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Flipped Classroom

Flipped Classroom

di Bruno Lorenzo Castrovinci

La Flipped Classroom, o classe capovolta, è un’innovativa metodologia didattica che rivoluziona il tradizionale approccio frontale. Invece di dedicare il tempo in aula alla trasmissione passiva delle informazioni, gli studenti apprendono autonomamente i concetti di base a casa, utilizzando risorse come video, letture o piattaforme interattive. Questo consente loro di arrivare in classe già preparati sui contenuti fondamentali.

In aula, il focus si sposta sull’applicazione pratica e sull’interazione, ma uno degli elementi più distintivi della Flipped Classroom è che lo studente diventa il protagonista del processo educativo, assumendo spesso il ruolo di insegnante. Gli studenti, dopo aver studiato a casa, possono essere chiamati a presentare e spiegare l’argomento ai compagni, sostituendo l’insegnante nel ruolo di “docente” per quella lezione. Questo approccio non solo rafforza la loro comprensione del materiale, ma promuove il peer learning, ovvero l’apprendimento tra pari. Quando uno studente spiega un concetto, si sviluppa una comprensione più profonda sia per chi espone sia per chi ascolta.

Il docente, da parte sua, diventa una figura di supporto, facilitando le discussioni, chiarendo dubbi e guidando gli studenti durante le attività pratiche o collaborative. Grazie a questo modello, il tempo in classe è ottimizzato per attività che sviluppano competenze trasversali, come il lavoro di gruppo, la risoluzione dei problemi e la comunicazione.

La Flipped Classroom, dunque, non solo personalizza l’apprendimento, permettendo agli studenti di apprendere a casa con i propri tempi, ma stimola anche l’autonomia e il senso di responsabilità degli studenti, che diventano attori attivi del loro percorso di formazione.

La Flipped Classroom quindi non si limita a invertire il tempo dedicato a teoria e pratica, ma sposta il baricentro dell’apprendimento direttamente sugli studenti. Un aspetto centrale di questa metodologia è il fatto che gli studenti assumono un ruolo attivo nella trasmissione dei contenuti, preparandosi a casa e diventando veri e propri “insegnanti” in classe.

Come funziona il processo

  1. Assegnazione del tema da studiare: Il docente assegna agli studenti un argomento da studiare autonomamente a casa. Può fornire materiali di supporto come video didattici, articoli, letture o piattaforme digitali (ad esempio Khan Academy, Edmodo, o Google Classroom), che gli studenti utilizzano per apprendere i concetti fondamentali. Durante questa fase, gli studenti hanno la possibilità di apprendere secondo i propri ritmi, rivedendo i materiali tutte le volte necessarie.
  2. Preparazione della lezione a casa: A differenza del modello tradizionale, in cui gli studenti svolgono esercizi pratici a casa, qui si preparano attivamente per esporre in classe. Ogni studente o gruppo di studenti prepara una breve presentazione o un’attività interattiva per spiegare il tema assegnato. Durante questa fase, lo studente non solo acquisisce conoscenze, ma sviluppa anche competenze di ricerca, sintesi e comunicazione.
  3. Presentazione e peer learning in classe: Una volta in classe, lo studente diventa il protagonista del processo educativo, assumendo il ruolo di insegnante e spiegando il concetto ai compagni. Questa dinamica non solo responsabilizza gli studenti, ma permette loro di consolidare meglio le informazioni, poiché la preparazione e l’insegnamento ad altri potenziano la comprensione profonda.

Il docente, nel frattempo, non si limita a osservare, ma facilita il processo, chiarendo eventuali dubbi, guidando le discussioni e offrendo feedback. Grazie a questa struttura, l’insegnante ha la possibilità di monitorare l’apprendimento e intervenire dove necessario.

Peer Learning e Flipped Classroom

Uno degli aspetti più significativi della Flipped Classroom è l’integrazione del peer learning. Il peer learning è una metodologia in cui gli studenti apprendono gli uni dagli altri, condividendo conoscenze e competenze. Quando uno studente spiega un argomento a un compagno, non solo dimostra di aver capito, ma stimola anche un apprendimento più efficace nel gruppo.

Il peer learning ha molti vantaggi:

  • Gli studenti sono spesso più a loro agio nell’apprendere dai pari, poiché si sentono meno giudicati.
  • Chi spiega sviluppa una comprensione più solida e profonda dei concetti.
  • Le spiegazioni tra pari tendono a essere più semplici e dirette, aiutando chi è in difficoltà.

Ad esempio, in una lezione di storia in una classe capovolta, lo studente potrebbe essere incaricato di spiegare un periodo storico, organizzando la lezione come un vero e proprio docente. Gli altri studenti, invece di ascoltare passivamente, interagiscono, facendo domande e offrendo spunti, partecipando attivamente alla discussione.

Le piattaforme digitali e la gestione della Flipped Classroom

La gestione della Flipped Classroom si avvale spesso di piattaforme digitali come Google Classroom, Edpuzzle o Khan Academy, che permettono di assegnare materiale personalizzato e monitorare i progressi degli studenti. Un esempio pratico potrebbe essere l’uso di Edpuzzle, una piattaforma che consente di arricchire i video con domande interattive, stimolando la riflessione e verificando la comprensione in tempo reale. L’insegnante può vedere chi ha completato i video e quali sono le aree in cui gli studenti hanno avuto difficoltà.

Questo permette una personalizzazione ulteriore: chi non ha compreso bene un concetto può ricevere aiuto mirato durante la lezione in classe, mentre chi ha già padroneggiato l’argomento può dedicarsi a progetti più complessi o attività di approfondimento.

Le Avanguardie Educative di INDIRE

Il Movimento delle Avanguardie Educative promosso da INDIRE ha incluso la Flipped Classroom come una delle metodologie cardine per il rinnovamento del sistema scolastico. Questa metodologia è vista come una risposta efficace alle nuove esigenze educative, dove lo sviluppo delle competenze trasversali, come il pensiero critico e la collaborazione, è fondamentale.

Nelle scuole che fanno parte delle Avanguardie Educative, la Flipped Classroom viene sperimentata con successo, soprattutto perché consente di trasformare l’aula in uno spazio di cooperazione e creatività. Ad esempio, in un liceo scientifico aderente al movimento, la classe capovolta è stata utilizzata per lezioni di matematica avanzata: gli studenti studiavano i teoremi e le dimostrazioni a casa, per poi risolvere problemi complessi insieme in classe, discutendo strategie e soluzioni in gruppo.

Neuroscienze e apprendimento attivo

Dal punto di vista delle neuroscienze, l’apprendimento attivo, come quello proposto dalla Flipped Classroom, si rivela particolarmente efficace grazie al concetto di neuroplasticità. La neuroplasticità è la capacità del cervello di riorganizzarsi e creare nuove connessioni neuronali in risposta all’esperienza e all’apprendimento. Ogni volta che un individuo è coinvolto in un’attività che richiede riflessione, problem solving o interazione sociale, il cervello si adatta, rafforzando le connessioni esistenti e creando nuove reti neuronali. Questo fenomeno è particolarmente marcato quando l’apprendimento è attivo, ovvero quando l’individuo non si limita a ricevere informazioni passivamente, ma le elabora attivamente.

Nel contesto della Flipped Classroom, l’insegnamento agli altri, tipico del peer learning, è uno degli strumenti più potenti per stimolare il cervello. Quando uno studente spiega un concetto ai compagni, si attivano diverse aree cognitive complesse, tra cui l’ippocampo e la corteccia prefrontale, responsabili della memorizzazione a lungo termine e del pensiero critico. Questo processo non solo migliora la comprensione del concetto, ma facilita anche la capacità di applicare le conoscenze in contesti nuovi, poiché lo studente è costretto a rielaborare e adattare il contenuto per trasmetterlo efficacemente agli altri.

La memoria a lungo termine è notevolmente potenziata da questo tipo di interazione. Studi neuroscientifici dimostrano che quando un concetto viene appreso attraverso l’elaborazione attiva, ossia mediante discussioni, presentazioni o insegnamento ad altri, le informazioni si sedimentano meglio rispetto a un apprendimento passivo. Il processo di insegnamento stimola il riconoscimento e la rielaborazione delle informazioni, due fasi fondamentali per il consolidamento delle conoscenze nel cervello.

Le neuroscienze offrono quindi una solida base per comprendere i vantaggi della Flipped Classroom. Il cervello umano apprende meglio attraverso l’apprendimento attivo, un processo che coinvolge la manipolazione delle informazioni, il problem solving e la collaborazione. Questo modello capovolto si allinea con i principi di neuroplasticità: il cervello si adatta e cresce quando è stimolato attraverso esperienze attive e significative.

Inoltre, uno degli aspetti centrali della classe capovolta è il rispetto dei tempi di apprendimento individuali, un concetto supportato dalla ricerca neuroscientifica. Non tutti gli studenti elaborano le informazioni alla stessa velocità; consentire loro di rivedere i materiali a casa, secondo i propri ritmi, offre l’opportunità di rafforzare le connessioni neurali, consolidando le conoscenze.

Durante le sessioni in classe, il learning by doing (apprendimento attraverso il fare) stimola l’attivazione di circuiti neuronali complessi, associati alla memoria a lungo termine e alla comprensione profonda. Le neuroscienze dimostrano che attività pratiche, come quelle tipiche della Flipped Classroom, attivano diverse aree del cervello contemporaneamente, rendendo l’apprendimento più efficace e duraturo.

Vantaggi e sfide della Flipped Classroom

La Flipped Classroom offre numerosi vantaggi che trasformano radicalmente il ruolo dello studente e dell’insegnante, ponendo lo studente al centro del processo di apprendimento. In questa metodologia, lo studente non è più un semplice ricevitore passivo di informazioni, ma diventa attivamente coinvolto nella costruzione della conoscenza, assumendo un ruolo di leadership durante le lezioni. In classe, lo studente può infatti sostituire l’insegnante, svolgendo la lezione preparata a casa, e in questo processo non solo sviluppa competenze cognitive più profonde, ma è incoraggiato a esplorare nuove tecnologie e metodologie didattiche.

Uno degli elementi più affascinanti della Flipped Classroom è che, nella fase di preparazione della lezione, lo studente può decidere di utilizzare strumenti avanzati per spiegare il concetto ai compagni. Questo può includere l’uso di tecnologie innovative come l’intelligenza artificiale (IA) per creare contenuti dinamici e interattivi, il metaverso per esperienze immersive, o persino l’uso di ologrammi per visualizzare concetti complessi in tre dimensioni. In alcuni casi, lo studente può sperimentare con sensori biomedici per applicazioni scientifiche, o utilizzare software avanzati come CANVA per la creazione di presentazioni visive accattivanti o strumenti di manipolazione video e multimediale per rendere la lezione più interattiva e coinvolgente.

Questa dinamica non solo arricchisce l’apprendimento dello studente, ma trasforma anche l’insegnante in un allievo. Quando gli studenti utilizzano tecnologie avanzate e metodologie innovative, l’insegnante si trova in una posizione di continua formazione, acquisendo nuove competenze grazie al contributo degli studenti stessi. Questo scambio reciproco crea un ambiente di apprendimento bidirezionale, in cui l’innovazione è stimolata da entrambi i lati, con l’insegnante che facilita e supporta, mentre lo studente si avventura in territori inesplorati della conoscenza.

Tuttavia, la Flipped Classroom presenta anche delle sfide. Non tutti gli studenti hanno accesso a strumenti tecnologici avanzati o dispongono di una connessione internet stabile per seguire il materiale a casa. Inoltre, la gestione dell’apprendimento autonomo può risultare difficile per alcuni studenti, richiedendo supporto continuo da parte dell’insegnante, che deve monitorare i progressi e intervenire prontamente in caso di difficoltà. È fondamentale che gli insegnanti forniscano una guida costante e personalizzata per garantire che ogni studente riesca a navigare agevolmente nel proprio percorso di apprendimento, sfruttando le opportunità offerte dalle nuove tecnologie senza esserne travolto.

Infine, l’aspetto collaborativo della Flipped Classroom crea una sinergia tra studenti e insegnanti, dove l’apprendimento diventa una co-costruzione di conoscenze, arricchita dall’utilizzo di strumenti tecnologici che potenziano la creatività e l’interazione. Gli insegnanti non solo diventano facilitatori, ma beneficiano della diversità delle esperienze tecnologiche e dei nuovi contenuti epistemologici scoperti dagli studenti, favorendo un ambiente scolastico dinamico e aperto al cambiamento continuo.

 

Conclusione

Uno studente che diventa insegnante e un insegnante che torna ad essere studente. La classe capovolta rappresenta un luogo di scambio continuo, dove tutto si trasforma in una danza di scoperte, di emozioni, di conoscenze. Le pareti dell’aula si dissolvono, facendo spazio a un universo dinamico, dove il tempo della lezione diventa un’ora di pura innovazione. Ogni gesto, ogni parola, porta con sé la carica emotiva di chi vive la scuola come uno spazio da esplorare, da abitare con il cuore e la mente, seguendo quelle intuizioni che Recalcati descrive come scintille di passione educativa.

Nella Flipped Classroom, lo studente è il centro pulsante di questa nuova visione, pronto a salire in cattedra dopo aver preparato la sua lezione a casa, magari se bambino con l’aiuto di chi lo ama di più: la sua mamma, il suo papà o i suoi nonni. È un ruolo giocato, ma che si trasforma in un’esperienza vera, dove il sorriso dello studente diventa il riflesso della gioia di imparare, mentre gli occhi luminosi dei suoi compagni che assisteranno alla sua lezione lo guarderanno con ammirazione, pronti a imparare non solo dalla stessa, ma dall’energia di chi la vive come un’avventura.

E questa avventura si ripete, ogni giorno, preparando una nuova generazione non solo a essere studenti, ma a essere i costruttori del sapere di domani. Perché la tecnologia, con tutta la sua potenza, ha cambiato i confini del possibile, trasformando i sogni di un tempo non molto lontano in realtà. Eppure, in questa corsa verso l’innovazione, rimane intatto qualcosa di antico e prezioso: la voglia di imparare insieme, di crescere insieme, di sorridere insieme, di stare insieme.

Immaginiamo un’aula dove tutto si capovolge, tranne i sorrisi, tranne gli occhi colmi di meraviglia di chi vivendola, ha capito che ogni momento trascorso insieme è un passo verso qualcosa di più grande. E quegli stessi studenti, che oggi imparano con il cuore pieno di gioia, saranno un giorno gli insegnanti di domani, pronti a trasformare il mondo che verrà con la stessa luce negli occhi, quella luce che dice: ce l’ho fatta, e posso ancora andare più lontano.

 

Il Metodo di studio

Il Metodo di studio nel giardino della vita
Radici di felicità

di Bruno Lorenzo Castrovinci

Introduzione

Settembre arriva, portando con sé l’eco lontana dell’estate che si ritira, lasciando spazio al risveglio delle menti e dei cuori che si preparano ad affrontare un nuovo ciclo di apprendimento e lavoro intellettuale. È il mese in cui le aule si riempiono nuovamente di voci, i libri si aprono con promesse di scoperte e gli studi professionali riprendono il loro ritmo, scandendo il tempo con il primo di settembre come un antico orologio che segna l’inizio di un viaggio ciclico e sempre nuovo.

Questo momento dell’anno, così carico di potenzialità, è un invito a riflettere sulle meraviglie delle neuroscienze, delle scienze metacognitive, della psicologia e della pedagogia, tutte unite nel comune scopo di migliorare il nostro modo di apprendere e crescere. Il metodo di studio, quel filo sottile che collega la mente al sapere, diventa protagonista in questo percorso: possederne uno valido ed efficace non è solo questione di successo scolastico o professionale, ma è la chiave per vivere pienamente, liberando tempo e energie per coltivare altre passioni, per respirare a pieni polmoni la vita che ci circonda.

Che tu sia un giovane studente, un universitario in cerca della propria strada, o un professionista impegnato nella formazione continua, il metodo di studio è l’alleato silenzioso che ti accompagna. È grazie a esso che si può trasformare l’apprendimento da un dovere faticoso a un’esperienza che arricchisce e nutre l’anima, offrendo la possibilità di esplorare nuovi orizzonti senza il peso della fretta, ma con la leggerezza di chi sa di avere il tempo dalla sua parte.

Così, in questo settembre che segna l’inizio di un nuovo anno di sfide e di scoperte, lasciamoci guidare dalla bellezza di un metodo di studio ben scelto e ben utilizzato, un compagno di viaggio che ci permetterà di affrontare il cammino con la certezza di poterci fermare, di tanto in tanto, a contemplare il panorama della nostra crescita personale e professionale.

Il metodo di studio infatti è un elemento fondamentale per il successo scolastico e professionale di tutti gli studenti, indipendentemente dal livello di istruzione. Che si tratti di alunni della scuola primaria, studenti universitari o professionisti in fase di formazione continua, un approccio sistematico allo studio può fare la differenza tra un apprendimento superficiale e una comprensione profonda e duratura. Grazie alle ricerche in ambito pedagogico e alle scoperte neuroscientifiche, è possibile adattare e migliorare continuamente il metodo di studio per rispondere alle diverse esigenze degli studenti in tutte le fasi della loro vita.

Scuola Primaria

Nella scuola primaria, il viaggio dell’apprendimento comincia con la costruzione delle fondamenta su cui poggerà tutto il sapere futuro. È un periodo magico, in cui la mente dei bambini, plastica e ricettiva, si apre al mondo come un fiore al sole, pronta ad assorbire ogni nuova esperienza. In questo delicato stadio della crescita, il metodo di studio non può essere una rigida struttura, ma deve fluire come un gioco, danzare come una melodia interattiva che cattura l’attenzione e nutre l’entusiasmo dei piccoli apprendisti.

Le neuroscienze ci sussurrano che in questa fase, la mente è un terreno fertile, dove ogni seme di conoscenza può germogliare rigoglioso se curato con attenzione e creatività. La ripetizione spaziale diventa allora un prezioso strumento, che, come il ritmo di un respiro, scandisce il tempo dell’apprendimento, consolidando le informazioni nel profondo della memoria. La lettura ad alta voce, invece, è come una brezza che soffia attraverso le parole, dando vita a mondi immaginari e stimolando il pensiero critico e l’immaginazione.

I materiali visivi e tattili, con le loro forme e colori, trasformano concetti astratti in realtà tangibili, che i bambini possono esplorare con le loro mani e i loro occhi, rendendo l’apprendimento un’esperienza multisensoriale e, dunque, indimenticabile. Immagina un bambino che maneggia blocchi colorati per comprendere le operazioni matematiche: non è solo un esercizio, ma un dialogo silenzioso tra il suo cervello e il mondo delle idee.

Il gioco, poi, è il linguaggio naturale dell’infanzia. Attraverso il gioco, i bambini non solo apprendono, ma esplorano, sperimentano e, soprattutto, scoprono che sbagliare non è una fine, ma l’inizio di un nuovo percorso. I giochi educativi, che uniscono divertimento e apprendimento, sono ponti verso la comprensione, che i bambini attraversano con leggerezza e curiosità.

E infine, in questo processo, la collaborazione tra insegnanti e genitori è come un abbraccio che sostiene e guida. I genitori, partecipando attivamente all’educazione dei loro figli, creano un filo di continuità tra la scuola e la casa, arricchendo l’apprendimento con attività condivise che rafforzano i legami familiari e il desiderio di sapere.

Così, il metodo di studio nella scuola primaria si rivela essere una danza armoniosa tra il gioco e la scoperta, un percorso che, guidato dalle scoperte neuroscientifiche, prepara i bambini non solo a imparare, ma a vivere con pienezza ogni tappa del loro viaggio verso la conoscenza.

Scuola Secondaria

Gli studenti della scuola secondaria si trovano in una fase cruciale del loro sviluppo cognitivo, dove iniziano a padroneggiare abilità mentali più complesse come il pensiero critico, l’analisi e la sintesi delle informazioni. In questo periodo, il metodo di studio deve evolversi per diventare più strutturato, integrando tecniche specifiche come la presa di appunti, la creazione di mappe concettuali e l’uso di strategie di memorizzazione.

Un esempio di tecnica di memorizzazione è la tecnica dei loci, un metodo che sfrutta la memoria spaziale per ricordare le informazioni, associandole a luoghi specifici. Un’altra tecnica efficace è la tecnica del pomodoro per la gestione del tempo, che divide lo studio in intervalli di 25 minuti seguiti da brevi pause, migliorando così la concentrazione e la produttività.

Le scoperte neuroscientifiche, come quelle relative al “testing effect” di Henry Roediger, mostrano che la pratica del recupero delle informazioni è una delle strategie più efficaci per la memorizzazione a lungo termine. Questo significa che gli studenti possono beneficiare enormemente dall’autovalutazione regolare attraverso quiz e test di pratica, piuttosto che limitarsi a rileggere o ripetere passivamente le informazioni. Questa pratica non solo rafforza la memoria, ma anche la capacità di applicare le conoscenze in contesti diversi.

Inoltre, l’apprendimento autonomo diventa sempre più importante in questa fase. Gli studenti devono sviluppare la capacità di pianificare e monitorare il proprio progresso, adottando un approccio strategico allo studio che li aiuti a gestire meglio il tempo e le risorse a disposizione. L’uso di mappe concettuali è un altro strumento potente per visualizzare le relazioni tra diversi concetti e facilitare la comprensione e l’integrazione delle informazioni.

Queste tecniche e strategie non solo aiutano gli studenti a gestire il carico di studio, ma li preparano anche per le sfide future, rendendoli più autonomi e sicuri nel loro percorso di apprendimento.

Lo studio all’Università

A livello universitario, l’apprendimento si sposta verso un livello più avanzato, concentrandosi sulla ricerca, sull’analisi critica e sulla capacità di applicare le conoscenze teoriche a problemi complessi. Gli studenti devono essere in grado di gestire grandi volumi di informazioni e di lavorare in modo indipendente. Il metodo di studio a questo livello richiede un approccio integrato, che combini diverse strategie come la lettura critica, la scrittura accademica e la discussione interattiva con i coetanei e i docenti.

Barbara Oakley, nel suo libro A Mind for Numbers, propone l’importanza di alternare tra il “focus mode” e il “diffuse mode” del pensiero. Il focus mode è caratterizzato da un’attenzione intensa e mirata, ideale per risolvere problemi specifici e per l’apprendimento dettagliato di concetti complessi. Al contrario, il diffuse mode è più rilassato e aperto, permettendo alla mente di vagare e formare connessioni inaspettate. Questa alternanza è essenziale per risolvere problemi complessi e per favorire la creatività. Oakley sottolinea che gli studenti universitari possono trarre grande vantaggio dall’alternare periodi di studio concentrato con pause rilassanti, poiché ciò permette al cervello di consolidare le nuove informazioni e di integrarle in modo più efficace.

Un esempio di applicazione pratica di questo concetto è l’uso della tecnica del pomodoro: gli studenti studiano intensamente per 25 minuti (focus mode), seguiti da una breve pausa (diffuse mode). Questo ciclo permette di mantenere alta la concentrazione mentre si evita l’affaticamento mentale. Durante le pause, il cervello ha il tempo di riorganizzare le informazioni e di stabilire nuove connessioni, favorendo così un apprendimento più profondo.

Inoltre, gli studenti universitari devono sviluppare la capacità di sintetizzare informazioni complesse attraverso mappe concettuali e di esporre le loro idee in modo chiaro e convincente, sia in forma scritta che orale. L’interazione con i docenti e i coetanei attraverso seminari e gruppi di studio non solo stimola la discussione e il confronto, ma aiuta anche a rafforzare le proprie conoscenze e a scoprire nuove prospettive.

Infine, la gestione del tempo è una competenza cruciale a questo livello. Gli studenti devono essere in grado di bilanciare il carico di lavoro accademico con altre responsabilità, sviluppando un piano di studio che consenta di affrontare le scadenze in modo efficiente. La capacità di prioritizzare i compiti e di pianificare lo studio su un lungo arco temporale è fondamentale per evitare lo stress eccessivo e per raggiungere risultati accademici elevati.

In sintesi, il metodo di studio a livello universitario deve essere flessibile e strategico, capace di integrare diverse tecniche e di adattarsi alle esigenze individuali dello studente. Alternare tra momenti di intensa concentrazione e periodi di rilassamento è fondamentale per promuovere un apprendimento efficace e duraturo.

L’aggiornamento e la Formazione Professionale

Dopo la laurea, il viaggio dello studio non si arresta, ma prosegue con rinnovata intensità nel cuore stesso dell’esercizio della propria professione. Che si tratti di un libero professionista che traccia il proprio sentiero o di un dipendente che opera all’interno di un ente pubblico o di un’impresa privata, la formazione continua diventa un alleato silenzioso, una forza invisibile che guida ogni passo nel mondo in costante mutamento del lavoro.

Nel panorama della formazione professionale continua, il metodo di studio si trasforma in uno strumento essenziale per l’apprendimento permanente. Le competenze richieste evolvono con una rapidità tale che adattarsi non è più sufficiente: occorre anticipare il cambiamento, cavalcarlo con consapevolezza e determinazione. È qui che il microlearning si rivela un prezioso compagno di viaggio. Questo approccio, fatto di piccoli frammenti di conoscenza, consente ai professionisti, spesso stretti tra mille impegni, di acquisire nuove competenze in modo rapido e mirato. Sono pillole di sapere, brevi e incisive, che si inseriscono nella routine quotidiana senza sconvolgerla, ma arricchendola.

E poi c’è l’apprendimento autodiretto, quell’arte di navigare tra le risorse online, le conferenze, i workshop, cercando e trovando esattamente ciò di cui si ha bisogno. In un’epoca in cui l’informazione è a portata di clic, il vero valore risiede nella capacità di saper discernere, scegliere e integrare ciò che serve per crescere e migliorare. Piattaforme come Coursera, LinkedIn Learning e Udemy offrono un universo di possibilità, consentendo a ciascuno di apprendere a proprio ritmo, seguendo il proprio sentiero personale verso l’eccellenza.

Ma c’è di più: l’apprendimento non è un viaggio che termina con il conferimento di un titolo, ma un percorso che dura una vita intera. Il concetto di “lifelong learning” si erge come un faro in un mondo in cui le competenze non sono mai statiche, ma in continua evoluzione. È un invito a rimanere sempre proattivi e flessibili, pronti a imparare, a rimettersi in gioco, a rispondere ai cambiamenti del mercato del lavoro con creatività e resilienza.

In sintesi, la formazione continua non è solo un mezzo per acquisire nuove competenze; è una filosofia di vita, una scelta consapevole di crescita e adattamento in un mondo del lavoro che non si ferma mai. Il metodo di studio diventa allora il nostro compagno più fidato, colui che ci permette di non perdere mai di vista l’obiettivo, di affrontare ogni sfida con la certezza di essere pronti e preparati. E così, la nostra vita professionale si arricchisce di significato, diventando un’avventura continua alla scoperta del sapere e delle nostre potenzialità.

Influenza delle Neuroscienze su Tutti i Livelli di Apprendimento

Le neuroscienze hanno rivoluzionato la comprensione di come il cervello apprende e ricorda, fornendo preziosi spunti su come migliorare le tecniche di studio a tutti i livelli. Un contributo fondamentale in questo campo è il “Brain-Based Learning” di Eric Jensen, che mette in luce l’importanza di coinvolgere tutte le funzioni cerebrali nell’apprendimento. Jensen sostiene che per ottimizzare l’apprendimento, è cruciale stimolare la plasticità cerebrale e considerare i ritmi circadiani. Questi ritmi, che regolano i cicli naturali di sonno e veglia, influenzano i momenti di massima concentrazione durante la giornata. Ad esempio, studiare nelle prime ore del mattino, quando il cervello è più fresco e riposato, può migliorare significativamente la capacità di assimilare e ricordare le informazioni.

Inoltre, le neuroscienze hanno evidenziato il ruolo centrale delle emozioni nell’apprendimento. Le emozioni positive, come la gioia o la soddisfazione derivanti dal successo, facilitano la produzione di neurotrasmettitori come la dopamina, che a loro volta migliorano la memorizzazione e la capacità di apprendere. Questo ha portato a un maggiore focus sulla creazione di ambienti di apprendimento positivi e motivanti, sia nelle scuole che nelle istituzioni di istruzione superiore. Un ambiente di apprendimento che stimola emozioni positive non solo rende lo studio più piacevole, ma migliora anche l’efficacia con cui gli studenti possono apprendere e applicare nuove conoscenze.

In sintesi, grazie alle scoperte neuroscientifiche, possiamo adattare le tecniche di studio per coinvolgere meglio il cervello, favorendo un apprendimento più profondo e duraturo attraverso la considerazione dei ritmi biologici e l’influenza delle emozioni positive.

Principali Testi e Autori sul Metodo di Studio

Il metodo di studio è un tema cruciale per chiunque desideri migliorare l’efficacia del proprio apprendimento, e diversi autori hanno offerto contributi significativi su come sviluppare tecniche di studio più efficaci. Tra i testi di riferimento, spicca “Imparare a studiare: il metodo di studio” di Mario Polito. Questo libro è una guida completa che combina approcci psicopedagogici con tecniche pratiche, fornendo strategie dettagliate per l’organizzazione dello studio, la gestione del tempo e lo sviluppo di abilità metacognitive. Polito insiste sull’importanza della personalizzazione del metodo di studio, adattandolo alle caratteristiche cognitive e motivazionali di ciascun studente. Egli sottolinea anche l’importanza della motivazione intrinseca e della gestione del tempo per ottimizzare l’apprendimento.

Un altro testo fondamentale è “How to Study in College” di Walter Pauk. Pauk è noto per aver sviluppato il metodo Cornell per la presa di appunti, una tecnica che organizza le informazioni in modo da facilitare la memorizzazione e il recupero dei contenuti durante lo studio. Questo sistema è stato ampiamente adottato non solo nelle università americane, ma anche in contesti educativi internazionali, grazie alla sua efficacia nel migliorare la comprensione e la ritenzione delle informazioni.

Il libro “Make It Stick: The Science of Successful Learning” di Peter C. Brown, Henry L. Roediger III, e Mark A. McDaniel si distingue per il suo approccio basato su evidenze scientifiche. Gli autori esplorano concetti come la pratica distribuita, il recupero attivo delle informazioni e l’apprendimento intercalato. Questi metodi sono supportati da numerose ricerche neuroscientifiche e psicologiche che dimostrano come l’apprendimento efficace non si basi solo sulla ripetizione meccanica, ma anche sulla capacità di applicare e richiamare le informazioni in contesti diversi.

Infine, “The Study Skills Handbook” di Stella Cottrell è un testo particolarmente utile per gli studenti universitari e per chi si prepara ad affrontare esami complessi. Cottrell offre una vasta gamma di tecniche per migliorare la concentrazione, la gestione del tempo, la scrittura accademica e la preparazione agli esami. Il libro si distingue per il suo approccio pratico e per l’attenzione dedicata all’autovalutazione e al miglioramento continuo, rendendolo una risorsa essenziale per chiunque voglia affinare le proprie abilità di studio.

Questi testi rappresentano pilastri fondamentali per chi desidera approfondire e migliorare il proprio metodo di studio, offrendo strumenti concreti e strategie basate su solide basi scientifiche per ottimizzare l’apprendimento a qualsiasi livello.

Conclusione

Il metodo di studio è molto più di una semplice tecnica; è il filo conduttore che accompagna ogni studente, dall’infanzia fino alla maturità, nella scoperta del sapere e nella costruzione di una vita piena e soddisfacente. Dalla scuola primaria, dove il metodo di studio è giocoso e interattivo, fino alla formazione continua, dove diventa un alleato essenziale per affrontare le sfide del mondo professionale, l’approccio all’apprendimento evolve e si trasforma, adattandosi alle esigenze specifiche di ogni fase della vita.

Integrando le scoperte neuroscientifiche e le strategie pedagogiche avanzate, possiamo creare percorsi di apprendimento che non solo facilitano il successo scolastico, ma promuovono anche lo sviluppo di competenze fondamentali per la vita. Queste competenze, che vanno dalla capacità di pensiero critico alla gestione del tempo, dall’autodisciplina alla creatività, sono i pilastri su cui costruire una carriera soddisfacente e una vita felice.

Acquisire un metodo di studio efficace è il primo passo verso un successo formativo che non si limita a riempire le pagine di un libro, ma che motiva e ispira, accendendo una passione duratura per la conoscenza. Questo metodo non solo rende ogni istante della nostra esistenza più interessante, ma ci conduce anche verso una comprensione più profonda del mondo che ci circonda. E in questa comprensione, che è il frutto maturo di anni di apprendimento consapevole, troviamo le radici della felicità autentica.

Così, nel cammino dell’apprendimento, che si snoda lungo tutto l’arco della vita, il metodo di studio diventa il nostro compagno più fidato, il mezzo attraverso il quale trasformiamo ogni sfida in una nuova opportunità, ogni dubbio in una porta verso nuove certezze. In questo viaggio, il metodo di studio è la bussola che ci guida, e il traguardo non è solo il successo accademico o professionale, ma la gioia di vivere una vita ricca di significato e di scoperte.

Perché, alla fine, imparare non è solo accumulare conoscenze, ma imparare a vivere, scoprendo in ogni momento un nuovo motivo per stupirsi, crescere e gioire di ciò che il mondo ha da offrire. E così, il metodo di studio, quando ben coltivato, ci regala la più preziosa delle conquiste: la capacità di vivere con pienezza e consapevolezza ogni attimo della nostra esistenza.

 

Ragazzi, soli, mai!

Ragazzi,  soli,  mai!

di Antonietta Cataldi

Madre: Smettila di commiserarti!  Ti comporti come se tutto ciò che ti è capitato fossero disgrazie e tu non avessi alcuna responsabilità.

Figlio: No, Mamma!  Il fatto è che, da ogni parte, viene scaricata su di me ogni colpa, come se fossi stato io a compiere tutte le scelte, sin da quando ero piccolo.

M.:  Cosa intendi dire?  Chi ti ha costretto a fare quel che non volevi?

F.:  Nessuno, ma io ero davvero in grado di capire quello che volevo?  A undici anni, appena uscito dalle elementari, quando ho formulato l’idea di entrare in seminario, ero in grado di capire cosa significasse questa scelta?

M.:  Ti dirò la verità, tuo padre e io non ci siamo posti il problema, forse perché, a quel tempo, avere un prete in famiglia era un titolo di merito, forse perché alcuni genitori sceglievano questa strada per i figli che non erano in grado di mantenere agli studi.  In ogni caso, non era una scelta definitiva, era un percorso che si poteva interrompere.

F.:  Voi avete guardato al futuro lontano senza considerare quello prossimo.  Vi siete chiesti quale sarebbe stata la mia vita in una realtà monca, soltanto maschile, con scarsi contatti con l’esterno?  A quell’età, non ero in grado di pormi questo problema.  Il mio mondo era popolato da ragazzetti come me, che amavano giocare a calcetto.  Ma la preadolescenza era vicina, con la sessualità che avrebbe presto imposto un cambiamento di prospettiva e, in quel momento, io mi sarei trovato chiuso in un mondo senza la presenza femminile.  Mi sarebbero state negate tutte le curiosità, le emozioni, anche le difficoltà, le frustrazioni nel rapporto con l’altro sesso.  La mia vita sarebbe stata priva di quella molteplicità di stati d’animo che l’attrazione, l’infatuazione, l’innamoramento comportano.  Pensi che una simile amputazione possa avvenire senza conseguenze?

M.:  Figlio mio, pensavo che si potessero generare forme di trasgressione come la lettura di giornalini scandalistici che quasi costò a tuo zio l’espulsione dal collegio.

F.:  No, Mamma, le conseguenze di quella deprivazione erano molto, molto più gravi.  Non selezionare i ricordi.  Pensa a ciò che ti raccontò tuo marito, che pure era già al ginnasio all’epoca dei fatti: tra i ragazzi c’era l’abitudine di accarezzare quelli con i glutei più rotondi!

M.:  E’ vero, ma poi tuo padre ha avuto una vita sessuale normale e io ne sono testimone.

F.:  Forse perché, dopo due anni, minacciò di scappare dal collegio se non lo avessero fatto uscire e, comunque, portò a lungo i segni di quelle esperienze.

M.:  In concreto, secondo te, cosa avremmo dovuto fare?

F.:  Quello che tu stessa mi hai detto che fece tuo padre con te.  Mi hai raccontato due episodi. Il primo è di quando eri ancora alle elementari e la suora che ti dava lezioni di pianoforte gli comunicò che intendevi farti suora.  Lei ti regalò un libro su Santa Chiara e lui non proferì parola, né in quel momento né in seguito.

M.:  Era un uomo saggio, capiva bene che la mia giovane età impediva che si potesse dare un valore permanente a quella mia supposta aspirazione.  In effetti, ero semplicemente attratta dalla veste monacale e dal mistero che sentivo aleggiare nella vita del convento.

F.:  E quando, a quindici anni, gli comunicasti che volevi fare l’attrice?  

M.:  Ancora una volta, mio padre fu abilissimo: mi disse che non sarebbe stato un problema ma che prima dovevo finire la scuola.

F.:  Lo vedi?  Non ti presentò difficoltà ma prese tempo per dare a te stessa il modo di maturare una decisione, tant’è che, dopo la maturità, eri proiettata verso altri obiettivi.  Perché non faceste così con me, consigliandomi di proseguire la scuola pubblica per entrare poi in un seminario maggiore?  A diciotto anni sarei stato molto più consapevole, avrei saputo agire e reagire adeguatamente nelle varie situazioni.  Avrei saputo respingere gesti mai immaginati e rifiutare approcci non desiderati, perché avrei capito e riconosciuto la differenza rispetto alle tenerezze e alle effusioni che avrebbero popolato i miei sogni e regalato magia alla mia realtà.  Avrei capito che i compagni di seminario non erano comparabili con le amiche di scuola.  Invece l’impossibilità del confronto ha finito col rendere accettabili comportamenti di coetanei e superiori che mai lo sarebbero stati in condizioni normali.  Io non sono gay, Mamma!

M.:  Sono stata miope e superficiale, figlio mio: mi dispiace non avere colto in tempo le implicazioni della tua situazione e tratto le conseguenze.  Non mi ero resa conto del motivo per cui addossavi a me e a tuo padre parte della responsabilità per la tua condizione e non avevo decifrato il dolore e il disagio che ti porti dentro.  Solo ora immagino la riluttanza a cedere a desideri che non erano i tuoi, ad abituarti a sollecitazioni non richieste e che, anche per chi le forniva, erano soltanto un ripiego, un surrogato, come il caffè di cicoria che si beveva durante la guerra, come l’omosessualità in carcere.  Se soltanto ci avessi pensato per tempo!  Sento parlare di una potente lobby gay in Vaticano e mi rattrista pensare che tu, per un’unica ragione, il fatto di essere in procinto di diventare prete, possa essere inquadrato tra i colpevoli mentre sei una vittima.  Perché intendiamoci: se si è omosessuali, il problema è costituito dalla mancata astinenza, ma se non lo si è, a questo si aggiunge anche l’aver agito controvoglia o l’avere addirittura semplicemente subito.

F.:  Sono vittima ma anche colpevole per non avere avuto il coraggio di ribellarmi, fin dall’inizio.

M.:  Ma se tu stesso hai detto che non conoscevi altra realtà!  A quell’età, poi, quando non si è ancora definita la propria identità, non si capisce nemmeno bene cosa si vuole e cosa non si vuole e, in ogni caso, non si può rifiutare ciò che non si riconosce, a parte il fatto che ti devi essere trovato in una condizione di impotenza se non addirittura di sudditanza.  Da quando ho percepito il tuo problema, mi sono impegnata a studiare …

F.:  Ecco, lo sapevo, tu trasformi sempre tutto in una occasione di studio, quasi che così si risolvano le questioni.

M.:  E’ vero, figlio mio, che non si risolvono ma conoscere il passato ci offre spunti per decifrare il presente e per individuare spiragli che indichino possibili vie d’uscita, perché – credimi – la storia dell’umanità ha delle costanti che ci possono sorprendere.  Pensi forse che il ricevere attenzioni sessuali indesiderate o, peggio, subire atti omosessuali sia una particolarità del nostro tempo?  La costante è che gli esseri umani riescono ad abituarsi quasi a tutto, specie quando le regole sono dettate, se non da dominatori, dalle convenzioni o dalle tradizioni.  Credi davvero che tutti i giovani gradissero il ruolo passivo che, nelle società tribali, toccava loro nella relazione, anche sessuale, con cui si concretizzava parte del rito di iniziazione che segnava il passaggio all’età adulta, quando era ammesso solo il ruolo attivo, quello che caratterizza il rapporto con la donna?

F.:  Certo che no e sicuramente non lo gradivano tutti i ragazzi tra i dodici e i quattordici-quindici anni che, ad Atene, si ritrovavano soggetti passivi, pur “all’interno di un legame affettivo duraturo”.  Ne sono testimonianza “le affermazioni di autori come Platone, Senofonte e lo pseudo Luciano, quando parlano del disgusto dei giovani amati, dell’umiliazione e del rancore che essi provavano verso gli amanti dopo il rapporto”[1].

M.:  Vedo che hai letto il saggio di Cantarella. 

F.:  Illuminante.  Così ho capito il perché di quei rapporti che alcuni semplicemente accettavano mentre altri, come Aristotele, rimpiangevano: “il ricordo del piacere provato provoca il desiderio di rinnovare il congiungimento che vi si accompagnava”. Non c’era possibilità di scelta, secondo le proprie inclinazioni; erano una “necessità sociale”[2] legata al fatto che, al centro dell’organizzazione della comunità non c’era il rapporto uomo-donna ma il rapporto tra uomini. Cantarella spiega: “il rapporto eterosessuale dava la vita fisica; la funzione di dare vita nel gruppo al maschio adulto, la funzione di creare l’uomo come individuo sociale spettava invece al rapporto omosessuale, che come sappiamo si stabiliva a questo scopo, quasi istituzionalmente, tra un adulto e un ragazzo. Ma questo rapporto doveva durare solo per un periodo di tempo ben delimitato.  Una volta raggiunta la maturità, infatti, il ragazzo doveva abbandonare il ruolo passivo (sia dal punto di vista culturale, sia dal punto di vista sessuale) e assumere un ruolo duplicemente attivo: quello eterosessuale del marito, e quello omosessuale dell’amante, educatore di un ragazzo amato»”[3].

M.:  Vedi, figlio mio, che c’è una ragione per tutto?  E’ perché c’era un tempo per tutto, anche per “assumere il ruolo virile con una donna, nel matrimonio”.  A questo proposito, c’è una indicazione molto significativa nell’Iliade, quando Teti si rivolge al figlio, disperato per la morte di Patroclo: “Accanto ad Achille sedette l’augusta sua madre, / lo carezzò con la mano e chiamandolo a nome gli disse: / «Figlio mio, fino a quando gemendo e soffrendo dolori / ti roderai il cuore, del tutto oblioso del cibo, / del letto?  Eppure è bello congiungersi con una donna / in amore»”[4].  E’ l’immagine di una madre affettuosa che esorta il figlio a superare quello stadio, ad andare oltre il “cameratismo di guerrieri” e “a compiere finalmente il suo dovere sociale”[5].

F.:  A me il discorso di Teti sembra quello tipico del genitore che si cura meno dei problemi psicologici che dei problemi sociali.

M.:  Sento un tono di rimprovero nella tua voce.

F.:  Te ne meravigli?  E’ vero che Teti sta agendo su ordine di Giove, adirato per lo scempio che, da nove giorni, Achille sta facendo del corpo di Ettore, colpevole di avere ucciso Patroclo.  E’ vero altresì che è difficile il compito di convincere il figlio, caratterizzato dall’«ira funesta», a consegnare la salma a Priamo per la sepoltura.  E’ pur vero, tuttavia, che, nel suo discorso, Teti non sembra tenere in alcun conto l’intensità del rapporto che legava i due amici.  Noi sappiamo, infatti, che Achille, sperando di essere il solo tra i due a morire a Troia, confidava di poter assegnare a Patroclo il ruolo di tutore del proprio figlio.  E sappiamo anche quanto premuroso Patroclo fosse stato con Briseide quando era stata condotta schiava di guerra.  A lui, cadavere, la donna rivolge il proprio lamento, quasi possa sentirla: “tu no, non volevi / ch’io piangessi, ma sempre dicevi che resa m’avresti / d’Achille divino la sposa legittima e, a Ftia sulle navi / condotta, il banchetto nuziale tra i Mirmidoni avresti imbandito. / Perciò senza fine io ti piango morto, dolcissimo sempre!”[6].  A me sembra altissima la statura umana di questo eroe ucciso: non mi meraviglia che abbia suscitato tanto amore e non mi importa se il legame con Achille avesse o no una componente sessuale.  Era amore e tanto mi basta. Per me il problema sorge quando l’amore non c’è o non è reciproco. 

M.:  Capisco quello che intendi dire: i genitori, nel valutare la condizione dei propri figli, usano parametri che prescindono dal loro benessere presente e futuro.  Ad esempio, non tengono in conto se abbiano o no conosciuto una realtà prima di allontanarsene.  Forse hai ragione.  Il problema è che spesso è così difficile conoscervi!  Tu, per esempio, sei sicuro di esserti sforzato di farmi comprendere il tuo disagio, quando ha cominciato a prendere corpo?

F.:  Ecco, lo sapevo che, ancora una volta, la colpa era mia!  Proprio tu mi parli così, tu che hai sempre sostenuto che ti bastasse uno sguardo per capire se qualcosa non andava! Ma non mi vedevi, in quei brevi periodi che trascorrevo a casa?  Non ti rendevi conto di quanto poco sereno fossi? Sembra quasi che tu non mi abbia guardato come persona ma come un esserino da gestire nel modo migliore possibile, quello che potesse darti la massima tranquillità.  E dove maggiore tranquillità che in un seminario?

M.:  Dimentichi che sei stato tu a chiederlo?

F.:  No, ma tu e Papà siete stati pronti ad assecondarmi, come se la mia fosse la migliore delle scelte possibili, come una buona sorte.  Non mi avete posto nessun problema, non mi avete presentato nessuna difficoltà.  Non vi siete chiesti e non mi avete chiesto se ci fosse un qualcosa che mi sarebbe potuto mancare.

M.:  Tu avresti saputo rispondere?

F.:  Non credo, ma sarei stato costretto a riflettere.  Invece così mi sono trovato in un ambiente sconosciuto, al quale mi sono semplicemente dovuto adattare accettando relazioni che non avevo mai nemmeno immaginato.  Mentre rispondeva pienamente alle mie aspettative la realtà educativa, sono stati per me sorprendenti alcuni rapporti affettivi che ho via via individuato e che erano talvolta connotati da una fisicità che mi appariva morbosa e comunque sgradita.  Era come se invano fossero trascorsi millenni da quando, nella Grecia precittadina, “i ragazzi apprendevano le virtù che avrebbero fatto di loro degli adulti durante il periodo di segregazione, vivendo in compagnia di un uomo, al tempo stesso educatore e amante”, mentre a Sparta “i ragazzi, a dodici anni, erano affidati a degli amanti, scelti tra i migliori uomini in età adulta, e da questi imparavano a essere dei veri spartiati”[7].

M.:  Ma quanti di questi casi hai trovato in tutti questi anni?

F.:  Mamma, cosa dici?  Fai una questione di numeri? 

M.:  No, figlio mio, volevo solo dire che in ogni contesto ci sono le eccezioni, le famose “mele marce”, ma questo non consente di generalizzare; come dice il proverbio, di “buttare il bambino con l’acqua sporca”.  Nella vita mi è capitato di avere a che fare con un sacerdote che stimavo, al quale mi rivolgevo per le messe ai defunti, e che poi ha dato scandalo, sorpreso a compiere atti sessuali con un ragazzino.  Una storia squallida, che però non mi ha indotto a colpevolizzare tutto il clero.  Mi rendo conto di quanto sia difficile la rinunzia alla sessualità e come questa, in un contesto in cui non sia possibile la sua libera espressione, possa trovare vie improprie.  Mi viene in mente ciò che disse Gesù a conclusione di una discussione sul matrimonio e sul fatto che non convenisse sposarsi se non si poteva ripudiare la propria moglie: “vi sono eunuchi che sono nati così dal grembo della madre, e ve ne sono altri che sono stati resi tali dagli uomini, e ve ne sono altri ancora che si sono resi tali per il regno dei cieli”[8].  Ora, un conto è “la teorizzazione della continenza come valore morale”, un altro è la pratica “dell’astinenza come stato di vita più alto e più vicino al Signore, come strumento per la conquista del premio nella vita eterna”[9].   Non è facile accettare l’idea della “superiorità del celibato volontario”[10], rifiutare la sessualità e rendersi eunuchi, specie per alcuni.  Ora ti dico una cosa che spero non ti scandalizzi.  E’ un pensiero rimasto confuso finché non ho letto questo passo di Mancuso: “Riferendosi all’espressione «il discepolo che egli amava», presente sei volte nel Vangelo di Giovanni, alcuni hanno ipotizzato una tendenza omosessuale di Gesù.  La realtà è che questa figura un po’ enigmatica del discepolo preferito è completamente assente nei Sinottici, ricorre solo nel Quarto vangelo e solo nella seconda parte, forse come proiezione del suo autore, e non ha nulla a che fare con la vita di Gesù quale emerge da tutte le altre fonti, ben più affidabili dal punto di vista storico.  Se quindi si vuole ritrovare nel «discepolo che egli amava» un segnale di tendenza omosessuale, essa riguarda non Gesù ma l’autore del Quarto vangelo”[11].  Non avevo mai pensato che Gesù fosse omosessuale semplicemente perché, in quanto Dio venuto in terra come “Figlio dell’Uomo”, cioè figlio dell’Essere Umano, nella mia mente non poteva avere altro ruolo che quello di fratello dell’umanità intera.  Avevo sempre pensato che l’espressione di Giovanni potesse essere una vanteria, come quella dei bambini quando sostengono “la mamma vuole più bene a me”.  In alternativa, l’espressione mi sembrava interpretabile come “il discepolo che lo amava”, lo amava più di tutti e pertanto era da lui ricambiato con la massima intensità.  L’ipotesi riportata da Mancuso mi ha fatto molto riflettere: se davvero Giovanni fosse stato gay, sarebbe stato bellissimo, perché vorrebbe dire che Gesù davvero lo amava particolarmente perché era il più fragile, quello che faceva più fatica a stargli accanto, a “rendersi eunuco per il regno dei cieli”.

F.:  Mamma, davvero non c’è limite alle tue elucubrazioni!  Però devo ammettere che la tua ipotesi mi intriga.  Amare qualcuno e stargli accanto sapendo bene di dover respingere qualunque impulso, di doversi negare qualunque aspettativa, è terribile: vuol dire amare fino al sacrificio.  Ora rivedo la mia esperienza con altri occhi ma non cambia la mia convinzione che il seminario minore sia un errore.

M.:  Ma, figlio mio, io ho sempre pensato che il seminario fosse, dopo la famiglia e forse più ancora che la famiglia, il luogo più protetto al mondo!

F.:  E non hai pensato che una realtà mutilata come quella potesse generare storture e potesse impedire a ciascuno di trovare la propria identità, anche sessuale? Tu non hai idea di come sia triste assistere alle manovre di preadolescenti che cercano di trovare uno sbocco alle loro pulsioni!

M.:  Vuoi forse dire che le cose andavano meglio nella Grecia dell’età classica, quando era previsto che il figlio, per il passaggio all’età adulta, venisse affidato a un adulto di valore, che avesse le qualità per fare di lui un degno esponente della propria comunità e che con lui avesse un rapporto esclusivo, anche di tipo sessuale? Andavano meglio quando i genitori, che non ponevano in discussione le convenzioni, si limitavano a proteggere i propri figli dai corteggiatori inadeguati facendoli, come  ad Atene,  “controllare dai pedagoghi”[12]?

F.:  Non dico che era meglio; dico che, già allora, c’erano leggi a protezione dei ragazzi, tese a evitare ai giovanissimi “le possibilità di frequentazioni e di incontri pericolosi” col rischio di diventare prede di avventurieri.  Per questo “era considerato infame intrattenere qualunque rapporto” con i minori di dodici anni ed era corposo l’elenco degli amanti di “cattiva qualità” cui era proibito frequentare il locale ginnasio: tra questi gli schiavi, i liberti, i prostituti, i commercianti, gli ubriachi e i pazzi[13].  Alcune cose, a mio giudizio, col tempo sono cambiate ma non tutte con effetti positivi.  Per esempio, “l’uomo romano era condannato alla virilità”[14].  Per questo, “a differenza dei greci, i romani non ritenevano che, per i ragazzi, essere soggetti passivi di un rapporto omosessuale fosse educativo. […] Sessualmente […] erano uomini, anche se solo in potenza: e come tali non dovevano mai essere sottomessi”. D’altra parte, mancando la “funzione pedagogica del rapporto, […] fondamentale in Grecia”, veniva meno ciò che dava una motivazione nobile al compito assegnato all’adulto, che pur godeva di una posizione di predominio.  Di conseguenza, nel mondo latino, dove “l’adolescenza era breve” tanto che, “a quattordici anni, un ragazzo era già considerato un adulto […] e poteva prendere moglie”[15], “con il giovinetto amato […] si viveva una vera storia d’amore: destinata peraltro a finire […] nel momento in cui l’amante compiva l’atto che per i romani altro non era, di regola, che un dovere sociale, e che segnava l’inizio di una nuova era della vita: il matrimonio”[16].  Questo scatenava i pappagalli stradali, le cui iniziative potevano diventare veri e propri “attentati all’onore” dei “ragazzi di nascita libera”.  I “giovani ingenui”, che non potevano uscire da soli, erano protetti dal pretore con la punizione di “chi sottraeva loro la scorta” giacché, “senza scorta, essi si presentavano, a chi li incontrava, come persone di facili costumi”[17].

M.:  In conclusione, vuoi dire che c’erano più tutele di oggi?  Di nessun rilievo è dunque il fatto che “quel che era riprovato era solo il fatto di amare un giovane libero e cittadino romano”, mentre restava escluso lo schiavo che “non apparteneva, come soggetto, al mondo della città” e che poteva dunque essere sodomizzato senza problemi giacché “subire il padrone era parte integrante del dovere di servirlo”[18]?

F.:  Questo è un altro discorso, Mamma.  Voglio semplicemente dire che, se certe cose accadono oggi, non si può liquidare la faccenda dando la colpa al fato.  A me sembra che le famiglie non si assumano appieno le proprie responsabilità, scaricandole sulla scuola o, più genericamente, sulla società.  Penso a quanto si è impoverito il novero delle doti richieste a un compagno di scuola per essere considerato degno di essere frequentato: basta che sia “di buona famiglia” e prenda bei voti.    Poco importa se manca di sensibilità ed è anche magari un po’ bullo; se ti capisce; se ha piacere di stare con te o lo fa solo per convenienza; soprattutto, se tu hai piacere di stare con lui.

M.:  Figlio mio, non hai idea di quanto sia difficile essere genitore.  Mio padre diceva sempre: “io faccio quello che posso; il resto, come Dio vuole”.  Io non so se ho fatto tutto quello che potevo.  Probabilmente no.  Certo mi sono posta il problema dell’identità sessuale ma non ho mai immaginato che potesse essere messa a repentaglio in un seminario.  Ho letto tanto, cominciando naturalmente con Platone e quella bellissima immagine che spesso viene citata solo per metà: “Tanto tempo fa la nostra forma non era come adesso, ma diversa. Per cominciare, i generi umani erano tre, non come oggi, due: maschio e femmina.  Allora se ne aggiungeva un terzo, partecipe d’entrambi i sessi. […] L’uomodonna esisteva come sesso a parte, allora”.  Mi è sembrata rivoluzionaria questa “lezione preliminare sulla fibra umana” perché supera la concezione binaria per cui, sin dalle origini, o si è maschi o si è femmine. Questi esseri sferici “erano mostri d’aggressività e di resistenza.  Pieni d’orgoglio assalirono le divinità. […] Zeus ebbe un lampo di genio. Disse: «[…] li spacco tutti in due, ad uno ad uno, così le loro forze caleranno».  […] Ora, dopo il dimezzamento della figura umana, ogni parte rimpiangeva quel suo doppio”. Qui finisce la parte più citata della storia.  La più interessante è, a mio giudizio, il seguito, in cui Platone fa una casistica di ciò che poteva accadere a ciascuno nella ricerca della metà mancante.

F.:  Lo so, ho studiato il Simposio: “Esistono uomini risultato della spaccatura di quel vivo nodo che, allora, si chiamava uomodonna: sono amatori della donna, questi, e la risma degli adulteri, quasi tutta, alligna qui; ed ecco anche le donne appassionate d’uomo, specialmente adultere, tutte dallo stesso ceppo”.  Questo è l’effetto   del ricongiungimento delle due parti del terzo sesso.  Nessun problema per gli altri due. Infatti, “donna nata da spaccatura di donna, non fa tanto caso all’uomo, quanto si orienta sulle altre donne: da qui le donne che vanno con le donne.  Chi è taglio di maschio, bracca il maschio”.

M.:  E contempla i vari stadi e le varie possibilità di interazione anche sessuale tra due metà con “radici maschili”, concludendo: “Qualcuno dice che sono scandalosi: è una calunnia.  Non compiono quell’atto per istinto osceno: anzi, è tutto cuore, fibra maschia, d’uomo vero, è l’attrazione, in loro, per natura affine. Documento sicuro di questo: solo questi, fattisi maturi, riescono uomini versati in politica”[19].  Io penso che dovrebbero leggere questo passo tutti coloro che nascono “taglio di maschio” e soprattutto coloro che li avversano, li denigrano, li dileggiano, li giudicano anormali. 

F.:  Io lascerei da parte il riferimento alla politica, visto il basso livello di considerazione di cui gode al giorno d’oggi.  Piuttosto confronterei il discorso di Platone con le informazioni che, da medico, già venticinque anni fa, ha offerto la monaca benedettina e teologa Teresa Forcades quando, parlando di gender, ha spiegato che esistono almeno tre dimensioni del sesso biologico: “Sul piano cromosomico (genetico) tutti sappiamo che esistono xx(femmina) e xy (maschio) e molti sono convinti che vi siano soltanto queste due possibilità, ma non è così. […] Oltre a xx e xy, che tutti conosciamo, esiste infatti anche xxy: in medicina si chiama «sindrome di Klinefelter».  Questa composizione genetica riguarda una persona ogni mille.  C’è poi anche un’altra possibilità: x0 («sindrome di Turner»). Questi due sessi genetici che ho nominato cosa sono: femmine o maschi?”[20]. Pensa a quanto è divenuto attuale questo discorso durante le ultime Olimpiadi …..

M.: …con osservazioni e commenti che denotavano estrema ignoranza e volgarità. A me, invece, viene in mente ciò che disse Calvino in una intervista nel 1980: “Nella mia vita ho incontrato donne di grande forza.  Non potrei vivere senza una donna al mio fianco.  Sono solo un pezzo d’un essere bicefalo e bisessuato, che è il vero organismo biologico e pensante”[21].  Sembra Platone rivisitato ed è stupendo il modo in cui viene proposto il risultato del rapporto che si crea quando c’è vera intimità e appartenenza reciproca.  E’ l’effetto dell’amore vero e a me non interessa se si generi tra due persone dello stesso sesso o di sesso diverso e non m’importa nemmeno che sia eterno: mi basta che esista all’interno di una relazione.  Sono troppo vecchia per accettare rapporti basati solo su un’attrazione momentanea, su una voglia occasionale. Siamo persone; per me non esiste il “fare sesso”, non ha senso un amplesso equivalente al mangiare quando si ha fame, bere quando si ha sete, e trovo fulminante l’affermazione di Simone de Beauvoir riportata da Forcades: “rispetto alle esperienze sessuali riferite dalle giovani ragazze americane quindicenni sosteneva che avessero fatto più che altro «ginnastica pelvica»”[22].  Per me esiste solo il fare l’amore – come cantava Dalla – “ognuno come gli va”.  Mi rendo conto ora di non aver riflettuto sulla condizione di chi l’amore non lo può fare e se ne deve privare senza nemmeno averlo conosciuto.  Ci penso e me ne rammarico profondamente.

F.:  Peccato che avere studiato tanto ti sia servito tanto poco, come madre!

M.:  E’ vero.  Il fatto è che, per tanti anni, convinta che, per gli esseri umani, il sesso, non essendo legato alla procreazione, dunque alla conservazione della specie, sia o debba essere semplicemente un piacere, ho trovato normale poterne fare a meno, come col desiderio di cioccolata, cui si rinuncia in tempo di fioretti. Non solo. Non mi sono posta il problema di tutte le persone per cui si tratta di un impulso irrefrenabile, che non possono essere condannate a una vita da eunuchi. Dopo tutto, Gesù stesso parla del “rendersi tali”, cioè di una decisione di cui non può farsi carico un ragazzino.

F.:  E ora che l’hai capito?

M.:  Ora sono per l’abolizione dei seminari minorili.  Ti dirò di più, sarei per la chiusura dei seminari in generale, così da permettere a tutti di conoscere la vita.  Farei esistere solo Facoltà universitarie di Teologia analoghe alle altre Facoltà, cioè programmate con un corso base triennale e successivi corsi biennali specialistici, a seconda della branca di studio prescelta.  Sarebbero tutte aperte a uomini e donne, sposati e non, che, a seguito di concorsi, potrebbero avere accesso all’insegnamento o ad altre professioni. L’unico corso specialistico riservato agli uomini non sposati sarebbe quello di formazione alla vita ecclesiastica. Così dovrebbe essere fino a quando la Chiesa cattolica non si sentirà pronta per il sacerdozio femminile. In ogni caso, si tratterebbe di una scelta della quale un adulto sarebbe consapevole; soprattutto, una scelta della quale nessuno se non l’interessato potrebbe o dovrebbe sentirsi responsabile.

F.:  Questa, secondo te, sarebbe la soluzione di tutti i problemi?

M.:  Certo che no, ma toglierebbe spazio alla segregazione che ne causa tanti, su cui i più preferiscono tacere.  Per questo ho trovato coraggioso, anche se dirompente, e non mi ha scandalizzata affatto il termine “frociaggine” utilizzato da Bergoglio, che considero un grande Papa.  Lui si riferiva a quelle pratiche che poi diventano costume e non cessano con l’età né col mutamento delle condizioni. E’ un termine indubbiamente forte ma che richiama esclusivamente il fare sesso, non riguarda l’amore, che è un sentimento dolce, capace di illuminare un momento di vicinanza fisica tra due persone, uomini o donne che siano. Bisogna guardare in faccia la realtà, affrontarla e non fare come si è fatto per troppo tempo.

F.:  Beh, mi complimento.  Ne hai fatti di progressi!

M.: So di meritare il tuo sarcasmo; tu però non ti rendi conto del clima in cui sono cresciuta. Non so se ti ho mai detto quello che mi raccontava mio padre: quando lui era ragazzo, in paese tutti sapevano che un certo prete aveva una compagna, peraltro accettata in famiglia, e addirittura potevano vederne uno che si caricava una ragazza sulla canna della bicicletta, la portava in campagna e poi la riportava con grande disinvoltura. Mi spiegò che per tutti era normale distinguere tra ciò che l’individuo faceva in quanto uomo e la sua funzione di sacerdote sull’altare. Sdoppiamento? Sì. Ipocrisia? Forse.  Realismo? Certo.

F.:  Un po’ tardi, non ti pare, per raccontarmi queste cose? Non mi hai dato la possibilità di pensarci su.  Mi sarei posto il problema della castità.

 M.:  Perdonami. In tanti anni ho assistito a innumerevoli conferenze sull’educazione dei figli ma il tema della castità non è stato affrontato mai. Ricordo le posizioni più diverse, da quella che sostanzialmente richiamava la famosa canzone popolare napoletana, secondo la quale «mazz’ e panell’ fann ‘e figli bell’; panell’ senza mazz’ fann e’ figl pazz’», a quella di ispirazione bucolica che richiamava la consuetudine contadina di affiancare a un alberello ancora instabile un piccolo tronco che lo sostenga e lo aiuti a crescere diritto.  La posizione più interessante mi è sembrata quella di uno psicologo che prendeva ad esempio se stesso nel rapporto col proprio cane che, inizialmente, quando erano in giro per strada, scappava costringendolo a lunghi inseguimenti.  Quando aveva cambiato strategia e aveva smesso di rincorrerlo, si era accorto che l’animale fuggiva ma poi si fermava dietro l’angolo.  Il figlio si aspetta che il genitore lo segua, anche quando sembra sfidarlo.

F.:  Appunto, Mamma, il genitore deve accettare sfide, correre rischi, non prendere a scatola chiusa soluzioni rassicuranti.

M.:  Pensa che io mi ero posta un unico problema, quello del matrimonio dei preti, perché nell’anno che ho trascorso negli Stati Uniti ho avuto occasione di conoscere due figlie di pastori protestanti, entrambe compagne di scuola.  Erano agli antipodi: una quasi una suorina; l’altra del tutto fuori norma, sbandata, non di rado ubriaca.  Probabilmente mi sono capitati esempi sbagliati.  Certo è che, da allora, penso che avere un genitore ecclesiastico debba essere opprimente, quasi come lo era per me sentirmi dire che non potevo fare varie cose perché mio padre “portava le stellette”, cioè era un militare.

F.:  Dunque niente prole, niente matrimonio.  Come se ne esce?

M.:  In primo luogo, come ti dicevo, eliminando la possibilità di entrare in seminario se non si è maggiorenni.

F.:  E poi?

M.:  E poi, se ancora di seminari parliamo, dando ampia possibilità di ripensamenti e verifiche.  Non ci devono essere condizionamenti morali.  Pensa che un anno, nel liceo che dirigevo, è venuto un ragazzo proveniente da un seminario.  I suoi occhi erano smarriti quando è arrivato e non mi pare lo fossero di meno quando è andato via, dopo il pur brillante scrutinio finale.  Era stato troppo breve il lasso di tempo che si era concesso per capire, per scegliere e forse non lo aveva aiutato la presenza di amici, che c’erano e che presumo si fossero impegnati a fargli conoscere una vita diversa.  Credo che decisioni di questo genere richiedano riflessione, silenzio e una lenta   maturazione.

F.:  E allora?

M.:  Ora tocca a te.

F.:  Ho deciso: vengo via dal seminario ma non torno a casa.

M.:  E dove vai?!

F.:  Ancora non so. Ho bisogno di cambiare aria. Voglio andare in una città, finire il liceo e poi frequentare l’università.

M.:  Potresti andare dai tuoi cugini. Sarebbero felici di ospitarti.

F.:  Mamma, per favore, ho riflettuto su questa possibilità ma non sarete voi genitori a decidere.  Se questa lunga esperienza mi ha insegnato qualcosa è che non bisogna delegare le proprie scelte ad altri, nemmeno a chi ci ama moltissimo.  D’ora in poi, farò quello che mi sembrerà giusto e, se sbaglierò, pagherò.  Tanto il prezzo non potrà mai essere più alto di quello pagato finora.

M.:  Figlio mio, io ho semplicemente formulato un’ipotesi, peraltro seguendo la tua indicazione.  Ti prego, non estromettermi dalla tua vita.  Sarebbe una punizione tremenda.

F.:  Non ho nessuna intenzione di estrometterti, in primo luogo perché non voglio e poi perché non potrei, dato che non sono ancora né maggiorenne   né finanziariamente autonomo. Ti chiedo solo di non starmi col fiato sul collo e di rispettare il mio bisogno di indipendenza. Dopo tutto, non è questo che vuol dire crescere, diventare adulto?  Dovresti esserne sollevata.  Invece ti vedo incupita. Vuoi forse suscitare in me nuovi sensi di colpa?

M.:  No, per carità!

F.:  E allora smetti di preoccuparti per me.

M.:  Non ci riesco.  Non so cosa darei per garantirti, per il futuro, la serenità che ti è mancata in passato e che ti manca ancora.  Mi rendo perfettamente conto di quanto sia difficile questo momento, ma ricordati che non sei e non sarai solo, mai. Abbi fiducia in te stesso e abbi fede: la tua vita è nelle mani del Signore e, come sappiamo, Dio, se ti vuole, ti trova.  Quanto a me, non dubitare: se e quando dovessi desiderare avermi accanto a te, in qualunque strada del mondo, ti basterà fermarti dietro l’angolo, ti raggiungerò.


[1] CANTARELLA Eva, Secondo natura.  La bisessualità nel mondo antico, Milano, Feltrinelli, 2021, pagg. 67 e 272-3.

[2] Ibidem.

[3] Ibidem, pag. 76.

[4] OMERO, Iliade –  Odissea , Roma, Newton Compton, 2021, Libro XXIV, vv. 126-131.

[5] CANTARELLA Eva, op. cit. , pagg. 19 e 25-6.

[6] Ibidem, Libro XIX, vv.328 e seguenti; v. 296-300-

[7]CANTARELLA Eva, op, cit., pagg. 21-2.

[8] Matteo 19, 12.

[9] CANTARELLA Eva, op. cit., pag 263.

[10] I VANGELI – Marco Matteo Luca Giovanni, a cura di Giancarlo Gaeta, Torino, Einaudi, 2006, pag. 923.

[11] Mancuso Vito, I quattro maestri, Milano, Garzanti, 2020, pag. 370.

[12] CANTARELLA Eva, op, cit.,pag. 39.

[13] Ibidem, pagg. 67 e 48-49.

[14] Ibidem, pag. 280.

[15] Ibidem, pagg. 276-7.

[16] Ibidem, pag. 163.

[17] Ibidem, pagg. 141 e 153-4.

[18] Ibidem, pagg. 138 e 131.

[19] PLATONE, Simposio, Apologia di Socrate, Critone, Fedone, Milano, Mondadori, 2020, pagg. 71-3.

[20] FORCADES Teresa, Siamo tutti diversi! Per una teologia queer, Roma, Lit Edizioni, 2019, pagg. 117-8.

[21] CALVINO Italo, Gli amori difficili, Milano, Mondadori, pag. XL.

[22] FORCADES Teresa, op. cit., pag. 45.

Per un insegnamento di qualità

Per un insegnamento di qualità

di Margherita Marzario

Nei documenti, anche internazionali, tra gli obiettivi o impegni per il presente e il futuro si parla continuamente di istruzione di qualità, ma cosa o chi determina veramente questa qualità? Il pedagogista Pier Cesare Rivoltella afferma: “Nella complessità in cui viviamo oggi servono insegnanti carismatici, esemplari, delle vere e proprie guide di vita. Se sei umanamente un fantoccio, i ragazzi ti scoprono in 5 minuti. Ogni insegnante deve avere alla base la passione per l’essere umano, la consapevolezza di fare il mestiere più bello e più importante del mondo”. Alla base della scuola ci sono gli insegnanti che è necessario che abbiano una loro base.

Il prof. Marco Pappalardo sostiene: “La nostra professione è fondata sulla parola e sull’esempio. […] L’azione dei docenti è generatrice di futuro nel momento in cui, attraverso le discipline e la passione per lo studio, invita le nuove generazioni ad amare la vita in pienezza”. Gli insegnanti, coloro che lasciano un segno, sono “generatori di futuro”, per cui non dovrebbero procedere per metodi precostituiti (per quanto formulati da insigni esperti, Montessori, Steiner o altri), per etichettamenti (come, per esempio, il “pessimismo cosmico” di Leopardi), sigle, acronimi (BES, DSA, PTOF, RAV, …) e affini. La cultura è un processo e non un prodotto.

“Insegnare è creare empatia, saper ascoltare, confrontarsi, dialogare, sorridere, perché solo un ambiente di apprendimento “caldo” ci consente di apprendere di più e meglio, come ci dicono le neuroscienze. Ripartiamo allora dalla relazione educativa basata sull’interazione faccia a faccia, ripartiamo dalla “presenza”, non solo fisica, ma anche emotiva e psichica” (cit.). Insegnare è “in”, entrare in relazione, creare relazioni nuove di giorno in giorno.

Il formatore Raffaele Iosa precisa: “Insegnare a vivere/conoscere attraverso stupore e meraviglia vuol dire creare una relazione empatica tra l’adultità e i nostri piccoli che mette al centro non un lineare e rigido percorso di travasamento del conoscere adulto, adattato a piccole teste, e neppure l’idea che si debba lasciare i piccoli solo in un caotico divertissement”. Insegnare e imparare divertendosi non significa trasformare la scuola in un “divertimentificio” come qualcuno intende fare o già si tende a fare, anche (o soprattutto) per compiacere ai genitori (basti vedere come si svolgono gli open day).

Lo psicologo statunitense Robert J. Sternberg spiega: “Le scuole insegnano ai bambini la conoscenza e a pensare in modo intelligente, ma raramente insegnano la saggezza; anzi, in molte scuole del globo si insegna l’odio per un gruppo o per l’altro. In ultima analisi, se la società desidera combattere l’odio, scuole e istituzioni devono insegnare agli studenti a pensare in modo saggio. Solo a quel punto essi comprenderanno che l’odio non è la soluzione legittima di alcun problema della vita; al contrario, l’odio aggrava i problemi, invece di risolverli” (in «Capire e combattere l’odio», in “Psicologia dell’odio. Conoscerlo per superarlo”, 2007). I bambini e i ragazzi devono mettersi alla prova per provare i loro limiti, conoscerli e riconoscerli negli altri. Accettando se stessi si accoglie l’altro, scoprendo se stessi ci si riscopre nell’altro, schiudendosi ci si apre all’altro. L’altro è specchio riflettente o deformante la realtà, ma comunque rappresentante la realtà. È questa la dimensione che deve essere recuperata e valorizzata nella famiglia, nella scuola e negli ambienti di vita dei bambini e dei ragazzi. Così si promuove lo sviluppo della personalità del fanciullo e si inculca nel fanciullo il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (art. 29 lettere a e b Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia).

Nei confronti dei bambini bisognerebbe adottare la “pedagogia della tartaruga” sulla scia della “pedagogia della lumaca”, formulata dal compianto Gianfranco Zavalloni. “Come insegnanti siamo persuasi dalla logica della lepre che corre per vincere, ma non ama il percorso che compie facilmente? Oppure, almeno idealmente, conserviamo ancora in un angolo della consapevolezza la solidità della tartaruga: un passo alla volta, incurante di chi la beffeggia, protetta dal fermo guscio della dedizione per giungere al traguardo, perdendo il tempo necessario” (prof. Luciano Pace).

Il pedagogista Daniele Novara ammonisce: “Il buon insegnante non funge da “bancomat” di lezioni, “spiegoni” e contenuti nozionistici. Assume piuttosto un ruolo di regia volto a far lavorare gli alunni tra di loro, a costruire calde e intense interazioni sociali che consentano alla classe di funzionare come organismo vivo. Motiva e favorisce lo scambio sia per star bene assieme sia per lavorare bene assieme”. C’è differenza tra insegnante, buon insegnante e insegnante buono: la capacità e il coraggio di fare la differenza. Tra gli adulti di riferimento per bambini e ragazzi gli insegnanti hanno ancora più responsabilità perché dovrebbero essere preparati e qualificati e c’è anche l’atto di affidamento da parte dei genitori.

Daniele Novara si chiede: “Esiste un numero ideale di alunni per classe? Dipende. Certo è che, oltre al numero adeguato di studenti, fondamentale è occuparsi della formazione metodologica e didattica degli insegnanti”. Prima di mirare alle cosiddette “skills life” (competenze trasversali per la vita) degli alunni, gli insegnanti dovrebbero maturare ed essere padroni e consapevoli delle proprie competenze fondamentali, che non sono solo quelle culturali che si acquisiscono con la laurea o corsi di formazione (o pseudotali).

A scuola non sono adeguate né le “classi pollaio” né le “classi bonsai”. Il pedagogista Novara aggiunge: “Anche se va detto che risulta comunque difficile stabilire la misura giusta una volta per tutte. Ecco allora che la professionalità pedagogica diventa decisiva, a maggior ragione in contesti problematici”. Insegnare non è tanto far acquisire competenze trasversali quanto esercitare competenze trasversali, a cominciare dal cosiddetto sguardo pedagogico che, purtroppo, si è perso.

“La scuola dovrebbe essere – secondo la dirigente scolastica Tiziana Brindisi – un continuo programmare e riprogrammare: lo spazio, i tempi, i contenuti”. Un conto è programmare, altro è la programmazione didattica che è concertata solo tra o dagli insegnanti dal loro punto di vista e dimenticando spesso chi li aspetta in classe in una relazione di insegnamento-apprendimento. Altro che don Milani!

L’insegnamento non è fatto di cose, ma di esperienze, condivisione del sé, di incontri, di imprevisti. Si ricordi che l’art. 33 della Costituzione, dove si parla dell’insegnamento, è inserito sotto la rubrica “Rapporti etico-sociali”.  

“Il lavoro dell’insegnante non è semplice, è come un mosaico che gli anni di esperienza, le metodologie, le tecniche e i sempre nuovi studi effettuati nell’ambito psico-pedagogico, vanno a comporre, ma affinché il lavoro risulti realmente fatto bene, non devono mai mancare l’entusiasmo, la voglia di imparare, la capacità di sorprendersi… e fare tutto questo insieme ai nostri alunni” (cit.). Insegnare è un continuo aggiornare e aggiornarsi, per esempio conoscere e provare l’efficacia del “controllo prossimale” (avvicinarsi ai bambini e ragazzi che “disturbano”) e dell’“effetto onda” (effetto di un “rimprovero” su tutta la classe) in caso di “comportamenti problematici” e sperimentare nuove metodologie. Insegnare non è inserire dati, ma insaporire, instaurare, insistere, insieme di relazioni, situazioni ed emozioni. Non è inserire pillole di sapere ma instillare emozioni per il sapere. E, soprattutto, autenticità.

“Proporre ai bambini libri che siano profumati di autenticità” (l’esperto Federico Batini in un webinar del 7 dicembre 2023). Gli insegnanti devono proporre letture non sulla scia di successi commerciali o perché sono dei “classici” (che non è detto che vadano sempre bene) o come riempitivo, ma quelle in cui loro credono per primi, di cui sono convinti, che suscitino passioni e discussioni, che abbiano pensato per quei bambini, che abbiano profumo di vita. 

Inoltre, genitori e insegnanti devono tener conto dell’esistenza della “biologia della gentilezza” (e non solo della giornata mondiale della gentilezza), spiegata da Daniel Lumera, secondo cui ognuno ha il potere di controllare e influenzare il proprio stato di salute e di benessere, in altre parole il cambiamento in termini di consapevolezza nel proprio mondo interiore influisce positivamente anche sui parametri biologici e sulla qualità della vita personale, relazionale e professionale. La pratica della gentilezza può migliorare, nel caso dei genitori, il clima familiare, nel caso degli insegnanti la gestione della classe, le relazioni con colleghi e genitori e il rapporto tra gli alunni. “Gentile” deriva dal latino “gens”, “gente, stirpe, famiglia”, per cui è proprio dell’essere umano. La gentilezza richiama lo svolgimento della personalità e la solidarietà di cui all’art. 2 della Costituzione.

L’insegnante, più che spiegare argomenti, deve dispiegareargomenti di vita: insegnare non è intasare ma intarsiare.

Strategie per affrontare un nuovo percorso scolastico

Crescere insieme: strategie per genitori e figli per affrontare serenamente un nuovo percorso scolastico

di Giovanna Giacomini

L’inizio di una nuova esperienza scolastica, che sia l’inserimento al nido o alla scuola materna per i bambini nella fascia d’età 0-6 anni, oppure il passaggio da un ciclo scolastico all’altro, rappresenta un momento delicato, che può generare ansie e preoccupazioni non solo nei bambini e ragazzi ma anche nei genitori. Mentre i primi affrontano un nuovo ambiente e nuove persone, i grandi si preoccupano del benessere e dell’adattamento dei loro figli.

Se parliamo di bambini piccoli, possiamo dire che questi non sviluppano paure o ansie, semmai riflettono quelle che sono proprie dell’adulto che è il principale responsabile delle emozioni del bambino” dice Giovanna Giacomini, pedagogista, formatrice e ideatrice di Scuole Felici che prosegue “un adulto sereno, che esprime fiducia nel percorso educativo, ha la grande capacità di ridurre di molto la difficoltà percepita dal bambino nell’affrontare una nuova realtà extra familiare. Non dimentichiamoci che è assolutamente normale che il bambino pianga o evidenzi insofferenza, soprattutto nelle prime fasi dell’inserimento. Parlando dal punto di vista dello sviluppo cognitivo, in questa prima fase di vita, il piccolo non è ancora in grado di capire che cosa significa l’assenza di qualcosa, che sia un oggetto o una persona, e di fare quindi una previsione, queste sono tutte capacità cognitive superiori che si sviluppano più avanti. Inizialmente l’assenza del genitore è un evento che ancora non si sa spiegare e come tale lo porterà ad avere delle reazioni. Attraverso l’esperienza e un percorso naturale di crescita il bambino imparerà a gestire queste nuove emozioni, scoprendo che dopo qualche ora ci sarà il ricongiungimento con mamma e papà”.

Il vero primo grande cambiamento avviene in realtà durante la transizione scolastica, quando i bambini si trovano ad affrontare il passaggio ad esempio dalla materna alla primaria e da questa alla secondaria e via dicendo. Questo comporta l’adattamento a un nuovo ambiente, nuove routine e aspettative accademiche più elevate. “Crescendo, il bambino sviluppa una maggiore consapevolezza ed è qui che possono manifestarsi delle preoccupazioni” dice la pedagogista. “La prima, e la più semplice, è di tipo sociale. Come farò a creare nuove amicizie? Come saranno gli insegnanti? Riuscirò a integrarmi nella classe? Queste sono solo alcune delle paure, assolutamente legittime, espresse dai bambini che non devono chiaramente trasformarsi in uno stato di ansia vera e propria. Una cosa alla quale possiamo assistere, e che capita abbastanza spesso a inserimento avvenuto, è che il bambino sviluppi la paura del fallimento. Viviamo in una società che chiede a gran voce di essere performanti e questo fa si che alcuni bambini, in particolare quelli più sensibili, possano non sentirsi all’altezza di quelle che sono le aspettative scolastiche e della propria famiglia. Anche qui diventa fondamentale l’atteggiamento dell’adulto di fronte a un eventuale voto o giudizio negativo. Quando poi si passa dalla primaria alla secondaria, le preoccupazioni aumentano. La paura principale è di sentirsi sopraffatti dal carico di lavoro, e l’ambiente circostante a volte non aiuta. Spesso i ragazzi sono soggetti a frasi del tipo: guarda che l’anno prossimo avrai un sacco di cose da fare, ci sarà da studiare molto di più e i compiti saranno tanti per cui la pressione cresce e con essa anche l’ansia. In più c’è la paura del giudizio dei compagni che si percepisce maggiormente crescendo, soprattutto nell’adolescenza, quando l’opinione dei pari diventa fondamentale”.

Anche i genitori non sono esenti dai passaggi scolastici dei figli e come loro si trovano ad affrontare nuovi pensieri e paure. Le preoccupazioni dei genitori variano in base alla fascia di età del bambino. “Se parliamo di 0-6, queste sono al loro culmine, ma con l’aumento dei gradi scolastici le ansie diminuiscono e rimangono circoscritte ad alcuni aspetti”, dice Giovanna Giacomini. “All’inizio il genitore è preoccupato, in maniera a volte irrazionale, di qualsiasi cosa. Quest’ansia è legata alla separazione e nasce da un eccessivo senso di protezione che si ha nei confronti dei figli. Diventa quindi difficile accettare il pianto del bambino quando lo dobbiamo lasciare al nido o alla materna. Se il genitore non è in grado di riconoscere e gestire queste emozioni ovviamente le trasferirà al figlio. Preoccupazioni diverse invece si possono manifestare quando il bambino si trova già inserito a scuola. In questo caso sono legate al rendimento scolastico, oppure alla capacità del figlio di adattarsi a un nuovo ambiente e stringere nuove amicizie. Anche qui è importante capire se siamo di fronte a una preoccupazione legittima oppure se il genitore sta di nuovo proiettando emozioni e ansie proprie rispetto a quella che può essere invece una dinamica abbastanza normale tra pari”.

Scegliere la scuola giusta può aiutare a ridurre di molto le preoccupazioni. Ci sono diverse strategie che possono essere adottate per fare una scelta consapevole:

  1. La prima cosa da fare è informarsi. Oggi abbiamo a disposizione tantissimi strumenti che permettono di farsi un’idea, di avere una panoramica sui vari istituti scolastici: siti web, social, open day etc.
  2. Tener presenti le esigenze di orario e spostamenti.  La vicinanza della scuola a casa o al luogo del lavoro è un elemento da non sottovalutare.
  3. Verificare che la scuola offra un ambiente accogliente, stimolante, sicuro e controllato. Non bisogna mai dare per scontato questo aspetto. È necessario che le scuole rispondano a determinati requisiti. La cronaca è piena di notizie riguardanti scuole improvvisate con personale e strutture non idonei. Quando si sceglie un istituto scolastico, soprattutto nel caso si tratti di una realtà privata o paritaria, occorre assicurarsi che sia all’interno di un circuito ben riconoscibile.
  4. Prediligere strutture che promuovano una buona collaborazione scuola-famiglia e la conciliazione di vita. Verificare che il servizio educativo scolastico possa offrire delle opportunità interne, laboratori ed esperienze extra curriculari che promuovano il benessere (ad esempio progetti sull’affettività e sessualità, che in Italia non rientrano ancora nel programma scolastico, sport e attività fisica, letture, film) che il bambino può fare direttamente in loco. Questo facilita i genitori nella gestione quotidiana mettendoli in condizione di non dover correre da una parte all’’altra. Dobbiamo iniziare a pensare alla scuola come a un polo per la socializzazione e di apprendimento a 360° non semplicemente didattico. Oggi, come non mai, il benessere emotivo dei propri figli, per i genitori è un elemento fondamentale nella scelta di un determinato servizio educativo e scolastico. Nella collaborazione scuola-famiglia si possono valorizzare tantissime attività: interventi formativi con la presenza di esperti che aiutano le famiglie a comprendere meglio alcuni passaggi di sviluppo del bambino, che diano un supporto pedagogico e psicologico in momenti di difficoltà, altri specialisti che possono concorrere al fatto di contribuire con la propria esperienza rispetto al proprio ambito d’interesse. Questi sono tutti servizi aggiuntivi che determinano sicuramente una grande qualità della scuola. 
  5. La comunicazione è un plus importante. Attraverso una buona comunicazione scuola-famiglia il genitore ha la possibilità di gettare uno sguardo sulla vita del bambino in quel momento e sulle esperienze che sta vivendo con l’ottica di poter partecipare alla vita scolastica del proprio figlio, non di doverla controllare.
  6. Nel caso si voglia scegliere un determinato approccio pedagogico occorre non farsi trascinare dalle mode del momento. Non ha senso scegliere un metodo educativo che è completamente lontano da quello che poi metto in pratica nella mia vita quotidiana perché sarebbe poco coerente. Il bambino non deve vivere un’incoerenza educativa.

    Questo ultimo punto diventa molto importante quando i genitori si trovano a dover fare i conti con il grande dilemma della continuità di metodo. “Ovviamente questo può essere un fattore positivo perché garantisce che il bambino possa sentirsi più sereno durante i passaggi”, spiega la pedagogista. “Adottare il medesimo approccio e declinarlo nelle diverse fasce di età significa continuare a perfezionare e sviluppare le competenze e le specificità del bambino. Se questo non dovesse essere possibile, non occorre allarmarsi, il bambino avrà semplicemente bisogno di un po’ più tempo per adattarsi alla nuova realtà. Pensiamo al passaggio da un metodo senza valutazioni a un sistema ad esempio statale o paritario, dove ci sono verifiche e voti. Se questo cambiamento avviene nei primi anni di età sarà più semplice per il bambino adattarsi. Se invece la transizione da un modello pedagogico a un altro avviene più in là nel tempo, ad esempio alla fine della secondaria, è importante preparare il bambino con largo anticipo evitandogli un salto nel buio. Questo compito non spetta solo ai genitori ma anche alla scuola.”


    BIO

    Giovanna Giacomini

    Formatrice e pedagogista, nel 2015 fonda GD EDUCA, società che si occupa di servizi educativi e di formazione. Utilizzando i propri servizi all’infanzia come officina creativa, dà vita all’esperienza di «Scuole Felici®» che si ispira al modello danese dell’educazione e alle culture orientali. A oggi 10 scuole dell’infanzia in Italia hanno scelto di seguire la filosofia “Scuole Felici”. Giovanna Giacomini è inoltre l’ideatrice del portale Educatori WOW che fornisce corsi online e materiali per genitori, educatori e docenti. 

    La rubrica di Educazione civica

    di Vincenzo Campisi

    L’Educazione civica è il cardine attorno al quale ruota ogni insegnamento disciplinare: il valore formativo di ogni materia di studio si incentra, infatti, nel contributo che offre allo studente per orientarsi nella lettura consapevole della società in cui vive. Obiettivo principale dell’insegnamento trasversale dell’Educazione civica è, infatti, rendere l’alunno competente nell’analisi del vissuto in continuo divenire in cui si trova immerso, un vissuto che necessita di valori di riferimento che orientino nella scelta dell’agire personale e che contribuiscano a disegnare un orizzonte sostenibile dell’agire sociale.

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    Pensieri intorno ad uno smartphone cacciato di scuola

    Pensieri intorno ad uno smartphone cacciato di scuola

    di Giovanni Fioravanti

    Come volavo con la mente fuori dall’aula, oltre la finestra! Là, fuori, c’era la vita, quella vita che lì, dentro alla scuola, restava sospesa tra le mura della classe. Una vita che brulica, che vive. A scuola si va per imparare la vita, ma la vita resta sempre fuori, la vita che si impara a scuola non è quella viva, ma quella già morta da molto tempo.

    A scuola bisogna astrarre la mente dalla vita, concentrarsi sulla sua rappresentazione senza alcuna distrazione, se no non si impara. Eppure è strano perché prima di mettere piede a scuola quello che ci siamo imparati ce l’ha insegnato lei direttamente, la vita, semmai senza tanti riguardi, ma da lei abbiamo appreso quello che siamo. Si sa, alla scuola quello che siamo non gli va bene, la scuola deve formare, raddrizzare le storture, educare, condurci fuori da noi stessi assimilando il verbo docente, il verbo passivo delle parole ascoltate o lette per essere imparate, mandate a memoria, ritornate alle orecchie dell’insegnante così come sono state confezionate per la nostra mente, per la nostra età, che non siano indigeste e storte, che non vadano di traverso, ma ritte e perfette.

    Perché la scuola è per carattere riservata, non ha mai amato confondersi con il succedersi degli avvenimenti di fuori, perché il sapere a scuola ha una sua aristocrazia, tramandata di generazione in generazione e più è tramandata più il sapere è nobilitato. Non esistono i quarti di sapere, qui la nobiltà è del casato a cui il sapere appartiene, ognuno con le sue arme, sono discipline, sono materie d’antiche discendenze, già dai Trivi e dai Quadrivi.

    Spazio e tempo mutano ritmo e dimensione. Lo spazio è tra il banco e la cattedra, tra le entrate e le uscite, come la vita, anche spazio e tempo restano là fuori. Il tempo si scandisce per suoni di campanelle, per il succedersi di figure alla cattedra, le durate sono ore che, sebbene non siano le ore piene, fanno gli orari quotidiani, settimanali per riempire l’orario e il diario, congiunzione tra dies e orario.

    Un tempo usava dire se non studi vai a lavorare, poi anche il lavoro è mancato e ora a non studiare si rimpingue la schiera dei Neet.

    Non so come l’avrebbero interpretata gli antichi per il quale lo studio era ozio dai negotia, attività improduttiva, di regola per pochi privilegiati.

    Ora non è più un privilegio ma un sortilegio, una sorta di divinazione, un’estrazione a sorte della vita, se la scuola che hai scelto di frequentare ti riserverà più sorprese che delusioni, se sarà un lungo parcheggio o una palestra d’addestramento, se il tuo cervello sarà spento o tenuto sveglio.

    Pare che al privilegio sia subentrato il merito. Giusto, democratico! Se non fosse che al merito manca proprio il merito, cioè cosa sia merito e cosa non lo sia. Certo studiare a scuola è merito, mancherebbe altro, è merito dalla notte dei tempi, e dalla notte dei tempi a scuola il merito si misura con i voti. Ma attenzione, qui ci sta l’inganno, o l’equivoco. Perché non è vero che il merito riguarda lo studiare, il merito riguarda solo quello che possiamo definire il risultato dello studio, che a scuola si chiama profitto, il quale deve passare al vaglio delle interrogazioni, dei compiti in classe, o delle verifiche come oggi si usa dire, e degli esami. È il merito della riuscita, della produttività, come a quel merito si arriva conta poco, poco interessa, ciò che pragmaticamente conta è il risultato. E perché il risultato non sia truccato e, dunque, il merito immeritato, a scuola è severamente vietato suggerire e ancor più copiare.

    E poi il merito è condotta. Da piccolo la parola condotta l’avevo sentita usare in casa mia solo a proposito del medico, che poi non era condotta, ma condotto, il medico condotto. La condotta era il contratto che i comuni stipulavano col medico, non era una questione di comportamento come a scuola, che del resto anche la condotta dell’alunno è come un contratto stipulato con la scuola a cui corrispondono compensi e sanzioni in voti e provvedimenti.

    Ecco la questione del merito, sempre quella vecchia che non cambia con il mutare delle epoche, sempre di premi e di punizioni si tratta.

    E allora accostare l’istruzione al merito è come riesumare la pratica della lode e del castigo, arnesi vecchi qualunque sia il restyling a cui si ricorre per rinverdirli, per non dare ascolto ai soliti vecchi sociologi radicali alla Pierre Bourdieu, per i quali la scuola favorirebbe i favoriti e sfavorirebbe gli sfavoriti. 

    Mentre ci si propone di inculcare le vecchie virtù se ne perdono per strade altre da sempre trascurate. Tipo imparare ad amare lo studio, perché bello, coinvolgente, interessante, indispensabile come l’aria che si respira. Sapersi assumere le proprie responsabilità, apprendere a comportarsi a prescindere dal merito, dai premi e dai castighi. Spogliarsi dalla cultura del peccato a cui deve far seguito l’espiazione, cultura tutta chiesastica che ancora intride le nostre scuole dei suoi miasmi.

    La cultura dell’individualismo, a ciascuno il suo banco, la postazione da cui ognuno deve condurre la propria battaglia, ciascuno per sé, compagni ma estranei. Non la cooperazione ma la separazione, non il laboratorio ma l’obitorio in cui sono conservati ed esposti alla classe i cadaveri del sapere.

    Quest’anno sono cinquant’anni dalla nascita dei decreti delegati della scuola, quelli con cui si pensava di dare alla scuola “il carattere di una comunità che interagisce con la più vasta comunità sociale e civica” (DPR del 31 maggio 1974 n. 416, art. 1).

    Comunità che interagisce, attenzione bene ! non comunità che regredisce in se stessa.

    Sarebbe il caso di farci su una riflessione, semmai chiedersi anche che fine ha fatto quella spinta al rinnovamento, da quale esaurimento e inversione di senso sia ora affetta, dove risieda il virus che la minaccia.

    Nel frattempo, in attesa che di questo qualcuno si preoccupi, pare che ogni tipo di connessione sociale via smartphone sarà radicalmente bandita a partire dall’inizio del nuovo anno scolastico, perché a scuola interagire è sempre complesso, scrivevamo più sopra che la scuola, per carattere, è riservata!

    Organi dello Stato come magistrature

    Organi dello Stato come magistrature: giudicante, diplomatica, docente.

    Autonomia di funzioni/poteri nello Stato e limiti alla valutabilità

    di Gabriele Boselli

    Sintesi – Rispetto all’unica magistratura sostanzialmente rimasta e riconosciuta tale (quella inquirente/giudicante) le altre sono fortemente limitate in quanto tali. Dirò qui della sorte non ideale della magistratura diplomatica (deprivazione di status ed efficacia funzionale) e di quella docente (perdita in termini reali di retribuzione e prestigio).

    Concetto di magis-stratura

    Vi erano un tempo non lontano le magistrature, e sia nel diritto laico che ecclesiastico erano considerate tali non solo quelle inquirenti/giudicanti. Erano magis stratae, in astratto poste sopra, oltre le capacità del pubblico o del privato o di settori della società di condizionarne efficacemente l’esercizio; questo attraverso l’attribuzione di status, la retribuzione e i processi pro-forma di valutazione. A ogni funzione/potere dello Stato, e non solo alla giurisdizione, a partire dal Re o dal Presidente della Repubblica corrispondeva a cascata una magistratura, un corpo professionale culturalmente solido, dignitosamente retribuito, tecnicamente qualificato, custode di una tradizione che assicurava dignità economica, autonomia, capacità deterrente, rispetto e deferenza dei cittadini e delle altre istituzioni.

    Una magistratura che conserva forte capacità di deterrenza

    Oggi le magistrature sono pressochè estinte e ne resta una sola, quella giudiziaria pur gravata da conflitti teoretici e pratici interni. Per un certo smarrimento del senso del limite, pur conservando autorità, va smarrendo autorevolezza: l’ordine Giudiziario, perso di vista il confine tra produzione e applicazione legislativa è divenuto sempre più, nell’ultimo cinquantennio, autentico co-protagonista della politica. Di fatto, non solo magis stratus ma super stratus. Certo, nel momento in cui non è più credibile come semplice attuatore del dettato legislativo ma ne diviene di fatto co-decisore, perde credibilità (requisito essenziale del magistero) e finisce sotto attacco di parte della politica e dei poteri economici che volentieri l’assoggetterebbero e l’avrebbero già fatto se la magistratura ordinaria non conservasse ancora per Costituzione un forte potere deterrente, soprattutto conservando, quando non l’autorevolezza, le chiavi del carcere e la capacità di efficaci ricatti economici. La magistratura inquirente/giudicante conserva comunque una retribuzione sui parametri di eccellenza rispetto a ogni altra funzione dello Stato e una selezione negli accessi spesso a forte influenza parentale. Gelosamente riservata in proprio pure una valutazione dell’eticità e della professionalità, demandata a organi interni composti in gran parte dagli stessi soggetti valutati. E’ ancora magis strata. Rappresenta -più ancora che una funzione- un potere con capacità di contrapposizione sinora determinante rispetto agli altri poteri/funzioni dello Stato. Scrivo di poteri/funzioni poiché a ogni potere è connessa una funzione ( o dis-funzione) e a ogni funzione un potere (o impotenza/prepotenza).

    La magistratura diplomatica

    La diplomazia tradizionalmente era ed è in parte rimasta un corpus di alta qualificazione culturale cui si accedeva per concorso e di cui gli organi politici erano costretti a tener conto per limitare i danni arrecati al Paese dalla propria incapacità. La sua missione era essenzialmente nella qualità di ascolto di tutti gli interlocutori significativi presenti e di attenzione a quelli venturi. Svolgeva una funzione di interpretazione altamente professionale degli interessi della nazione o del gruppo delle nazioni rappresentate; ma soprattutto un costante e qualificato lavoro di riconoscimento, riduzione e composizione non militare dei conflitti. Non ci riusciva sempre e quando non accadeva erano dolori per tutti ma a volte, es. dopo il congresso di Vienna o dopo il 1945, il frutto del suo impegno erano molti decenni di pace e prosperità. A tali fini le veniva riconosciuta un’ampia quanto istituzionalmente necessaria autonomia di movimento.
    Come tutte le persone che lavorano per la nazione, un vero ambasciatore -membro di un corpus integrato ma distinto, non rappresenta solo il Governo del momento, ma -qui il suo essere magis-stratus- lo Stato. Lo Stato che fu, che è e che sarà, come dovrebbe accadere anche per la magistratura docente. Un vero ambasciatore non scrive nei suoi rapporti quel che il governo vuole sentirsi dire, ma quel che in autonomia di giudizio ritiene necessario. A costo di essere valutato male o, ove l’autonomia di giudizio si associ a singolarità caratteriali, al limite defenestrato (caso Basile) .
    Degli attributi tradizionali, i diplomatici sembrano a volte aver conservato un’ottima retribuzione (dipende anche dal costo della vita delle sedi di lavoro) ma la gestione della politica estera degli stati è quasi tutta in mano ai politici e alle loro fazioni, spesso composte di megalomani o demagoghi ai cui dettati i diplomatici di carriera meno audaci devono sottostare. Penso alla sofferenza del corpo diplomatico francese, un tempo “la diplomazia” per eccellenza tanto da aver imposto la lingua di Francia a tutto il mondo: ora quella nazione si trova isolata e la sua diplomazia mortificata dalle manie di grandezza di Macron. Spesso le immunità e la stessa corrispondenza vengono violate materialmente o elettronicamente dagli stati ospitanti le sedi diplomatiche a e i diplomatici sono compromessi nella loro funzione magistrale dal non rispetto della tradizione che assicurava protezione penale e fiscale sia da parte degli stati mittenti che da quelli ospitanti.
    Qualche attenzione nella valutazione dell’ambasciatore agli effetti economici dell’azione dell’ ambasciatore rimane ancora ma in genere la valutazione del lavoro diplomatico prescinde da ogni logica scientifica ed è affidata alla discrezionalità dei politici professionals che occupano i piani nobili dei ministeri degli esteri. O delle fazioni che volta a volta sui singoli casi riescono a imporre la propria politica, vedi distruzione di gasdotti o il recente attacco al territorio russo del Kursk, decisi da qualche fazione di politici ucraini per far fallire le iniziative diplomatiche sotto traccia.
    Risultato: autonomia talora fortemente limitata, attenzione al raggiungimento di meri obiettivi a corto raggio, valutazione dei diplomatici principalmente centrata sul tasso di conformità agli indirizzi delle capitali. Risultati a lungo termine: precarietà delle relazioni economiche (caso dele ondivaghe Vie della seta), una successione di guerre senza fine e senza intelligenza dello scopo o conflitti economicamente perniciosissimi.

    La magistratura docente

    La magistratura docente (il magis è qui legittimato dalla preparazione culturale), da quella dell’infanzia a quella universitaria, se la passa anche peggio delle precedenti. Condivide con le altre e non solo ai livelli apicali la formazione universitaria e l’accesso ordinario ai ruoli attraverso concorsi pubblici per titoli ed esami; è praticamente a vita, il che consente ai suoi addetti di dedicarsi serenamente agli studi; è soggetta a sistemi di valutazione opinabili (come tutte le altre) ma altrettanto teoricamente escludenti i soggetti incapaci solo in teoria. Mentre i concorsi per l’accesso ai ruoli dirigenti avvengono nelle prime fasi attraverso test che favoriscono il pensiero convergente e una selezione inversa rispetto alle capacità critiche, costruttive e creative, la permanenza in servizio è garantita a vita qualsiasi cosa il dirigente combini.
    Rispetto alle altre sopra analizzate, questa funzione e’ meno condizionata dal potere politico, non per rispetto del valore della cultura e dell’educazione ma per una percezione di irrilevanza della funzione docente diffusa tra i gestori del potere e i decisori di opinione dei media.
    A fronte di quest’ultimo indubbio vantaggio, il resto è in perdita: retribuzione, capacità di promozione e deterrenza, status sociale.

    Tratti magistrali di docenti e dirigenti scolastici

    Cultura. Insegnanti e dirigenti sono persone di cultura che amano la propria patria, i propri allievi e le scienze e che per vivere hanno scelto questa professione. Sono persone che tentano incessantemente di capire di più del mondo e di prender responsabilmente parte alla storia e all’epoca.

    Autonomia intellettuale e morale. Costruttive e creative, sanno ofrire la propria asimmetrica e disinteressata compagnia per un’ampia frazione di esistenza. Sono Maestre (magis), ofrono un campo di avventure felicemente non protetto dal rischio e apertp alle possibilità cognitive del Novum.

    Costruzione di relazioni. Come per ogni buon magis- strato che operi nella giustizia o nella diplomazia, l’ascolto è sua dote essenziale. Il corpo docente/dirigente dell’ Istruzione sa in genere su questa base instaurare con l’altro (persona o istituzione) una relazione costitutiva dell’esistenza e della conoscenza, articolata in un tessuto complesso e pedagogicamente orientato. Invita a estendere l’altrui orizzonte degli eventi di cultura, aiuta ad articolare in forma più evoluta il mondo vitale. Amplia ed arricchisce i vissuti dello spazio e del tempo degli alunni e per questo nella scuola opera in ben relata autonomia di proposta. Ofre aiuto a essere in quanto essere-a, qui, ora, con me/noi, in questo frammento di storia nella multipreposizionalità degli esistenti concreti (Heidegger). Ofre non certezze ma sicurezza, insieme a (plurali) indicazioni di senso.

    Conclusione

    Le attuali classi dirigenti politiche, in Italia come altrove, non sono in grado di riconoscere alle magistrature dei propri paesi la necessaria autonomia istituzionale.
    Ogni società, ogni Stato abbisognerebbero di soggetti professionali che esercitassero in libertà intellettuale e in pur relativa autonomia le funzioni e le facoltà di indirizzo e deterrenza. I poteri dotati di superiore capacità deterrente tollerano invece con difcoltà l’autonomia delle magistrature e tendono a sottoporle a processi di valutazione discriminante. Le magistrature giudiziaria, diplomatica e docente richiederebbero per il disinteressato esercizio delle loro funzioni la massima autonomia e non dovrebbero essere sottoposte a valutazioni esterne inevitabilmente condizionanti il loro operato.



    G. Grasso, R. Manfrellotti Poteri e funzioni dello stato: una voce per un dizionario di storia costituzionale• SSM Storia della magistratura Quaderno 6
    G. Massolo Il diplomatico nell’era della globalizzazione e dell’informatizzazione
    in “La Comunità internazionale” 2/2007 (PDF)
    La rivista Limes, Gedi

    Danza di sinapsi

    Danza di sinapsi
    Verso una nuova didattica educativa

    di Bruno Lorenzo Castrovinci

    Introduzione

    Sinapsi danzanti, al ritmo delle reti neurali dell’Intelligenza Artificiale, illuminano il panorama di un’era in cui la tecnologia avanza inesorabilmente, quasi in punta di piedi, lasciando dietro di sé un’umanità spesso impreparata ad accoglierla. Tuttavia, in questo vortice di innovazione, emergono con forza le connessioni profonde create dalle tecnologie che ci permettono di accedere a internet, rete delle reti, che siano computer, smartphone, tablet o smartwatch. Viviamo in un tempo segnato da profonde contraddizioni, dove la bionica e la robotica sono ormai realtà concrete, e dove il metaverso inizia lentamente a dissolvere i confini tra il reale e il virtuale.

    Questo nostro tempo è caratterizzato da nostalgici ritorni al passato e a metodi secolari d’insegnamento, che si contrappongono a investimenti senza precedenti nelle tecnologie didattiche. Ambienti di apprendimento sempre più digitali si scontrano con una popolazione di analfabeti digitali, che difficilmente riusciranno a sfruttare appieno i nuovi strumenti prima che questi diventino superati e obsoleti. Basti pensare alla storia delle LIM (Lavagne Interattive Multimediali): pochi le hanno davvero utilizzate appieno, mentre molti si sono limitati a considerarle come semplici sostituti dei proiettori, non riuscendo a sfruttarne il potenziale.

    Eppure, in questo panorama di luci e ombre, le Neuroscienze hanno compiuto passi da gigante negli ultimi anni, integrandosi con lo sviluppo delle scienze cognitive. Questo progresso ha portato alla creazione di nuovi approcci didattici finalizzati alla realizzazione di ambienti di apprendimento ideali per ogni studente. Le Neuroscienze ci insegnano che ogni cervello è unico e che la didattica deve essere personalizzata per rispondere alle esigenze individuali. Questo significa formare una nuova generazione di insegnanti capaci di andare oltre la didattica trasmissiva, utilizzando in modo efficace la tecnologia e le nuove scoperte per garantire un successo formativo certo agli studenti.

    Le neuroscienze, con la loro bellezza e complessità, ci svelano i misteri del cervello umano, un organo straordinariamente plastico e adattabile. Scopriamo che l’apprendimento non è un processo lineare, ma una danza sinaptica, una coreografia intricata che coinvolge emozioni, motivazioni e contesti ambientali. Ogni nuova scoperta ci avvicina di più a comprendere come creiamo e manteniamo i ricordi, come sviluppiamo le competenze e come possiamo sostenere ogni studente nel suo percorso di crescita.

    In questo scenario, l’entusiasmo per le neuroscienze non è solo accademico, ma profondamente umano. Ogni connessione sinaptica che comprendiamo, ogni rete neurale che mappiamo, ci avvicina di più a un futuro in cui la didattica non è solo trasmissione di conoscenze, ma un viaggio condiviso verso la realizzazione del potenziale umano. È una chiamata all’azione per educatori, ricercatori e studenti, affinché si uniscano in un impegno collettivo per costruire un mondo in cui la tecnologia e la scienza lavorano in armonia con le aspirazioni umane, per creare ambienti di apprendimento che siano non solo efficienti, ma anche profondamente umani.

    Oltre il Velo della Mente: La Danza delle Neuroscienze

    Le neuroscienze, con la loro capacità di penetrare i misteri del sistema nervoso, ci offrono una lente attraverso cui osservare il cervello umano, questa meraviglia biologica che governa ogni aspetto del nostro essere. È attraverso lo studio delle sue intricate reti neuronali che scopriamo come impariamo, ricordiamo e trasformiamo le informazioni in conoscenza viva. Tra le scoperte più affascinanti vi è quella della plasticità cerebrale, un fenomeno che rivela la straordinaria capacità del cervello di riorganizzarsi e adattarsi in risposta alle esperienze.

    La plasticità cerebrale ci racconta una storia di cambiamento e adattamento continuo. Immaginiamo il cervello come un paesaggio in costante mutamento, dove i sentieri neuronali si costruiscono e si demoliscono, si rinforzano e si ridimensionano, a seconda delle esperienze e degli stimoli che riceviamo. Ogni nuova esperienza, ogni nuovo apprendimento, lasciano un’impronta, modificano le connessioni sinaptiche, creano nuove vie attraverso cui i pensieri possono fluire. Questa dinamica continua di costruzione e ricostruzione ci dice che l’apprendimento non è mai statico, ma un viaggio perpetuo di scoperta e crescita.

    Questa comprensione della plasticità cerebrale ha profonde implicazioni per l’educazione. Se il cervello è capace di adattarsi e trasformarsi, allora l’insegnamento deve essere altrettanto flessibile. L’educazione non può più essere vista come un semplice trasferimento di conoscenze predefinite, ma deve diventare un processo fluido, in grado di rispondere alle esigenze e alle esperienze uniche di ogni studente. Deve essere capace di stimolare il cervello in modi che siano significativi, rilevanti e coinvolgenti.

    L’Intersezione del Pensiero: Neuroscienze e Scienze Cognitive

    Gli studi cognitivi, concentrandosi sui processi mentali come la percezione, la memoria, l’attenzione e il linguaggio, offrono una mappa dettagliata delle funzioni della mente. Le neuroscienze, invece, penetrano i misteri biologici che sottendono questi processi, rivelando i meccanismi profondi che li governano. L’integrazione di queste due discipline ci permette di ottenere una comprensione più completa e sfumata del cervello e della mente, creando una base solida per sviluppare strategie didattiche che siano al contempo efficaci e mirate.

    La percezione e l’attenzione, ad esempio, sono processi selettivi che influenzano in modo determinante l’apprendimento. Le neuroscienze cognitive hanno dimostrato come il concetto di “carico cognitivo” giochi un ruolo cruciale: sovraccaricare gli studenti con troppe informazioni contemporaneamente può ostacolare la loro capacità di comprendere e memorizzare. Invece, segmentare le informazioni in parti gestibili e utilizzare elementi visivi e uditivi per mantenere alta l’attenzione, può migliorare significativamente il processo di apprendimento. Immaginiamo un’aula dove le lezioni sono progettate non solo per trasmettere informazioni, ma per farlo in modo che il cervello degli studenti possa processarle efficacemente, senza essere sopraffatto.

    La memoria, componente essenziale dell’apprendimento, segue un percorso complesso che va dall’acquisizione delle informazioni al loro consolidamento e recupero. Gli studi cognitivi ci mostrano queste fasi, mentre le neuroscienze chiariscono i meccanismi cerebrali sottostanti, come il ruolo dell’ippocampo nella formazione dei ricordi a lungo termine. Le tecniche didattiche che incorporano ripetizioni spaziate nel tempo e il recupero attivo delle informazioni sfruttano questi meccanismi naturali del cervello, potenziando la ritenzione delle conoscenze. Immaginiamo ora un ambiente educativo dove le lezioni sono strutturate in modo tale da favorire questi processi di consolidamento, con ripetizioni intelligenti e attività che stimolano il recupero attivo delle informazioni.

    La metacognizione, o la consapevolezza e il controllo dei propri processi cognitivi, è un altro pilastro fondamentale per l’apprendimento efficace. Insegnare agli studenti strategie metacognitive, come la pianificazione, il monitoraggio e la valutazione del proprio apprendimento, può migliorare significativamente la loro autonomia e le capacità di problem-solving. Le neuroscienze cognitive suggeriscono che questi approcci non solo aiutano gli studenti a diventare più consapevoli dei propri processi mentali, ma anche a gestire meglio le loro risorse cognitive, rendendo l’apprendimento più efficiente e personalizzato. Immaginiamo quindi una didattica che non si limiti a trasmettere nozioni, ma che insegni anche come pensare, come riflettere sul proprio processo di apprendimento e come migliorarlo continuamente.

    Neuroscienze in Aula: Una Sinfonia di Apprendimento

    Le neuroscienze ci raccontano una storia profonda e affascinante su come apprendiamo, rivelando che ogni studente possiede un modo unico e irripetibile di assimilare il sapere. Immaginiamo una scuola dove le tecnologie avanzate, come l’intelligenza artificiale, diventano alleate preziose nel creare percorsi di apprendimento personalizzati. Ogni studente può essere guidato attraverso un cammino educativo che tiene conto delle sue specifiche esigenze, dei suoi punti di forza e delle sue passioni. Questo non solo aumenterebbe la motivazione, ma renderebbe l’apprendimento un’esperienza profondamente efficace e gratificante.

    Ma c’è di più: le emozioni giocano un ruolo cruciale in questo viaggio. Gli studi neuroscientifici ci insegnano che emozioni positive, come la gioia e l’entusiasmo, possono agire come potenti catalizzatori per la memorizzazione e la comprensione dei concetti. Un ambiente scolastico che coltiva il benessere emotivo diventa così un terreno fertile dove le menti possono fiorire. Pratiche di mindfulness, tecniche di gestione dello stress e un curriculum che valorizzi le competenze socio-emotive sono strumenti essenziali per creare questo ambiente. In una scuola così, l’apprendimento diventa non solo un processo cognitivo, ma anche un’esperienza emotiva positiva.

    E poi c’è la memoria, quella componente essenziale dell’apprendimento che ci permette di trattenere e richiamare le informazioni nel tempo. Le neuroscienze ci suggeriscono che la ripetizione spaziata e il recupero attivo delle informazioni sono strategie potenti per consolidare la memoria a lungo termine. Gli insegnanti, con questa conoscenza, possono pianificare le lezioni in modo da massimizzare la ritenzione delle informazioni, creando un ciclo continuo di apprendimento e rafforzamento.

    Infine, il cervello apprende meglio quando viene stimolato in modo multisensoriale. Un’aula moderna e futuristica trasforma l’educazione in un’esperienza sensoriale senza precedenti. Le pareti dell’aula, animate da schermi interattivi, pulsano di vita, mostrando contenuti educativi in tempo reale, pronti a rispondere al tocco curioso degli studenti. Le scrivanie, con superfici tattili avanzate, invitano a esplorare modelli 3D virtuali, rendendo tangibili concetti complessi e astratti.

    Nel cuore dell’aula, un santuario di realtà aumentata e virtuale attende. Qui, gli studenti indossano visori VR e vengono catapultati in mondi straordinari, da intricati laboratori di scienze a antichi siti storici ricostruiti con precisione. I suoni ambientali, perfettamente sincronizzati con le esperienze visive e tattili, avvolgono gli studenti, trasformando l’apprendimento in un’avventura coinvolgente e dinamica.

    In questo spazio, la tecnologia non è un mero strumento, ma un compagno vibrante nell’odissea dell’apprendimento. Essa accende la curiosità e alimenta la creatività, facendo di ogni lezione un viaggio emozionante e indimenticabile. La realtà aumentata e virtuale aprono portali verso universi lontani, rendendo i concetti più complessi accessibili e comprensibili attraverso esperienze immersive e pratiche.

    In questo ambiente magico, l’apprendimento si eleva a un’avventura multisensoriale, dove ogni senso, stimolato e coinvolto, contribuisce a costruire una comprensione profonda e duratura del mondo. Le lezioni diventano racconti epici, le conoscenze acquisite si intrecciano con emozioni vivide, e ogni giorno di scuola si trasforma in un capitolo straordinario della grande storia della conoscenza.

    Conclusione

    Nonostante le infinite potenzialità, l’integrazione delle neuroscienze nell’educazione incontra sfide formidabili. C’è la necessità imperiosa di formare adeguatamente gli insegnanti, affinché possano abbracciare e applicare le scoperte neuroscientifiche con la maestria di un artigiano che plasma l’argilla. Ma c’è di più: la delicatezza delle implicazioni etiche, come la privacy degli studenti e l’uso responsabile delle tecnologie, ci richiede una prudenza amorevole e una saggezza profonda.

    Le neuroscienze offrono un’opportunità unica per rivoluzionare il sistema educativo, trasformandolo in un organismo vivente, vibrante, in perfetta sintonia con le esigenze del nostro tempo. Immaginiamo di applicare le conoscenze sul funzionamento del cervello per sviluppare strategie didattiche che non solo migliorano l’apprendimento, ma che accendono la scintilla della motivazione e nutrono il benessere emotivo degli studenti. Tuttavia, queste meravigliose innovazioni devono essere affrontate con un approccio etico e consapevole, garantendo che ogni passo avanti sia compiuto in modo responsabile e inclusivo.

    Eppure, nonostante tutto, ecco mille classi, mille alunni, tantissimi docenti, che giorno dopo giorno, anno dopo anno, reiterano lo stesso rituale. Le lezioni si ripetono nella loro identica ritualità, come una danza antica, ciclica, inesorabile. Si ripetono, rinascendo come una fenice dai ricordi degli insegnanti, che rivedono se stessi bambini, seduti nei banchi di scuola. Un rito semplice, fatto di lezioni frontali, compiti per casa, interrogazioni e compiti in classe. Un rito che, reiterandosi, celebra se stesso, rendendo vane tutte le meraviglie pedagogiche, cognitive, scientifiche e neuroscientifiche che il nostro tempo ci offre.

    È come se il tempo si fosse fermato, un perpetuo ritorno all’uguale, una liturgia educativa che resiste al cambiamento. Eppure, il mondo fuori corre veloce, evolve, si trasforma. Le neuroscienze ci hanno mostrato che l’apprendimento è un processo dinamico, un continuo divenire. La plasticità cerebrale ci invita a innovare, a creare, a esplorare nuovi modi di insegnare e apprendere. Ma nella sacralità della classe, spesso, tutto rimane immutato, in un’eco infinita di passato.

    Possiamo immaginare un futuro diverso, dove le aule siano vivaci fucine di idee, dove le tecnologie si integrino armoniosamente con la didattica, dove ogni studente sia visto e valorizzato nella sua unicità. Un futuro in cui l’educazione sia una danza armoniosa tra scienza e arte, tra rigore e creatività, tra tradizione e innovazione. Un futuro dove le neuroscienze non siano solo una promessa lontana, ma una realtà viva, pulsante, che trasforma ogni giorno la vita degli studenti e degli insegnanti.

    Perché, in fondo, l’educazione è questo: un atto d’amore, un impegno verso il futuro, un sogno che diventa realtà. E le neuroscienze sono il soffio vitale che può risvegliare questo sogno, che può farci volare alto, oltre i confini del conosciuto, verso un orizzonte di infinite possibilità.

    Fonti

    1. Eric R. Kandel, “In Search of Memory: The Emergence of a New Science of Mind”, W. W. Norton & Company, 2007.
    2. Howard Gardner, “Frames of Mind: The Theory of Multiple Intelligences”, Basic Books, 1983.
    3. Carol S. Dweck, “Mindset: The New Psychology of Success”, Random House, 2006.
    4. Stanislas Dehaene, “How We Learn: Why Brains Learn Better Than Any Machine…for Now”, Viking, 2020.
    5. John Hattie, “Visible Learning: A Synthesis of Over 800 Meta-Analyses Relating to Achievement”, Routledge, 2008.

    L’umiliazione dei licei

    L’umiliazione dei licei

    di Stefano Stefanel

                Una delle prime cosa che si insegnano a tutti i docenti che vogliono diventare dirigenti scolastici è che ogni provvedimento della Pubblica Amministrazione deve rispondere a canoni di efficienza, efficacia ed economicità. Se almeno una di queste tre caratteristiche non è soddisfatta allora è meglio lasciar perdere. Di recente, improvvisamente e a sorpresa, il MIM ha emanato una divisione degli Istituti scolastici in fasce al fine della retribuzione dei dirigenti scolastici. La retribuzione dei dirigenti scolastici prevede una parte fissa uguale per tutti, eventuali assegni ad personam legati a situazioni del passato transitati nella dirigenza (che residua per non tantissimi casi) e due retribuzioni variabili: una “di posizione” (la complessità della scuola che si dirige) e una “di risultato” (a seguito della valutazione obbligatoria del dirigente scolastico). Poiché anche i dirigenti scolastici non vogliono farsi valutare a fini stipendiali (come del resto in Italia praticamente tutti ad eccezione degli studenti) e in questo vengono spalleggiati sia dai sindacati generalisti (per intenderci CGIL, CISL, UIL, Snals, ecc.) sia da quelli di categoria (citerei solo ANP) dalla nascita della dirigenza scolastica (1999) nessuno è stato valutato a fini stipendiali. Praticamente tutti i dirigenti e tutti i sindacati si dicono, a voce alta, favorevoli alla valutazione dei dirigenti (che è prevista per legge), ma poi nei fatti sostengono anche che deve essere “seria” dicendo al contempo che quelle proposte dal Ministero negli anni passati “serie” non lo sono state, determinando di fatto un’assenza di valutazione e che, quindi,  agganciando la retribuzione di risultato a quella di posizione. Nel passato ci sono state varie tornare di valutazione dei dirigenti, ma nessuna ha avuto ricaduta stipendiale. D’altronde se il valutato può decidere cosa è serio e cosa non lo è nell’ambito della sua valutazione non esiste nessuno così geniale da escogitare qualcosa che venga accettato senza proteste da tutti (tipo il cappone che organizza il cenone di Natale). In questa situazione, dunque, la retribuzione di posizione/risultato incide sullo stipendio del dirigente e sulla sua situazione pensionistica. Quindi le fasce di livello delle scuole hanno solo un’incidenza sulla categoria dirigenziale e sulle sue retribuzioni. Perciò le fasce di livello interessano solo i dirigenti scolastici e non la scuola e la sua organizzazione. Per circa quindici anni sono rimaste in vigore le vecchie quattro fasce e nessuno parlava dell’argomento, contestava, problematizzava. Dunque di fatto tutti accettavano la situazione così come si era cristallizzata.

                Improvvisamente il MIM ha deciso di diminuire i dirigenti (generando degli accorpamenti con modalità bizzarre e ragionieristiche e senza tenere conto di situazioni locali specifiche) e di rivedere le fasce diminuendole da quattro a tre. Il primo provvedimento ha evidenti motivi di economicità (molti meno, direi nessuno, sui versanti dell’efficienza e dell’efficacia), mentre il secondo ha solo creato polemiche perché non rispetta nessuno dei tre requisiti. Infatti la divisione delle fasce ha mandato, attraverso parametri pensati in modo arcaico e confuso, tutti i Licei non inseriti in un Istituto complesso (gli ISIS) nella fascia più bassa, cioè in quella in cui si prendono meno soldi. Il messaggio mandato dal MIM è semplice: i Licei danno prestigio, ma sono facili da dirigere, quindi chi vuole più soldi deve andare a dirigere un Istituto comprensivo. Il messaggio però declassa i Licei che sono, nel bene e spesso nel male, la cartina di tornasole dal sistema scolastico italiano. Il contorto e inefficiente sistema italiano di orientamento (su questo sono intervenute le Linee guida sull’orientamento che finora non hanno molto inciso sul problema, anche perché coniugate con meccanismi attuativi “bizantini” che hanno finanziato l’orientamento verso l’Università, quindi dei trienni delle Scuole superiori, e per niente quello delle Scuole secondarie di primo grado che invitano i bravi a fare i Licei e i meno bravi a fare i Tecnici o i Professionali) produce da anni una concentrazione degli studenti migliori nei Licei e quindi l’efficacia generale dell’Italia in termini di società della conoscenza è ancora delegata soprattutto ai Licei. Questa è una verità che tutti conoscono, che produce discorsi mediatici prossimi ad un vero e proprio delirio sulla scuola, perché hanno solo i Licei come centro del discorso. Tutta la comunicazione sulla scuola è influenzata dai Licei, visto che gli intellettuali di spicco e che hanno accesso ai grandi canali di comunicazione hanno tutti fatto da giovani il Liceo e, quando parlano della scuola, si riferiscono solo al Liceo in cui hanno studiato (Cacciari, Panebianco, Galli della Loggia, Crepet, Galimberti e via declinando) o in cui hanno insegnato (Mastrocola, Ardone e via enumerando).

                Quello che mi permetto di chiedere è: perché si fatta questa operazione di declassamento? A cosa serve umiliare e declassare il punto alto del sistema scolastico italiano, quello che accoglie gli studenti migliori? Che messaggio viene dato alla categoria dirigenziale? Che idea c’è di scuola? E – soprattutto – se “chiunque” può dirigere un Liceo, considerato scuola semplice, vuol dire che la professione non deve occuparsi delle sue eccellenze. Perché il problema sta anche qui: cosa si vuole dal dirigente scolastico oggi? Che si occupi degli alunni o dello SPID? Che abbia a cuore il miglioramento degli apprendimenti o corra dietro alle multe che INPS e INAlL danno a destra e a manca per mancanze tutte loro, ma che nessuno gli contesta? Che analizzi i percorsi didattici, formativi e di orientamento o consulti graduatorie? Che organizzi percorsi personalizzati per tutti gli studenti in difficoltà o dedichi le sue giornate a compilare piattaforme e graduatorie? Che usi i soldi del PNRR per migliorare il sistema scolastico o per comprare “macchinette” colorate per far salire la spesa del PNRR?  Che si occupi di disabilità, inclusione dispersione o della ricostruzione delle carriere e degli acquisti sotto soglia? Quando un provvedimento non è efficiente (i Licei nella fascia più bassa sono il massimo dell’inefficienza organizzativa perché si mettono sullo stesso piano Liceo di 500 studenti e Licei di 1500 studenti), non è efficace (perché si comunica che i Licei sono tutti facili da gestire e gli Istituti comprensivi tutti difficili, il che non è un errore ma proprio una stupidaggine), non è economico ( i soldi sono sempre quelli, qui si parla solo di retribuzione dei dirigenti dentro uno schema contabile rigido) l’unico motivo per cui viene emanato è che è punitivo. Niente di nuovo sotto il sole: il sistema scolastico italiano pare deciso ad andare nel baratro degli adempimenti e dei bassi risultati. Con i Licei retrocessi in serie C, ma solo perché la D non è stata attivata.

    Tutele alle lavoratrici madri nel comparto scuola

    Tutele alle lavoratrici madri nel comparto scuola.
    Indennità di maternità “fuori nomina” e allattamento a rischio

    di Dario Angelo TUMMINELLI e Luciano GRASSO

    La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e a parità di lavoro le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore”, così è stabilito nell’articolo 37 della Costituzione italiana.

    Il sostegno alla genitorialità trova il suo fondamento giuridico nel T.U. delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, che da oltre un ventennio è operante in Italia. In particolare, il Decreto Legislativo 26 marzo 2001 n. 151, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 26 aprile 2001 n. 96 (Supplemento Ordinario), promulgato su specifica delega al governo contenuta nell’articolo 15 della Legge 8 marzo 2000 n. 53 “Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità”, rappresenta un punto di riferimento normativo fondamentale. Tale decreto è stato successivamente modificato e integrato dal Decreto Legislativo 23 aprile 2003 n. 115.

    Approfondimento storico-normativo L’iter evolutivo della normativa di settore inizia con la Legge 30 dicembre 1971 n. 1204, pubblicata in Gazzetta Ufficiale del 18 gennaio 1972 n. 14, che per la prima volta tutela le lavoratrici madri. Successivamente, la Legge 9 dicembre 1977 n. 903 “Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro”, pubblicata in Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 343 del 17 dicembre 1977, integra ulteriormente queste disposizioni.

    Indennità di maternità

    Due sono i casi più ricorrenti nella scuola: l’indennità di maternità in costanza di rapporto di lavoro e l’indennità al di fuori del rapporto di lavoro. Nel primo caso, come previsto dall’art. 12 comma 2 del C.C.N.L. Comparto Scuola 2006-2009, alla lavoratrice madre docente/A.T.A. spetta il 100% della retribuzione fissa mensile, sia che si tratti di contratto di lavoro a tempo indeterminato o determinato. Nel secondo caso, alla scadenza naturale del contratto di lavoro (o per “giusta causa”), la lavoratrice percepisce un’indennità ridotta pari all’80% di quella inizialmente prevista per il corrispondente personale con contratto a tempo indeterminato, comprensiva dei contributi versati (trattamento previdenziale, pensionistico e assistenziale).

    Sentenza e pareri giuridici rilevanti La sentenza della Corte Costituzionale n. 405/2001 del 14 dicembre 2001 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 17 comma 1 della Legge 1204/71, estendendo il diritto all’indennità di maternità anche nei casi di licenziamento per giusta causa a seguito di mancanze e/o colpa grave della lavoratrice madre. Il Parere del Consiglio di Stato Sez. II n. 460/2003, reso in data 11 febbraio 2004, conferma che il prolungamento dell’interdizione anticipata dal lavoro e la contestuale indennità economica possono essere concessi anche in assenza di un rapporto di impiego.

    L’art. 22 del testo normativo prevede: “Le lavoratrici hanno diritto ad un’indennità giornaliera pari all’80 per cento della retribuzione per tutto il periodo del congedo di maternità o di interdizione obbligatoria durante la gravidanza”. Tale indennità è omnicomprensiva e sostituisce l’indennità di disoccupazione (NaSpi) eventualmente in godimento durante la vacanza contrattuale, non essendo cumulabile con essa.

    Il beneficio economico viene calcolato sulla base della retribuzione media globale giornaliera della mensilità immediatamente precedente rispetto a quella dalla quale ha avuto inizio il congedo di maternità. A tale importo si aggiungono il rateo giornaliero relativo alla tredicesima mensilità e eventuali altri premi (ove previsti) o trattamenti retributivi accessori, qualora erogati alla lavoratrice.

    L’art. 24 del medesimo testo normativo prevede un prolungamento del diritto alla corresponsione del trattamento economico nei casi di cessazione o risoluzione naturale del rapporto di lavoro durante il congedo di maternità, purché tra l’inizio della disoccupazione e quello del suddetto periodo non siano decorsi più di 60 giorni (vedi commi 1 e 2 del citato articolo).

    Tale sostegno economico è un apprezzabile riconoscimento a tutte le lavoratrici in maternità del comparto scuola, nell’ambito del più generale sostegno alla natalità e/o alla genitorialità. È importante sottolineare che se la lavoratrice accettasse un nuovo contratto di lavoro durante il periodo di godimento del sostegno economico “fuori nomina”, tutti i benefici dell’indennità cesserebbero immediatamente subentrando il nuovo rapporto di impiego.

    Per accedere al trattamento economico, la lavoratrice deve presentare una formale istanza scritta all’Istituzione scolastica di ultimo servizio. L’Istituzione scolastica, dopo aver valutato l’istanza, procede con l’inserimento sul portale SIDI (Sistema Informativo dell’Istruzione) del contratto “fuori nomina” in cooperazione con il MEF.

    Il trattamento giuridico durante il periodo di fruizione dell’indennità di maternità “fuori nomina” non è considerato servizio utile ai fini della progressione di carriera e dell’anzianità di servizio, e non permette di maturare punteggio nelle graduatorie (GaE, GPS, di circolo o di istituto).

    Allattamento a rischio

    Riguardo all’allattamento a rischio, la normativa di riferimento è sempre il D.lgs n. 151 (art. 17 e ss.), che stabilisce regole precise per la sicurezza e i rischi sui luoghi di lavoro per le donne durante la gravidanza e l’allattamento. Il Dirigente scolastico è obbligato a redigere una “Valutazione del rischio per donne gravide e puerpere” e individuare le azioni da intraprendere in caso di potenziali situazioni a rischio nell’Istituto e le conseguenziali azioni da intraprendere nel caso in cui fossero presenti nell’Istituto da lui diretto, potenziali situazioni a rischio che ne potrebbero influenzare negativamente l’allattamento.

    Le categorie più interessate sono le maestre, le professoresse (personale docente) e le collaboratrici scolastiche (personale A.T.A.), soggette a rischi biologici, fisici e chimici derivanti dalla presenza in ambienti confinati con studentesse e studenti, potenziali vettori di agenti biologici. In particolare, le insegnanti specializzate che prestano servizio sul sostegno didattico potrebbero essere ulteriormente esposte a pericoli legati agli sforzi fisici nel sostenere alunni disabili a loro affidati.

    Nel caso in cui vi fosse la presenza di classi nutrite, ad esempio le cd. “classi Pollaio”, con un elevato numero di discenti presenti nelle aule, queste categorie, già di per sé soggette ai rischi come meglio sopra specificati, si aggiungerebbe il rischio da “stress da lavoro correlato”.

    Per accedere al beneficio dell’astensione dal lavoro per allattamento a rischio, la lavoratrice deve presentare una formale istanza entro 30 giorni dalla data del parto, allegando il certificato di nascita del figlio/a. Il Dirigente scolastico valuta la presenza di potenziali rischi per il nascituro e adotta le opportune misure necessarie. Se non fosse possibile assegnare la lavoratrice ad altra mansione, spetta l’astensione dal lavoro (interdizione) fino al 7^ mese di vita del figlio/a, previa richiesta all’Ispettorato Territoriale del Lavoro, che ne dispone l’interdizione temporanea dal lavoro comunicandolo e/o notificandolo all’Istituzione scolastica

    L’astensione prevede una retribuzione piena, nella misura pari al 100% dell’importo abitualmente percepito dalla lavoratrice madre, oltre al trattamento previdenziale, ed è erogata dal datore di lavoro, rimborsato dall’INPS. Questo periodo è considerato servizio utile ai fini della progressione di carriera e dell’anzianità di servizio, maturando punteggio nelle graduatorie (GaE, GPS o ancora di circolo o di istituto).

    Bibliografia

    • COSTITUZIONE ITALIANA, art. 37 co. 1
    • CORTE COSTITUZIONALE sentenza n. 405/2001 del 14 dicembre 2001
    • LEGGE 30 dicembre 1971, n. 1204 “Tutela delle lavoratrici madri
    • LEGGE 9 dicembre 1977, n. 903 “Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro
    • LEGGE 8 marzo 2000, n. 53 “Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità
    • DECRETO LEGISLATIVO 26 marzo 2001, n. 151 “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53
    • DECRETO LEGISLATIVO 23 aprile 2003, n. 115 “Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151
    • DECRETO LEGISLATIVO 15 giugno 2015, n. 80 “Misure per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro, in attuazione dell’articolo 1, commi 8 e 9, della legge 10 dicembre 2014, n. 183.”
    • DECRETO del PRESIDENTE della REPUBBLICA 25 novembre 1976, n. 1026 “Regolamento di esecuzione della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, sulla tutela delle lavoratrici madri
    • PARERE del CONSIGLIO DI STATO, Sez. II, n. 460/2003 reso in data 11 febbraio 2004
    • C.C.N.L. “Comparto Scuola” 2006-2009 sottoscritto il 29 novembre 2007, artt. 12 co. 2 e 19
    • CIRCOLARE INPS n. 8 del 17 gennaio 2003 “Prestazioni economiche di maternità di cui al D. Lgs. n. 151 del 26/03/2001 (T. U. sulla maternità). Chiarimenti.”  
    • CIRCOLARE INPS n. 50 del 17 marzo 2005 “Provvedimenti di interdizione dal lavoro concessi dai Servizi ispettivi delle Direzioni provinciali del lavoro.”
    • NOTA Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali prot. n. 15 del 14 novembre 2005

    La necessità delle ferie

    Echi di Silenzio: la Necessità delle Ferie per gli Eroi dell’Istruzione

    di Bruno Lorenzo Castrovinci

    Quando l’ultima campanella suona e il brusio delle aule si spegne, le scuole sembrano cadere in un silenzio surreale. Gli esami di stato sono ormai un ricordo e quasi tutti i docenti si sono dispersi per le meritate vacanze, cercando riposo e rinnovata energia. Tuttavia, negli uffici di segreteria, le luci rimangono accese. Il Direttore dei Servizi Generali e Amministrativi e gli assistenti amministrativi, lavorano incessantemente, affrontando tra gli altri adempimenti anche quelli, trasferiti dagli uffici periferici, con una dedizione che sfida il caldo estivo.

    Nell’ufficio del Dirigente Scolastico, l’operosità non conosce tregua. Insieme al suo staff, si prepara con meticolosità il nuovo anno scolastico, un compito che richiede attenzione e precisione. Dalla formazione delle sezioni e delle classi prime nelle scuole del primo ciclo, alle classi prime e terze del secondo ciclo, ogni dettaglio è curato con passione. L’assegnazione dei docenti alle classi, bilanciando le specifiche classi di concorso e i tipi di posto in organico, è un puzzle complesso che si compone con pazienza.

    In alcune scuole, il primo collegio docenti è già all’orizzonte, con gli ordini del giorno che prendono forma. Altre scuole, che hanno perso la loro autonomia, si dedicano agli ultimi adempimenti, un addio che lascia un vuoto e spesso porta lacrime agli occhi. Nonostante i legami deboli teorizzati da Karl E. Weick, l’appartenenza alla comunità scolastica crea un vincolo forte, che persiste anche dopo il pensionamento, o in questo caso dopo la perdita dell’autonomia.

    I collaboratori scolastici e gli assistenti tecnici non sono da meno. Pulire, organizzare e preparare le aule e i laboratori è un lavoro incessante, arricchito quest’anno dalla sfida di completare i nuovi ambienti di apprendimento e i nuovi laboratori, finanziati dal PNRR. Questo lavoro continuo, senza pause adeguate, ha un prezzo elevato: lo stress. Senza riposo, lo stress di lavoro correlato può trasformarsi in burn out, una condizione di esaurimento emotivo e fisico.

    Il lavoro nel settore educativo è noto per la sua intensità e le sue sfide. Il personale scolastico deve affrontare una pressione costante per soddisfare le esigenze educative degli studenti e mantenere elevati standard di qualità. Periodi di riposo adeguati e ferie sono essenziali non solo per il benessere individuale, ma anche per garantire l’efficacia del sistema educativo. Le ferie non sono un lusso, ma una necessità vitale, un balsamo per menti e cuori stanchi, che permette di ritornare rinnovati, pronti a ispirare e guidare nuove generazioni.

    Specifiche delle Ferie per le Diverse Categorie del Personale Scolastico

    Personale ATA – Il personale ATA ha diritto a 30 giorni di ferie annuali, che aumentano a 32 giorni dopo tre anni di servizio. Le ferie possono essere godute durante l’anno scolastico, con l’obbligo di fruire almeno 15 giorni consecutivi nel periodo estivo. Questo periodo di riposo è essenziale per consentire al personale di distaccarsi dalle pressioni quotidiane e ritornare al lavoro rigenerato. Inoltre, al personale ATA vengono riconosciute quattro giornate di riposo aggiuntive, conosciute come “festività soppresse” in base alla Legge n. 937/77.

    Insegnanti – Gli insegnanti a tempo indeterminato hanno diritto a 30 giorni di ferie per i primi tre anni di servizio e 32 giorni per gli anni successivi. Gli insegnanti a tempo determinato accumulano ferie proporzionalmente al servizio prestato. Questo periodo di riposo è cruciale per permettere agli insegnanti di ricaricare le energie, riflettere sulle pratiche didattiche e migliorare le proprie competenze professionali. Anche per gli insegnanti, sono previste quattro giornate di riposo aggiuntive come “festività soppresse”​.

    Dirigenti Scolastici – I dirigenti scolastici hanno diritto a 32 giorni di ferie se l’orario settimanale di lavoro è distribuito su sei giorni, e 30 giorni se l’orario è su cinque giorni. Le ferie devono essere pianificate in modo da garantire la continuità del servizio, coordinandosi con le esigenze generali della struttura scolastica. Inoltre, anche i dirigenti scolastici hanno diritto a quattro giornate di riposo aggiuntive come “festività soppresse”, che devono essere fruite entro l’anno solare.

    L’importanza delle “Festività Soppresse”

    Le quattro giornate di riposo aggiuntive, note come “festività soppresse”, derivano dalla Legge n. 937/77. Questi giorni rappresentano un ulteriore beneficio per il personale scolastico, garantendo momenti aggiuntivi di distacco dal lavoro. Questi giorni supplementari sono fondamentali per prevenire l’affaticamento cronico e il burn out, assicurando che il personale possa godere di un riposo adeguato e tornare al lavoro con maggiore vigore e motivazione​.

    Le ferie e i giorni di riposo aggiuntivi sono cruciali per il benessere del personale scolastico. Non solo permettono un recupero psicofisico, ma migliorano anche la produttività e la qualità del lavoro svolto. Riconoscere e rispettare questi diritti è essenziale per mantenere un ambiente educativo sano e sostenibile, prevenendo lo stress cronico e il burn out. Le politiche educative devono continuare a promuovere periodi di riposo adeguati a garantire il benessere di tutti i membri della comunità scolastica.

    L’Importanza delle Ferie e del Riposo dal punto di vista delle neuroscienze

    Le ferie non sono semplicemente una pausa dal lavoro, ma rappresentano un periodo fondamentale per il recupero fisico e mentale. Durante l’anno scolastico, il personale scolastico è sottoposto a stress costanti derivanti dalla gestione delle classi, dalla preparazione delle lezioni, dalle valutazioni e dalla necessità di rispondere alle diverse esigenze degli studenti. Questo continuo stato di tensione può portare a un affaticamento significativo e, senza adeguati periodi di riposo, aumentare il rischio di burn out.

    Dal punto di vista delle neuroscienze, il burn out è considerato una risposta patologica allo stress cronico sul lavoro. Si manifesta attraverso sintomi fisici come stanchezza permanente, insonnia, mal di testa e frequenti infezioni, e sintomi psicologici come ansia, irritabilità, isolamento emotivo e una sensazione di fallimento. Questi sintomi non solo riducono l’efficienza lavorativa, ma compromettono anche la qualità della vita personale.

    Il burn out è strettamente legato a condizioni come la depressione e l’ansia. Le persone affette da burn out tendono a sviluppare sintomi depressivi e ansiosi, che a loro volta possono aggravare la condizione. Questo ciclo negativo è spesso accompagnato da comportamenti maladattivi come l’abuso di sostanze, che peggiorano ulteriormente la situazione. Le neuroscienze suggeriscono che lo stress cronico altera la struttura e la funzione del cervello, compromettendo la capacità di regolare le emozioni e i processi cognitivi.

    Studi hanno dimostrato che un lavoro flessibile e un ambiente di supporto possono agire come fattori protettivi contro il burn out. Il supporto sociale sul posto di lavoro, come buone relazioni con superiori e colleghi, può aumentare la motivazione e la soddisfazione lavorativa, riducendo il rischio di esaurimento. D’altra parte, ambienti di lavoro abusivi o carichi di lavoro eccessivi aumentano significativamente il rischio di sviluppare burn out e altre malattie correlate allo stress.

    In sintesi, le ferie non sono solo un diritto, ma una necessità per il recupero psicofisico del personale scolastico. Garantire periodi regolari di riposo e creare un ambiente lavorativo supportivo sono essenziali per prevenire il burn out e promuovere il benessere generale, contribuendo così a mantenere un sistema educativo efficace e sostenibile.

    Burn Out e Rischi dell’Eccessivo Lavoro

    Il burn out nel settore educativo non è solo un problema individuale, ma ha anche implicazioni sistemiche. Gli insegnanti e i dirigenti che soffrono di burn out non solo vedono una diminuzione del proprio benessere, ma anche della qualità dell’insegnamento e della gestione scolastica. Questo può portare a un ciclo negativo dove l’aumento dello stress porta a una minore efficacia, che a sua volta aumenta lo stress.

    Sintomi del Burn Out:

    • Esaurimento Emotivo: Sensazione di essere emotivamente svuotati e incapaci di far fronte alle esigenze quotidiane.
    • Depersonalizzazione: Atteggiamenti negativi, cinici o distaccati verso gli studenti e i colleghi.
    • Ridotta Realizzazione Personale: Sensazione di non essere efficaci o di non riuscire a raggiungere gli obiettivi professionali.

    Rischi Associati:

    • Problemi di Salute Fisica e Mentale: Lo stress cronico può portare a problemi di salute come malattie cardiovascolari, disturbi del sonno, depressione e ansia.
    • Riduzione della Qualità dell’Insegnamento: Gli insegnanti affetti da burn out tendono a essere meno efficaci, il che influisce negativamente sull’apprendimento degli studenti.
    • Alto Turnover e Assenteismo: Il personale scolastico con burn out è più incline a prendere giorni di malattia e a lasciare la professione, aumentando i costi e la discontinuità per le istituzioni educative.

    Conclusione

    Amare la scuola e gli studenti significa, prima di tutto, amare e prendersi cura del personale scolastico, creando un ambiente lavorativo che offra tutti i comfort di una società civile. Sale professori ben attrezzate con spazi ricreativi, cucine per pranzare insieme, angoli per il tè o il caffè, divanetti, smart TV e biblioteche dedicate sono esempi di come le scuole del Nord Europa valorizzano il benessere del personale. Questi ambienti non solo offrono un luogo dove riposarsi, ma favoriscono anche le relazioni tra colleghi, creando una comunità scolastica più unita e motivata.

    Le scuole nordiche, come quelle in Finlandia e Danimarca, hanno implementato modelli educativi innovativi che comprendono spazi di apprendimento flessibili e ambienti familiari. Gli studenti chiamano gli insegnanti per nome, partecipano attivamente alle decisioni educative e beneficiano di un approccio interdisciplinare che integra diverse materie in modo organico e collaborativo. Le aule sono ampie, spesso con tappeti dove gli studenti possono sedersi a terra, promuovendo un ambiente rilassato e accogliente​​.

    Relazioni sane e un ambiente di lavoro positivo sono fondamentali per prevenire lo stress correlato al lavoro e il burn out. Un personale motivato e felice trasmette agli studenti un senso di benessere e sicurezza, migliorando l’intero clima scolastico. La prevenzione dello stress e la promozione del benessere passano anche attraverso politiche che riconoscono l’importanza delle ferie e del riposo, garantendo un equilibrio sano tra vita lavorativa e personale. Questo non solo migliora la salute fisica e mentale dei lavoratori, ma assicura anche una maggiore qualità dell’insegnamento e una gestione scolastica più efficiente.

    Il valore delle ferie e del riposo è quindi inestimabile. Creare spazi accoglienti e fornire opportunità di recupero non è un lusso, ma una necessità per un sistema educativo sostenibile e di successo. Le politiche educative devono abbracciare queste pratiche, imparando dai migliori modelli europei, per costruire scuole dove non solo gli studenti, ma anche il personale scolastico possa prosperare e sentirsi parte di una comunità che li valorizza e li sostiene ogni giorno. 

    Il silenzio dei cellulari

    Il silenzio dei cellulari

    Un nuovo inizio per le nostre aule

    di Bruno Lorenzo Castrovinci

    Nel frenetico mondo contemporaneo, dove gli schermi digitali permeano ogni aspetto della nostra vita, la scuola diventa il palcoscenico di un’educazione che deve confrontarsi con sfide inedite. I bambini entrano in classe non solo per apprendere nozioni, ma per intraprendere un viaggio che li formerà come individui, sviluppando le loro capacità cognitive e le soft skills che saranno fondamentali nel loro futuro. Tuttavia, una delle maggiori insidie che oggi si annidano tra i banchi è l’uso eccessivo dei cellulari e delle tecnologie digitali, che distraggono e impoveriscono il percorso educativo.

    Le neuroscienze ci insegnano che la neuroplasticità, ovvero la capacità del cervello di riorganizzarsi formando nuove connessioni neuronali, è essenziale per l’apprendimento. Questa plasticità richiede attenzione focalizzata e impegno attivo, condizioni che i dispositivi mobili spesso compromettono. La distrazione causata dai cellulari non solo limita l’impegno cognitivo, ma sovraccarica anche la memoria di lavoro, rendendo difficile per gli studenti elaborare e memorizzare informazioni in modo efficace.

    La scrittura a mano, al contrario, emerge come un potente alleato nello sviluppo cognitivo e emotivo. Scrivere attiva la corteccia prefrontale, stimola la coordinazione motoria fine e favorisce la produzione di mielina, migliorando così la trasmissione degli impulsi elettrici nel cervello. Questi processi non solo rafforzano le capacità cognitive e motorie, ma aiutano anche a gestire lo stress e ridurre i tic nervosi, che possono essere esacerbati dall’uso eccessivo dei dispositivi digitali. Promuovere la scrittura manuale nelle scuole non è solo una questione di tecnica educativa, ma un atto poetico che riscopre la profondità dell’esperienza umana. Si immagini una classe dove i bambini, con le mani strette attorno a penne e matite, tracciano le loro idee su fogli bianchi, riempiendoli di pensieri, emozioni e sogni. Ogni parola scritta diventa un filo d’oro che intreccia memoria e creatività, attenzione e riflessione, creando una tessitura complessa e ricca.

    La tenuta di un diario, per esempio, è un’attività che va oltre la semplice annotazione dei compiti. Scrivere un diario aiuta gli studenti a organizzare i pensieri, esprimere le emozioni e monitorare i progressi personali. Questo rituale quotidiano non solo migliora le capacità organizzative e cognitive, ma calma la mente, riduce lo stress e promuove un senso di realizzazione e autostima. Molti paesi stanno riconoscendo l’importanza di questa pratica e adottano politiche che limitano l’uso dei cellulari nelle scuole. Italia, Francia, Finlandia, Svezia, Paesi Bassi e molti altri stanno reintroducendo la scrittura manuale come elemento centrale dell’educazione. Queste politiche non sono semplici regolamenti, ma espressioni di una visione educativa che cerca di bilanciare il progresso tecnologico con le pratiche tradizionali che nutrono l’anima e la mente.

    Nel rapporto dell’UNESCO “Global Education Monitoring Report, 2023”, si evidenzia come la vicinanza dei telefoni cellulari possa interrompere significativamente la concentrazione degli studenti, richiedendo fino a 20 minuti per ritornare allo stato di attenzione precedente. La rimozione degli smartphone dalle scuole ha dimostrato di migliorare i risultati di apprendimento, creando un ambiente più armonioso e produttivo. Scrivere a mano diventa, dunque, un atto di resistenza contro l’effimero, un invito a rallentare e riflettere, a connettersi con se stessi e con il mondo in modo più profondo e significativo. Le politiche educative, che promuovono la scrittura manuale, riflettono un impegno globale per creare ambienti scolastici dove tecnologia e tradizione si fondono in un abbraccio armonioso, favorendo uno sviluppo cognitivo ed emotivo equilibrato. In questo equilibrio delicato, prepariamo le future generazioni a vivere pienamente, con mente lucida e cuore aperto, in un mondo che celebra tanto il progresso quanto la bellezza delle piccole cose.

    Riscoprire il potere della scrittura manuale nelle scuole è un atto di amore verso gli studenti, un gesto che permette loro di immergersi profondamente nell’apprendimento, sviluppando competenze che trascendono l’aula e arricchiscono tutta la vita. Nell’intraprendere questo cammino, le scuole non solo educano e formano, ma scolpiscono anime. Ogni lezione, ogni esercizio di scrittura, ogni riflessione annotata in un diario, costruisce un ponte tra il presente e il futuro, tra il sapere e l’essere. La scrittura manuale diventa così un mezzo per coltivare l’attenzione, la disciplina e la creatività, qualità essenziali in un mondo dove le distrazioni sono ovunque. Le storie che gli studenti scrivono su carta diventano parte di una narrazione più ampia, un racconto collettivo che si intreccia con la storia della nostra civiltà. Ogni parola, ogni frase, ogni pagina scritta a mano aggiunge un nuovo capitolo a questo racconto, un capitolo che celebra la resilienza, l’ingegno e l’umanità. In un mondo sempre più digitale, questi capitoli scritti a mano ricordano che il progresso tecnologico non deve necessariamente allontanarci dalla nostra essenza umana, ma può invece coesistere con essa in un equilibrio armonioso.

    L’atto di scrivere a mano favorisce una connessione più profonda con i propri pensieri e sentimenti. Quando gli studenti prendono in mano una penna, entrano in un dialogo intimo con se stessi. Questo dialogo non solo migliora le loro capacità di auto-riflessione e auto-regolazione, ma rafforza anche la loro capacità di empatia e comprensione verso gli altri. La scrittura diventa un viaggio interiore, un processo di scoperta e crescita personale che li aiuta a navigare le complessità del mondo moderno. Inoltre, la scrittura manuale promuove una cultura del rispetto e della considerazione. Quando gli studenti scrivono a mano, imparano a rispettare il ritmo naturale del pensiero e della parola, sviluppando una maggiore consapevolezza delle proprie idee e di quelle altrui. Questo rispetto si traduce anche in un maggiore apprezzamento per il lavoro degli insegnanti, che vedono nei loro studenti un impegno autentico e una partecipazione attiva.

    Le politiche educative che limitano l’uso dei cellulari e promuovono la scrittura manuale riflettono una visione lungimirante, riconoscendo che il vero progresso si misura non solo in termini di innovazione tecnologica, ma anche nella capacità di mantenere viva la nostra umanità. Creare spazi di apprendimento, dove gli studenti possono concentrarsi, riflettere e scrivere a mano, significa coltivare menti che sono non solo informate, ma anche profondamente consapevoli e resilienti. In questi spazi di apprendimento, la scrittura a mano diventa un rituale che celebra la lentezza e la profondità, in contrasto con la velocità e la superficialità della vita digitale. È un ritorno alle radici dell’apprendimento, dove il sapere non è solo accumulo di informazioni, ma trasformazione interiore. Questo ritorno alle origini permette agli studenti di scoprire il piacere della scrittura, di sentirsi parte di una tradizione millenaria che ha sempre valorizzato la parola scritta come strumento di conoscenza e libertà.

    Le esperienze educative che incorporano la scrittura manuale dimostrano che, nonostante le sfide dell’era digitale, esiste un modo per integrare il meglio di entrambi i mondi. La tecnologia può essere un supporto prezioso, ma è attraverso la scrittura a mano che gli studenti apprendono a dare forma ai loro pensieri, a riflettere criticamente e a esprimere se stessi in modo autentico. Nel futuro dell’educazione, immagino aule piene di studenti che scrivono a mano, che tengono diari e annotano i loro compiti con cura e dedizione. Queste pratiche, che possono sembrare semplici e tradizionali, hanno il potere di trasformare profondamente l’esperienza educativa, rendendola più significativa e completa.

    La scrittura manuale e le altre buone pratiche educative tradizionali, non sono solo abilità da preservare, ma un valore da celebrare. In un mondo in cui la tecnologia rischia di soppiantare le esperienze umane più autentiche, esserappresentano un baluardo di autenticità e profondità. È un modo per ricordare agli studenti che, mentre abbracciamo le innovazioni del futuro, dobbiamo anche preservare e valorizzare le tradizioni che hanno forgiato la nostra civiltà. 

    Limitare l’uso dei cellulari nelle scuole è un atto di visione e speranza, da sostenere con nuovi investimenti per creare ambienti di apprendimento dove tecnologia e tradizione si fondano in un’armonia perfetta. Un equilibrio che nutre lo sviluppo cognitivo ed emotivo, preparando le future generazioni a vivere pienamente, con mente lucida e cuore aperto, in un mondo che celebra il progresso e la bellezza delle piccole cose.

    Utilizzazioni e Assegnazioni Provvisorie

    Utilizzazioni e Assegnazioni Provvisorie: strumenti per migliorare la Scuola italiana

    di Bruno Lorenzo Castrovinci

    Il periodo delle utilizzazioni e assegnazioni provvisorie rappresenta attualmente un’opportunità significativa nel mondo della scuola per ottimizzare le risorse organiche e migliorare la qualità della vita degli insegnanti. Questi provvedimenti, validi per un solo anno scolastico, rispondono alle esigenze di molti docenti che affrontano difficoltà lavorative a causa di motivi familiari, personali o per le riduzioni degli organici dovute al calo delle nascite e conseguentemente a un minor numero di iscrizioni.

    Possono però diventare rivedendo gli accordi pattizi, degli strumenti potenti, per consentire al personale di poter vivere un’esperienza in una scuola diversa, e in questo modo crescere sia dal punto di vista umano che professionale.

    Dopotutto, il calo demografico non è l’unico fattore che contribuisce alle mancate iscrizioni causa del personale in sovrannumero. Un fenomeno preoccupante è il “Soldiering”, che si manifesta quando il personale scolastico, scoraggiato e demotivato, tende a ridurre l’impegno lavorativo. Questo porta a un’offerta formativa povera di contenuti, poco attraente per studenti e famiglie.

    Il Soldiering

    Il “Soldiering” è un’ombra preoccupante che si allunga nei corridoi: quando il personale scolastico, demotivato, riduce il proprio impegno, l’offerta formativa perde il suo splendore, divenendo meno attraente per studenti e famiglie.

    Esso nella scuola è un fenomeno di demotivazione degli insegnanti che, sentendosi poco valorizzati e sovraccarichi, riducono il loro impegno. Questo stato di apatia può avere gravi conseguenze sull’ambiente educativo, rendendo meno attraente l’offerta formativa per studenti e famiglie. Gli insegnanti si trovano spesso a dover affrontare un carico eccessivo di compiti burocratici, con poco tempo ed energia per la preparazione delle lezioni. La mancanza di riconoscimento professionale e di opportunità di crescita contribuisce a un senso di inutilità e demotivazione.

    In un ambiente di lavoro stressante, caratterizzato da scarsa collaborazione tra colleghi e poca comunicazione con la dirigenza scolastica, il soldiering trova terreno fertile. A ciò si aggiungono problemi strutturali come edifici scolastici mal tenuti e mancanza di risorse didattiche, che fanno sentire gli insegnanti poco supportati. Anche i problemi di disciplina, bullismo, cyberbullismo e mancanza di rispetto da parte degli studenti possono demotivare ulteriormente gli insegnanti, riducendo il loro impegno e la qualità dell’insegnamento.

    A causa di questo fenomeno, alcune scuole faticano a competere con altri istituti sul territorio, ambienti di apprendimento poco curati e mancanza di motivazione portano all’assenza dell’innovazione didattica, il che compromette la qualità dell’offerta formativa. Problemi come bullismo, cyberbullismo e classi turbolente possono aggravare ulteriormente la situazione, scoraggiando l’arrivo di nuovi insegnanti motivati, e le nuove iscrizioni anche quando la scuola offre indirizzi di studio di interesse per gli studenti.

    Le utilizzazioni e assegnazioni provvisorie, pertanto, non solo rispondono alle esigenze immediate degli insegnanti, ma rappresentano anche una possibilità per le scuole di affrontare criticità interne, migliorare l’ambiente scolastico e incrementare la propria attrattività. Queste misure possono contribuire a creare un clima educativo più sereno e stimolante, che incentivi la partecipazione attiva di studenti e famiglie e favorisca il miglioramento complessivo della qualità dell’istruzione.

    Utilizzazioni

    Le utilizzazioni nella scuola italiana sono misure che permettono di redistribuire il personale docente in situazioni specifiche all’interno della stessa provincia. A differenza delle assegnazioni provvisorie, che possono avvenire anche tra province diverse e per motivi personali, le utilizzazioni sono principalmente motivate da esigenze di organico scolastico e possono riguardare diverse classi di concorso o tipologie di posto.

    Le utilizzazioni possono riguardare docenti che si trovano in situazioni di esubero, soprannumero o senza sede definitiva. Possono essere utilizzati su classi di concorso diverse da quelle di titolarità, purché in possesso delle abilitazioni necessarie. Ad esempio, un docente che è abilitato per più classi di concorso può essere utilizzato per insegnare una disciplina diversa da quella della sua titolarità originale, se questa è necessaria in una scuola della provincia​.

    I criteri per l’accesso alle utilizzazioni riflettono la necessità di gestire efficacemente il personale scolastico in risposta a situazioni di eccedenza, soprannumerarietà e assenza di sede definitiva. Gli insegnanti appartenenti a classi di concorso in esubero possono essere assegnati a classi diverse o a posti di sostegno, anche senza la specializzazione necessaria, purché vengano tutelati i posti per i supplenti specializzati. Allo stesso modo, i docenti dichiarati soprannumerari nella loro scuola di titolarità vengono redistribuiti in altre sedi, garantendo una gestione efficiente delle risorse umane.

    Le motivazioni che guidano le utilizzazioni sono molteplici e mirano a risolvere problemi specifici del sistema scolastico. La gestione dell’esubero permette di evitare situazioni di surplus di personale, utilizzando docenti in classi di concorso alternative o su posti di sostegno. La soprannumerarietà, spesso causata da riduzioni di organico, trova soluzione nella redistribuzione temporanea degli insegnanti in altre sedi dove c’è necessità. Per i docenti senza una sede definitiva, le utilizzazioni offrono una collocazione provvisoria, assicurando continuità lavorativa fino a quando non si trova una soluzione stabile.

    Un altro aspetto cruciale è la multidisciplinarietà: i docenti con abilitazioni per più classi di concorso possono essere impiegati per insegnare discipline diverse, rispondendo così alle specifiche esigenze delle scuole. Questo approccio flessibile consente di ottimizzare le risorse disponibili, garantendo che ogni insegnante possa contribuire al meglio in base alle proprie competenze e qualifiche.

    Le utilizzazioni, quindi, non solo risolvono problemi immediati di eccedenza e soprannumerarietà, ma promuovono anche un utilizzo più dinamico e adattabile del personale docente, migliorando l’efficienza e la qualità dell’istruzione offerta agli studenti.

    Assegnazioni Provvisorie

    Le assegnazioni provvisorie, invece, consentono ai docenti di essere trasferiti temporaneamente per un anno scolastico in un’altra sede, spesso in una provincia diversa, per motivi personali come il ricongiungimento familiare o problemi di salute. Questi trasferimenti sono volti a soddisfare esigenze familiari o di salute e contribuiscono a migliorare il benessere del personale scolastico​​.

    Uno dei principali vantaggi delle assegnazioni provvisorie è la possibilità di ricongiungimento familiare. Molti docenti richiedono questa forma di assegnazione per avvicinarsi ai propri familiari, riducendo i disagi legati alla distanza e migliorando la qualità della vita. Questo è particolarmente rilevante per coloro che devono affrontare lunghi tragitti quotidiani o vivere in condizioni logistiche difficili, come nel caso dei docenti delle isole minori o delle regioni meridionali prive di infrastrutture adeguate.

    Le assegnazioni provvisorie sono spesso richieste anche per motivi di salute, sia personale che dei familiari, garantendo così la vicinanza a strutture sanitarie adeguate e l’assistenza necessaria ai familiari in difficoltà. Un’altra motivazione comune è la cura dei figli minori, permettendo ai genitori di essere più presenti nella vita dei figli e facilitando la gestione familiare.

    La Legge 104/1992 tutela i lavoratori che assistono familiari con disabilità, permettendo loro di richiedere assegnazioni provvisorie per garantire una maggiore vicinanza e supporto. Inoltre, alcuni docenti possono richiedere tali assegnazioni per motivi legati alla mobilità interna tra province diverse, spesso per condizioni di lavoro particolari o esigenze familiari temporanee.

    Nonostante i benefici, esistono anche criticità significative. La complessità delle procedure per la presentazione delle domande può causare disagi sia ai docenti che all’amministrazione scolastica. Frequenti spostamenti dei docenti possono creare instabilità didattica, influenzando negativamente la continuità dell’insegnamento e il rapporto tra insegnanti e studenti. Inoltre, le richieste di assegnazione provvisoria possono causare squilibri geografici, con carenze croniche di personale qualificato in alcune aree, soprattutto quelle più remote o meno attrattive.

    Utilizzazione e assegnazione provvisoria per l’A.S. 2024-25

    Per l’anno scolastico 2024-2025, le procedure di utilizzazione e assegnazione provvisoria per il personale docente, educativo e ATA sono regolate dal Contratto Collettivo Nazionale Integrativo (CCNI) firmato l’8 luglio 2020, con validità prorogata grazie a un’Intesa sottoscritta il 27 giugno 2024. Le date di presentazione delle domande sono fissate come segue: per il personale ATA dall’8 al 19 luglio, e per i docenti,personale educativo e IRC dall’11 al 24 luglio 2024. Le modalità di presentazione rimangono invariate rispetto agli anni precedenti: online tramite il portale Istanze OnLine per i docenti a tempo indeterminato, e in modalità cartacea per i docenti a tempo determinato, il personale educativo e ATA.

    Tra le novità più rilevanti introdotte dall’Intesa per il 2024-2025 figurano deroghe al blocco legislativo, specifiche tutele per le lavoratrici vittime di violenza e nuove possibilità per i docenti assunti con procedura straordinaria. In particolare, i docenti assunti a tempo determinato nell’A.S. 2023/2024 e dichiarati soprannumerari potranno presentare domanda di assegnazione provvisoria interprovinciale. Inoltre, sono previste tutele specifiche per le lavoratrici vittime di violenza, inserite in percorsi di protezione. I docenti entrati in ruolo nel 2023/2024 dalla prima fascia GPS sostegno potranno fare domanda di assegnazione provvisoria interprovinciale. Per tutto il personale docente, educativo e ATA, l’assegnazione provvisoria può essere richiesta per il ricongiungimento a coniuge, parte dell’unione civile, convivente, parenti o affini, purché la stabilità della convivenza sia certificata. Il ricongiungimento al genitore o al figlio non richiede ulteriore certificazione di convivenza.

    Per quanto riguarda le modalità e i requisiti specifici, i docenti possono chiedere assegnazione provvisoria per il ricongiungimento familiare, gravi motivi di salute o altre esigenze specifiche, indicando fino a 20 preferenze per l’infanzia e primaria e fino a 15 per la secondaria. Il personale educativo e ATA può fare domanda per utilizzazione in altra sede o per assegnazione provvisoria in altra istituzione educativa, con preferenze analoghe a quelle dei docenti.

    Riflessioni per un miglioramento

    Le utilizzazioni e assegnazioni provvisorie rappresentano strumenti essenziali per la gestione dinamica dell’organico scolastico, offrendo flessibilità e soddisfazione al personale, ottimizzando le risorse e migliorando la qualità dell’insegnamento. Tuttavia, per massimizzare i benefici e minimizzare le criticità, è necessaria un’attenta pianificazione che garantisca un’equa distribuzione del personale qualificato su tutto il territorio nazionale.

    Un miglioramento significativo potrebbe essere l’estensione di queste opportunità anche al personale dirigenziale. Permettere ai dirigenti scolastici di usufruire delle assegnazioni provvisorie risolverebbe molte criticità, migliorando ulteriormente la gestione delle risorse umane all’interno delle scuole.

    Inoltre, sarebbe interessante introdurre la possibilità di mobilità temporanea non solo per le motivazioni attualmente previste, ma anche per consentire al personale di vivere un anno in una scuola diversa sul territorio nazionale. Questa esperienza potrebbe rappresentare un’opportunità di crescita umana e professionale, permettendo ai docenti di insegnare e apprendere tra pari, in contesti differenti. Un docente di una città del sud, per esempio, potrebbe insegnare in un’altra regione che considera utile per la sua autoformazione; in questo modo sfruttando il peer learning, e un nuovo ambiente nuovo e stimolante, accrescerà la sua motivazione e le sue competenze professionali. Questa mobilità temporanea contribuirebbe inoltre a ridurre i divari territoriali, favorendo lo scambio di buone pratiche e l’arricchimento reciproco tra scuole di diverse aree e regioni del paese.

    Anche un dirigente scolastico potrebbe chiedere di essere assegnato temporaneamente in una scuola fuori regione, in un nuovo contesto stimolante e innovativo che valorizzi e faccia crescere le sue potenzialità.

    In conclusione, le utilizzazioni e assegnazioni provvisorie sono fondamentali per la gestione dell’organico scolastico in Italia. Nonostante le criticità, offrono importanti benefici in termini di flessibilità, soddisfazione del personale e ottimizzazione delle risorse. Una gestione equilibrata e attenta di questi meccanismi è cruciale per mantenere un sistema educativo efficace e reattivo alle esigenze delle scuole e del personale. L’estensione delle opportunità di mobilità anche al personale dirigente e la possibilità di mobilità temporanea per tutti i docenti rappresentano passi importanti verso un sistema scolastico più dinamico, innovativo e inclusivo.

    Sinapsi d’Estate

    Sinapsi d’Estate

    La Scienza del Divertimento Intelligente

    di Bruno Lorenzo Castrovinci

    Tempo di vacanze, tempo di estate, tempo in cui le lezioni a scuola sono finite e finalmente si è liberi per dedicarsi ad attività rimandate a causa degli impegni scolastici. Estate quindi, sole, luce, con un benessere diffuso che riporta il sorriso per le strade, in un tempo da vivere e raccontare, con mille avventure che ci aspettano ogni giorno.

    L’estate è una tela bianca, pronta per essere dipinta con i colori della nostra libertà e creatività. È il momento in cui il sole splende alto nel cielo, invitandoci a esplorare, a scoprire, a vivere ogni istante con intensità. Ogni giorno è un nuovo capitolo di una storia straordinaria, fatta di piccoli e grandi momenti che ci arricchiscono e ci trasformano.

    Immaginiamo di svegliarci con il canto degli uccelli e il profumo dell’aria fresca del mattino, pronti a immergerci in attività che accendono la nostra passione. Che sia costruire un modellino, leggere un libro avvincente, o semplicemente passeggiare nella natura, ogni esperienza estiva diventa un’avventura da ricordare. La luce del sole illumina non solo i nostri giorni, ma anche i nostri pensieri, rendendo ogni momento un’opportunità per crescere e imparare.

    La magia dell’estate sta nel suo potere di trasformare il quotidiano in straordinario. Ogni sorriso condiviso, ogni risata con gli amici, ogni nuova scoperta, diventa parte di un viaggio che ci arricchisce l’anima. È un tempo di connessione, di ritrovo con sé stessi e con gli altri, dove le giornate si allungano e le notti stellate ci invitano a sognare e a riflettere.

    L’estate è un elisir per la mente e lo spirito, un tempo per riscoprire la gioia del vivere senza fretta, per ascoltare il proprio cuore e seguire le proprie passioni. È il momento perfetto per abbracciare nuove sfide, per esplorare orizzonti sconosciuti e per lasciarsi ispirare dalle meraviglie che ci circondano. Ogni attività, ogni esperienza, diventa un tassello di un mosaico unico, che costruisce la persona che siamo e che saremo.

    Le neuroscienze ci svelano che il cervello, in questa fase di vita, è come un terreno fertile pronto ad accogliere semi di conoscenza. La teoria delle intelligenze multiple ci guida verso un mondo in cui ogni attività diventa una tessera del mosaico delle nostre capacità. Ogni progetto di bricolage o modellismo è un’opera d’arte che insegna pazienza e precisione, trasformando ogni errore in un’opportunità di apprendimento.

    La pedagogia moderna e la metacognizione ci invitano a riflettere su queste esperienze, a fare tesoro di ogni lezione appresa fuori dai banchi di scuola. È un viaggio interiore che porta alla scoperta di sé, alla consapevolezza delle proprie strategie di apprendimento e al piacere di vedere il mondo come un’aula senza pareti. L’apprendimento informale e non formale si fondono con il valore delle vacanze stesse, dimostrando che il divertimento può essere il miglior maestro. Le attività relazionali, il making e il tinkering diventano strumenti magici che trasformano la curiosità in conoscenza, l’interazione in empatia, e il gioco in competenza.

    Lasciamoci travolgere dall’entusiasmo, viviamo ogni giorno come un’avventura irripetibile, e trasformiamo questa estate in un viaggio indimenticabile di crescita e felicità. Che sia sotto il sole cocente, tra le onde del mare, o sotto le stelle di una notte d’estate, abbracciamo ogni momento con passione e gratitudine, e facciamo sì che questa stagione dorata diventi uno dei capitoli più belli del racconto della nostra vita.

    Neuroscienze e Sviluppo Cognitivo

    Le neuroscienze ci insegnano che il cervello è altamente plastico, specialmente durante l’infanzia e l’adolescenza. Durante questi periodi, il cervello è particolarmente ricettivo ai cambiamenti e alle nuove esperienze, rendendo l’apprendimento e lo sviluppo di nuove competenze più efficaci. Le esperienze estive stimolanti, come la pesca, il bricolage e il modellismo, offrono opportunità uniche per migliorare le capacità cognitive. Queste attività richiedono una coordinazione occhio-mano e un problem solving che possono rafforzare le connessioni neuronali e migliorare la concentrazione.

    La plasticità neurale, ovvero la capacità del cervello di modificare la sua struttura e funzione in risposta all’esperienza, è massima durante l’infanzia e l’adolescenza. Le attività estive sono ideali per sfruttare questa plasticità al massimo, permettendo ai giovani di sviluppare nuove competenze in modo divertente e coinvolgente. Ad esempio, la pesca non solo insegna pazienza e perseveranza, ma richiede anche una buona coordinazione e attenzione ai dettagli. Allo stesso modo, il bricolage e il modellismo stimolano la creatività e il pensiero critico, poiché i ragazzi devono risolvere problemi pratici e trovare soluzioni innovative.

    Il problem solving è una competenza cruciale che può essere notevolmente migliorata attraverso attività estive stimolanti. Il bricolage e il modellismo spesso implicano la risoluzione di problemi pratici, come trovare il modo migliore per costruire un modello o riparare un oggetto. Questo tipo di attività incoraggia il thinkering, ovvero un approccio pratico e sperimentale alla risoluzione dei problemi, che favorisce il pensiero critico e la capacità di affrontare e risolvere problemi in modo creativo.

    L’apprendimento attivo e l’esercizio fisico durante le esperienze estive migliorano la densità delle sinapsi, la neurogenesi (la formazione di nuovi neuroni) e la connettività tra diverse aree del cervello. Le neuroscienze hanno dimostrato che queste attività non solo migliorano la capacità di apprendimento e memoria, ma possono anche contribuire a una maggiore resilienza cognitiva. Ad esempio, attività come lo sport non solo migliorano la salute fisica, ma anche la coordinazione motoria e la capacità di lavorare in squadra. La lettura e la scrittura creativa, invece, stimolano l’immaginazione, arricchiscono il vocabolario e migliorano le capacità di comprensione e comunicazione.

    Le esperienze estive fuori dall’ambiente scolastico tradizionale offrono opportunità uniche di stimolare la plasticità neurale in modi diversi. Queste attività permettono ai giovani di sviluppare abilità motorie fini e la capacità di manipolare oggetti con precisione, competenze che sono essenziali non solo per le attività manuali, ma anche per molte altre sfere della vita quotidiana. Attività come il bricolage e il modellismo, che richiedono precisione e destrezza, sono particolarmente efficaci nel migliorare queste abilità. Inoltre, queste attività migliorano la capacità di risolvere problemi pratici e incoraggiano il pensiero critico attraverso il thinkering, promuovendo un approccio sperimentale e creativo alla risoluzione dei problemi.

    In sintesi, le esperienze estive stimolanti sono fondamentali per il potenziamento cognitivo dei giovani. Offrono un’opportunità unica di sfruttare la plasticità neurale per sviluppare nuove competenze e migliorare la capacità di apprendimento e memoria. Attività come la pesca, il bricolage, il modellismo, la lettura, la scrittura creativa, i giochi di strategia e lo sport sono solo alcuni esempi di come le esperienze estive possono contribuire a una crescita cognitiva e personale significativa.

    Teoria delle Intelligenze Multiple

    Secondo Howard Gardner, esistono diverse forme di intelligenza, tra cui quella logico-matematica, linguistica, spaziale, musicale, corporeo-cinestetica, interpersonale e intrapersonale. Un’estate diversificata che includa attività come la lettura (intelligenza linguistica), il bricolage (intelligenza spaziale e corporeo-cinestetica), e le attività relazionali (intelligenza interpersonale) può aiutare a sviluppare un profilo cognitivo più equilibrato e completo.

    Pedagogia e Metacognizione

    La pedagogia moderna pone l’accento sull’apprendimento esperienziale e metacognitivo, incoraggiando gli studenti a riflettere sul proprio processo di apprendimento. Le attività estive offrono opportunità per questa riflessione, stimolando una maggiore consapevolezza delle strategie cognitive. Riflettere su ciò che si è appreso e come lo si è appreso aiuta a sviluppare un apprendimento più autonomo ed efficace. Le attività esperienziali, come i laboratori di bricolage, la lettura, o i giochi di strategia, non solo insegnano nuove competenze ma promuovono anche la metacognizione, migliorando la capacità di pianificare, monitorare e valutare il proprio apprendimento. Questo approccio rende gli studenti più consapevoli dei loro punti di forza e delle aree da migliorare, incentivando una crescita personale continua.

    Apprendimento Informale e Non Formale

    L’apprendimento non si verifica solo in contesti formali come la scuola. Le esperienze informali, come la visione di serie TV o il gioco ai videogiochi, possono anch’esse contribuire allo sviluppo cognitivo. Le serie TV ben scritte possono migliorare le competenze linguistiche e critiche, grazie alla complessità della trama e alla ricchezza del dialogo. Guardare serie in lingua straniera può potenziare le capacità linguistiche e la comprensione culturale. I videogiochi, invece, possono sviluppare abilità di problem solving, poiché spesso richiedono di risolvere enigmi o superare ostacoli attraverso strategie creative. Inoltre, migliorano la coordinazione occhio-mano e le capacità di reazione rapida. Alcuni giochi educativi possono insegnare storia, matematica o scienze in modo interattivo, rendendo l’apprendimento divertente e coinvolgente. Anche i giochi multiplayer online promuovono competenze sociali e di collaborazione, poiché i giocatori devono comunicare e lavorare insieme per raggiungere obiettivi comuni. Queste esperienze informali ampliano il campo di apprendimento, integrando le conoscenze acquisite in contesti più tradizionali.

    Il Valore delle Vacanze

    Le vacanze offrono l’opportunità di rilassarsi e ricaricarsi, elementi essenziali per il benessere mentale e fisico. Tuttavia, un equilibrio tra riposo e attività stimolanti è cruciale. Le neuroscienze suggeriscono che periodi di riposo attivo, che coinvolgono attività leggere ma stimolanti, possono migliorare la memoria e la capacità di apprendimento.

    Attività Specifiche

    • Lettura: Stimola la mente, arricchisce il vocabolario e migliora le capacità di comprensione e concentrazione.
    • Serie TV e Film: Possono sviluppare competenze linguistiche e critiche, oltre a fornire spunti di riflessione culturale e sociale.
    • Videogiochi: Migliorano la coordinazione, il problem solving e possono anche essere utilizzati per l’apprendimento di concetti specifici.
    • Bricolage e Modellismo: Favoriscono la coordinazione occhio-mano, il pensiero logico e la creatività.
    • Making e Tinkering: Promuovono l’innovazione, il pensiero critico e le competenze pratiche.
    • Attività Relazionali: Migliorano le competenze sociali e interpersonali, essenziali per lo sviluppo emotivo e cognitivo.

    Regressione Cognitiva degli Studenti

    Uno degli aspetti negativi delle lunghe pause estive è la regressione cognitiva, o il “summer slide”, un fenomeno in cui gli studenti tendono a perdere parte delle conoscenze acquisite durante l’anno scolastico. Studi hanno dimostrato che gli studenti possono perdere fino al 20-30% delle competenze in lettura e matematica durante l’estate. Integrare attività educative e stimolanti nel periodo estivo può mitigare questo fenomeno, mantenendo la mente attiva e preparata per il nuovo anno scolastico.

    In conclusione, un’estate ben strutturata, ricca di esperienze diverse e stimolanti, può trasformarsi in un periodo di crescita e sviluppo, riducendo il rischio di regressione cognitiva e preparando gli studenti per successi futuri.