceo sia di per sé una garanzia di ascensore sociale per i propri figli. Lo è invece forse un percorso scolastico davvero adeguato a capacità e desideri.
Un ragazzo sarà frustrato e magari rabbioso, se obbligato a studiare ciò che deciderà presto di odiare.
Con un po’ più di sano realismo da parte delle famiglie, vi sarebbero meno bocciature, meno abbandoni, meno vorticosi cambi di scuola in corsa, perché dopo tutti i tentativi del caso, un consiglio di classe non può che prendere atto della tetragona resistenza di uno studente a quel tipo di studio. E bocciare.
Ogni ragazzo può essere formato, imparare un mestiere, diventare un adulto responsabile e un buon cittadino. Ma perché questo sia possibile, è necessario che lui stesso e i suoi genitori capiscano cosa è meglio per lui. La scuola può solo aiutare all’orientamento giusto, e dato il sistema vigente, non ha grandi alternative alla bocciatura, per indurre percorsi più consoni.