Dalla società del piacere alla società della sopravvivenza

Dalla società del piacere alla società della sopravvivenza
Quale sovranità dopo la pandemia?

di Francesco Lorusso

Da settimane, come tante persone, sono attento sia nel cercare tra i diversi servizi televisivi sia nello scovare tra gli articoli di giornali e nel web un’analisi pacata e attenta, che mi aiuti a trovare, se non delle risposte, almeno delle chiavi di lettura su “che succede, che cosa sarà del nostro mondo, delle relazioni umane, del nostro vivere” dopo questa pandemia.
Tale bisogno permane sotto traccia, anche se spesso è soffocato dal tempo consumato nelle comprensibili paure del contagio, nelle curiosità ossessive su come prevenirlo e nell’attesa spasmodica di parole di speranza, di scoperte scientifiche risolutive, nell’attesa di bollettini rassicuranti sull’andamento decrescente del fenomeno. Rimane sottotraccia anche quando esso deflagra tra le polemiche di scienziati di diversi orientamenti, garbatamente astiosi tra loro, o nel pantano di politici a caccia del facile consenso di pancia, pronti a denigrare l’avversario colpevole di tutto ciò che non funziona, tra risse di spregiudicati onnipresenti opinionisti televisivi esperti di tutto, dal sorriso della Gioconda alle alghe tossiche nell’Adriatico.
Ed ecco che, esauritosi il disorientante frastuono, riemerge il bisogno di essere aiutati a capire: chi sono, che sarà della mia e altrui umanità?
Oltre alle attente meditazioni del Santo Padre, straordinariamente efficace nell’invito a superare particolarismi e a declinare letture sacre con l’esperienza concreta della gente comune, mi ha convinto, nel vortice caotico delle affermazioni su tutto e il contrario di tutto, l’analisi del filosofo Byun Chul Han, apparsa sul quotidiano “Avvenire” (del 7 aprile 2020 ), e di cui riporto alcuni spunti di riflessione.
Innanzitutto si consolida anche nel democratico mondo occidentale una sorta di primato delle infrastrutture digitali; esso, pur giustificato dalle disastrose conseguenze dell’epidemia, pone alcuni inquietanti interrogativi. “In Asia le epidemie non vengono combattute solo da virologi o epidemiologi, ma anche e soprattutto da informatici e specialisti di Big Data. Un cambio di paradigma che l’Europa non ha ancora preso in considerazione.
I Big Data salvano vite umane, direbbero a gran voce gli apologeti della sorveglianza digitale.
In Asia la coscienza critica nei confronti della sorveglianza digitale è pressoché inesistente. Della protezione dei dati non si parla quasi più, persino in paesi liberali come il Giappone o la Corea del Sud. Nessuno si oppone alla furiosa raccolta dati da parte delle autorità. La Cina nel frattempo ha introdotto un sistema di punteggio sociale impensabile per l’europeo medio, che consente una valutazione a tutto tondo dei cittadini. Ciascun individuo deve essere coerentemente valutato in base al proprio comportamento sociale”.
E vabbè, fin qui la pandemia potrebbe forse giustificare l’eccesso di controllo. Tuttavia l’invadenza di un’economia di mercato e di apparati stati nelle avanzate società occidentali, finora attente formalmente alla tutela dei diritti civili e della privacy (fino all’ossessione burocratica), potrebbero essere intrigate dalle forme raffinate di controllo ( come in Cina accade) del tipo: “servizi internet e mobili condividono i dati sensibili dei clienti con le autorità sanitarie e di pubblica sicurezza. Lo stato sa quindi dove mi trovo, chi incontro, cosa faccio e dove mi dirigo. In futuro anche la temperatura corporea, il peso, i valori glicemici ecc. saranno probabilmente controllati dallo stato. Una biopolitica digitale che va di pari passo con una psicopolitica digitale, influenzando emozioni e pensieri.”

L’evidente conseguenza si evidenzia nella oggettiva considerazione di Byun Chul Han: “forse dovremmo persino ridefinire la sovranità alla luce dell’epidemia. Sovrano è chi dispone dei dati.” E allora riflettiamo sulla nostra amata Europa, madre e faro della democrazia, mettendo da parte un’ipocrita meraviglia, denudando il re e riflettendo sulle nostre ormai consolidate strategie e sui meccanismi di controllo del consenso e di costituzione delle classi dirigenti. Non avremmo davvero alcun motivo di stupirci: deidologizzazione, scristianizzazione, società liquida e controllo massiccio dei mezzi di comunicazione hanno da già da tempo defraudato sostanzialmente il popolo della sua sovranità, a vantaggio e a favore di poteri forti supportati da mercenarie agenzie esperte di psicopolitica digitale.
Know how sempre piu raffinati al servizio del potere: diffondere dall’alto la paura dell’altro, ricondurre abilmente il disagio popolare (disoccupazione, problematiche della sicurezza) in trasmissioni becere e quotidiane (studiate ad arte) attribuendo ad una sola causa la responsabilità di tutti i mali: oggi, ad esempio, allo straniero o all’avversario politico (…ieri agli ebrei e ai comunisti).
Mancano sempre più esperienze di base, comunitarie, di popolo, produttrici di senso nella tradizione e nella condivisione di significati esistenziali; gli individui, pertanto, sono sempre più

rintanati in esperienze di comunicazione virtuale controllata da oligarchie e da infrastrutture digitali, che minano sempre più il significato della parola democrazia.
La pandemia con le conseguenti misure di distanziamento sociale – dai flussi controllati per la spesa ai supermercati alla didattica a distanza allo smartphone working– quale ruolo gioca? Sotto un iniziale euforico e spontaneo recupero degli essenziali (valore della famiglia, della solidarietà, di sane letture, buoni film e musica) si percepisce un flebile pericoloso mutamento del sentir comune nel passare da una “società del piacere” nichilista e materialista quanto vogliamo, (ma che comunque garantiva residualmente delle libertà) ad una subdola “società della sopravvivenza”.

“La preoccupazione per il viver bene cede il passo all’isteria della sopravvivenza… La salute rappresenta il valore più alto… La reazione di panico di fronte al virus svela questo fondamento esistenziale della nostra società.”
E qui il passaggio delicato della analisi di Chun: “Se la sopravvivenza è minacciata, ecco che sacrifichiamo volontariamente tutto ciò che rende la vita degna di essere vissuta…La limitazione dei diritti fondamentali viene accettata senza colpo ferire. L’intera società si trasforma in una quarantena, variante liberale del lager in cui imperversa la nuda vita. Oggi il campo di lavoro si chiama home office”.

E qui emerge il rischio che per il valore supremo della sopravvivenza si sia disposti a lasciarsi defraudare di quel che rimane (nelle identità profonde di popolo) della propria umanità: “Vicinanza e contatto significano contagio. Il virus aggrava la solitudine e la depressione”.
E allora?
Certamente: “Tocca a NOI ESSERI UMANI dotati di BUONSENSO ripensare e limitare drasticamente il capitalismo distruttivo e anche la nostra devastante mobilità senza confini per salvare noi stessi, il clima e il nostro bellissimo pianeta”.
Come?
Valorizzando la sapiente, non retorica e opportunistica, libertà di educazione e sostenendo il potere di critica e proposta dei corpi intermedi delle comunità e dei Mondi Vitali, svincolati dal quelle autoreferenziali ed esperte intelligenze digitali al servizio del potere.
E su questo è grande la responsabilità di una scuola autenticamente libera dai condizionamenti e dall’impersonale cultura del piacere e/o della sopravvivenza inconsapevolmente (al servizio) della disumanizzazione.
Scuola che orgogliosamente ritorni a formare, insieme a coscienze libere e critiche, classi dirigenti responsabili e preparate.