La tela di Penelope dei ministeri spacchettati

da La Stampa

Oggi il premier Giuseppe Conte ha diviso – con termine tecnico “spacchettato” – il Ministero dell’Istruzione da quello dell’Università. Può sembrare una scelta di buon senso politico, anche perché le politiche della Scuola sono diverse da quelle dell’Università.

Ma burocraticamente è una follia. Perché? Dobbiamo ricordare che tradizionalmente le competenze su scuola e università sono state gestite dal Ministero della Pubblica istruzione, creato con questa denominazione dal Governo Badoglio nel 1944.

Poi nel 1989, con il Governo De Mita, fu creato il Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica, assegnato al Ministro Antonio Ruberti. Due Ministeri due Ministri, per una decina di anni.

Nel 2001 il Dicastero è tornato ad essere accorpato con il Governo Berlusconi II, che ha creato il Ministero della Pubblica Istruzione, Università, Ricerca Scientifica e Tecnologica, cioè il MIUR, affidandolo al Ministro Letizia Moratti.

Nel 2006 il Governo Prodi II ha di nuovo diviso le competenze dell’Istituzione da quelle dell’Università con i Ministri Giuseppe Fioroni e Fabio Mussi.

E Berlusconi nel 2008 ha nuovamente accorpato il MIUR con il Ministro Maria Stella Gelmini. Il Ministero è rimasto unito per questi ultimi 10 anni nei governi Monti, Letta, Renzi, Gentiloni e Conte I. Stabilizzandosi nelle competenze e nel funzionamento. Fino ad oggi.

Tenere unite o divise le due competenze ministeriali può sembrare una scelta soltanto politica, per capire se gestire le politiche dell’Università e della Ricerca insieme o separatamente da quelle della Scuola.

Invece è anche un serio problema burocratico.

Perché ogni volta che si accorpa o si spacchetta un ministero serve una legge per disporlo. E poi servono i regolamenti di organizzazione dei due nuovi ministeri. E la nomina di due capi di gabinetto, due segreterie, due portavoce, e cosi via. Poi i decreti di attuazione e ancora i trasferimenti del personale, delle infrastrutture e delle sedi. E le nomine dei nuovi Direttori generali. E degli altri dirigenti. E la creazione di due uffici del personale, due protocolli, due uffici di bilancio, due uffici di controllo e così via.

In pratica serve almeno un anno di riorganizzazione, fra decreti, regolamenti, etc. etc. con un enorme costo burocratico (oltre che tutta una serie di malumori e dissapori), tutto a scapito della funzionalità delle macchine amministrative. E pensare che negli ultimi anni lo stesso è accaduto con le competenze sulla famiglia, quelle sul turismo e sulla innovazione, solo per citare casi recenti. Ma ne vale la pena? O numero e competenze dei Ministeri dovrebbe essere fissata una volta per tutte come pure avevano cercato di fare le Leggi Bassanini del 1999?

* Docente di diritto costituzionale, Università RomaTre