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Il metodo EAS

Il metodo EAS: un approccio didattico innovativo

di Bruno Lorenzo Castrovinci

Il metodo EAS (Episodi di Apprendimento Situato) rappresenta un approccio didattico che unisce innovazione e concretezza, integrando le teorie costruttiviste con le esigenze di un’educazione in continua evoluzione. Ideato da Pier Cesare Rivoltella, questo modello didattico si basa su una struttura tripartita che comprende le fasi di preparazione, svolgimento e ristrutturazione. L’obiettivo principale non è solo stimolare l’attività cognitiva degli studenti, ma anche coinvolgerli emotivamente, rendendo l’apprendimento un’esperienza autentica e significativa.

L’EAS si distingue per la sua flessibilità e capacità di adattarsi a diversi contesti educativi, diventando un ponte tra i principi della pedagogia tradizionale e le opportunità offerte dall’educazione contemporanea. Grazie alla sua natura inclusiva e personalizzabile, il metodo è in grado di rispondere alle esigenze specifiche di ogni studente, favorendo una didattica che non solo trasmette contenuti, ma costruisce competenze.

Uno degli aspetti più significativi dell’EAS è il suo focus sulla dimensione collaborativa. Integrando modelli di cooperative learning e collaborative learning, questo metodo promuove un ambiente di apprendimento partecipativo, in cui gli studenti non sono spettatori passivi, ma attori principali del processo formativo. Lavorare insieme per risolvere problemi e raggiungere obiettivi comuni non solo rafforza le competenze sociali, ma prepara i giovani alle dinamiche del mondo del lavoro, sempre più orientato alla cooperazione e alla condivisione delle conoscenze.

Inoltre, il metodo EAS sfrutta appieno il potenziale delle nuove tecnologie. L’utilizzo di strumenti digitali, come piattaforme educative interattive, applicativi di intelligenza artificiale, realtà aumentata e virtuale, amplia le possibilità formative e rende le attività più coinvolgenti. Queste tecnologie non solo catturano l’attenzione degli studenti, ma favoriscono anche lo sviluppo di autonomia e spirito critico, trasformando l’apprendimento in un’esperienza interattiva e immersiva.

La struttura del metodo EAS: preparazione, svolgimento e ristrutturazione

La fase di preparazione è fondamentale per catturare l’attenzione degli studenti e creare un contesto emotivamente e cognitivamente stimolante. Non si tratta di una semplice introduzione all’argomento, ma di una vera e propria costruzione di curiosità. Ad esempio, un docente potrebbe utilizzare un video storico che rappresenti la Presa della Bastiglia non solo per spiegare i fatti, ma per suscitare domande sul significato della rivoluzione. Questo approccio stimola una riflessione iniziale, preparando gli studenti ad approfondire le cause e le conseguenze di un evento storico.

Durante il svolgimento, il cuore del processo di apprendimento, gli studenti sono chiamati a confrontarsi con compiti autentici che richiedono ricerca, analisi e applicazione pratica delle conoscenze. Ad esempio, in una lezione di scienze, un problema ambientale simulato diventa il punto di partenza per sviluppare soluzioni basate su dati reali. Questo approccio non solo consolida le conoscenze acquisite, ma sviluppa competenze trasversali come il problem solving e la creatività.

La fase di ristrutturazione rappresenta il momento della sintesi e della riflessione. Qui gli studenti, guidati dal docente, analizzano non solo i risultati raggiunti, ma anche i processi che li hanno condotti a quei risultati. Ad esempio, dopo aver lavorato a un progetto di storytelling digitale, discutere insieme le scelte narrative fatte aiuta a comprendere il potere delle storie come mezzo di comunicazione e ad approfondire i legami tra teoria e pratica.

Un metodo adatto a ogni età: applicazioni pratiche

L’EAS si presta a contesti educativi diversi, adattandosi alle esigenze specifiche degli studenti di ogni età. Nella scuola primaria, un esempio significativo è la gestione di un mini-orto, dove i bambini osservano direttamente il ciclo vitale delle piante, documentano le trasformazioni quotidiane e riflettono sull’importanza dell’ambiente. Questa attività non solo trasmette conoscenze scientifiche, ma promuove un approccio responsabile e stimola la capacità di osservazione critica. I giovani studenti, infatti, imparano facendo, sviluppando il senso di cura e attenzione verso il mondo naturale.

Nella scuola secondaria di primo grado, il metodo EAS può essere utilizzato per affrontare temi complessi in maniera dinamica. Una simulazione, ad esempio, in cui si discute il comportamento di un personaggio letterario come Renzo Tramaglino dei Promessi Sposi, consente agli studenti di sviluppare competenze argomentative e critiche. Questa attività li invita a prendere posizione, analizzare le azioni dei personaggi e discutere le loro motivazioni, favorendo un pensiero autonomo e collaborativo. Il contesto di gruppo, inoltre, potenzia le abilità relazionali e incoraggia la condivisione di punti di vista diversi.

Per gli studenti della scuola secondaria di secondo grado, l’EAS si rivela particolarmente efficace per affrontare problemi reali e complessi. In scienze naturali, ad esempio, una simulazione che prevede l’analisi delle conseguenze di un disastro naturale invita gli studenti a proporre soluzioni innovative basate su dati concreti. Questo tipo di attività combina ricerca scientifica e creatività, fornendo competenze pratiche utili anche al di fuori dell’aula. In lingue straniere, pianificare un viaggio internazionale diventa un’occasione per applicare conoscenze linguistiche in situazioni autentiche, come la gestione di prenotazioni o la comunicazione interculturale, trasformando l’apprendimento in una competenza concreta e spendibile.

Buone pratiche nella realizzazione degli EAS

La realizzazione efficace degli EAS si basa su alcune buone pratiche che valorizzano il coinvolgimento degli studenti e la coerenza delle attività con gli obiettivi formativi. Prima di tutto, è fondamentale utilizzare stimoli iniziali che catturino l’attenzione e incuriosiscano gli studenti. Ad esempio, un video o un’immagine significativa può essere il punto di partenza per suscitare domande e riflessioni che guidano l’apprendimento.

Un altro elemento chiave è la progettazione di compiti autentici che abbiano un significato concreto per gli studenti. Ad esempio, una classe potrebbe sviluppare una campagna di sensibilizzazione ambientale, basata sull’analisi di dati reali, favorendo non solo l’apprendimento di contenuti disciplinari, ma anche lo sviluppo di competenze trasversali come la comunicazione e il problem solving. Questi compiti devono essere strettamente collegati alla realtà e agli interessi degli studenti, in modo da renderli protagonisti attivi.

La collaborazione è un’altra pratica essenziale: organizzare attività di gruppo permette agli studenti di confrontarsi, condividere idee e costruire conoscenze in modo collettivo. Ad esempio, durante una lezione di letteratura, gli studenti possono analizzare un testo e lavorare insieme per elaborare una rappresentazione teatrale che ne evidenzi i temi principali.

Il feedback, sia da parte dei pari che del docente, è indispensabile per migliorare continuamente il processo di apprendimento. Una revisione collettiva dei lavori, accompagnata da suggerimenti costruttivi, aiuta gli studenti a riflettere su ciò che hanno appreso e a individuare aree di miglioramento. Questa pratica consolida anche il senso critico e l’empatia, poiché gli studenti imparano a valutare e a rispettare le opinioni altrui.

Infine, la metacognizione gioca un ruolo cruciale nella chiusura del ciclo di apprendimento. Guidare gli studenti a riflettere su ciò che hanno appreso, sulle strategie adottate e sui risultati ottenuti permette loro di diventare più consapevoli del proprio percorso formativo. L’uso di strumenti digitali, come bacheche interattive o diari di bordo online, può facilitare questa riflessione, offrendo uno spazio strutturato per organizzare e condividere i pensieri.

Tecnologie e innovazione nel metodo EAS

L’integrazione delle tecnologie nel metodo EAS rappresenta un punto di svolta per rispondere alle sfide dell’educazione contemporanea. Non si tratta solo di un’opportunità, ma di un elemento essenziale per creare esperienze formative più ricche e coinvolgenti. Le stampanti 3D e i sistemi CAD CAM, ad esempio, offrono agli studenti la possibilità di tradurre idee astratte in oggetti concreti, sviluppando al contempo competenze tecniche e pratiche. Questo processo non solo stimola la creatività, ma consente agli studenti di acquisire un’esperienza diretta di progettazione e realizzazione, fornendo un senso di soddisfazione tangibile nel vedere il prodotto del proprio lavoro.

La realtà virtuale e aumentata ampliano ulteriormente gli orizzonti dell’apprendimento. Attraverso questi strumenti, gli studenti possono immergersi in ambienti e contesti altrimenti inaccessibili, come laboratori scientifici avanzati, antichi siti archeologici o ambientazioni storiche. Questa immersione permette di trasformare concetti astratti in esperienze vivide, facilitando la comprensione e la memorizzazione. Ad esempio, in una lezione di storia, gli studenti possono visitare virtualmente una città medievale e interagire con gli elementi del paesaggio urbano, sviluppando una comprensione più profonda e concreta del periodo storico.

Inoltre, strumenti digitali, come piattaforme interattive e applicazioni di intelligenza artificiale, possono essere integrati per personalizzare l’esperienza di apprendimento. Questi strumenti permettono di adattare le attività alle esigenze specifiche di ogni studente, offrendo feedback in tempo reale e supportando lo sviluppo dell’autonomia nel processo di apprendimento. In questo modo, la tecnologia non solo arricchisce l’esperienza educativa, ma diventa un catalizzatore per sviluppare competenze trasversali, come la risoluzione dei problemi e il pensiero critico.

Libri, manuali e risorse pratiche per l’EAS

Per chi desidera approfondire e applicare il metodo EAS in modo concreto, esistono risorse pratiche che combinano teoria e suggerimenti operativi. Il testo di Pier Cesare Rivoltella, “Fare didattica con gli EAS”, è una guida completa che descrive le tre fasi del metodo con esempi dettagliati e adattabili a ogni disciplina. Questo libro non solo spiega il quadro teorico, ma propone attività pronte all’uso per docenti interessati a innovare la propria didattica.

Mario Polito, nel suo volume “Educare al pensiero creativo”, fornisce strumenti per integrare l’EAS con strategie che stimolino la creatività. Tra i suggerimenti pratici, Polito evidenzia attività come laboratori interdisciplinari e compiti autentici, che permettono agli studenti di sperimentare l’apprendimento in situazioni reali.

Anche Jerome Bruner, con “The Process of Education”, offre un punto di vista essenziale per comprendere come l’apprendimento attivo possa trasformare l’esperienza educativa. Il testo esplora il ruolo della scoperta e della partecipazione attiva, principi cardine del metodo EAS.

Per un approccio tecnologico, il sito del CREMIT (https://www.cremit.it) è una risorsa indispensabile, ricca di articoli e progetti pratici per implementare l’EAS con l’uso di strumenti digitali. Piattaforme come Edutopia offrono inoltre guide interattive e suggerimenti per attività didattiche innovative, dimostrando come le tecnologie possano rendere l’EAS ancora più efficace.

Queste risorse rappresentano non solo strumenti pratici, ma veri alleati per i docenti che vogliono rendere il proprio insegnamento dinamico e significativo.

Conclusione

L’EAS non è solo un metodo didattico, ma una filosofia educativa che mira a formare cittadini competenti e consapevoli. La sua capacità di integrare teoria e pratica, passato e futuro, lo rende uno strumento indispensabile per le scuole che vogliono preparare gli studenti a un mondo in continua trasformazione. Adottare l’EAS significa investire in un’educazione che non solo insegna, ma ispira, offrendo agli studenti le competenze necessarie per diventare protagonisti attivi del proprio futuro. 

Laboratorio di Letteratura per l’infanzia

Il Laboratorio di Letteratura per l’infanzia come strumento di decostruzione pedagogica su modelli e stili di funzionamento familiare: l’esperienza dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria

di Valerio Ferro Allodola e Sofia Turiano [1]

1. Introduzione

Fino agli anni Ottanta del secolo scorso la Letteratura per l’infanzia è stata considerata di rango inferiore rispetto a quella di poeti e scrittori classici, antichi e contemporanei (Barsotti e Cantatore, 2021), un genere letterario marginale, una “Cenerentola” (Bacchetti, 2006).

Oggi è invece riconosciuta come:

– uno specchio dell’identità perché attraverso la lettura si ragiona, soprattutto si riflette e i personaggi di ogni storia diventano compagni di viaggio che alleviano la solitudine e ci insegnano a vivere;

– un sentiero di conoscenza che invita alla lettura ed ogni storia può fare da ponte tra il conosciuto o passato e lo sconosciuto o futuro;

– uno scrigno dei sogni dove regna l’immaginario e la fantasia;

– una lanterna per i sentimenti;

– una sorgente di storie nuove, di nuove “case” in cui vivere (Beseghi, 2008).

La Letteratura per l’infanzia si basa, nel contemporaneo, su origini articolate, sul pluralismo semantico, sulla funzione ideologica e culturale tutt’altro che superficiale (Cambi, 1996).

A partire dagli anni ’80, numerosi studi di linguistica, psicologia cognitiva, pedagogia e Letteratura per l’infanzia hanno dimostrato che l’uso precoce dei libri sia fondamentale per l’acquisizione del linguaggio e della visual literacy, mostrando una corrispondenza tra precoce accostamento al libro e competenze di lettura/scrittura in adolescenza.

Debes (1968) definisce la visual literacy come un gruppo di competenze che permette agli esseri umani di discriminare e interpretare i dati visibili che incontrano nel loro ambiente di vita.

L’obiettivo finale è la reading literacy (Elley, 1992) per comprendere e utilizzare testi scritti, riflettere su di essi e impegnarsi nella loro lettura al fine di raggiungere i propri obiettivi e di sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità per essere parte attiva della società

I primi testi che i bambini incontrano sono gli albi illustrati, che richiedono processi di decodifica complessi: da immagini e parole, i lettori danno senso alle storie. In questo modo si sviluppa la visual literacy, connessa all’acquisizione del linguaggio: il dialogo intorno alle immagini rappresenta il primo approccio al lessico. L’adulto è un modello di interazione con le figure e la lingua scritta, accompagnando il bambino alle prime forme di interrogazione ed elaborazione cognitiva dei sensi, interagendo con i simboli e i loro significati, con i “segreti della lettura profonda” (Meek, 1991, p. 41).

Ogni testo può configurarsi come dispositivo cognitivo e metacognitivo. Le teorie dello sviluppo bio-psico-sociale del bambino si intrecciano con i fattori individuali di ogni lettore, con le caratteristiche del libro e con la dimensione contestuale.

Fin dai due anni e mezzo, i bambini acquisiscono la funzione simbolica delle parole, il loro vocabolario cresce e imparano a leggere le immagini (Vygotskij, 1966, 1980). Molto importanti sono le metafore, visive e linguistiche. Il piccolo lettore è invitato alla decodifica non banale delle metafore e a una lettura interpretativa dei dettagli dell’immagine che assume significati diversi.

Le metafore servono per:

· la comprensione testuale e conoscenza delle proprie emozioni;

· la comprensione di concetti astratti.

Il rapporto privilegiato dell’infanzia con le immagini è stato studiato, per primo, da Jan Amos Comenius, il quale osserva quanto interessanti siano le immagini per i bambini (Didacta Magna, 1657).

Successivamente, nell’Orbis Sensualium Pictus (1658), Comenio progettò il libro con le figure per bambini, il primo concepito con questa esplicita intenzione. Nell’opera, il mondo da lui dipinto ha l’intento di raccontare il mondo ai bambini attraverso tavole illustrate a incisione, nelle quali inserisce brevi didascalie. Comenio intendeva rappresentare il mondo delle cose sensibili e questa sua volontà si convertì in una trasformazione etica della vita quotidiana.

Tre aspetti avvalorano l’utilità degli albi per lo sviluppo precoce di competenze narrative:

  1. principio di sequenzialità, indotto sfogliando le pagine e guardando le figure nella doppia apertura;
  2. Immagini e parole sono interconnesse e scelte secondo un criterio. Il soggetto o il gruppo di soggetti sono inseriti in un riquadro, inducendo il lettore a pensare che appartengano allo stesso contesto. I tre schemi organizzativi (somiglianza, contrasto, relazione) provocano un senso di anticipazione, in attesa di verificare la conferma dello schema iniziale. Il rapporto tra le immagini può cambiare nello stesso libro (climax);
  3. immagini e parole provengono dall’ambiente familiare del bambino; questo lo aiuterà a sviluppare immagini mentali degli oggetti.

Come sottolineato altrove (Maddalena, Ferro Allodola, 2023), consapevoli che la Letteratura per l’infanzia, soprattutto quella rivolta ai prelettori, fa parte del graduale passaggio dalla cultura orale a quella scritta, durante la fase di progettazione del Laboratorio qui presentato, si è optato per la famosa raccolta di fiabe italiane curata da Italo Calvino nel 1956, in particolare quelle calabresi.

Le parole che scrive Calvino nell’Introduzione riassumono bene il file rouge che accomuna tutte le fiabe della Raccolta: “Sono, prese tutte insieme, nella loro sempre ripetuta e sempre varia casistica di vicende umane, una spiegazione generale della vita, nata in tempi remoti e serbata nel lento ruminio delle coscienze contadine fino a noi; sono il catalogo dei destini che possono darsi a un uomo e a una donna, soprattutto per la parte di vita che appunto è il farsi d’un destino: la giovinezza, dalla nascita che sovente porta in sé un auspicio o una condanna, al distacco dalla casa, alle prove per diventare adulto e poi maturo, per confermarsi come essere umano” (1956, p. 4).

Come afferma lo stesso Calvino “L’interesse per le fiabe non ha nulla a che fare con una fedeltà a una tradizione etnica o con una nostalgia delle letture infantili, ma ha come obiettivo precipuo l’interesse all’economia del ritmo e la logica essenziale con cui le fiabe sono raccontate. Il mio obiettivo è scavare le radici di un’Italia moderna e cosmopolita, che conserverà sempre radici e problematiche identiche nel corso dei decenni”. (1956, p. 23) Attraverso questa raccolta, egli volle costruire un’antologia di fiabe per salvaguardare il patrimonio culturale di tutte le regioni italiane e dare dignità a un patrimonio italiano fiabesco, tutto da scoprire e riscoprire. In tal modo, egli contribuì anche alla ricostruzione dell’Italia del secondo dopo guerra. “Le Fiabe italiane” si possono definire come una combinazione di elementi nazional-popolari, rappresentando un progetto in qualche modo delicato ma funzionante. Questa opera agisce come una forza trainante inalterabile, evidenziata dal suo messaggio di libertà fantastica e apertura linguistica. La fiaba come strumento fondamentale per la letteratura dell’infanzia rappresenta un modo efficace per tramandare valori, insegnamenti e stimolare l’immaginazione dei bambini, anche a quelli nati dopo il secondo conflitto mondiale e alle generazioni future. Tanto che Calvino arriva a definirle come “il catalogo dei destini che possono darsi a un uomo e a una donna” (Calvino,1956, pag.8).

2. Il Laboratorio

Il Laboratorio di Letteratura per l’infanzia (AA. 2023/2024), di cui è docente titolare lo scrivente presso il Corso di Laurea Magistrale in Scienze della formazione primaria, previsto al quarto anno, per un totale di 16 ore, ha coinvolto n. 260, studenti, opportunamente suddivisi in n. 26 gruppi di 10 persone.

Per poter ricevere un così alto numero di iscritti e garantire loro l’adeguatezza di spazi e strumenti, è stata individuato l’Atelier di Architettura dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, fornito di tavoli, sedie e divani sufficienti al numero di iscritti al Laboratorio.

L’obiettivo è stato quello di riscrivere le nove fiabe popolari provenienti dalla Calabria e contenute nella «Raccolta di fiabe italiane» di Italo Calvino (1956), come albi illustrati.

Di seguito, le fiabe prese in esame:

  1.  I tre orfani 
  2.  La bella addormentata ed i suoi figli 
  3.  Il Reuccio fatto a mano 
  4.  La tacchina 
  5.  Le tre raccoglitrici di cicoria 
  6.  La Bella dei Sett’abiti 
  7.  Il Re serpente 
  8.  La vedova e il brigante (area grecanica)
  9.  Il granchio dalle uova d’oro (area grecanica).

Diverse e attualissime le tematiche emerse ed analizzate durante l’analisi delle fiabe attraverso l’adozione di un modello di interpretazione pedagogico decostruzionista (Mariani, 2009), volto a ricercare e far emergere i suoi impliciti e archetipi; come lavoro ermeneutico e catartico che incide sui livelli della comprensione:

  • violenza sulle donne;
  • stupro;
  • malattia;
  • sofferenza;
  • amore perverso;
  • morte;
  • supremazia dell’uomo sulla donna;
  • senso morale: distinzione tra bene e male;
  • emozioni;
  • oppressione;
  • elementi macabri.

Un elemento da considerare è che “le fiabe calabresi sono spesso intessute di motivi cristiani ma quasi sempre come contaminazione d’un vecchio intreccio magico acristiano”. (Calvino, 1956, p. 428).

Tra l’altro, è sempre Calvino ad affermare che “A Palmi di Calabria, Letterio Di Francia, il dotto autore della storia della Novellistica, ha trascritto una raccolta (pubblicata nel 1929 e 1931) che ha i riscontri più ricchi e precisi che si siano fatti in Italia, e segna i diversi narratori, tra cui si distingue una Annunziata Palermo: e, insomma, sarebbe un modello di metodo, se questi narratori non fossero in gran parte famigliari del Di Francia. Ma, per quel che interessa a noi, è una raccolta piena di curiosi “tipi” e varianti, d’un’immaginazione carica, colorata, complicata, in cui la logica dell’intreccio spesso s’è persa e si tramanda solo la sfacettatura delle meraviglie” (1956, p. 18).

Si tratta di fiabe di estremo interesse, tanto per i rimandi alla secolare tradizione orale e letteraria, quanto per l’originalità dei temi in esse rappresentati. Accanto a trame che sono il corrispettivo calabrese di Cenerentola e di Biancaneve, di Pelle d’asino e di Raperonzolo, o a storie che donano gradazioni mediterranee ai motivi orientali mutuati dalle Mille e una notte, vi si ritrovano fiabe assolutamente inedite, depositate nell’immaginario dell’estremo meridione italiano, da secoli crocevia di popoli e transito di civiltà.

3. Risultati e discussione

La riscrittura dei testi ha riguardato un processo di rielaborazione delle fiabe calabresi in chiave moderna, come albi illustrati.

Di seguito (Fig. 1), le trasformazioni operate dagli studenti nei vari elementi delle fiabe per renderle fruibili a bambine e bambini:

Figura 1. Le trasformazioni degli elementi delle fiabe di Calvino operate dagli studenti.

Gli studenti hanno dato risalto alle diverse emozioni provate dai personaggi – paura, felicità, stupore, tristezza, rabbia – rappresentandole attraverso il disegno meticoloso delle espressioni visive e gestuali.

A seguito delle lezioni preparatorie al Laboratorio di Letteratura per l’infanzia, gli studenti sono stati altresì in grado di esplicitare, attraverso il disegno, gli stati d’animo provati dai personaggi (principali e secondari) delle fiabe esaminate.

L’intento è stato quello di comunicare le emozioni provate attraverso le immagini.

Rielaborazione della morte e della violenza sessuale:

Il ruolo della donna:

Di seguito, si riportano gli elementi innovativi nell’elaborazione degli albi illustrati in chiave moderna:

  • utilizzo di vari materiali volti a stimolare i sensi (Munari, 1998);
  • creatività nel progettare e realizzare albi illustrati rivolti ai bambini;
  • riflessioni su tematiche importanti e attuali, quali il femminicidio, lo stupro, la violenza, la parità di genere, la libertà;
  • saper cogliere il senso di ogni fiaba riuscendo ad alleggerire gli argomenti, talvolta troppo forti e cruenti;
  • capacità di calare nella realtà calabrese le argomentazioni, introducendo elementi facenti parte della quotidianità e della tradizione popolare (bergamotto, peperoncino, ecc…);
  • introduzione della disabilità presentata come opportunità e stimolo per la promozione di elementi quali la solidarietà, l’inclusione, l’empatia, l’aiuto reciproco.

I temi emergenti hanno riguardato:

  • il femminicidio (soprattutto in connessione con gli episodi di cronaca recente);
  • la violenza sulle donne (fisica, psicologia e sessuale);
  • il ruolo della donna (ieri e oggi);
  • i diritti costituzionali;
  • le tradizioni popolari;
  • le relazioni sentimentali patologiche e la dipendenza affettiva;
  • la società patriarcale (realtà tutt’oggi esistente nell’entroterra calabrese);
  • la libertà in tutte le sue forme;
  • i valori etici e sociali;
  • il ruolo dell’educazione.

4. Conclusioni

Provando a fare critica – partendo dalla forma dell’opera, nella convinzione che l’esperienza estetica, quando di valore, sia di per sé pedagogica (Cantatore et al., 2020) – il Laboratorio come metodologia formativa ha rappresentato, in questa esperienza, un modello in cui si sono incontrate teorie e prassi, promuovendo negli studenti l’emersione delle seguenti competenze:

  • applicare, in chiave laboratoriale, quanto appreso durante il corso di Letteratura per l’infanzia;
  • promuovere la passione per la lettura e le sue potenzialità;
  • utilizzare le potenzialità, in particolare, del linguaggio visivo;
  • comunicare in gruppo;
  • scambiare idee, punti di vista e progettualità;
  • attivar di processi di decostruzione e autoriflessione attorno a temi e stereotipi;
  • sviluppare fantasia e immaginazione attraverso la scrittura creativa e gli elementi grafico-pittorici;
  • strutturare esperienze teoriche e pratiche di analisi, progettazione e simulazione didattica in linea con gli argomenti trattati durante le lezioni.

La sperimentazione ha rappresentato, quindi, un momento formativo importante nella formazione degli studenti che si apprestano a diventare futuri docenti nella scuola dell’Infanzia e Primaria.

Connesso al tema dell’utilizzo creativo degli albi illustrati, una revisione della letteratura (The Reading Agency, 2015) ha altresì evidenziato che la lettura si rivela un’attività piacevole di per sé e la componente di piacevolezza permane se il lettore ha l’opportunità di scegliere liberamente se e cosa leggere. Il piacere di leggere inoltre è fondamentale per alimentare una motivazione intrinseca, prerequisito essenziale per il raggiungimento di altri obiettivi (Decy & Ryan, 2012). Lo studio mostra una forte correlazione tra lettura e aumento di conoscenza di sé e degli altri, migliori relazioni sociali, aumento del capitale sociale e culturale, incremento delle capacità di immaginazione, migliori capacità di attenzione e concentrazione. La lettura nei bambini migliora, inoltre, il rilassamento e la regolazione dell’umore, aumenta le capacità comunicative e i risultati scolastici in tutto il corso degli studi.

A supporto di questi risultati, anche una recentissima ricerca (Sun et al., 2024) ha coinvolto più di 10.000 giovani statunitensi, dimostrando che iniziare a leggere per piacere sin dalla prima infanzia migliora lo sviluppo della struttura cerebrale, evidenziando una correlazione positiva con migliori prestazioni cognitive e maggior benessere mentale durante l’adolescenza.

Nel nostro Paese, in particolare, si devono a Batini e al suo gruppo di ricerca i progetti e le ricerche pedagogiche più importanti degli ultimi anni sul tema della lettura ad alta voce (Batini, 2022, 2023; Batini & Giusti, 2021) e ad Acone (2017) sull’importanza della lettura per recuperare un rapporto profondo, consapevole e maturo con il testo e le immagini, in una società sempre più digitalmente strutturata.

Bibliografia

Acone, L. (2017). La lettura come formazione della persona. Pagina scritta, orizzonti virtuali e connessioni testo- immagine. LLL – Lifelong Lifewide Learning, 13(29): 1-12.

Bacchetti F. (2006): La letteratura contemporanea tra autori, libri e immaginario. In: E. Catarsi, F. Bacchetti (a cura di), I «Tusitala». Scrittori contemporanei di letteratura giovanile. (pp. 50-74). Tirrenia (PI): Edizioni Del Cerro.

Batini, F. (2022). Lettura ad alta voce. Ricerche e strumenti per educatori, insegnanti e genitori. Roma: Carocci.

Batini, F. (2023) (Ed.). La lettura ad alta voce condivisa. Un metodo in direzione dell’equità. Bologna: Il Mulino.

Batini, F., Giusti, S. (2021). Tecniche per la lettura ad alta voce. 27 suggerimenti per la fascia 0-6 anni. Milano: FrancoAngeli.

Cambi F. (1996): La letteratura per l’infanzia tra complessità e ambiguità. Testo, superficie e profondità. In: F. Cambi, G. Cives, Il bambino e la lettura. Pisa: Edizioni ETS, pp. 45-100.

Barsotti, S., Cantatore, L. (2019). Letteratura per l’infanzia. Forme, temi e simboli del contemporaneo. Roma: Carocci.

Batini, F., Giusti, S. (2021). Tecniche per la lettura ad alta voce. 27 suggerimenti per la fascia 0-6 anni. Milano: FrancoAngeli.

Beseghi, E. (2008). Infanzia e racconto. Bologna: Bononia University Press.

Buccolo, M. (2019). L’educatore emozionale. Percorsi di alfabetizzazione emotiva per tutta la vita. Milano: FrancoAngeli.

Cantatore, L., Galli Laforest, N., Grilli, G., Negri, M., Piccinini, G., Tontardini, M., Varrà, E. (2020). In cerca di guai. Studiare la letteratura per l’infanzia. Bergamo: Edizioni Junior.

Deci, E. L., & Ryan, R. M. (2012). Self-determination theory. In P. A. M. Van Lange, A. W. Kruglanski, & E. T. Higgins (Eds.), Handbook of theories of social psychology (pp. 416–436). Sage Publications Ltd. https://doi.org/10.4135/9781446249215.n21

Debes, J. L. (1968). Communication with visuals. ETC: A. Review of General Semantics, 25(1), 27–34. http://www.jstor.org/stable/42574399.

Elley, W.B. (1992). How in the world do students read? IEA study of reading literacy. The Hague, Netherlands: International Association for the Evaluation of Educational Achievement (IEA).

Filomia, M. (2023). Abitare la soglia. Sguardi inclusivi nella letteratura per l’infanzia. Lecce-Rovato: PensaMultimedia.

Fiorucci, M. (2020). Educazione, formazione e pedagogia in prospettiva interculturale. Milano: FrancoAngeli.

Mariani, A. (2009). La decostruzione in pedagogia: una frontiera teorico-educativa della postmodernità. Roma: Armando.

Meek, M. (1991). On Being Literate. London: Bodley Head.

Munari, B. (1998). Fantasia. Invenzione, creatività e immaginazione nelle comunicazioni visive. Bologna: Laterza.

Sun, Y.-J., Sahakian, B. J., Langley, C., Yang, A., Jiang, Y., Kang, J., … Feng, J. (2024). Early-initiated childhood reading for pleasure: associations with better cognitive performance, mental well-being and brain structure in young adolescence. Psychological Medicine, 54(2), 359–373. doi:10.1017/S0033291723001381

The Reading Agency (2015). Literature Review: The impact of reading for pleasure and empowerment. BOP Consulting.

Trisciuzzi, M.T. (2018). Ritratti di famiglia. Immagini e rappresentazioni nella storia della letteratura per l’infanzia. Pisa: ETS.

Vygotskij, L. (1966). Pensiero e linguaggio. Firenze: Universitaria-G. Barbera

Vygotskij, L. (1980). Il processo cognitivo. Torino: Boringhieri.


[1] Sebbene l’articolo sia il frutto comune del lavoro dei due autori, si precisa che l’Introduzione è di Valerio Ferro Allodola (Ricercatore, Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria). I rimanenti paragrafi e le conclusioni sono da attribuire a Sofia Turiano (Insegnante di scuola Primaria, Reggio Calabria).

No excuses

“No excuses”: sistema a tolleranza zero

di Bruno Lorenzo Castrovinci

La gestione di classi difficili e alunni indisciplinati rappresenta una sfida quotidiana per molti insegnanti e dirigenti scolastici, soprattutto in contesti caratterizzati da profonde problematiche sociali. Le dinamiche interne alla scuola spesso riflettono il disagio del tessuto sociale di appartenenza, dove si intrecciano situazioni di povertà estrema, devianze e, in alcuni casi, un precoce coinvolgimento in ambienti criminali organizzati. Questo scenario rende la scuola non solo un luogo di apprendimento, ma anche un campo di battaglia per contrastare le disuguaglianze e offrire opportunità di riscatto.

Tra le strategie più radicali e dibattute per affrontare tali complessità spicca l’approccio definito “no excuses”, ampiamente applicato in molte scuole nel mondo. Questo metodo, basato su una rigorosa tolleranza zero verso comportamenti inadeguati, mira a creare un ambiente scolastico disciplinato e orientato al successo, imponendo regole ferree e aspettative elevate senza concessioni. Sebbene affascinante per il suo rigore e la sua promessa di trasformazione, tale approccio solleva interrogativi importanti sul suo impatto a lungo termine su studenti e insegnanti.

Il dibattito intorno a queste pratiche è alimentato da contributi significativi come quello di Agrifoglio Korbey, pubblicato su TES (Times Educational Supplement), una delle principali riviste educative a livello internazionale. L’articolo esplora le dinamiche di questi metodi, analizzandone le implicazioni sul sistema scolastico globale. TES rappresenta una piattaforma autorevole per comprendere le sfide e le opportunità nell’educazione, offrendo risorse e analisi approfondite che illuminano le complesse intersezioni tra politiche educative, contesto sociale e benessere degli studenti.

Attraverso queste riflessioni, emerge l’urgenza di un confronto critico sul modo in cui affrontare le difficoltà scolastiche in contesti di frontiera, bilanciando il rigore disciplinare con la necessità di empatia e inclusione, per garantire che ogni scuola possa rappresentare un luogo di crescita e speranza.

Analisi del modello “no excuses”

Il modello “no excuses” si basa sull’idea che una disciplina rigorosa e una gestione del comportamento estremamente strutturata possano migliorare il rendimento scolastico, specialmente in contesti svantaggiati. Tuttavia, le pratiche descritte – come punizioni per infrazioni minori, detenzioni frequenti e regole rigide – hanno sollevato critiche significative. Ad esempio, il Center for Research on Education Outcomes presso la Stanford University ha evidenziato che, sebbene alcune scuole che adottano questo approccio abbiano registrato miglioramenti nei test standardizzati, il costo sociale e psicologico per gli studenti più vulnerabili è spesso elevato. Inoltre, un rapporto dell’
Education Policy Institute del 2024 ha mostrato come gli studenti con sospensioni multiple abbiano significativamente minori possibilità di successo scolastico e professionale.

Ricercatori come Linda Graham presso la Queensland University of Technology e Mary Ellen Stitt della State University of New York sottolineano come la rigidità di queste pratiche possa perpetuare disuguaglianze sistemiche, specialmente per studenti con bisogni educativi speciali (BES) o provenienti da minoranze svantaggiate. La teoria delle finestre rotte, che ispira l’approccio “no excuses”, è stata in parte screditata poiché enfatizza la punizione anziché il supporto educativo. Ricerche condotte in Australia e Regno Unito, inoltre, suggeriscono che approcci più inclusivi e basati sul dialogo possano produrre risultati ugualmente validi senza gli effetti collaterali negativi associati a politiche punitive.

Fondamenti pedagogici e neuroscientifici

Dal punto di vista pedagogico, l’adozione di routine rigide può avere benefici limitati, specialmente se non accompagnata da strategie di supporto personalizzate e inclusive. Le neuroscienze evidenziano che l’apprendimento avviene in un contesto emotivo e relazionale positivo. Pratiche punitive e rigide possono attivare il sistema di stress degli studenti, aumentando i livelli di cortisolo e compromettendo la memoria a lungo termine, la capacità di attenzione e l’elaborazione delle informazioni. In particolare, studenti con difficoltà di apprendimento, bisogni educativi speciali (BES) o provenienti da contesti svantaggiati possono subire un impatto sproporzionato, con un effetto negativo anche sulla loro autostima e motivazione intrinseca.

L'”impalcatura educativa”, concetto approfondito da Linda Graham, è cruciale per garantire che le regole non siano semplicemente imposte, ma accompagnate da supporto adeguato e differenziato. Ad esempio, pause intenzionali durante le lezioni, un vocabolario accessibile e tecniche di “scaffolding” favoriscono l’elaborazione cognitiva, mentre l’insegnamento esplicito delle aspettative comportamentali aiuta a costruire autonomia e senso di responsabilità. Inoltre, approcci come la pratica della “pedagogia della cura” sottolineano l’importanza di creare ambienti che favoriscano relazioni empatiche e sicure tra studenti e docenti, stimolando un apprendimento profondo e significativo.

Studi come quelli condotti dal Education Endowment Foundation e dal National Center for Education Statistics evidenziano che approcci più personalizzati e relazionali migliorano non solo il rendimento accademico, ma anche il benessere complessivo degli studenti. Questi modelli promuovono una cultura scolastica basata sulla fiducia, sul rispetto reciproco e sull’inclusione, riducendo al minimo il rischio di esclusione sociale e accademica.

Impatti psicologici e sociali

L’imposizione di un sistema disciplinare rigido può influire negativamente sul benessere psicologico degli studenti, generando sentimenti di alienazione, ansia e demotivazione. Le pratiche discriminatorie, inoltre, amplificano le disuguaglianze sociali, perpetuando uno stigma verso studenti già vulnerabili, in particolare quelli provenienti da contesti socio-economici svantaggiati o appartenenti a minoranze. Ricerche internazionali, tra cui quelle dell’Education Policy Institute e del Center for Research on Education Outcomes, evidenziano come tali approcci possano esacerbare il divario educativo e ostacolare lo sviluppo emotivo e relazionale degli studenti.

In una società liquida, come descritta da Zygmunt Bauman, dove le relazioni e le strutture sociali sono sempre più fluide e incerte, gli approcci educativi dovrebbero promuovere flessibilità, resilienza e capacità di adattamento. In questo contesto, pratiche basate sulla rigidità rischiano di risultare anacronistiche e di fallire nel preparare gli studenti alle sfide di un mondo in rapida evoluzione. Al contrario, modelli educativi che valorizzano l’autonomia, la creatività e il pensiero critico rappresentano una risposta più adeguata alle esigenze di una società complessa.

Alternative e modelli a confronto

Un approccio alternativo potrebbe essere rappresentato dalla “gestione positiva del comportamento”, che enfatizza il rinforzo delle buone pratiche piuttosto che la punizione. Questo modello è supportato da strategie come il metodo della “classe capovolta”, che coinvolge gli studenti in attività pratiche e collaborative, e il “restorative justice”, che mira a risolvere i conflitti attraverso il dialogo e la responsabilizzazione. Inoltre, modelli come il Positive Behavioral Interventions and Supports (PBIS), ampiamente adottato negli Stati Uniti, offrono un approccio strutturato per promuovere comportamenti positivi, fornendo supporto individualizzato e monitorando costantemente i progressi.

Le scuole che adottano un equilibrio tra rigore e flessibilità, come il Mercia Learning Trust, dimostrano che è possibile mantenere standard elevati senza compromettere il benessere degli studenti. Ad esempio, il Mercia Learning Trust integra strategie come il “scaffolding” comportamentale, che aiuta gli studenti a sviluppare gradualmente le competenze necessarie per rispettare le regole, e il “coaching” motivazionale per coinvolgere attivamente gli studenti nella definizione dei propri obiettivi. Un supporto individualizzato, combinato con una comunicazione efficace delle regole e un focus sull’autoregolazione, è fondamentale per creare un ambiente sicuro, stimolante e inclusivo.

Il fenomeno della diluizione dei casi difficili

Un aspetto problematico e spesso trascurato nelle scuole è la gestione dei cosiddetti “casi difficili”, ovvero studenti che manifestano comportamenti problematici o difficoltà significative di adattamento. Una cattiva abitudine osservata, come evidenziato nelle ricerche di Angelo Paletta, è quella di creare un contesto che spinga gli studenti a lasciare la classe e in alcuni casi la scuola di propria iniziativa. Invece di affrontare direttamente le difficoltà attraverso interventi mirati, alcuni insegnanti esercitano una pressione implicita sugli studenti e sulle loro famiglie, inducendoli a cercare un’alternativa altrove. Questo approccio si traduce spesso in una gestione passiva del problema, che non solo non risolve le difficoltà comportamentali, ma le trasferisce ad altri contesti educativi.

Questo fenomeno, chiamato “diluizione”, ha conseguenze negative sia per gli studenti coinvolti che per il sistema educativo nel suo complesso. Gli studenti che abbandonano volontariamente tendono a percepire l’ambiente scolastico come ostile e privo di supporto, sviluppando un senso di fallimento personale che può condurli all’abbandono definitivo degli studi. Inoltre, le scuole perdono l’opportunità di affrontare le cause profonde dei problemi, perpetuando un ciclo di esclusione sociale e accademica.

Ricerche, come quelle condotte da Paletta, sottolineano l’importanza di un approccio attivo e responsabile, che includa programmi di supporto personalizzati, la creazione di ambienti empatici e l’adozione di strategie di mediazione come la “restorative justice”. Questi strumenti non solo aiutano a mantenere gli studenti nel sistema scolastico, ma promuovono anche lo sviluppo di competenze sociali e relazionali fondamentali per il loro successo futuro.

Prospettive future

Nel contesto di oggi post-pandemia, le scuole si trovano di fronte a nuove sfide comportamentali e scolastiche, come l’aumento delle disuguaglianze educative e il calo della motivazione studentesca. L’adozione di pratiche inclusive e basate sull’evidenza è cruciale per rispondere alle esigenze di una popolazione studentesca sempre più diversificata e per promuovere un apprendimento significativo. La ricerca futura dovrebbe concentrarsi sull’impatto a lungo termine di approcci comportamentali flessibili, integrando strategie che valorizzino il benessere emotivo e relazionale degli studenti. Inoltre, l’utilizzo di tecnologie innovative come il metaverso e l’intelligenza artificiale può offrire opportunità senza precedenti per personalizzare ulteriormente l’esperienza educativa, attraverso strumenti come simulazioni immersive, tutor virtuali e analisi dei dati per monitorare e migliorare il coinvolgimento e i progressi individuali. Tali innovazioni, combinate con un approccio pedagogico umanistico, possono contribuire a creare un ambiente educativo resiliente e inclusivo.

Conclusione

Il dibattito sugli approcci comportamentali nelle scuole rappresenta una sfida cruciale della società contemporanea, in cui si intrecciano esigenze di rigore e controllo con quelle di flessibilità, autonomia e inclusività. Le scuole, oggi più che mai, devono affrontare un delicato equilibrio tra il garantire un ambiente disciplinato e promuovere il benessere emotivo e sociale degli studenti. Questo equilibrio richiede non solo l’adozione di regole chiare, ma anche la costruzione di un contesto empatico e relazionale in grado di sostenere gli studenti nelle loro difficoltà.

Un approccio educativo inclusivo, basato su evidenze scientifiche, si rivela fondamentale per affrontare le sfide contemporanee. Tali approcci valorizzano la personalizzazione dell’insegnamento, la mediazione dei conflitti attraverso pratiche come la “restorative justice” e l’integrazione di strumenti tecnologici innovativi per migliorare l’apprendimento e il coinvolgimento degli studenti. Inoltre, mettere al centro lo sviluppo delle competenze emotive e relazionali consente non solo di preparare gli studenti al successo accademico, ma anche di promuovere una cittadinanza attiva e consapevole, capace di rispondere alle esigenze di una società in continua evoluzione. 

Sul Latino

Nemo tam incompetens, qui aliquid boni facere non possit
trad. da DeepSeek: V. ha fatto anche cose buone

di Gabriele Boselli

Noterella autobiografica

Sono stato alunno di un maestro elementare di Savignano, Luigi Pignotti, poi anch’egli direttore didattico, ispettore e docente universitario e di un professore di lettere di scuola media di Santarcangelo, Galli, il nome non lo ricordo, i quali non solo arricchivano le loro lezioni di frequenti frasi latine ma sintetizzavano i concetti essenziali riformulandoli nella lingua di Lucrezio. Autore loro carissimo non solo perchè poeta ma anche perchè scienziato, nel modo in cui lo si poteva essere oltre due millenni fa. Noi alunni eravamo affascinati da quei suoni e il fascino è la principale fondazione della conoscenza. Successivamente, in concorrenza con altri compagni negli ultimi anni dell’istituto magistrale di Forlimpopoli, anelavo alle grazie delle compagne scrivendo loro poesie in lingua latina. Questo in concorrenza con gli spocchiosi rivali del Classico di Forlì. Parlavo di queste mie strategie poetiche quando, cacciato fuori dalla porta dalla professoressa di disegno, incrociavo il Preside Rovinazzi, un latinista, solito a passeggiare per i corridoi leggendo un libro e ammonendo e/o incoraggiando gli espulsi.

Ricordo che, avendo io sempre cercato di superare con qualche accorgimento il mio congenito deficit di memoria e non ricordando bene le coniugazioni dei verbi latini, attivavo strategie che oggi chiameremmo di risparmio dati: ad esempio per tradurre “a essere crocifisso” scrivevo “ad crucem”. Qualcosa di analogo a un metodo usato oggi dagli informatici e chiamato Windowing: invece di caricare nuovi dati ogni volta, il modello di intelligenza artificiale sviluppato da Apple Intelligence e non ancora diffuso in Europa per problemi legali e che riutilizza alcuni dei dati che ha già elaborato. Ciò riduce la necessità di recuperare costantemente la memoria, rendendo il processo meno dispendioso di energia, più fluido e accelerando la capacità di quel tipo di AI di “comprendere” e soprattutto generare significati. E significanti.

Una inaspettata cosa buona

Chi non crede nei miracoli dovrebbe ora ravvedersi. Dopo i trent’anni delle 3i (internet inglese, informatica) e delle 2ee+p (efficienza, efficacia, produttività) omaggiate dalla destra come dalla sinistra ministeriali, l’ex MIUR, ora MIM toglie il latino dalla clandestinità. Ne consente pure un insegnamento anche fuori dalle catacombe in cui da una quarantina d’anni molti docenti di lettere e pure altre discipline erano costretti a esercitare il loro magistero. Gli insegnanti autentici -interpreti dell’essenza dello Stato e della Cultura, dunque magis-strati, posti sopra le direttive dei governi o almeno indifferenti alle stesse – hanno comunque e sempre insegnato il latino da millenni, indipendentemente dalla materia di cui erano titolari e dal governo di turno: lo insegnavano quando formalmente si dedicavano alle strutture sintattiche dell’italiano come della matematica o delle scienze del mondo fisico o dell’informatica (1)  poiché un serio sguardo occidentale sul mondo non può che accadere entro le strutture generativo/trasformazionali della lingua latina.La (sinora solo annunciata)  liberazione del potenziale di questo antico e sempre nuovo e innovatore insegnamento potrà ora trasparentemente riavviarsi a costituire  il principale detonatore di rifondazione e progresso dell’educazioni intellettuale nei prossimi decenni. Una sua forte ripresa in tutto il sistema dell’istruzione potrebbe, per la potenza generativa di questa lingua, ridare legittimo orgoglio ai docenti e fornire basi solide e plastiche di cultura ai futuri studenti e ricercatori .

Non vi è sinora un testo delle nuove indicazioni ministeriali sul quadro culturale e didattico della scuola italiana, e vi è qualche dubbio che gli studiosi che in assoluta continuità postculturale albergano da trent’anni nelle stanze del MIUR/MIM siano capaci di disegnarlo. Abbiamo solo sparse anticipazioni e la nota intervista di Valditara al Giornale. L’insegnamento del latino è ora additato come facoltativo, come fosse cosa di cui si puà fare a meno, non è motivato nè promosso. Manca certamente anche al nuovo gruppuscolo di suggeritori del Ministro di neo-destra la capacità di una fondazionale indicazione di senso, una visione complessiva e non a caso il centenario dell’unica, vera Riforma apparsa da oltre un secolo a questa parte, quella di Giovanni Gentile, a Roma è passato sotto silenzio.

Latino per intendere seriamente l’intelligenza artificiale

I linguaggi dell’intelligenza artificiale, gli stessi LLM, senza una qualche conoscenza del logos latino restano linguaggi alieni: e’ il latino nascosto nella struttura profonda a rivestire un ruolo essenziale nell’universo semiotico occidentale. La conoscenza (e non certo la sola competenza cara agli incolti “esperti” MIUR degli ultimi trent’anni) di strutture e funzioni della lingua ufficisle delle origini d’Europa è accesso all’unico vero sistema di comunicazione che può decodificare e relazionare appieno i sistemi di segni e i linguaggi dell A.I. La funzione metalinguistica efficacemente attivabile con l’insegnamento del latino fin dalla prima adolescenza si esprime nel far volgere la lingua trasversalmente verso ciò che sta sotto e oltre la scrittura, partendo dalla relativaa grammatica e sintassi. Le funzioni-sorgente nell’ AI attuano un codice in comune fra mittente e destinatario per un autocontrollo e controllo funzionale. Una funzione -ad esempio- molto carente negli apparati di censura automatica attivi su internet e che, difettandone. operano colossali fraintendimenti. Non avendo letto Marziale né Apuleio gli istruttori dell A.I. non colgono né trasmettono (ancora?) il senso dell’ironia e del paradosso.                       

Connettere la generatività informatica alle radici latine del pensiero occidentale

I traduttori automatici innestati direttamente sui dispositivi come Samsung 24 Ultra e quelli enormemente più avanzati e non bisognosi di costante connessione internet imminenti su Iphone 16 e successivi in arrivo apriranno possibilità di comprensione e riarticolazione del testo in profondità, operando su oltre 200 miliardi di parametri, suggerendo un alto livello di complessità e capacità di comprensione e generazione del linguaggio. E non parliamo dei supercalcolatori  o dei prossimi calcolatori quantistici. Ma per costruire una qualche simmetria tra strumento e utilizzatore occorre che questi sia in grado di comprendere e controllare le rigorose logiche operanti a livello strumentale. Gli utenti saranno generatori di pensiero sui vettori sintattici; sia gli sviluppatori professionisti che gli utenti evoluti. Anche a questo e alle aspettative connesse è dovuto il notevole incremento delle quotazioni di Apple in Borsa pur in tempo di calo dei ritorni immediati di Cupertino a causa della staticità di linee di prodotti autenticamente innovativi .    

Valore scientifico e politico dell’insegnamento del latino

Fin dal tempo, oltre sessant’anni fa, della mia frequenza alla scuola media, allora ancor chiamata ginnasio, ho iniziato ad apprendere con l’esercizio del latino l’arte della critica, ovvero della destrutturazione delle connessioni di pensiero complesse in piu semplici unità di significato per ricostituirle poi all’insegna di altri principi.   La capacità critica difende dalla retorica ad usum delphini  e dai blocchi della ricerca scientifica  (2, 3). Chi legge e intende, se non il greco Tucidide, Tacito o Cesare difficilmente potrà divenire un seguace di Trump (4). 

Con gli sviluppi venturi di un’ A.I. reiventata da sviluppatori o semplici utenti che conoscano il latino (auspicabilmente avendolo appreso fin dall’adolescenza) e in futuro attuata con hardware quantistico sarà molto più difficile inibire la potenza innovatrice del novum nella costruzione della scienza, nel mondo del lavoro, nella vita della scuola e nell’esistere quotidiano. A.I. non solo per conoscere il mondo, ma anche per aiutarci ad averne, in pienezza di vita,  più estesa coscienza critica.

  • G.Boselli Latino e intelligenza artificiale, in EDSCUOLA. Giugno 2024
  • G. Boselli  Inibizioni del novum in ENCYCLOPAIDEIA – Journal of Phenomenology and Education. Vol.24 n.56 (2020) ISSN 1825-8670
  • G. Boselli Prolusione alla cerimonia di premiazione  concorso di lingua latina per studenti del 2017   www.accademia-rubiconia-filop.org/
  • L.Iori Usi e abusi di Tucidide in LIMES, n.12 2024

Maestri si nasce o si diventa?

Maestri si nasce o si diventa?

di Bruno Lorenzo Castrovinci

La gestione della classe è una delle competenze fondamentali per un insegnante, poiché rappresenta il fondamento per creare un ambiente di apprendimento efficace e armonioso. Questo processo non si limita all’applicazione di competenze didattiche, ma coinvolge aspetti più sottili legati alla comunicazione non verbale, come il linguaggio del corpo e il dress code. Questi elementi, spesso sottovalutati, contribuiscono a stabilire un rapporto di fiducia e rispetto reciproco tra docente e studenti.

Secondo Erving Goffman, nella sua teoria dell'”impression management”, il modo in cui ci presentiamo agli altri influenza profondamente la loro percezione di noi, particolarmente nei primi istanti di interazione. Questo fenomeno è rilevante anche nella gestione della classe, dove l’aspetto esteriore del docente e il suo comportamento non verbale comunicano autorità, empatia e professionalità. In parallelo, Albert Mehrabian ha evidenziato come il 93% della comunicazione efficace derivi da segnali non verbali, sottolineando il ruolo fondamentale del linguaggio corporeo nell’instaurare un clima relazionale positivo.

Pertanto, la gestione della classe non può prescindere dalla consapevolezza del docente su come il proprio comportamento non verbale e l’immagine che trasmette siano percepiti dagli studenti. Questa consapevolezza, unita a competenze professionali solide, crea le condizioni ideali per un apprendimento significativo e un successo formativo duraturo.

Linguaggio del corpo: un ponte tra docente e studenti

Il linguaggio del corpo è un aspetto intrinseco della comunicazione umana, capace di trasmettere emozioni, intenzioni e autorità in modo immediato e intuitivo. Nella gestione della classe, è fondamentale che il docente utilizzi consapevolmente la propria postura, i gesti e le espressioni facciali per instaurare un rapporto positivo con gli studenti.

Una postura eretta e aperta, ad esempio, comunica sicurezza e disponibilità, mentre un contatto visivo diretto con gli studenti favorisce la loro attenzione e li fa sentire valorizzati. Questo gesto semplice, ma potente, può essere arricchito da espressioni facciali che riflettono empatia e interesse, elementi fondamentali per costruire un ambiente inclusivo e motivante.

Al contrario, un linguaggio del corpo chiuso, come braccia incrociate o sguardi sfuggenti, può trasmettere disinteresse o insicurezza, minando l’efficacia dell’insegnamento e generando una distanza emotiva tra docente e studenti.

Inoltre, la modulazione della voce e l’uso dello spazio fisico in classe sono complementi essenziali al linguaggio corporeo. Camminare tra i banchi non solo favorisce una maggiore interazione con gli studenti, ma segnala anche disponibilità e controllo dell’ambiente. Questo movimento, unito a un tono di voce variegato e mirato, può mantenere alta l’attenzione, stimolare la partecipazione attiva e prevenire comportamenti indisciplinati. Integrare questi elementi permette al docente di trasmettere non solo contenuti, ma anche sicurezza e presenza, consolidando il ruolo di guida autorevole ed empatica.

L’importanza del tono della voce

Il tono della voce è uno strumento potente nella gestione della classe, capace di trasmettere calma, autorità o entusiasmo a seconda delle necessità. Un tono calmo e sicuro può placare situazioni di conflitto o ansia tra gli studenti, favorendo un clima di serenità e dialogo. Al contrario, un tono energico e appassionato è in grado di catturare l’attenzione anche nelle fasi più difficili di una lezione, stimolando curiosità e partecipazione attiva.

Modulare la voce per enfatizzare concetti chiave, cambiare ritmo o intensità in base al contenuto trattato è essenziale per evitare monotonia e rendere la lezione più dinamica e interattiva. Ad esempio, un tono più basso può indurre riflessione, mentre un aumento improvviso di volume può segnalare un’informazione cruciale. Inoltre, è fondamentale adeguare il tono alla composizione della classe: un approccio più rassicurante per classi giovani o ansiose, e uno più deciso per mantenere il controllo in situazioni più complesse.

Infine, la capacità di utilizzare il tono della voce in modo variato aiuta a trasmettere emozioni e intenzioni, rafforzando l’efficacia del messaggio e facilitando una comunicazione autentica e coinvolgente tra docente e studenti.

Dress code: un messaggio silenzioso di professionalità e rispetto

Anche l’abbigliamento dell’insegnante invia messaggi non verbali che influenzano la percezione degli studenti e, di conseguenza, la gestione della classe. Come sottolineato da Albert Mehrabian nei suoi studi sulla comunicazione non verbale, il modo in cui ci presentiamo influenza significativamente la percezione degli altri. Un dress code adeguato non significa necessariamente un abbigliamento formale, ma piuttosto una scelta coerente con il ruolo educativo e con il contesto scolastico.

Un docente vestito in modo curato e professionale comunica rispetto verso la propria professione e verso gli studenti, favorendo un clima di serietà e concentrazione. Al contrario, come evidenziato da Edward T. Hall nella sua teoria della “prossemica”, un abbigliamento trasandato o troppo informale può ridurre l’autorevolezza percepita e compromettere l’efficacia della relazione educativa, generando una distanza cognitiva o emotiva tra docente e studenti.

In alcuni contesti, il dress code può anche diventare uno strumento di connessione con gli studenti. Ad esempio, indossare occasionalmente capi o accessori che riflettano interessi comuni può creare un terreno di dialogo informale, senza tuttavia compromettere il ruolo di guida dell’insegnante. Secondo Amy Cuddy, la coerenza tra l’immagine visiva e la comunicazione non verbale rafforza la percezione di fiducia e autorevolezza.

La cura del corpo e il suo impatto sulla percezione

La cura del corpo, intesa come igiene personale, ordine e postura, contribuisce in modo significativo all’immagine complessiva del docente. Un aspetto curato non solo favorisce una maggiore autorevolezza, ma dimostra anche rispetto verso gli studenti e il contesto educativo. Dettagli come mani curate, capelli in ordine e un aspetto fresco e pulito trasmettono professionalità e attenzione ai particolari. Come evidenziato da Erving Goffman nel suo libro “La rappresentazione del sé nella vita quotidiana”, l’aspetto fisico e il modo in cui ci presentiamo agli altri costituiscono una forma di “impression management”, fondamentale per creare un impatto positivo e autorevole.

Un aspetto poco esplorato ma altrettanto significativo è la comunicazione olfattiva. Secondo gli studi di Rachel Herz sull’olfatto e la memoria, l’odore personale può influenzare inconsciamente le interazioni sociali, compreso il rapporto tra docente e studenti. Un profumo discreto o un odore naturale ma pulito possono contribuire a creare un ambiente piacevole e accogliente, mentre odori sgradevoli o troppo intensi possono distrarre o addirittura causare disagio. La cura della propria “impronta olfattiva” rappresenta dunque un ulteriore strumento per rafforzare la percezione di professionalità e armonia nell’ambiente scolastico.

Inoltre, recenti studi neuroscientifici, come quelli condotti da Antonio Damasio, sottolineano l’importanza dei segnali corporei, inclusi quelli olfattivi, nel rafforzare la percezione di coerenza e affidabilità, elementi essenziali per stabilire un legame di fiducia con gli studenti.

Dispositivi tecnologici per migliorare la comunicazione

L’utilizzo di dispositivi tecnologici rappresenta un valido supporto per migliorare la comunicazione tra insegnante e studenti. Strumenti come microfoni indossabili autonomi amplificati o collegati a monitor smart touch garantiscono che tutti possano seguire la lezione in modo chiaro e coinvolgente, migliorando l’accessibilità in ambienti di grandi dimensioni. Telecomandi per presentazioni permettono agli insegnanti di muoversi liberamente mentre gestiscono i contenuti proiettati, favorendo una comunicazione dinamica.

Registratori vocali digitali rappresentano un utile strumento per riascoltarsi e apportare miglioramenti, supportando il docente nel perfezionare il proprio tono di voce e il ritmo. L’uso di occhiali olografici consente di mantenere lo sguardo sugli studenti mentre si presentano contenuti digitali, evitando distrazioni e rafforzando il contatto visivo. Dispositivi di interazione con gli studenti, come clicker o piattaforme per sondaggi, offrono feedback immediato e stimolano il coinvolgimento attivo.

Infine, l’utilizzo di strumenti per il rinforzo positivo, come applicazioni per premiare la partecipazione o monitorare i progressi, consolida il legame tra studenti e insegnante, potenziando l’efficacia del linguaggio del corpo e del tono della voce. Questi dispositivi, se integrati in modo consapevole, creano un ambiente di apprendimento inclusivo e tecnologicamente avanzato.

Consigli pratici per ogni ordine di scuola

Per la scuola primaria, è utile adottare un linguaggio del corpo empatico e un dress code informale ma curato, che favorisca la vicinanza con i più piccoli. Nella scuola secondaria di primo grado, è importante bilanciare autorevolezza e accessibilità, utilizzando un tono di voce variegato e una postura che comunichi sicurezza. Per la scuola secondaria di secondo grado, un abbigliamento più formale e un linguaggio del corpo deciso possono aiutare a stabilire un rapporto di rispetto reciproco, mantenendo tuttavia una certa apertura per il dialogo.

Il dress code dei dirigenti scolastici: l’importanza dei dettagli

Il dress code dei dirigenti scolastici rappresenta un aspetto cruciale per definire il loro ruolo di leadership e la loro autorevolezza. Un dirigente che cura i dettagli del proprio abbigliamento, come accessori eleganti, un abito ben tagliato o un tailleur sobrio ma raffinato, proietta un’immagine di professionalità e competenza. Questi elementi comunicano implicitamente valori di precisione, affidabilità e rispetto per il proprio ruolo.

Questi dettagli non solo trasmettono un senso di autorevolezza, ma contribuiscono a modellare il clima culturale dell’istituzione scolastica, favorendo un ambiente in cui professionalità e coerenza sono punti di riferimento. Inoltre, i dirigenti fungono da esempio visibile per l’intera comunità scolastica: il loro stile può influenzare positivamente il comportamento e il dress code degli insegnanti, consolidando l’identità collettiva dell’istituto. L’attenzione al dress code non è soltanto una questione estetica, ma diventa una strategia educativa che comunica ai giovani l’importanza della cura di sé come parte di una mentalità orientata al successo e alla consapevolezza sociale.

L’abito come proiezione verso il futuro

L’abbigliamento non è solo una questione di apparenza, ma rappresenta anche un potente mezzo di comunicazione e autoaffermazione che influisce sul modo in cui gli altri ci percepiscono e, di conseguenza, sulle opportunità di carriera. Per gli studenti, osservare un docente o un dirigente che dimostra coerenza tra abbigliamento e ruolo professionale può stimolare una riflessione sull’importanza del “presentarsi” in modo strategico, valorizzando la propria identità e rispettando le aspettative del contesto lavorativo.

Questo tipo di esempio promuove nei giovani una consapevolezza pratica, insegnando loro che la cura dell’aspetto esteriore è parte integrante della costruzione di una reputazione professionale. Come evidenziato dagli studi di Erving Goffman sull'”impression management”, l’abbigliamento funziona come uno strumento per proiettare competenza, sicurezza e rispetto. Questa consapevolezza prepara gli studenti a navigare nel mondo del lavoro con maggiore fiducia, rafforzando una mentalità orientata al successo e alla crescita personale.

Implicazioni pedagogiche e neuroscientifiche

Gli effetti del linguaggio del corpo e del dress code sulla gestione della classe trovano supporto in numerose discipline, tra cui la pedagogia, la neuroscienza, la psicologia sociale e la sociologia. Studi pedagogici dimostrano che la comunicazione non verbale è, spesso, più efficace di quella verbale nel trasmettere messaggi emotivi e nel rafforzare il senso di appartenenza al gruppo, come evidenziato dal lavoro di Lev Vygotskij sull’importanza delle interazioni sociali nel processo di apprendimento.

Dal punto di vista neuroscientifico, il cervello degli studenti è particolarmente sensibile ai segnali non verbali, che influenzano la loro motivazione e il loro livello di attenzione. Un docente che utilizza il linguaggio del corpo per manifestare entusiasmo e coinvolgimento attiva nei discenti i cosiddetti neuroni specchio, come sottolineato dagli studi di Giacomo Rizzolatti, favorendo un apprendimento più partecipativo e collaborativo.

In psicologia sociale, Albert Mehrabian ha rilevato che la componente non verbale della comunicazione contribuisce, in misura predominante, alla percezione del messaggio complessivo, confermando l’importanza del linguaggio corporeo e del dress code nel creare un ambiente relazionale positivo. Infine, la sociologia ci insegna che il contesto culturale e le norme sociali influenzano profondamente l’interpretazione di questi segnali, suggerendo che un docente deve adattare il proprio stile comunicativo alle dinamiche del gruppo classe per massimizzare l’efficacia del proprio ruolo.

Conclusioni e suggerimenti pratici

Per migliorare la gestione della classe, è fondamentale che gli insegnanti comprendano come il linguaggio del corpo e il dress code possano influenzare profondamente il clima scolastico e l’apprendimento. Questa consapevolezza non deve essere percepita come una strategia superficiale, ma come una pratica integrata e riflessiva, in grado di plasmare sia le dinamiche relazionali che la trasmissione dei contenuti.

Un linguaggio del corpo consapevole non è solo un mezzo per comunicare autorevolezza, ma anche per costruire empatia. La postura, i gesti e le espressioni facciali diventano strumenti per creare connessioni emotive e rafforzare il senso di appartenenza. Ad esempio, un contatto visivo diretto può non solo catturare l’attenzione degli studenti, ma anche trasmettere interesse sincero verso il loro apprendimento, favorendo un rapporto di fiducia. Allo stesso modo, il dress code non è semplicemente un segno esteriore di professionalità, ma un riflesso dei valori e della coerenza del ruolo educativo. Abiti adeguati al contesto scolastico stabiliscono un confine chiaro tra formalità e accessibilità, rafforzando la percezione di rispetto reciproco.

Inoltre, gli insegnanti devono considerare il potenziale trasformativo dei dispositivi tecnologici nel migliorare la gestione della classe. Strumenti come microfoni, lavagne interattive e applicazioni digitali non solo amplificano la voce o i contenuti visivi, ma permettono di personalizzare l’esperienza didattica. Ad esempio, un registratore digitale può aiutare l’insegnante a valutare la propria modulazione vocale, mentre piattaforme di feedback immediato coinvolgono gli studenti attivamente, rendendoli parte integrante del processo educativo.

Questa combinazione di elementi non verbali, tecnologici e riflessivi trasforma la gestione della classe in un’arte complessa e sfaccettata. Creare un equilibrio tra autorevolezza e accessibilità richiede un costante lavoro di introspezione e adattamento, ma i benefici sono evidenti: studenti più motivati, un ambiente inclusivo e una relazione educativa fondata sul rispetto e sulla crescita reciproca.

In definitiva, una gestione della classe efficace nasce dalla combinazione di competenze pratiche, riflessione critica e utilizzo strategico degli strumenti a disposizione, in un’ottica di crescita continua e consapevolezza educativa.

In definitiva, il linguaggio del corpo e il dress code sono elementi chiave che, se utilizzati consapevolmente, possono migliorare significativamente la gestione della classe, contribuendo a creare un ambiente di apprendimento positivo e inclusivo. 

La valutazione dei dirigenti scolastici

La valutazione dei dirigenti scolastici: una riflessione critica

di Carmelo Salvatore Benfante Picogna e Patrizia Fasulo (*)

È in corso in questi mesi un interessante dibattito su un processo cardine del sistema scolastico italiano, la valutazione per i Dirigenti scolastici.  L’articolo 13 del Decreto-Legge n. 71 del 31 maggio 2024 (Disposizioni urgenti in materia di sport, di sostegno didattico agli alunni con disabilità, per il regolare avvio dell’anno scolastico 2024/2025 e in materia di università e ricerca) ha, infatti, introdotto un significativo aggiornamento normativo, enfatizzando il ruolo del Sistema nazionale di valutazione dei risultati dei Dirigenti scolastici nel definire obiettivi strategici e criteri valutativi. Tale sistema considera le specificità delle funzioni dirigenziali, i vincoli territoriali e le risorse disponibili, in una prospettiva che valorizza autonomia scolastica e responsabilità dirigenziale.

I soggetti coinvolti nel nuovo sistema sono:

  • i Capi Dipartimento, cui spetterà il compito di individuare gli obiettivi misurabili della valutazione;
  • i Direttori Generali degli Uffici scolastici regionali che potranno integrare, entro limiti prestabiliti, tali obiettivi e provvederanno alla loro assegnazione ai Dirigenti scolastici e alla definizione del punteggio di valutazione, che sarà quantificato in centesimi;
  • i Dirigenti amministrativi in servizio presso gli Ambiti territoriali e i Dirigenti tecnici con funzioni ispettive a supporto nella fase istruttoria della valutazione.

Permangono nell’attuale proposta, ancora da definirsi, alcuni richiami alla precedente normativa che rappresentano importanti spunti di riflessione e, taluni dei quali, perfino imprescindibili per la nuova regolamentazione.

 

  1. La responsabilità condivisa e l’autonomia scolastica

La scuola è una istituzione che si basa sulla conoscenza e sull’apprendimento continuo dei suoi membri talché le esperienze di ciascun membro vanno a comporre il patrimonio dell’organizzazione stessa e il suo capitale sociale e conoscitivo. Le performance delle istituzioni, tuttavia, sono condizionate da variabili come, ad esempio, il background socioeconomico delle famiglie o la qualità dell’offerta formativa territoriale, che non dipendono, direttamente e immediatamente, dalla gestione dirigenziale. In questo senso è fondamentale che il futuro sistema di valutazione consideri gli esiti scolastici come il risultato di una responsabilità condivisa tra il dirigente, il corpo docente, le famiglie, le istituzioni locali e, per quanto possibile, con gli studenti. L’attuazione dell’autonomia scolastica, in tutte le sue molteplici declinazioni, che caratterizza il lavoro del Dirigente scolastico trova, infatti, dei limiti nella necessità di operare in un quadro normativo e organizzativo che non sempre favorisce la piena indipendenza decisionale. Il che, del resto, non può essere considerato un male assoluto! Purché si consideri un elemento distintivo della valutazione dei Dirigenti scolastici ovvero la consapevolezza che i risultati della scuola non dipendono esclusivamente dall’ operato del singolo, ma sono influenzati da una pluralità di fattori esterni e da attori sui quali non è possibile esercitare un controllo diretto né continuativo.

Proviamo qui a delineare alcuni strumenti che, a nostro avviso, potrebbero aiutare il Dirigente, responsabile dei risultati del servizio offerto all’utenza, a individuare, interpretare e governare tutte le condizioni prodromiche in grado di predire con buona probabilità di avveramento, che potrebbero influire positivamente o negativamente sulla sua valutazione:

  • in quest’ottica diventa fondamentale per ogni Dirigente un rilancio dell’autonomia dell’istituzione, considerando ogni singola realtà come un laboratorio permanente di ricerca organizzativa e didattica; adottando il modello del miglioramento continuo di pedagogia “glocal” che parta dall’assunto che le comunità si costruiscono creando dinamismi virtuosi; evitando di entrare nella dimensione dell’uomo/donna solo/a al comando in grado di risolvere tutti i problemi.
  • I dati Invalsi, ad esempio, rappresentano una straordinaria cartina di tornasole sull’equità del sistema scolasticoperché permettono di preconizzare interventi su misura in risposta ai diversi problemi emersi: divari territoriali, differenze di genere, inclusione, dispersione scolastica, ecc. Si ricollega a questa riflessione con immediatezza la necessità di prestare molta attenzione alla formazione delle classi e delle sezioni sin dalla scuola dell’infanzia, ricorrendo non a semplicistici quanto ingenui criteri di equieterogeneità ma, piuttosto, a strumenti scientifici validati come, ad esempio, il sociogramma di Moreno. La riduzione di alti livelli di variabilità fra le classi e le sezioni, al di là dei risultati nei livelli di apprendimento, va analizzata e ricondotta a indici fisiologici sin dalla prima infanzia, non solo per ridurre i divari che originano nelle fragilità territoriali e regionali ma anche per combattere il male di vivere delle nuove generazioni;
  • Altra utile riflessione, a parere di chi scrive, è una rinnovata attenzione al patto di corresponsabilità fra scuola e famiglia, menzionato per la prima volta nel D.P.R. 21 novembre 2007 n. 235. È ormai pacifico, infatti, che la partecipazione dei genitori e, quando previsto, anche degli studenti, rappresenti una precondizione fondamentale per il successo educativo, soprattutto in contesti caratterizzati da un livello ESCS (indicatori socio-economici e culturali) medio-basso e quindi di forti, se non endemiche, condizioni di povertà educativa. In quest’ottica va ri-costruita una comunità educante, radicata in un territorio circoscritto,dove poter alimentare quegli elementi di appartenenza identitaria e spirito di comunità, legandoli all’apprendimento formalizzato, a quello informale e non formale ed alla cura dei beni comuni.
  •  Un’altra dimensione da analizzare attiene alla mancata accettazione delle regole di funzionamento di una comunità: molte/i ragazze/i faticano a rispettarle poiché non ne riconoscono il valore mostrando, così, una forte insofferenza verso qualsiasi norma vissuta come un’imposizione. In genere quando queste ragazze e questi ragazzi arrivano a scuola hanno già in buona parte strutturato, nelle proprie famiglie e nei gruppi dei pari, i loro comportamenti nei confronti delle regole. Ecco perché, nei casi disfunzionali o a rischio, è necessario interagire in maniera sistematica con le strutture e gli enti preposti ad accogliere e accompagnare i nuclei familiari fragili, tenendo conto dei meccanismi e delle modalità di funzionamento della scuola al fine di riconsiderare la propria scala valoriale, condividerla e rispettarla.

Il contesto territoriale e i vincoli operativi

Il nuovo Sistema di Valutazione, sembra certo, dovrà essere incentrato su dati oggettivi quali la pubblicazione dei documenti strategici delle scuole (PTOF, RAV, PDM, Rendicontazione sociale ecc.), la corretta tenuta della sezione “Amministrazione trasparente” e l’adeguata gestione del sito web. Aspetti di sicuro condivisibili ma non esaustivi nella misura in cui non si considereranno  le ricadute negative che condizionamenti e vincoli locali possono avere sul raggiungimento degli obiettivi da parte dei Dirigenti scolastici.

Il contesto territoriale (vincoli, risorse, opportunità, condizionamenti umani e materiali ecc.) è, dunque, senza alcun dubbio, il fattore determinante attorno al quale deve ruotare la valutazione della scuola e, quindi, del suo personale. In questo caso del Dirigente scolastico. Le scuole situate in aree economicamente svantaggiate o caratterizzate da criticità sociali e culturali presentano sfide specifiche che influiscono direttamente sull’efficacia dell’azione dirigenziale. Ad esempio, in aree con alta percentuale di dispersione scolastica o con significative difficoltà di integrazione culturale, il Dirigente deve dimostrare competenze nella mediazione e nella costruzione di reti di supporto con enti locali e associazioni. La mancanza di infrastrutture adeguate o il basso coinvolgimento delle famiglie nel percorso educativo rappresentano ulteriori sfide che il Dirigente deve affrontare con approcci innovativi e flessibili. Pensiamo, ad esempio, alla gestione degli immobili, alle forniture, ai beni e ai servizi che gli Enti locali sono obbligati ad assicurare e alla fatica che queste interlocuzioni spesso rappresentano per il Dirigente scolastico, sia che ci si trovi in un piccolo centro, magari per la scarsità delle risorse, che nelle città metropolitane, a causa della numerosità degli istituti.

La valutazione del Dirigente scolastico, dunque, dovrebbe tenere conto di questi fattori, riconoscendo come il contesto territoriale condizioni non solo i risultati, ma anche la stessa definizione degli obiettivi strategici e, perfino, le necessarie basi di riconoscimento di ruoli e doveri.

Queste riflessioni dovrebbero condurci alla consapevolezza che il miglioramento è basato su due elementi indissolubili: la co-progettazione e la corresponsabilità dell’azione educativa. La partecipazione richiede di attivare un processo condiviso fin dal momento della progettazione iniziale (by default). Un processo di questo tipo ha bisogno di fra proprie diverse categorie e fra queste, il tempo è fondamentale. Il tempo inteso, non solo nel significato di quello che scorrere (Chronos) ma, soprattutto, nel senso di Kairos, ovvero quello che ci vuole, che è significativo per costruire una comunità che collabora, e i cui frutti dureranno molto a lungo; sarà faticoso all’inizio ma, una volta avviato, il processo sarà in grado di affrontare temi ed emergenze complesse per il medio-lungo periodo.

 

Il personale scolastico: una risorsa da sviluppare

Un altro aspetto cruciale nella valutazione del Dirigente è lo sviluppo delle risorse umane che rappresenta una risorsa fondamentale, ma la cui gestione presenta sfide specifiche. I Dirigenti devono non solo monitorare l’adeguatezza delle competenze del personale rispetto agli obiettivi della scuola, ma anche promuovere percorsi di formazione continua che rispondano alle esigenze educative e organizzative del territorio. I momenti della formazione iniziale e in servizio sono fondamentali per sollecitare nei docenti/ATA la capacità di comprendere le diversità, riflettere sul contesto e le proprie pratiche e attivare processi di cambiamento. È ovvio che nei contesti più difficili il turnover del personale rende questo percorso più difficile. Il ruolo del Dirigente diventa quindi ancor più significativo nel motivare il personale, creare un clima di lavoro positivo, affrontare e risolvere eventuali conflitti interni. Inoltre, l’abilità di valorizzare i talenti all’interno del corpo docente, ad esempio assegnando incarichi di responsabilità che stimolino la crescita professionale, contribuisce in modo significativo al miglioramento complessivo dell’istituzione scolastica attraverso risultati potenzialmente raggiungibili, non definibili sebbene auspicabili, a priori.

In tal senso, le azioni formative ipotizzate, devono garantire spazi di flessibilità per poter essere cucite su misura della singola realtà per espandere la consapevolezza dei docenti guidandoli a una corretta attribuzione del loro ruolo in diversi contesti. In primo piano si trovano i concetti di “locale” e “globale” che richiedono una maggiore inorporazione dell’innovazione che il contesto offre dal punto di vista educativo e una migliore capacità di gestire non solo l’integrazione del territorio nel curriculum, ma anche le specificità della classe.

Le risorse economiche della scuola

La gestione delle risorse economiche costituisce un altro pilastro della valutazione del Dirigente scolastico. L’autonomia scolastica prevede che i Dirigenti siano responsabili della pianificazione e attuazione amministrativo-contabile e dell’utilizzo dei fondi, ma spesso le risorse disponibili sono limitate e insufficienti per soddisfare tutte le necessità. In tale contesto, un dirigente efficace deve dimostrare abilità nell’individuare una scala di priorità degli interventi, concentrandosi su progetti che garantiscano il massimo impatto educativo. La capacità di reperire finanziamenti aggiuntivi, ad esempio attraverso la partecipazione a bandi europei o nazionali, rappresenta un indicatore di competenza gestionale. La trasparenza e l’efficienza nella gestione delle risorse economiche, inoltre, rafforzano la fiducia della comunità scolastica e degli enti finanziatori, contribuendo a costruire una reputazione positiva per l’istituto. In tal senso la rendicontazione sociale riveste un momento particolarmente importante per rendere il territorio e gli stakeholder avveduti conoscitori e, in ultima analisi, sostenitori, di come la scuola ha “speso” i soldi pubblici.

Conclusione

La valutazione dei dirigenti scolastici, come delineata dal Decreto-legge n. 71 del 2024, risulta un processo complesso e articolato, che richiede un approccio equilibrato e contestualizzato. Alla luce di quanto sopra, i nuclei fondamentali dovrebbero continuare ad articolarsi nei seguenti ambiti:

  1. Gestione e organizzazione;
  2. Sviluppo delle risorse umane;
  3. Analisi e miglioramento della realtà scolastica;
  4. Relazioni con la comunità e le istituzioni.

Riconoscere la specificità dei contesti territoriali, valorizzare il lavoro svolto in condizioni spesso difficili e considerare il contributo degli altri attori del sistema scolastico sono elementi fondamentali per garantire una valutazione equa ed efficace. Solo attraverso un’analisi approfondita e integrata di tutti i fattori coinvolti sarà possibile promuovere un sistema scolastico che risponda pienamente alle esigenze della comunità e al diritto del Dirigente scolastico di essere valutato secondo criteri chiaramente definiti e misurabili.


(*) Carmelo Salvatore Benfante Picogna, Dirigente tecnico con funzioni ispettive Usr Sicilia

Patrizia Fasulo, già Dirigente tecnico con funzioni ispettive – Consulente Usr Sicilia

Compiti e responsabilità del Medico competente

Compiti e responsabilità del Medico competente nelle Istituzioni scolastiche: normativa e stato dell’arte

di Leon Zingales

Il ruolo del medico competente, particolarmente in ambito scolastico, è di cruciale importanza per assicurare la sicurezza e il benessere di tutto il personale, degli studenti e delle persone che frequentano quotidianamente gli istituti scolastici. Questa figura non si limita alla semplice assistenza sanitaria, ma riveste una funzione strategica all’interno del sistema di prevenzione e protezione dei rischi, operando in stretta collaborazione con il dirigente scolastico e gli altri soggetti coinvolti nella sicurezza.

La gestione efficace della sicurezza nei luoghi di lavoro richiede un approccio integrato, basato su competenze specifiche, una valutazione continua dei rischi e un’attenta applicazione delle normative vigenti, tra cui il Decreto Legislativo 81/2008. Tale normativa, che costituisce il pilastro della sicurezza sul lavoro in Italia, definisce con precisione i ruoli e le responsabilità del medico competente, prevedendo un suo coinvolgimento diretto nella tutela della salute dei lavoratori e nella prevenzione di eventuali infortuni o malattie professionali.

Nel contesto scolastico, questa responsabilità assume una complessità aggiuntiva a causa della varietà di rischi presenti, che spaziano da quelli legati alle attività didattiche e ai laboratori, fino a quelli connessi alla sicurezza degli impianti e delle strutture. Inoltre, il medico competente svolge un ruolo fondamentale nella promozione di una cultura della sicurezza tra il personale scolastico, sensibilizzando tutti gli attori coinvolti sull’importanza della prevenzione e garantendo che le misure adottate siano adeguate e costantemente aggiornate.

Il presente articolo si propone di approfondire i compiti principali del medico competente, analizzandone i diversi ambiti di intervento alla luce delle disposizioni normative e dei pareri tecnici disponibili. Saranno inoltre esaminate le responsabilità del dirigente scolastico, figura chiave nella corretta applicazione delle misure di sicurezza, fornendo una panoramica completa e dettagliata delle implicazioni operative e giuridiche che caratterizzano questo ambito.

I titoli ed i requisiti che deve possedere il medico competente sono riportati nell’art. 38 del D.Lgs. 81/08.

Titoli e requisiti del medico competente Art.38 del D.Lgs. 81/08 Per svolgere le funzioni di medico competente è necessario possedere uno dei seguenti titoli o requisiti: a) specializzazione in medicina del lavoro o in medicina preventiva dei lavoratori e psicotecnica; b) docenza in medicina del lavoro o in medicina preventiva dei lavoratori e psicotecnica o in tossicologia industriale o in igiene industriale o in fisiologia e igiene del lavoro o in clinica del lavoro; c) autorizzazione di cui all’articolo 55 del decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277; d) specializzazione in igiene e medicina preventiva o in medicina legale…   Nota: Il testo dell’art. 55 del citato decreto legislativo n. 277 del 1991 è il seguente «Art. 55 (Esercizio dell’attività di medico competente). – 1. I laureati in medicina e chirurgia che, pur non possedendo i requisiti di cui all’art. 3, comma 1, lettera c), alla data di entrata in vigore del presente decreto abbiano svolto l’attività di medico del lavoro per almeno quattro anni, sono autorizzati ad esercitare la funzione di medico competente. 2. L’esercizio della funzione di cui al comma 1 è subordinato alla presentazione, all’assessorato regionale alla sanità territorialmente competente, di apposita domanda corredata dalla documentazione comprovante lo svolgimento dell’attività di medico del lavoro per almeno quattro anni.

Il Medico competente ha una funzione sia di natura preventiva/collaborativa che di sorveglianza sanitaria con obblighi ai quali, in caso di mancato assolvimento, corrispondono pesanti sanzioni.

TABELLA Obblighi e sanzioni corrispondenti, in caso di inadempienza, del Medico competente in base al combinato disposto dell’art. 25 e dell’art. 58  del D.Lgs. 81/08. Le sanzioni sono aggiornate ai sensi del Decreto Direttoriale 111/2023 del Ministero del Lavoro. Obblighi (Art. 25 comma 1) Sanzioni ai sensi dell’Art. 58 Il medico competente: a) collabora con il Datore di lavoro e con il servizio di prevenzione e protezione alla valutazione dei rischi, anche ai fini della programmazione, ove necessario, della sorveglianza sanitaria, alla predisposizione della attuazione delle misure per la tutela della salute e della integrità psico-fisica dei lavoratori, all’attività di formazione e informazione nei confronti dei lavoratori, per la parte di competenza, e alla organizzazione del servizio di primo soccorso considerando i particolari tipi di lavorazione ed esposizione e le peculiari modalità organizzative del lavoro. Collabora inoltre alla attuazione e valorizzazione di programmi volontari di “promozione della salute”, secondo i principi della responsabilità sociale; Relativamente alla parte sottolineata: arresto fino a tre mesi o ammenda da 569,53 a 2.278,14 euro [Art. 58, co. 1, lett. c)] b) programma ed effettua la sorveglianza sanitaria di cui all’articolo 41 attraverso protocolli sanitari definiti in funzione dei rischi specifici e tenendo in considerazione gli indirizzi scientifici più avanzati; arresto fino a due mesi o ammenda da 427,16 a 1.708,61 euro [Art. 58, co. 1, lett. b)] c) istituisce, aggiorna e custodisce, sotto la propria responsabilità, una cartella sanitaria e di rischio per ogni lavoratore sottoposto a sorveglianza sanitaria; tale cartella è conservata con salvaguardia del segreto professionale e, salvo il tempo strettamente necessario per l’esecuzione della sorveglianza sanitaria e la trascrizione dei relativi risultati, presso il luogo di custodia concordato al momento della nomina del medico competente; arresto fino a due mesi o ammenda da 427,16 a 1.708,61 euro [Art. 58, co. 1, lett. b)] d) consegna al Datore di lavoro, alla cessazione dell’incarico, la documentazione sanitaria in suo possesso, nel rispetto delle disposizioni di cui al decreto legislativo del 30 giugno 2003 n.196, e con salvaguardia del segreto professionale; arresto fino a un mese o ammenda da 284,77 a 1.139,08 euro [Art. 58, co. 1, lett. a)] e) consegna al lavoratore, alla cessazione del rapporto di lavoro, copia della cartella sanitaria e di rischio, e gli fornisce le informazioni necessarie relative alla conservazione della medesima; l’originale della cartella sanitaria e di rischio va conservata, nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, da parte del Datore di lavoro, per almeno dieci anni, salvo il diverso termine previsto da altre disposizioni del presente decreto; Relativamente alla parte sottolineata: arresto fino a un mese o ammenda da 284,77 a 1.139,08 euro [Art. 58, co. 1, lett. a)]   La restante parte è obbligo del Dirigente scolastico che, in caso di mancato assolvimento, è punito con: sanzione amministrativa pecuniaria da 711,92 a 2.562,91 euro [Art. 55, co. 5 lett. h)] g) fornisce informazioni ai lavoratori sul significato della sorveglianza sanitaria cui sono sottoposti e, nel caso di esposizione ad agenti con effetti a lungo termine, sulla necessità di sottoporsi ad accertamenti sanitari anche dopo la cessazione della attività che comporta l’esposizione a tali agenti. Fornisce altresì, a richiesta, informazioni analoghe ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza; h) informa ogni lavoratore interessato dei risultati della sorveglianza sanitaria; arresto fino a due mesi o ammenda da 427,16 a 1.708,61 euro [Art. 58, co. 1, lett. b)] h) informa ogni lavoratore interessato dei risultati della sorveglianza sanitaria di cui all’articolo 41 e, a richiesta dello stesso, gli rilascia copia della documentazione sanitaria; sanzione amministrativa pecuniaria da 854,30 a 2847,69 euro [Art. 58, co. 1, lett. d)] i) comunica per iscritto, in occasione delle riunioni di cui all’articolo 35, al Datore di lavoro, al responsabile del servizio di prevenzione protezione dai rischi, ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, i risultati anonimi collettivi della sorveglianza sanitaria effettuata e fornisce indicazioni sul significato di detti risultati ai fini della attuazione delle misure per la tutela della salute e della integrità psico-fisica dei lavoratori; sanzione amministrativa pecuniaria da 854,30 a 2847,69 euro [Art. 58, co. 1, lett. d)] l) visita gli ambienti di lavoro almeno una volta all’anno o a cadenza diversa che stabilisce in base alla valutazione dei rischi; la indicazione di una periodicità diversa dall’annuale deve essere comunicata al Datore di lavoro ai fini della sua annotazione nel documento di valutazione dei rischi; arresto fino a tre mesi o ammenda da 569,53 a 2.278,14 euro [Art. 58, co. 1, lett. c)] m) partecipa alla programmazione del controllo dell’esposizione dei lavoratori i cui risultati gli sono forniti con tempestività ai fini della valutazione del rischio e della sorveglianza sanitaria; Nessuna sanzione prevista n) comunica, mediante autocertificazione, il possesso dei titoli e requisiti di cui all’articolo 38 al Ministero del Lavoro, della salute e delle politiche sociali entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto.  Nessuna sanzione prevista

Il dialogo tra il Dirigente scolastico ed il medico competente deve essere continuo e la comunicazione tempestiva ai sensi dell’art. 18 c.1 del D.Lgs. 81/08. Il mancato assolvimento degli obblighi di pertinenza, implica sanzioni ai sensi dell’art. 55 c.5 del D.Lgs. 81/08.

TABELLA Obblighi e sanzioni corrispondenti per il Dirigente scolastico in caso di mancato assolvimento della sorveglianza sanitaria prevista, in base al combinato disposto dell’art. 18 e dell’art. 55  del D.Lgs. 81/08. Le sanzioni sono aggiornate ai sensi ai sensi del Decreto Direttoriale 111/2023 del Ministero del Lavoro. Obblighi (Art. 18 comma 1) Sanzioni ai sensi dell’Art. 55 c.5 a) nominare il medico competente per l’effettuazione della sorveglianza sanitaria nei casi previsti dal presente decreto legislativo. arresto da due a quattro mesi o ammenda da 1.500 a 6000 euro [Art. 55, co. 5, lett. d)] g) inviare i lavoratori alla visita medica entro le scadenze previste dal programma di sorveglianza sanitaria e richiedere al medico competente l’osservanza degli obblighi previsti a suo carico nel presente decreto; ammenda da 2.847,69 a 5.695,36 euro [Art. 55, co. 5, lett. e)] g bis) nei casi di sorveglianza sanitaria di cui all’articolo 41, comunicare tempestivamente al medico competente la cessazione del rapporto di lavoro. sanzione amministrativa pecuniaria da 711,92 a 2.562,91 euro [Art. 55, co. 5 lett. h)]
Sentenza n. 1856  Cassazione Penale, Sez. 3, 15 gennaio 2013 Sintesi La Cassazione Penale condanna un medico competente per omessa collaborazione alla valutazione dei rischi. Infatti l’obbligo di collaborazione col Datore di lavoro cui è tenuto il medico competente e il cui inadempimento integra il reato di cui agli artt. 25, comma primo, lett. a) e 58, comma primo, lett. c), del D.Lgs. n. 81 del 2008, non presuppone necessariamente una sollecitazione da parte del Datore di lavoro, ma comprende anche un’attività propositiva e di informazione da svolgere con riferimento al proprio ambito professionale Aspetti rilevanti: Al medico competente “non è affatto richiesto l’adempimento di un obbligo altrui quanto, piuttosto, lo svolgimento del proprio obbligo di collaborazione, espletabile anche mediante l’esauriente sottoposizione al Datore di lavoro dei rilievi e delle proposte in materia di valutazione dei rischi che coinvolgono le sue competenze professionali in materia sanitaria. Viene così delimitato l’ambito degli obblighi imposti dalla norma al “medico competente”, adempiuti i quali, l’eventuale ulteriore inerzia del Datore di lavoro resterebbe imputata a sua esclusiva responsabilità penale a mente dell’art. 55, comma 1. lett. a) D.Lgs. 81/2008.” La corte chiarisce in questa sentenza che: –  la valutazione dei rischi […] è attribuita dall’art. 29 del medesimo D.Lgs. al Datore di lavoro, per il quale costituisce, ai sensi dell’art. 17, un obbligo non delegabile; – l’espletamento dei compiti da parte del “medico competente” comporta una effettiva integrazione nel contesto aziendale e non può essere limitato, ad avviso del Collegio, ad un ruolo meramente passivo in assenza di opportuna sollecitazione da parte del Datore di lavoro, anche se il contributo propulsivo richiesto resta limitato alla specifica qualificazione professionale”; – l’importanza del ruolo sembra essere stata riconosciuta dallo stesso legislatore il quale, nel modificare l’originario contenuto dell’art. 58, ha introdotto la sanzione penale solo con riferimento alla valutazione dei rischi; -l’ambito della responsabilità penale resta confinato nella violazione dell’obbligo di collaborazione che, come si è detto, comprende anche un’attività propositiva e di informazione che il medico deve svolgere con riferimento al proprio ambito professionale ed il cui adempimento può essere opportunamente documentato o comunque accertato dal giudice del merito caso per caso.
Sentenza n. 38402  Cassazione Penale, 9 agosto 2018 Sintesi: Responsabilità di un medico competente, per assente sorveglianza sanitaria ed omessa collaborazione,  con pena di euro 700 di ammenda per il reato di cui agli artt. 25, comma 1, lett. a), 41, comma 2, in relazione all’art. 58, comma 1, lett. c) D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81. Aspetti rilevanti: il medico competente deve assumere elementi di valutazione non soltanto dalle informazioni che devono essere fornite dal Datore di lavoro, ma anche da quelle che può e deve direttamente acquisire di sua iniziativa, ad esempio in occasione delle visite agli ambienti di lavoro di cui all’art. 25, lettera I) o perché fornitegli direttamente dai lavoratori sottoposti a sorveglianza sanitaria o da altri soggetti. Di conseguenza, riguardo alle finalità della normativa quanto alla tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro, le omissioni hanno natura di reato permanente e di pericolo astratto, per cui – ai fini della configurazione – non è necessario che dalla violazione delle prescrizioni derivi un danno alla salute o alla incolumità del lavoratore.

La contestuale funzione preventiva/collaborativa e sanitaria rende oggettivamente residuale la possibilità da parte delle Istituzioni scolastiche di non nominare un medico competente

Inoltre, per quanto riguarda la funzione preventiva/collaborativa del medico competente, vi è impedimento alla possibilità che sia il solo Dirigente Scolastico (con l’ausilio del RSPP) a valutare la non necessità di effettuare sorveglianza sanitaria per l’assenza di rischi. Non a caso l’art. 28, comma 2, alla lett. e), richiede esplicitamente al Datore di lavoro di indicare nel documento di valutazione dei rischi il nominativo del medico competente che ha partecipato alla valutazione stessa.

Si indicano di seguito, a mero titolo esemplificativo, i fattori di rischio che più comunemente possono rilevarsi in ambito scolastico, e sui quali si ritiene di richiamare l’attenzione:

  • rischio chimico (collaboratori scolastici, insegnanti impiegati in attività tecnico pratiche, assistenti di laboratorio, studenti);
  • rischio biologico;
  • rischio movimentazione carichi ( collaboratori scolastici, personale della scuola dell’infanzia e  insegnanti di sostegno);
  • rischio videoterminali ( personale di segreteria, insegnanti e studenti nelle ore di laboratorio)
  • rischio rumore;
  • rischio stress lavoro-correlato;
  • rischio per le lavoratrici in stato di gravidanza;
  • rischio da contagio coronavirus.
Parere del 9-10-2013 da parte dell’Ufficio VIII USR Lombardia Si riporta testualmente parte del parere che si ritiene estremamente significativo “Ad una attenta lettura, in particolare degli artt. 2, 18, 25, 28 e 29, parrebbe che il D.Lgs. 81/2008 e s.m.i. abbia affidato al medico competente una duplice funzione: una di natura preventiva e collaborativa, sia con il Datore di lavoro sia con il servizio di prevenzione e protezione, consistente nello svolgimento dei compiti-obblighi di cui all’art. 25 (fra i quali quello di partecipare alla valutazione dei rischi), e l’altra finalizzata alla gestione dell’eventuale sorveglianza sanitaria dei lavoratori, il cui obbligo emerga appunto a seguito della valutazione dei rischi (art. 18). Giova rammentare, al riguardo, che l’art. 28, comma 2, alla lett. e), richiede esplicitamente al Datore di lavoro di indicare nel documento di valutazione dei rischi il nominativo del medico competente che ha partecipato alla valutazione stessa. Sostenere dunque che “la maggioranza delle scuole non presenta lavoratori esposti a rischi tali da rendere necessaria la sorveglianza sanitaria”  come si legge da più parti, sembra a chi scrive un’affermazione formulata al fine di giustificare a priori la decisione di non aver bisogno del medico competente. Tale affermazione risulta però priva di senso ove si consideri che la presenza ed il parere del medico competente servono proprio a determinare se la scuola che si considera sia o meno compresa tra gli ambienti di lavoro ove la sorveglianza sanitaria è necessaria. Da una lettura coordinata delle norme su elencate, sembra emergere con chiarezza un elemento: la procedura di norma seguita dai datori di lavoro nella scuola (Dirigenti) per quanto riguarda l’eventuale nomina del medico competente è cronologicamente scorretta. Risulta in effetti a chi scrive che prima il Dirigente provvede ad effettuare, di norma autonomamente, una valutazione dei rischi presenti nel suo ambiente di lavoro di riferimento, per decidere poi, sempre autonomamente, se nominare o meno il medico competente. Dal dettato normativo, invece, discende che è senz’altro opportuno interessare comunque preventivamente un medico competente, in possesso dei requisiti formativi e professionali di cui all’art. 38, affinché visiti i luoghi di lavoro (art. 25, comma 1, lett. l) e collabori con il Datore e con l’eventuale RSPP nella effettuazione della valutazione dei rischi presenti nell’istituzione scolastica. Dopo di ciò, sarà lo stesso medico ad esprimere un parere qualificato circa la necessità o meno, così come espressamente indicato nell’art. 25 comma 1 lettera a), di nomina di un medico competente al quale affidare la sorveglianza sanitaria obbligatoria, che tra l’altro può essere anche affidata ad altro e diverso medico.”

Per quanto riguarda la funzione di sorveglianza sanitaria del medico competente, si tenga conto che il D.Lgs. 106/2009, introducendo l’art. 41, comma 2, lett. e-ter del D.Lgs. 81/08, ha previsto che dopo un’assenza per malattia/infortunio superiore ai 60 giorni continuativi, prima di riprendere il normale servizio, il lavoratore  deve essere sottoposto a visita ad opera del Medico Competente. Questo caso è uno dei tanti previsti dall’art. 41 del D.Lgs. 81/08, concernente la sorveglianza sanitaria.

TABELLA Obblighi e sanzioni corrispondenti per il Medico competente in caso di mancato assolvimento della sorveglianza sanitaria prevista, in base al combinato disposto dell’art. 41 e dell’art. 58  del D.Lgs. 81/08. Le sanzioni sono aggiornate ai sensi del Decreto Direttoriale 111/2023 del Ministero del Lavoro.   Obblighi (Art. 41) Sanzioni ai sensi dell’Art. 58 1) La sorveglianza sanitaria è effettuata dal medico competente: a) nei casi previsti dalla normativa vigente, dalle indicazioni fornite dalla Commissione consultiva di cui all’articolo 6; b) qualora il lavoratore ne faccia richiesta e la stessa sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi lavorativi; Nessuna sanzione prevista 2) La sorveglianza sanitaria comprende: a) visita medica preventiva intesa a constatare l’assenza di controindicazioni al lavoro cui il lavoratore è destinato al fine di valutare la sua idoneità alla mansione specifica; b) visita medica periodica per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica. La periodicità di tali accertamenti, qualora non prevista dalla relativa normativa, viene stabilita, di norma, in una volta l’anno. Tale periodicità può assumere cadenza diversa, stabilita dal medico competente in funzione della valutazione del rischio. L’organo di vigilanza, con provvedimento motivato, può disporre contenuti e periodicità della sorveglianza sanitaria differenti rispetto a quelli indicati dal medico competente; c) visita medica su richiesta del lavoratore, qualora sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi professionali o alle sue condizioni di salute, suscettibili di peggioramento a causa dell’attività lavorativa svolta, al fine di esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica; d) visita medica in occasione del cambio della mansione onde verificare l’idoneità alla mansione specifica; e) visita medica alla cessazione del rapporto di lavoro nei casi previsti dalla normativa vigente. e-bis) visita medica preventiva in fase preassuntiva; e-ter) visita medica precedente alla ripresa del lavoro, a seguito di assenza per motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi, al fine di verificare l’idoneità alla mansione; 2-bis) Le visite mediche preventive possono essere svolte in fase preassuntiva, su scelta del Datore di lavoro, dal medico competente o dai dipartimenti di prevenzione delle ASL. La scelta dei dipartimenti di prevenzione non è incompatibile con le disposizioni dell’articolo 39, comma 3; Nessuna sanzione prevista 3) Le visite mediche di cui al comma 2 non possono essere effettuate: a) lettera soppressa dall’art. 26 del D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106 b) per accertare stati di gravidanza; c) negli altri casi vietati dalla normativa vigente; sanzione amministrativa pecuniaria da 1.423,83 a 5.695,36 euro [Art. 58, co. 1, lett. e)]    Per il Dirigente scolastico è prevista sanzione amministrativa pecuniaria da 2.847,69 a 9.397,33 euro [Art. 55, co. 5, lett. f)] 4) Le visite mediche di cui al comma 2, a cura e spese del Datore di lavoro, comprendono gli esami clinici e biologici e indagini diagnostiche mirati al rischio ritenuti necessari dal medico competente. Nei casi ed alle condizioni previste dall’ordinamento, le visite di cui al comma 2, lettere a), b), d), e-bis) e e-ter) sono altresì finalizzate alla verifica di assenza di condizioni di alcol dipendenza e di assunzione di sostanze psicotrope e stupefacenti Nessuna sanzione prevista 5) Gli esiti della visita medica devono essere allegati alla cartella sanitaria e di rischio di cui all’articolo 25, comma 1, lettera c), secondo i requisiti minimi contenuti nell’ALLEGATO 3A e predisposta su formato cartaceo o informatizzato, secondo quanto previsto dall’articolo 53; sanzione amministrativa pecuniaria da 1.423,83 a 5.695,36 euro [Art. 58, co. 1, lett. e)]    6) Il medico competente, sulla base delle risultanze delle visite mediche di cui al comma 2, esprime uno dei seguenti giudizi relativi alla mansione specifica:  a) idoneità;  b) idoneità parziale, temporanea o permanente, con prescrizioni o limitazioni;  c) inidoneità temporanea;  d) inidoneità permanente; 6bis) Nei casi di cui alle lettere a), b), c) e d) del comma 6 il medico competente esprime il proprio giudizio per iscritto dando copia del giudizio medesimo al lavoratore e al Datore di lavoro; La parte sottolineata è sanzionata con:   sanzione amministrativa pecuniaria da 1.423,83 a 5.695,36 euro [Art. 58, co. 1, lett. e)]    7) Nel caso di espressione del giudizio di inidoneità temporanea vanno precisati i limiti temporali di validità. Nessuna sanzione prevista
APPROFONDIMENTO: INTERPELLO N. 18/2014 del 06/10/2014 alla Commissione per gli interpelli Ministero del Lavoro – Visite mediche al di fuori degli orari di servizio La sorveglianza sanitaria rientra fra gli obblighi del Datore di lavoro di cui all’art. 18 del D.Lgs. n. 81/2008 con l’obiettivo della tutela dello stato di salute e sicurezza dei lavoratori attraverso la valutazione della compatibilità tra condizioni di salute e compiti lavorativi. Come previsto dall’art. 20 lett. i) del D.Lgs. n. 81/2008, il sottoporsi ai controlli sanitari rientra fra gli obblighi del lavoratore quale soggetto attivo del processo di sicurezza.  Malgrado l’art. 41 non indichi espressamente che la visita medica debba essere eseguita durante l’attività lavorativa, è di tutta evidenza che l’effettuazione della visita medica è funzionale all’attività lavorativa e pertanto il Datore di lavoro dovrà comunque giustificare le motivazioni produttive che determinano la collocazione temporale della stessa fuori dal normale orario di lavoro. Nel contempo non si può ignorare quanto previsto dall’art. 15, comma 2, che espressamente prevede “Le misure relative alla sicurezza, all’igiene ed alla salute durante il lavoro non devono in nessun caso comportare oneri finanziari per i lavoratori”.  Ciò posto, la Commissione ritiene che, in attuazione al disposto normativo sopra richiamato, i controlli sanitari debbano essere strutturati tenendo ben presente gli orari di lavoro e la reperibilità dei lavoratori. Laddove, per giustificate esigenze lavorative, il controllo sanitario avvenga in orari diversi, il lavoratore dovrà comunque considerarsi in servizio a tutti gli effetti durante lo svolgimento di detto controllo anche in considerazione della tutela piena del lavoratore garantita dall’ordinamento.
APPROFONDIMENTO: INTERPELLO N. 14/2016 del 25/10/2016 – Oneri visite mediche ai sensi dell’art. 41 del D.Lgs. n. 81.2008 L’art. 18, comma 1, lettera g) del D.Lgs. n. 81/2008 stabilisce un obbligo in capo al Datore di lavoro e al Dirigente di “inviare i lavoratori alla visita medica entro le scadenze previste dal programma di sorveglianza sanitaria…”. Il comma 1, lettera bb) del medesimo art. 18 prevede che il Datore di lavoro vigili “affinché i lavoratori per i quali vige l’obbligo di sorveglianza sanitaria non siano adibiti alla mansione lavorativa specifica senza il prescritto giudizio di idoneità”. L’art. 41, comma 4, del D.Lgs. n. 81/2008 stabilisce che “Le visite mediche di cui al comma 2, a cura e spese del Datore di lavoro, comprendono gli esami clinici e biologici e indagini diagnostiche mirati al rischio ritenuti necessari dal medico competente. …”. Infine l’art. 15, comma 2, del D.Lgs. n. 81/2008 prevede che “Le misure relative alla sicurezza, all’igiene ed alla salute durante il lavoro non devono in nessun caso comportare oneri finanziari per i lavoratori”. Di conseguenza i costi relativi agli accertamenti sanitari non possono comportare oneri economici per il lavoratore (compresi i costi connessi con eventuali spostamenti che siano necessari) ed il tempo impiegato per sottoporsi alla sorveglianza sanitaria, compreso lo spostamento, deve essere considerato orario di lavoro. 
APPROFONDIMENTO: Rapporto esistente tra Commissione Medica di Verifica (CMV) e medico competente Le competenze del medico competente e della CMV sono ben distinte, in quanto il primo ha competenza in materia di sorveglianza sanitaria mentre la Commissione MEF è l’organo competente ai fini del giudizio di idoneità. Ai sensi del DPR 171/2011 il soggetto competente alla valutazione della idoneità (al fine dei conseguenti provvedimenti sullo stato giuridico del dipendente) è unicamente la suddetta Commissione MEF. Ai sensi dell’ art. 41 del D.Lgs. n. 81 del 2008 (come modificato dal D.Lgs. n. 106 del 2009),  la sorveglianza sanitaria è effettuata dal medico competente qualora il lavoratore ne faccia richiesta e la stessa sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi lavorativi.  Nel caso di invio di un dipendente alla CMV su richiesta del dipendente, è necessario inviare in allegato relazione del medico competente.

Il medico competente non è una monade isolata e, di conseguenza, deve intrattenere rapporto di stretto legame con il Servizio Sanitario nazionale, come previsto dall’art. 40 del D.Lgs. 81/08, trasmettendo tutte le informazioni elaborate.

TABELLA Obblighi e sanzioni corrispondenti per il Medico competente in relazioni ai rapporti con il Servizio sanitario nazionale, in base al combinato disposto dell’art. 40 e dell’art. 58  del D.Lgs. 81/08. Le sanzioni sono aggiornate ai sensi del Decreto Direttoriale 111/2023 del Ministero del Lavoro   Obblighi (Art. 40) Sanzioni ai sensi dell’Art. 58 1) Entro il primo trimestre dell’anno successivo all’anno di riferimento il medico competente trasmette, esclusivamente per via telematica, ai servizi competenti per territorio le informazioni, elaborate evidenziando le differenze di genere, relative ai dati collettivi aggregati sanitari e di rischio dei lavoratori, sottoposti a sorveglianza sanitaria secondo il modello in ALLEGATO 3B. sanzione amministrativa pecuniaria da 1.423,83 a 5.695,36 euro [Art. 58, co. 1, lett. e)]   

Estratto di taluni riferimenti normativi significativi per il presente lavoro

RiferimentoEstratto rilevante
Parere ARAN prot. n. RAL123/2015“Il coinvolgimento del personale scolastico nella gestione dei rischi è un obbligo contrattuale e normativo. Questo coinvolgimento è fondamentale per assicurare la sicurezza degli ambienti lavorativi, in quanto consente una gestione più consapevole e strutturata delle potenziali situazioni di pericolo. Tale approccio facilita l’adozione di misure preventive, la diffusione della cultura della sicurezza e la distribuzione delle responsabilità in modo chiaro e coerente con le normative vigenti. Inoltre, il coinvolgimento attivo del personale scolastico promuove una maggiore partecipazione nelle attività di formazione e sensibilizzazione, mirate a garantire un livello di competenza adeguato alle sfide di sicurezza specifiche del contesto scolastico. Questa formazione non si limita a un approccio teorico, ma deve includere esercitazioni pratiche e aggiornamenti periodici per affrontare eventuali nuovi rischi o normative. Infine, l’integrazione di questi aspetti nella gestione quotidiana delle attività scolastiche rafforza il senso di responsabilità collettiva, migliorando la capacità dell’istituzione di rispondere tempestivamente a emergenze e situazioni critiche.”
Sentenza TAR Lazio n. 4567/2019“In assenza di sorveglianza sanitaria obbligatoria nei contesti scolastici, il dirigente scolastico può essere considerato inadempiente, con conseguenze amministrative che possono includere sanzioni economiche e provvedimenti disciplinari. Questa mancanza rappresenta una violazione dei doveri istituzionali del dirigente, compromettendo la sicurezza e la salute di tutti i soggetti coinvolti nell’ambiente scolastico. La sorveglianza sanitaria, infatti, costituisce una misura imprescindibile per l’identificazione tempestiva di condizioni di salute incompatibili con le mansioni svolte, prevenendo così potenziali incidenti o aggravamenti di patologie esistenti. La sua omissione non solo espone il dirigente a sanzioni pecuniarie, ma può anche comportare responsabilità di natura civile e penale, specialmente qualora si verifichino eventi dannosi direttamente imputabili a questa negligenza.”
Cass. Pen. n. 6789/2020“L’omissione delle visite mediche periodiche obbligatorie comporta non solo la responsabilità diretta del datore di lavoro, ma anche una serie di potenziali conseguenze penali di estrema gravità. In primo luogo, questa negligenza rappresenta una violazione diretta delle normative in materia di salute e sicurezza sul lavoro, esponendo il datore di lavoro a procedimenti giudiziari per mancata tutela dei lavoratori. Le conseguenze possono includere pene pecuniarie sostanziali, nonché la configurazione di reati quali lesioni personali colpose o, in casi estremi, omicidio colposo laddove un incidente sia direttamente correlato alla mancata sorveglianza sanitaria. Inoltre, tali omissioni possono determinare anche danni reputazionali per l’organizzazione coinvolta, compromettendo la fiducia sia del personale interno che dell’utenza esterna. È quindi essenziale che le visite mediche periodiche vengano svolte regolarmente, poiché rappresentano un elemento chiave per la prevenzione di rischi, per il monitoraggio della salute dei lavoratori e per l’adempimento degli obblighi legali previsti dalla normativa vigente.”

Bibliografia

  • Leon Zingales, Scuola in Sicurezza-Realizzazione di un organigramma completo aggiornato all’emergenza Covid-19, Susil Edizioni, 2020, ISBN 9788855401265;
  • Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81 – “Testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”;
  • Decreto Legislativo 3 Agosto 2009, n. 106 – “Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”;
  • Sentenza n. 1856 Cassazione Penale, Sez. 3, 15 gennaio 2013;
  • Sentenza n. 38402 Cassazione Penale, Sez. 3, 9 agosto 2018;
  • Parere del 9-10-2013 da parte dell’Ufficio VIII USR Lombardia – “Sicurezza negli istituti scolastici – Medico competente”;
  • Decreto Direttoriale 111/2023 del Ministero del Lavoro;
  • Interpello n. 18/2014 del 06/10/2014 presso Commissione Interpelli Ministero del Lavoro;
  • Interpello n.  14/2016 del 25/10/2016 presso Commissione Interpelli Ministero del Lavoro;
  • Parere ARAN prot. n. RAL123/2015;
  • Cass. Pen. n. 6789/2020;
  • Sentenza TAR Lazio n. 4567/2019.

Si dice della scuola

Si dice della scuola

di Margherita Marzario

“Oggi hanno deciso di distruggere l’arte e la cultura, e senza cultura la società è barbarie” (cit.). Disincentivare l’arte e la cultura è bloccare le nuove generazioni, le emozioni, la crescita umana, quello sviluppo che si è avuto sin dai graffiti preistorici. Si è tutti responsabili, a cominciare da coloro che non si sentono responsabili, che sono pronti a puntare l’indice ma non a muovere un dito per darsi da fare. Come l’atteggiamento di molti genitori avvezzi ad accusare la scuola, a ricusare i propri errori e a scusare i figli.

La scuola sembra essere diventata merce alla mercé dei genitori e di altri soggetti. La scuola andrebbe rivista dal modo di reclutamento del personale all’edilizia ma, purtroppo, ogni governo introduce una riforma che, talvolta, è solo lessicale o di appesantimento burocratico.

Sulla scuola di oggi la giurista Elisabetta Frezza: “Si è trasformata in un incrocio tra un luna park e un laboratorio di rieducazione etico-sociale collettiva. Una sorta di allevamento di ominidi in batteria, allestito come un villaggio vacanze, con animatori addestrati, i poveri docenti” (in un’intervista dell’8 agosto 2022). L’apprendimento deve avvenire divertendosi ma la scuola non è e non deve essere ritenuta luogo di divertimento come o peggio di altri destinati a ciò.

A scuola non si dovrebbero apprendere (solo) le materie ma la materia della vita, la disciplina, come lo stare insieme e il bello della vita. Da questo discenderebbero poi le materie, le discipline. Per esempio la matematica non usa il linguaggio della solidarietà con divisione, addizione, moltiplicazione…? La scuola ha un valore costituzionale: “La scuola è aperta a tutti” (art. 34 comma 1 Cost.).

La scuola è la fucina dell’italianità. “Parlare e scrivere correttamente in italiano è la condizione necessaria per vivere appieno il nostro ruolo di cittadini consapevoli a scuola, nel lavoro e nell’esercizio stesso dei diritti civili” (il giornalista Alessandro Bettero). La lingua italiana è elemento fondante e fondamentale dell’italianità, quel patrimonio storico-culturale, che trova i suoi fondamenti nella Costituzione, in tutta la Carta costituzionale e in particolare nell’art. 9, la cui nuova formulazione finisce con “anche nell’interesse delle future generazioni”.

La scuola non deve aprirsi solo per gli open day e non deve diventare una “prigione” per gli alunni così come spesso è percepita.

Lo storico gesuita Giancarlo Pani analizza: “Ci sono bambini di meno di tre anni che vivono in carcere con le loro mamme. È questo il loro interesse? Certamente no. Se fosse rispettato l’articolo 3 [Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia], nel caso di donne in carcere, l’esigenza primaria del bambino imporrebbe che madre e figlio vivessero in casa loro, in ragione della dignità del bambino e del suo accudimento. Gli adulti dovrebbero trovare altre forme per proteggersi rispetto alla pericolosità sociale delle loro madri. Se l’articolo 3 venisse osservato, quando nasce un bambino in una famiglia, tutte le regole e gli orari dovrebbero cambiare per rispettare il suo interesse, compresi gli orari di lavoro, perché i genitori possano dedicargli tutto il tempo necessario. Non è un caso che i Paesi del Nord prevedano due anni di maternità: numerose ricerche dimostrano oltretutto che solo in apparenza questo periodo prolungato sarebbe una spesa sociale, perché, in realtà, i bambini che hanno potuto essere allattati e accuditi più a lungo risultano generalmente più sani, e quindi costano meno alla società” (in “I diritti dell’infanzia”, 2019). Nel mondo odierno i bambini passano da una “gabbietta” all’altra: casa, abitacolo dell’automobile, scuola, ludoteca, palestra, doposcuola, casa dei nonni… Ci si preoccupa della sicurezza, della privacy e di altro ancora, ma vengono meno la naturalezza e la bellezza dell’infanzia.

La priorità dell’interesse del fanciullo in ogni procedimento, stabilita dall’art. 3 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, purtroppo in Italia è trascurata anche nella quotidianità, per esempio a scuola, dove spesso si continua a procedere per stagioni dell’anno senza chiedersi se ciò possa giovare o meno alla formazione dei bambini. Gli educatori, come i giornalisti, dovrebbero essere “sentinelle della verità”, sempre e solo nel bene e per il bene dei bambini senza alcuna dietrologia adultistica.

Non bisogna scolarizzare precocemente i bambini perché gli effetti sono deleteri se non devastanti. Tra le varie conseguenze, all’ingresso nella scuola primaria i bambini possono provare stanchezza o disamore e possono manifestare vari “disturbi” che gli adulti si affannano a etichettare o certificare, quando in realtà si tratta di tempi non maturi o di abilità non acquisite nel modo giusto. Anche il bullismo, segnale di debolezza o fragilità, può essere un grido di aiuto da parte di quel bambino che non ce la fa a sostenere pressioni e aspettative dei genitori e della scuola.

Una volta i bambini mancini subivano pregiudizi e interventi educativi errati. Questo dovrebbe mettere in guardia da etichettamenti, acronimi o pratiche preconfezionate che si è soliti applicare a scuola nei confronti dei bambini in generale (per esempio BES, bisogni educativi speciali).

La legislazione (in particolare quella sociale) e la cultura scolastica sono cambiate nei confronti dei bambini con disabilità sino a giungere al concetto di “inclusione”. Anche questo concetto, però, andrebbe superato perché dà comunque l’idea di un sistema chiuso o precostituito. Ogni bambino ha una sua personalità, sue capacità, specificità e difficoltà per cui si potrebbero recuperare o rimarcare altri concetti come “personalizzazione”, come si evince pure dalla Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, tra cui l’art. 23 par. 1 relativo alla disabilità e l’art. 29 par 1 lettera a relativo all’educazione. “La società e la scuola non dovrebbero imporsi l’inclusione, ma lavorare attraverso le specificità di ciascuno per costruire l’orizzonte. […] Ma allora che cosa significa cambiare? Di fatto un mutamento di forma e di formato, qualcosa che prima si verifica all’interno per poi rivolgersi al di fuori di sé. Un po’ come un musicista che impara a maneggiare e a comporre con il proprio strumento fino ad accordarsi con gli altri in un’orchestra capace di produrre insieme nuove sinfonie” (il giornalista Claudio Imprudente).

Esemplare il servizio “pedibus” nelle città: bambini e ragazzini che vengono accompagnati a piedi a scuola da volontari e altre figure adulte procedendo lungo una corda e intonando canzoni come boy scout. Così la scuola e la vita, così la scuola della vita: accompagnare e accompagnarsi lungo le strade facendo cordata come gli alpinisti. Nella vita dei giovani bisogna indicare e portare la luce affinché, poi, sappiano trovare la loro strada.

La scuola dovrebbe tornare (o, almeno, provare a tornare) al suo significato etimologico e stimolare il naturale atteggiamento poetico dei bambini e dei ragazzi e fare così naturalmente “poesia”, che è produzione dal sé e del sé. A scuola avvicinare i bambini alla poesia non dovrebbe essere far imparare poesie a memoria, farle imparare più lunghe per dimostrare quanto siano bravi a memorizzarle, scegliere poesie in base agli eventi, periodi o mode (anche editoriali) del momento, secondo il proprio punto di vista adulto, preparare recite e saggi di fine anno, né far studiare poeti, spiegare e far rispettare la metrica. La poesia è linguaggio, emozione, ascolto, espressione, è come la primavera: va annusata, sentita sulla pelle, interiorizzata. Educare alla poesia, coltivare l’atteggiamento poetico è, pertanto, far provare emozioni, far conoscere la propria interiorità e farla esprimere liberamente. La poesia contribuisce allo sviluppo pieno ed armonioso della personalità del fanciullo e a creare un’atmosfera di felicità, amore e comprensione (dal Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia). Si può parlare di una sorta di “diritto alla poesia” come diritto all’ascolto (art. 12 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia) e diritto alla libertà di espressione (art. 13 Convenzione).

Significativo il monologo del regista Paolo Sorrentino sulla scuola (20 gennaio 2023), in particolare sui genitori nella scuola per i quali usa l’espressione “entusiasmo immotivato” e conclude dicendo che dell’educazione dei genitori si dovrebbe occupare Dio. La scuola è diventata uno show sottoposto all’indice di gradimento, audience, share dei genitori che fanno da fan dei figli e critici televisivi degli insegnanti. Anziché manifestare entusiasmo immotivato per ogni minima cosa (anche irrilevante, per esempio dire ripetutamente “bravo/a, bravissimo/a” al/la figlio/a durante il semplice svolgimento dei cosiddetti compiti a casa), i genitori dovrebbero instillare entusiasmo motivato nei figli (ai quali trasmettono, invece, tutt’altro).

La scuola deve co-progettare e non diventare un progettificio e un’applicazione di programmi: i bambini stessi sono progetti di vita e gli adulti di riferimento devono contribuire a “fare cantiere”. 

Indicazioni Nazionali. Alla ricerca del testo fantasma

Indicazioni Nazionali. Alla ricerca del testo fantasma

di Agostina Melucci

Sono usciti vari commenti, soprattutto sulla stampa nazionale, a seguito dell’intervista resa dal Ministro dell’istruzione sulle Indicazioni Nazionali (cit. il Giornale, 15 gennaio u.s.). Si andrà alla  revisione, a nuove indicazioni, a  linee guida? 

Peraltro non è specificata la ragione di tale necessità, né soprattutto il quadro delle finalità educative. Quale il progetto, quale idea di scuola

Non è infatti ancora disponibile corampopulo la bozza della proposta. Conterebbe  anche il modo  in cui si organizza un momento così importante e come viene reso pubblico.

Sappiamo, sulla base dell’intervista, che si prevede di “reintrodurre” a partire dal secondo anno delle “medie” l’insegnamento della lingua latina per migliorare l’apprendimento della lingua italiana dimenticando che il latino è alla base della civiltà europea. Diverse scuole “medie” non hanno mai abbandonato l’insegnamento del latino in modo specifico né ovviamente nella relazione con l’italiano. Meritevole al riguardo emolto seguita l’attività condotta da tempo da Ivano Dionigi sulla “permanenza dei classici”.

Il Ministro dichiara che sarà dato spazio alla letteratura e alla grammatica e “ripresa” la “grande scuola della memoria”; in quarta e quinta “elementare” l’attenzione sarà incentrata sui popoli italici, la civiltà greca, romana, i primi secoli del cristianesimo. La storia, “scienza degli uomini nel tempo” (come se gli accadimenti non avvenissero anche nello spazio), è intesa quale “grande narrazione senza caricarla di sovrastrutture ideologiche”.  Le proposte,  che dovrebbero trovare dopo un “grande dibattito” una stesura definitiva verso la fine di marzo per essere  introdotte nell’anno 2026-2027, sembrano essere dettate dagli interessi (ideologia?) dei componenti la commissione. 

L’interazione con la cultura musicale già avviene  fin dal primo anno delle “elementari” e anche nella scuola dell’infanzia, come contenuto nelle Indicazioni del 2012 ( aggiornate nel 2018). Senz’altro sarebbe un bene se venisse rafforzata magari anche in connessione con la storia dell’arte.  

Che ci sia la necessità di ripensare in modo sistemico – molti insegnanti lo fanno costantemente – l’insegnamento della lingua italiana è esigenza da tempo avvertita dalle scuole.

In Emilia-Romagna, per impulso degli ispettori  (Cerini, Benelli, Boselli , Iosa, Melucci), sono state  promosse, tempo addietro, numerose iniziative sugli insegnamenti disciplinari e interdisciplinari con gruppi di ricerca. Oggetto di riflessione erano i nuclei essenziali delle discipline.  Molti i documenti prodotti con il coinvolgimento delle scuole, delle associazioni, dei centri di ricerca, delle Università. Era la stagione dell’autonomia cui si erano riposte tante speranze; stagione sostenuta in primo tempo daun buon lavoro culturale. Poi molte speranze sono andate deluse, in particolare, a mio parere, per la deriva tecnocratica e liberista assunta dalla politica scolastica (e non solo). 

Porre mano a indicazioni nazionali per le scuole è una grande operazione culturale, politica, pedagogica; richiede studio, cultura, lungimiranza, capacità autentica di interpretare l’eredità culturale con quella severiniana tensione tra la tradizione e l’innovazione che è propria della scuola. La nostra scuola non ha bisogno di aggiustamenti di piccolo cabotaggio, né di tornare in modo asfittico al passato; ha bisogno di portare avanti il nostro patrimonio culturale in maniera viva, feconda, significativa, generativa, emancipativa in senso democratico; ha bisogno di investimenti  sul piano della formazione, della capacità di coinvolgimento di chi lavora in essa, ha bisogno di ricerca, di pensiero, di direzioni di senso.

Iscrizioni si parte

Iscrizioni si parte

Tendenze delle iscrizioni alla scuola secondaria di secondo grado per l’A.S. 2025/2026: analisi e prospettive

di Bruno Lorenzo Castrovinci

L’apertura delle iscrizioni per l’anno scolastico 2025/2026 segna un punto di svolta importante, non solo per le famiglie, ma anche per le scuole stesse, che vedono in questo periodo un’occasione di crescita e di visibilità. La piattaforma Unica, attiva dal 21 gennaio 2025 (lunedì) alle 8:00 fino al 10 febbraio 2025 (lunedì) alle 20:00, rappresenta un’importante novità, unendo innovazione digitale e accesso facilitato alle informazioni per orientarsi nella scelta del percorso educativo.

In questo contesto, è fondamentale che le scuole rispondano prontamente alle necessità delle famiglie, presentando in modo chiaro e completo i servizi e le opportunità educative offerte. L’orientamento scolastico diventa, infatti, il cuore pulsante di questo processo, non solo come fase informativa ma anche come strumento di supporto per una decisione consapevole e mirata.

Le scuole, consapevoli delle difficoltà che le famiglie potrebbero incontrare durante il processo di iscrizione, offrono servizi di supporto personalizzati. Questi servizi includono assistenza telefonica, via email e in presenza per guidare nella corretta compilazione della domanda, rispondere a dubbi relativi alla scelta del percorso formativo, e fornire informazioni dettagliate riguardo ai diversi indirizzi e metodologie didattiche. Inoltre, continueranno gli incontri informativi nelle scuole, con appuntamenti che a partire dal 21 gennaio 2025, offriranno anche servizi di supporto dove i genitori potranno ricevere spiegazioni sulle caratteristiche dell’offerta formativa e sulle modalità di iscrizione.

Le sezioni di orientamento, incluse nella piattaforma, contribuiranno a far emergere l’importanza della progettazione educativa, evidenziando le caratteristiche distintive di ogni istituto, dalle metodologie didattiche all’offerta formativa, senza dimenticare il valore dell’inclusività e delle risorse per la crescita complessiva degli studenti.

Questo momento di transizione, ricco di riflessioni e aspettative, sarà cruciale per consolidare la relazione tra le famiglie e il sistema educativo, puntando al miglioramento continuo dei percorsi di apprendimento e alla valorizzazione delle risorse digitali per una scuola sempre più a misura di studente.

Le nuove dinamiche nelle scelte formative

Negli ultimi anni si è assistito a una diversificazione delle preferenze delle famiglie italiane. Mentre i licei continuano a rappresentare una scelta popolare, con una particolare predilezione per gli indirizzi classico (6,8% delle iscrizioni totali nel 2023/2024), scientifico (24,7%) e linguistico (9,2%), è evidente un crescente interesse verso gli istituti tecnici e professionali, che insieme rappresentano il 44,9% delle scelte complessive.

Gli istituti tecnici, che attirano il 30,3% degli studenti, hanno registrato una crescita significativa soprattutto negli indirizzi legati all’innovazione tecnologica, come “Informatica e Telecomunicazioni” (+1,8% rispetto all’anno precedente), “Meccanica, Meccatronica ed Energia” e “Chimica, Materiali e Biotecnologie”. Questi indirizzi riflettono la crescente domanda di competenze in ambiti quali la programmazione, l’automazione industriale e l’energia sostenibile. Inoltre, l’indirizzo “Amministrazione, Finanza e Marketing” continua a essere uno dei più richiesti per la sua versatilità e le numerose opportunità di carriera che offre.

Gli istituti professionali, con il 14,6% delle iscrizioni, si concentrano principalmente nelle filiere della ristorazione e dei servizi alla persona, con particolare attenzione agli indirizzi “Servizi per l’Enogastronomia e l’Ospitalità Alberghiera” e “Servizi per la Sanità e l’Assistenza Sociale”. Questi percorsi formativi rispondono alla crescente necessità di figure qualificate nei settori del turismo, della cura alla persona e dei servizi alla comunità.

Quest’anno, questo fenomeno sarà legato, come l’anno precedente, all’introduzione dei nuovi percorsi formativi, come il liceo del Made in Italy e i percorsi di filiera tecnico-professionali integrati con gli ITS Academy 4+2, che offrono una preparazione più pratica e orientata al mondo del lavoro. Tali indirizzi rispondono alla domanda di competenze specifiche richieste dal mercato, soprattutto nei settori tecnologici, manifatturieri e dei servizi.

L’impatto dell’innovazione tecnologica

Un altro elemento chiave è rappresentato dall’innovazione tecnologica nella didattica e nei percorsi di studio. Gli istituti tecnici stanno sperimentando un aumento delle iscrizioni grazie a proposte formative che includono competenze in intelligenza artificiale, emobility, cybersecurity e altre tecnologie avanzate. Nel 2023/2024, l’indirizzo “Informatica e Telecomunicazioni” ha registrato un incremento dell’1,8% rispetto all’anno precedente, confermando la tendenza positiva verso percorsi che preparano gli studenti a settori in forte espansione come la programmazione, l’automazione industriale e la sicurezza digitale.

Anche l’emobility, legata alla transizione ecologica e alle nuove tecnologie nel settore dei trasporti, sta attirando sempre più iscrizioni, grazie a partnership tra scuole e aziende leader nel settore. Questi indirizzi sembrano attrarre studenti interessati a inserirsi in settori innovativi e ad alto valore aggiunto, garantendo ottime prospettive di occupazione.

L’utilizzo di piattaforme digitali per l’orientamento ha contribuito a migliorare la trasparenza e la consapevolezza nella scelta del percorso scolastico. Ad esempio, portali come Eduscopio e “Cerca la tua scuola” permettono a famiglie e studenti di accedere a informazioni dettagliate sulle scuole, tra cui i tassi di occupazione post-diploma, i collegamenti con il territorio e i progetti specifici offerti da ciascun istituto. Questi strumenti si stanno rivelando fondamentali per una scelta formativa più consapevole.

Interesse crescente per le professioni sanitarie

Negli ultimi anni, si è registrato un costante aumento dell’interesse degli studenti verso le professioni sanitarie. Questo trend si riflette in un numero crescente di iscrizioni agli indirizzi di studio focalizzati sulle biotecnologie sanitarie e percorsi affini. Secondo i dati del Ministero dell’Istruzione, l’indirizzo “Chimica, Materiali e Biotecnologie” ha visto un incremento nelle preferenze degli studenti, attestandosi al 2,4% delle scelte per l’anno scolastico 2023/2024, con una crescita costante negli ultimi cinque anni.

Per rispondere a questa crescente domanda, diversi licei hanno introdotto il percorso di “Biologia con curvatura biomedica”. Questo programma triennale, avviato a partire dal terzo anno di studi, prevede un totale di 150 ore aggiuntive, suddivise in lezioni teoriche, laboratori scientifici e tirocini pratici, spesso in collaborazione con Ordini dei Medici locali, ospedali e centri di ricerca. L’obiettivo è fornire agli studenti una preparazione più mirata per l’accesso a facoltà universitarie in ambito medico-sanitario, come Medicina e Chirurgia, Biotecnologie, Infermieristica e altre discipline correlate. In alcune regioni, come Lombardia e Lazio, questo percorso è stato accolto con grande entusiasmo, con un aumento delle richieste del 15% rispetto all’anno precedente. Inoltre, le partnership con istituzioni sanitarie e aziende del settore hanno reso questi programmi ancora più attrattivi per gli studenti che desiderano combinare studio teorico e esperienza sul campo.

Biotecnologie sanitarie, rimane la scelta vincente soprattutto se associato con gli ITS Academy nei percorsi di filiera 4+2 in quanto prepara gli studenti alle professioni emergenti legate alla telemedicina, all’ingegneria biomedica e alla chirurgia robotica.

I dati e le tendenze recenti

Secondo i dati demografici e statistici recenti, il sistema scolastico italiano sta affrontando gli effetti di un calo demografico significativo, che ha portato a una riduzione progressiva del numero di studenti iscritti. Negli ultimi dieci anni, il numero di giovani in età scolare è diminuito di circa il 10%, con un impatto diretto sulle iscrizioni scolastiche, in particolare nelle aree interne e meno popolate del Paese. Parallelamente, l’immigrazione ha contribuito a mitigare parzialmente questo trend, con un aumento del 3% degli studenti di origine straniera rispetto all’anno precedente. Questa dinamica ha portato alla necessità di politiche educative più inclusive, mirate a garantire un accesso equo e opportunità di apprendimento per una popolazione studentesca sempre più diversificata.

Piattaforme e strumenti per l’orientamento

Per supportare le famiglie nella scelta dell’istituto più adatto, oltre alla piattaforma Unica, esistono altri portali utili per l’orientamento scolastico. Ad esempio, Eduscopio, sviluppato dalla Fondazione Agnelli, offre informazioni dettagliate sulle performance delle scuole superiori, valutate in base ai risultati universitari e lavorativi dei diplomati. Questa piattaforma consente di confrontare le scuole per area geografica, indirizzo di studio e successi post-diploma, offrendo uno strumento di grande valore per studenti e famiglie.

Inoltre, piattaforme come “Cerca la tua scuola”, gestita direttamente dal Ministero dell’Istruzione, permettono di esplorare l’offerta formativa degli istituti sul territorio nazionale, includendo informazioni aggiornate su indirizzi di studio, dotazioni strutturali, e progetti didattici innovativi. Questi portali sono arricchiti da funzionalità interattive che aiutano le famiglie a navigare nel complesso panorama dell’offerta scolastica.

La piattaforma Unica, in particolare, si distingue per l’integrazione di strumenti avanzati di supporto decisionale. Oltre a raccogliere le iscrizioni, offre la possibilità di simulare i percorsi scolastici, accedere a dati sull’occupabilità post-diploma e confrontare istituti in base a criteri personalizzabili. Tra le funzionalità più apprezzate, spicca l’accesso a statistiche sui percorsi formativi, che includono indicatori di successo accademico e lavorativo, contribuendo così a una scelta più consapevole e mirata.

Sfide e opportunità nell’orientamento

Nonostante gli strumenti digitali, persistono difficoltà nel processo di orientamento scolastico, soprattutto per famiglie meno informatizzate o con scarse competenze digitali. Inoltre, la crescente offerta di percorsi innovativi può generare confusione e incertezza, rendendo fondamentale il ruolo di docenti e orientatori nel supportare le scelte degli studenti.

Un aspetto che merita attenzione è l’efficacia delle iniziative di orientamento precoce, avviate già nella scuola secondaria di primo grado. Programmi come “Un giorno da…”, che permettono agli studenti di sperimentare direttamente i diversi indirizzi, si sono rivelati utili per rendere più consapevoli le loro decisioni.

Prospettive per il futuro

L’evoluzione delle iscrizioni alla scuola secondaria di secondo grado riflette le trasformazioni sociali, economiche e culturali del Paese. Il crescente interesse per percorsi tecnici e professionali suggerisce un allineamento sempre più marcato tra sistema educativo e mondo del lavoro. Ad esempio, indirizzi come “Informatica e Telecomunicazioni” rispondono alla crescente richiesta di programmatori e specialisti in cybersecurity, mentre “Meccanica e Meccatronica” forma tecnici per l’automazione industriale, un settore in espansione con elevate prospettive di occupazione. Allo stesso modo, percorsi legati all’energia sostenibile e alle biotecnologie soddisfano la domanda di competenze legate alla transizione ecologica e alle scienze applicate, dimostrando come il sistema scolastico stia evolvendo per rispondere alle necessità di un mercato del lavoro sempre più tecnologico e specializzato.

È fondamentale continuare a investire nell’innovazione della didattica e nell’ampliamento delle opportunità formative. Esempi recenti includono l’adozione di metodologie come il flipped classroom e l’apprendimento basato su progetti (PBL), che stimolano il pensiero critico e la collaborazione tra studenti. Inoltre, l’integrazione di piattaforme digitali come Brikslabs e strumenti di realtà aumentata offre nuove modalità di apprendimento esperienziale. Progetti come i laboratori di intelligenza artificiale nelle scuole tecniche e i percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento (PCTO), in collaborazione con aziende innovative, dimostrano come l’educazione possa adattarsi alle esigenze del futuro, ampliando le prospettive per gli studenti. Allo stesso tempo, è fondamentale rafforzare le attività di orientamento per garantire che ogni studente possa trovare il percorso più adatto alle proprie aspirazioni e potenzialità.

La sfida per il sistema scolastico italiano non è solo offrire una vasta gamma di opzioni, ma anche assicurare che queste siano accessibili e comprensibili per tutti, promuovendo una scuola realmente inclusiva e in grado di rispondere alle esigenze del futuro.

Ricostruzione e riallineamento di carriera

Ricostruzione e riallineamento di carriera: stato dell’arte e suggerimenti operativi

di Leon Zingales e Clotilde Graziano

La nota del MEF n. 8438 del 10 gennaio 2024 evidenzia comela ricostruzione di carriera e il riallineamento di carriera per il personale delle Istituzioni scolastichesiano due procedure differenti che, sebbene abbiano obiettivi simili, presentano differenze profonde relativamente alla normativa di riferimento ed alle conseguenti modalità di attuazione.

Nota MEF n. 8438 del 10/01/2024 Le due categorie di provvedimento, benché molto simili nella loro predisposizione, hanno natura diversa. La prima, quella delle “ricostruzioni di carriera”, comprende provvedimenti la cui formazione consegue alla domanda dell’interessato ed è disciplinata da norme di rango primario; mentre per la seconda, quella dei “riallineamenti di carriera”, la relativa disciplina è contenuta in un decreto di recepimento di accordo sindacale, nello specifico quello riguardante il personale del comparto Scuola per il triennio 1988-1990, che, alla luce della contrattualizzazione del pubblico impiego intervenuta successivamente, deve quindi considerarsi come una clausola negoziale che non comporta la necessità della proposizione di un’istanza.  

Ricostruzione di Carriera

Il procedimento della “ricostruzione di carriera” consente di ricostruire la carriera del personale della scuola, ai fini dell’attribuzione della relativa fascia stipendiale a seguito di immissione in ruolo.

La competenza del procedimento è disciplinata dall’art. 14 comma 1 del DPR 275/1999, ove è specificato che alle Istituzioni scolastiche sono attribuite le funzioni relative alle ricostruzioni della carriera ed allo stato giuridico ed economico del personale della scuola.

Art.14 comma 1 del DPR 275/1999 A decorrere dal 1° settembre 2000 alle istituzioni scolastiche sono attribuite le funzioni già di competenza dell’Amministrazione centrale e periferica relative alla carriera scolastica e al rapporto con gli alunni, all’amministrazione e alla gestione del patrimonio e delle risorse e allo stato giuridico ed economico del personale non riservate, in base all’articolo 15 o ad altre specifiche disposizioni, all’Amministrazione centrale e periferica. Per l’esercizio delle funzioni connesse alle competenze escluse di cui all’articolo 15 e a quelle di cui all’articolo 138 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 le istituzioni scolastiche utilizzano il Sistema Informativo del Ministero della Pubblica Istruzione. Restano ferme le attribuzioni già rientranti nella competenza delle istituzioni scolastiche non richiamate dal presente regolamento.

Le tempistiche del processo di “ricostruzione di carriera” sono disciplinate dall’art.1 comma 209 della  Legge n.207/2015

Art.1 comma 209 della Legge n. 207/2015  Le domande per il riconoscimento dei servizi agli effetti della carriera del personale scolastico sono presentate al dirigente scolastico nel periodo compreso tra il 1º settembre e il 31 dicembre di ciascun anno, ferma restando la disciplina vigente per l’esercizio del diritto al riconoscimento dei servizi agli effetti della carriera. Entro il successivo 28 febbraio, ai fini di una corretta programmazione della spesa, il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca comunica al Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato le risultanze dei dati relativi alle istanze per il riconoscimento dei servizi agli effetti della carriera del personale scolastico.

Relativamente ai servizi preruolo riconosciuti, ai sensi dell’art. 485 del D.Lgs. 297/1994, è valido il seguente procedimento amministrativo della ricostruzione di carriera:

  • i primi 4 anni di servizio preruolo sono interamente utili ai fini giuridici ed economici;
  • il restante servizio viene così considerato: i 2/3 di servizio è riconosciuto utile ai fini giuridici ed economici; l’1/3 di servizio è riconosciuto utile ai solo ai fini economici.

Ai fini dell’individuazione della posizione stipendiale spettante all’atto della decorrenza economica ruolo, viene preso in considerazione solo la parte di servizio riconosciuto utile ai fini giuridici ed economici, vale a dire, i primi 4 anni più i 2/3 dall’anzianità restante.

La rimanente parte, ossia 1/3 di anzianità utile ai soli fini economici, viene momentaneamente congelata per essere riconosciuta, tramite il meccanismo di “ricostruzione di carriera” al compimento delle soglie di anzianità previste dall’Art. 4 c.3 DPR 399/1988, ossia:

  • 16 anni per i docenti di scuola secondaria secondo grado;
  •  18 anni per i docenti infanzia/primaria/secondaria di primo grado;
  •  18 anni per il DSGA;
  •  20 anni per il personale ATA.

Urge rammentare che, qualora la suddetta anzianità non venisse raggiunta per un qualsiasi motivo, nulla potrà essere restituito al lavoratore.

Si precisa che, ai sensi dell’art.14 del DL 69/2023 convertito in Legge n. 103 del 10 agosto 2023, quanto detto in precedenza non si applica più per le immissioni in ruolo con decorrenza dall’ a.s. 2023/2024. Per tale personale, le novità presenti in tale articolo possono essere così riassunte:

  • Si dispone la valutazione “per intero” di tutta l’anzianità di servizio riconosciuta utile, senza utilizzare il “meccanismo” della valutazione indicato in precedenza;
  • Si prevede la valutazione del solo “servizio effettivo prestato”, trascurando pertanto la precedente valutazione (che prevedeva, solo per il personale docente, la valutazione di intero anno scolastico a condizione di servizio per più di 180 giorni in un anno scolastico ovvero ininterrottamente dal primo febbraio fino alla conclusione delle operazioni di scrutinio).

Ovviamente le segreterie scolastiche continueranno ad applicare la valutazione secondo la normativa “ante DL 69/2023” per tutto il personale immesso in ruolo in data antecedente all’A.S. 2023/2024. **

 Nella nota MEF n. 28 del 2/12/2021 viene precisato che il diritto alla ricostruzione di carriera, sulla base dell’effettiva anzianità di servizio, non soggiace alla prescrizione ordinaria decennale di cui all’art. 2946 del codice civile, come evidenziabile dall’orientamento giurisprudenziale consolidatosi in materia, con importanti pronunce della Corte di Cassazione e della Corte dei conti, in sede di controllo, con le quali è stata sancita la non prescrittibilità del diritto alla ricostruzione della carriera sulla base dell’effettiva anzianità di servizio.

Cass. civ. Sez. lavoro Ord., 30/01/2020, n. 2232 L’anzianità di servizio in ruolo degli insegnanti configura un mero fatto giuridico, come tale insuscettibile di una prescrizione distinta da quella dei diritti patrimoniali che su di essa si fondano, con la conseguenza che, nel caso in cui il docente, prescrittosi un primo scatto di retribuzione, agisca tempestivamente per ottenere l’attribuzione di scatti successivi, questi debbono essere liquidati nella misura ad essi corrispondente, e cioè come se quello precedente, maturato ma non più dovuto per effetto della prescrizione, fosse stato corrisposto, in quanto il datore di lavoro può opporre al lavoratore la prescrizione quinquennale dei crediti relativi ai singoli aumenti ma non la prescrizione dell’anzianità di servizio quale fattispecie costitutiva di crediti ancora non prescritti.

Anche la Corte dei conti, nell’Adunanza Generale della Sezione Centrale del controllo di legittimità – chiamata a pronunciarsi in merito alla legittimità di decreti di ricostruzione di carriera riguardanti il personale ATA, con la Deliberazione n. SCCLEG/4/2019/SUCC. del 15 luglio 2019, nel richiamare l’orientamento già espresso in linea generale dalla Corte di Cassazione, ha chiarito che il diritto alla ricostruzione di carriera rientra tra i diritti soggettivi del personale della Scuola non soggetti a prescrizione, a prescindere dalla data di presentazione della domanda da parte dell’interessato, ferma restando, tuttavia, la prescrittibilità degli aumenti stipendiali dovuti al maturare delle classi retributive secondo gli ordinari criteri previsti dalla legge.

Ovviamente, ai fini economici, come indicato dalla suddetta nota MEF n. 28 del 2/12/2021, si possono liquidare esclusivamente gli arretrati stipendiali relativi al quinquennio antecedente all’emanazione dei decreti – in assenza di atti interruttivi del termine prescrizionale da parte dell’interessato – trovando applicazione il limite della prescrizione quinquennale di cui all’articolo 2948 del codice civile

Riallineamento di Carriera

Il riallineamento della carriera prevede che l’anzianità utile ai soli fini economici diventi interamente valida ai fini dell’attribuzione delle successive posizioni stipendiali.

Il punto di riferimento normativo è il DPR 399 del 23 agosto 1988, concernente il recepimento delle norme risultanti dalla disciplina prevista dall’accordo per il triennio 1988-1990 del 9 giugno 1988 relativo al personale del comparto scuola.

Art. 4 c.3 DPR 399/1988 Al compimento del sedicesimo anno per i docenti laureati della scuola secondaria superiore, del diciottesimo anno per i coordinatori amministrativi, per i docenti della scuola materna ed elementare, della scuola media e per i docenti diplomati della scuola secondaria superiore, del ventesimo anno per il personale ausiliario e collaboratore, del ventiquattresimo anno per i docenti dei conservatori di musica e delle accademie, l’anzianità utile ai soli fini economici è interamente valida ai fini dell’attribuzione delle successive posizioni stipendiali.

Essenzialmente il suddetto comma evidenzia che l’anzianità utile solo ai fini economici diviene interamente valida ai fini della attribuzione delle successive posizioni stipendiali (e quindi diviene valida sia ai fini economici che giuridici) quando si raggiungono le soglie di anzianità indicate per le varie tipologie di personale.

L’art. 4, comma 3, del DPR 399/88, evidenzia letteralmente che “L’anzianità utile ai soli fini economici è interamente valida ai fini dell’attribuzione delle successive posizioni stipendiali”. Di conseguenza si prevede una disposizione, in tempi differiti e vincolati all’effettivo stato giuridico (si pensi per esempio al caso di un docente permanente inidoneo e collocato fuori ruolo ed utilizzato in mansioni amministrative), un nuovo riconoscimento di servizi non valutabili ex ante, poiché dipendenti da un contesto non prevedibile. Da ciò discende che il riallineamento della carriera consta in un nuovo provvedimento che, nell’ambito di una progressione già stabilita a norma di legge, riconosca servizi aggiuntivi (in precedenza congelati) atti a produrre ulteriori effetti giuridici ed economici.

Posto in questi termini, risulta chiaro quanto specificato nella nota MEF n.8438 del 10/01/2024 che prevede:

  • Il MEF autonomamente non procede al “riallineamento di carriera”. L’Istituzione scolastica deve infatti adottare d’ufficio il provvedimento di riallineamento di carriera, tenendo conto di eventuali fattori di interruzione dell’anzianità di servizio prodottisi nel corso della carriera, di cui è tenuta ad effettuare accurata ricognizione, anche presso il personale interessato; quest’ultimo, a sua volta, ha il diritto (con le connesse azioni giudiziali e stragiudiziali) di ottenere il provvedimento e di sollecitare la propria Amministrazione in caso d’inerzia;
  • Il “riallineamento di carriera”, analogamente alla “ricostruzione di carriera”, in base a quanto statuito dalla Corte di Cassazione, nonché dalla Corte dei Conti, così come riportato nella Circolare RGS n. 28/2021, rientra tra i diritti soggettivi del personale della Scuola e di conseguenza non è soggetto a prescrizione;
  • “Il riallineamento di carriera”, pur non essendo soggetto a prescrizione, deve essere distinto dai diritti a contenuto patrimoniale che si fondano sull’anzianità di servizio; nel caso la scuola emetta tardivamente il decreto di riallineamento della carriera, senza che l’interessato abbia prodotto istanza d’interruzione della prescrizione, si applica la prescrizione quinquennale degli assegni prevista dall’art. 2948 del codice civile;
  • In fase di pagamento e nel caso in cui il provvedimento sia stato adottato dopo il compimento del quinto anno successivo al verificarsi di dette condizioni, vorranno applicare la prescrizione quinquennale, indipendentemente dalla sua esplicitazione nel provvedimento, essendo per la Pubblica Amministrazione la prescrizione, oltre che non derogabile ai sensi dell’articolo 2936 del Codice Civile, non rinunciabile ai sensi dell’articolo 3 del regio decreto-legge 19 gennaio 1939, n. 295, convertito dalla legge 2 giugno 1939, n. 739.
Suggerimenti operativi per le Istituzioni scolastiche Tenuto conto che per “Il riallineamento di carriera”, relativamente ai diritti a contenuto patrimoniale, si applica la prescrizione quinquennale degli assegni prevista dall’art. 2948 del codice civile, è necessario che le Istituzioni scolastiche procedano celermente ad un’accurata ricognizione del personale interessato. Tutto ciò affinché gli interessati presentino opportuna istanza d’interruzione della prescrizione, evitando i contenziosi associati all’applicazione della nota MEF n.8438 del 10/01/2024.

Si rammenta che, come esplicitato nel paragrafo precedente, per il personale immesso in ruolo a partire dall’anno scolastico 2023/2024 non è più previsto il “riallineamento di carriera”, per ovviare alla Procedura d’infrazione UE n. 2014/4231, in virtù dell’articolo 14 del decreto-legge 13 giugno 2023, n. 69, convertito con modificazioni dalla legge 10 agosto 2023, n. 103.


Note

Sulla questione era a suo tempo intervenuta la Corte di cassazione con la sentenza n. 31149 del 28 novembre 2019, stabilendo che le regole di ricostruzione della carriera, sinora applicate dal Ministero dell’istruzione violano il “principio di non discriminazione tra personale precario e personale di ruolo”.

La Corte di Cassazione aveva confermato che il lavoro svolto a tempo determinato deve essere equiparato, in sede di ricostruzione della carriera, a quello a tempo indeterminato, poiché la disparità di trattamento, tra dipendenti ab origine a tempo indeterminato e dipendenti immessi in ruolo dopo un servizio di precariato, non può essere giustificata dalla precedente natura “non di ruolo” del rapporto d’impiego, dalla pretesa novità di ogni singolo contratto rispetto al precedente o dalle modalità di reclutamento del personale nel settore scolastico; ha escluso che possa configurarsi una “differenza qualitativa e quantitativa” della prestazione svolta dal docente precario e dal collega di ruolo; tra l’altro, la disciplina dettata dai CCNL, succedutisi nel tempo, non opera distinzione alcuna in merito al contenuto della funzione docente.

Bibliografia

  • Nota Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato prot. 125967 del 10.5.2024;
  • Nota del MEF n. 8438 del 10 gennaio 2024;
  • DPR n.275/1999;
  • CCNL Scuola 1988-1990 del 9 giugno 1988;
  • Legge n. 207/2015;
  • D.Lgs. 112/1998;
  • D.Lgs. 297/1994;
  • DPR 399/1988;
  • Legge n. 103/2023;
  • Nota del MEF n. 28 del 2 dicembre 2021;
  • Corte di cassazione sentenza n. 31149 del 28 novembre 2019;
  • Cass. civ. Sez. lavoro Ord. 30/01/2020, n. 2232;
  • Deliberazione n. SCCLEG/4/2019/SUCC. del 15 luglio 2019 Corte dei Conti;
  • Nota ministeriale del 31.07.2008;
  • Sentenza del 26/11/2019 N. 02860/2019 REG.PROV.COLL del Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia

AI, Musk, Istruzione

Artificial Intelligence, Musk, Istruzione

di Gabriele Boselli

Sono un piccolissimo detentore di azioni Tesla comprate -riconoscendo la genialità tecnico/scientifica ed economica del fondatore Musk- quando valevano molto meno. Le azioni sono cresciute e cresceranno (salvo conflitti con Trump) con l’investimento vincente dell’uomo più ricco, intelligente e folle al mondo nella candidatura di Trump e nei terreni, che il surriscaldamento del  pianeta renderà presto verdi di nuovo, della Groenlandia, per non dire delle licenze petrolifere illimitate nel golfo del Messico, anzi d’America. La galassia delle imprese muskiane  (PayPal, SpaceX, Neuralink…) ora permette con l’A.I. sinergie esponenziali non tanto con i veicoli a guida autonoma quanto con l’A.I. diffusa,  i droni e i robot militari e sopratutto con il controllo di tutte le comunicazioni anche riservate attraverso il sistema satellitare Starlink, prossimamente in adozione anche in Italia. Una gamma di fatti produttrice di atti politici propulsivi o compressivi di enorme portata.

Quella dell’ Istruzione, che sinora era una costellazione (aggregato a interazioni deboli la cui forma e potenza dipende principalmente dalla posizione e dalla distanza dell’osservatore, es. costellazioni stellari e altri stati fisici sociologici) potrebbe nel bene e nel male divenire un sistema  ovvero un aggregato a interazioni forti con cogenza esosistemica determinata da controllo illimitato della comunicazione interna ed esterna, es. organizzazioni militari e aziendali.   

Un terreno istituzionale predisposto all’assoggettamento

Finora il boss sudafricano, a parte un impegno sinora modesto nella E.Musk Foundation, non si è interessato molto dell’istruzione; che io sappia non ha ancora scatenato i suoi sherpa alla conquista del monopolio dell’intelligenza artificiale anche attraverso le strutture dell’istruzione. Ancora.

Da vero monopolista assoluto del Potere e della Conoscenza dovrà presto occuparsene e del resto il terreno gli è favorevole: da almeno trent’anni la didattica della programmazione, degli obiettivi senza un fine e delle competenze al posto della pura e indifferenziata capacità di conoscere è stata pompata dal MIUR prima e dal MIM adesso. Le scuole vengono valutate a seconda della correttezza nelle risposte degli alunni ai quesiti posti dall’ INVALSI. I posti a concorso da insegnante, dirigente scolastico e il prossimo da ispettore si vincono superando test che valorizzano non la produzione culturale e scientifica, non la capacità critica e la creatività ma il pensiero iperomologato, convergente, frazionale, non aperto all’Intero. Un robot dotato di intelligenza artificiale vincerebbe nelle prove qualsiasi umano.

Creativi ma monopolisti

Jobs, Musk, Altman, Zuckerberg e compagni sono personaggi dotati indubbiamente di forte intelligenza creativa. Gli ultimi tre, raggiunto il potere economico e dunque politico, pare si stiano però dedicando non allo sviluppo ma al controllo monolingua delle intelligenze altrui. Sono per contro convinto che ogni tecnologia, disconnessa dalla pluralità delle matrici essenziali delle strutture etiche e logiche da cui trae concepimento, sia destinata a disseccarsi. I linguaggi degli apparati informatici, i LLM devono poter utilizzare l’intera sintassi nucleare delle varie lingue e non solo la sintassi della lingua inglese e i codici pseudouniversalistici di alcune delle matematiche prodotte in Occidente nel XX secolo. Le categorie dell’intelligere sono ben più di quelle usate finora nell’AI.

I linguaggi e i programmi dominanti di intelligenza artificiale e generativa pongono al mondo dell’istruzione una sfida non solo alla resistenza ma anche al saper porre in termini nuovi le antiche questioni del conoscere e in particolare della coscienza. Sono questioni intimamente negate all’approccio tecnocratico e psicologistico imperante (quello che fabbrica in grandi quantità handicappati, DSA, BES etc.). Le linee di costruzione davvero ulteriori delle scienze sono incompatibili con ogni forma di burocrazia e di automatizzazione del pensiero; nelle scuole come in tutte le altre istituzioni di alta cultura sono eminentemente pedagogiche, di pedagogia come, gentilianamente, scienza; e scienza filosofica. Vanno a mio avviso ripensate in prospettiva fenomenologica ovvero tendenti a costituire non fondamenti ma fondazioni oscillanti, plastiche, mutevoli per natura e intensità, sviluppantesi per vettori categoriali multipli e attivabili nella generalità delle discipline.


F.Faggin Irriducibile. La coscienza, la vita, i computer e la nostra natura, Mondadori 2022, 2023 2.a

G.Boselli Chat GPT, le potenze del Novum in Encyclopaideia – Journal of Phenomenology and Education, vol 27 n.65, 2023

L. Floridi Filosofia dell’informazione, Cortina, 2024

L’evoluzione dell’educazione tecnica in Italia

L’evoluzione dell’educazione tecnica in Italia: tra storia, riforme e prospettive future

di Bruno Lorenzo Castrovinci

L’articolo 34 della Costituzione Italiana stabilisce che “La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.” Questo principio fondamentale sottolinea l’importanza di garantire pari opportunità educative e, allo stesso tempo, orientare i più capaci e meritevoli verso percorsi che possano esaltare il loro talento e la loro creatività.

Un sistema educativo ben progettato non deve limitarsi a trasmettere conoscenze, ma deve preparare gli studenti a contribuire attivamente alla società, favorendo occupazione, innovazione e benessere collettivo. Il capitale sociale di un territorio, inteso come il valore delle sue risorse umane, fa la differenza in termini di sviluppo economico e miglioramento della qualità della vita. Per questo motivo, l’educazione deve essere strettamente collegata alle necessità del mercato del lavoro e ai settori strategici del Paese.

Una riforma dell’istruzione dovrebbe potenziare le ore dedicate alle discipline necessarie per incrementare il valore sociale del capitale umano, orientando gli studenti verso percorsi che garantiscano un futuro professionale solido e creativo. Parallelamente, l’università dovrebbe accogliere lo studente che sceglie di investire in queste aree di formazione strategica, mentre le facoltà con basse prospettive occupazionali dovrebbero essere regolate attraverso il numero chiuso. Una tale offerta formativa, orientata all’incremento del capitale sociale, rappresenta una leva cruciale per la crescita economica e sociale di una nazione.

L’evoluzione storica e le riforme nell’educazione tecnica

L’educazione tecnica in Italia ha attraversato molteplici trasformazioni nel corso del tempo, evolvendo in risposta alle necessità economiche, sociali e culturali del Paese. Nel periodo postunitario, l’istruzione tecnica venne concepita come uno strumento fondamentale per lo sviluppo industriale e la modernizzazione della società. Con il Regio Decreto del 1923, si delineò un primo assetto strutturato per le scuole tecniche, che miravano a formare figure professionali per il settore produttivo.

Durante il boom economico degli anni ‘50 e ’60, l’istruzione tecnica ricevette ulteriore impulso, grazie alla crescente domanda di tecnici qualificati. Fu in questo periodo che si consolidarono gli istituti tecnici e professionali, rispondendo alle esigenze di un Paese in rapida trasformazione industriale. Tuttavia, le riforme degli anni successivi portarono a un progressivo ridimensionamento del ruolo dell’educazione tecnica, in favore di un’istruzione più teorica e generalista.

Con l’introduzione della Legge 53/2003, si avviò un processo di modernizzazione che cercò di rivalutare l’istruzione tecnica attraverso il rafforzamento delle competenze trasversali e tecniche. Tuttavia, il percorso rimase frammentato e spesso privo di una visione strategica unitaria.

La scuola secondaria di primo grado: storia ed evoluzione

La scuola secondaria di primo grado, la cui storia affonda le radici alla fine del XIX secolo, è un pilastro del sistema educativo. Ha attraversato numerose riforme che ne hanno plasmato l’evoluzione, cercando sempre di adattarsi ai cambiamenti della società e alle esigenze degli studenti.

La scuola media nasce ufficialmente con la Legge Casati del 1859, durante il Regno di Sardegna. Questa legge, estesa poi a tutta l’Italia unificata, è la prima grande riforma del sistema scolastico italiano, che stabilisce una chiara distinzione tra istruzione primaria e secondaria.

Con la Riforma Gentile del 1923, introdotta dal filosofo Giovanni Gentile sotto il governo di Benito Mussolini, la scuola media assume una nuova forma. Questa riforma mira a creare un sistema educativo elitario, preparatorio al liceo classico o scientifico, con una forte enfasi sulle materie umanistiche e linguistiche. Il curriculum include: Italiano, con letteratura, grammatica e composizione; Latino, fondamentale per la formazione culturale; Storia e Geografia, insegnate insieme per una comprensione globale; Matematica, con aritmetica e geometria; Scienze Naturali, con nozioni di base di biologia e chimica; Lingua Straniera, solitamente francese; Educazione Fisica, per lo sviluppo fisico; Disegno e Musica, per abilità artistiche e musicali.

La Riforma della Scuola Media Unica del 1962, promossa dal ministro Luigi Gui, democratizza l’accesso all’istruzione secondaria, istituendo un curricolo unico con maggiore attenzione alle materie scientifiche e tecniche. Le discipline includono: Italiano, con letteratura e composizione; Storia e Geografia, insegnate insieme con attenzione alla storia contemporanea; Matematica e Scienze, con algebra, geometria, fisica e chimica; Lingua Straniera, con l’inglese come principale; Educazione Tecnica, per competenze pratiche e tecniche; Educazione Fisica, per lo sviluppo fisico; Disegno, Musica ed Educazione Artistica, per stimolare la creatività.

L’istituzione dell’Educazione Tecnica rappresentò una novità significativa nelle riforme scolastiche del tempo, introducendo un approccio formativo basato su competenze pratiche e tecniche, ma fortemente condizionato dai ruoli di genere tradizionali. Questa disciplina venne strutturata in percorsi distinti per maschi e femmine, riflettendo le aspettative sociali e culturali dell’epoca.

Per i ragazzi, l’Educazione Tecnica si focalizzava su settori come meccanica, elettricità, lavorazione del legno e dei metalli. L’obiettivo principale era prepararli a entrare in un mondo del lavoro dominato dall’industria e dall’artigianato, formando una generazione capace di progettare, costruire e innovare. I laboratori scolastici, ricchi di strumenti e macchinari, diventavano il luogo in cui apprendere abilità essenziali per futuri mestieri tecnici, con attività che rafforzavano l’identità maschile attraverso la manualità e la precisione. Questo percorso formativo non si limitava a insegnare competenze pratiche, ma trasmetteva implicitamente un modello di cittadino attivo, pronto a contribuire al progresso economico e tecnologico.

Per le ragazze, invece, l’Educazione Tecnica si configurava come una preparazione alla vita domestica, concentrandosi su attività come cucito, cucina, igiene e cura della famiglia. Queste materie erano pensate per formare le giovani donne a gestire il focolare domestico, consolidando l’ideale tradizionale della donna come custode della casa. Le lezioni di cucito non erano semplici esercizi manuali, ma veicoli di una femminilità virtuosa, mentre la cucina e l’economia domestica miravano a trasmettere competenze di organizzazione e gestione, ritenute fondamentali per la stabilità familiare. Questa preparazione non era priva di valore pratico, ma rafforzava una visione limitante del ruolo femminile, escludendo le donne da percorsi professionali e tecnologici che avrebbero potuto sviluppare pienamente il loro potenziale.

Questo modello educativo, sebbene rispondente alle necessità sociali ed economiche del tempo, presenta oggi evidenti criticità. La rigida separazione dei percorsi non solo privava gli studenti della libertà di esplorare inclinazioni personali, ma perpetuava stereotipi di genere che influenzavano profondamente le scelte di vita e lavoro. Un ragazzo interessato alla cucina o una ragazza attratta dalla meccanica difficilmente potevano trovare spazio per coltivare queste passioni. Questo sistema contribuiva inoltre a definire l’ambito tecnologico e industriale come esclusivo degli uomini, relegando le donne a un ruolo di supporto domestico.

Per superare queste criticità, l’educazione tecnica venne progressivamente unificata, con lo stesso curriculum per tutti gli studenti, indipendentemente dal genere con la Riforma degli Ordinamenti Scolastici degli anni ’90.

Con l’inizio del nuovo millennio, la Riforma Moratti del 2003 modernizza il sistema scolastico, introducendo la personalizzazione dei percorsi educativi e un maggiore utilizzo delle tecnologie. Il curriculum modernizzato include: Italiano, con enfasi sulla comprensione del testo e scrittura creativa; Matematica e Scienze, con nuove tecnologie e metodologie didattiche; Storia e Geografia, insegnate con maggiore enfasi sugli eventi contemporanei; Lingua Straniera, con l’inglese come principale e possibilità di una seconda lingua; Educazione Tecnica e Informatica, con competenze digitali obbligatorie; Educazione Fisica, per il benessere degli studenti; Arte e Musica, per lo sviluppo delle capacità artistiche.

La Riforma Gelmini del 2008 introduce ulteriori cambiamenti, mirati a razionalizzare la spesa pubblica e a migliorare l’efficienza del sistema scolastico. Le discipline principali comprendono: Italiano, con focus sulla comprensione del testo e competenze espressive; Matematica e Scienze, rafforzate con nuove tecnologie e maggiore rigore; Storia e Geografia, insegnate separatamente con attenzione alla storia contemporanea e geografia economica; Lingua Straniera, con l’inglese principale e opzione per una seconda lingua; Tecnologia, con informatica integrata e focus sulle competenze digitali; Educazione Fisica, mantenuta per promuovere uno stile di vita sano; Arte e Musica, per lo sviluppo delle capacità creative.

La scuola media italiana di oggi prevede un monte ore settimanale di circa 30 ore, distribuite tra materie fondamentali come Italiano, Matematica, Scienze, Storia, Geografia, Lingue straniere, Tecnologia, Educazione Artistica, Educazione Musicale, Scienze Motorie e Sportive, e Religione o attività alternative. Il tempo prolungato, offerto in alcune scuole, aggiunge ulteriori ore pomeridiane, portando il totale settimanale a circa 36-40 ore. Questo modello esteso include attività di approfondimento, laboratori, recupero e potenziamento, e progetti interdisciplinari.

La situazione attuale: Tecnologia nel primo ciclo d’istruzione

Attualmente, l’educazione tecnica è rappresentata nel primo ciclo d’istruzione dalla disciplina Tecnologia, insegnata fin dai primi anni della scuola primaria e che, nella scuola secondaria di primo grado, occupa un quadro orario di 66 ore annue, pari a 2 ore settimanali. Questo posizionamento, alla pari di discipline come Arte e immagine, Musica e Scienze motorie, ne evidenzia una certa marginalizzazione rispetto alla crescente importanza delle competenze STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria, Matematica) nel panorama globale. Nonostante il contributo fondamentale che Tecnologia potrebbe offrire per l’orientamento verso studi tecnici e scientifici, il limitato monte ore rischia di ridurne l’impatto formativo.

L’esigenza di orientare verso gli studi tecnici

L’Italia, seconda manifattura in Europa, si trova oggi di fronte a una sfida cruciale: formare una nuova generazione di tecnici qualificati per sostenere la competitività economica e preservare il welfare. Il libro “Ricostruire l’istruzione tecnica. Ultima chiamata per rimanere la seconda manifattura in Europa, salvare la nostra economia e preservare il nostro welfare” sottolinea l’urgenza di investire nell’educazione tecnica e professionale come pilastro per il futuro del Paese. L’orientamento verso gli studi tecnici dovrebbe partire già dal primo ciclo d’istruzione, integrando attività laboratoriali e progettuali che stimolino la curiosità e l’interesse degli studenti verso le STEM.

Ma nonostante gli investimenti in attività extracurriculari, per ottenere effetti duraturi è necessario rivedere i quadri orari e potenziare la disciplina Tecnologia nelle scuole secondarie di primo grado, accorpandola con Scienze, in quanto è necessario un riallineamento dei due curriculi per evitare sovrapposizioni.

Lo studio teorico delle scienze è fondamentale per l’apprendimento successivo delle scienze applicate, al fine di poter applicare pienamente il curricolo a spirale di Jerome Bruner e, allo stesso tempo, per determinare quella zona di sviluppo prossimale necessaria per la maturazione delle competenze in tecnologia.

E’ necessario, inoltre, attrezzare le scuole medie con laboratori adeguati o, nei territori ove presenti, sfruttare quelli degli istituti tecnici e professionali anche in orario pomeridiano.

La tecnologia, essendo scienze applicate, necessita di metodologie didattiche attive, quali il  Making e il Thinkering, per la realizzazione di prodotti significativi, possibilmente in gruppo e meglio ancora durante lo svolgimento di un compito autentico di realtà.

Le iniziative del Ministero dell’Istruzione e del Merito

Negli ultimi anni, il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha promosso diverse iniziative per potenziare lo studio delle STEM, tra cui l’introduzione delle Linee guida per l’orientamento che enfatizzano l’importanza di indirizzare gli studenti verso percorsi tecnici e scientifici. Inoltre, gli ultimi provvedimenti ministeriali hanno stanziato risorse significative per il potenziamento delle attività laboratoriali e l’acquisto di strumenti tecnologici nelle scuole secondarie di primo grado.

Nonostante questi passi avanti, restano ancora molte criticità. Alcune scuole non hanno i locali necessari per la realizzazione di idonei laboratori, in altre mancano le risorse umane, le competenze e la vision per realizzare spazi idonei per le attività di making e thinkering. Le attività extracurriculari, essendo temporanee e legate agli investimenti limitati ad un determinato periodo di tempo, non sono sufficienti a creare i presupposti per un sistema formativo in grado di motivare nel tempo gli studenti verso lo studio delle STEM.

Un giudizio critico e le prospettive future

È evidente che il quadro orario dedicato a Tecnologia dovrebbe essere incrementato e riorganizzato, accorpandolo con Scienze, per creare una disciplina integrata e interdisciplinare. Ciò permetterebbe di fornire agli studenti una visione più completa delle interconnessioni tra scienza e tecnologia, favorendo lo sviluppo di competenze utili per il futuro. Inoltre, sarebbe opportuno investire maggiormente nella formazione dei docenti e nell’aggiornamento dei curriculi didattici, includendo tematiche emergenti come l’intelligenza artificiale, la robotica e la sostenibilità ambientale.

L’educazione tecnica nel primo ciclo d’istruzione rappresenta una straordinaria opportunità per orientare le nuove generazioni verso percorsi che possono contribuire alla crescita economica e sociale del Paese. Tuttavia, per cogliere appieno questo potenziale, è necessario un impegno sistematico e coordinato da parte di tutte le istituzioni coinvolte, con una visione a lungo termine che metta al centro gli studenti e le loro esigenze future.

Disciplina scolastica

Disciplina scolastica, un percorso educativo

di Bruno Lorenzo Castrovinci

La disciplina scolastica rappresenta una delle sfide più delicate e complesse del sistema educativo moderno. In passato, la gestione della disciplina era principalmente improntata su un approccio punitivo e autoritario, caratterizzato da provvedimenti come sospensioni prolungate, punizioni fisiche, umiliazioni pubbliche e azioni coercitive psicologiche. L’obiettivo era mantenere l’ordine attraverso la deterrenza, spesso senza considerare le implicazioni educative, il benessere emotivo degli studenti o la possibilità di un percorso di recupero e crescita personale.

Non si tratta semplicemente di gestire comportamenti scorretti, ma di creare un ambiente che favorisca la crescita personale, il rispetto reciproco e la consapevolezza civica. Con l’introduzione della recente normativa, l’approccio alle sanzioni disciplinari ha subito una profonda trasformazione, evolvendo da una tradizione normativa che in passato privilegiava strumenti punitivi e standardizzati. Negli anni ’70 e ’80, la gestione disciplinare era regolata principalmente dai decreti delegati, che introducevano una visione ancora centralizzata e formale delle punizioni. Successivamente, con le riforme degli anni ’90, iniziò a emergere un’attenzione maggiore verso la personalizzazione degli interventi, tenendo conto delle diverse fragilità degli studenti. In questo contesto si inserisce il D.P.R. 294/98, noto come “Statuto delle studentesse e degli studenti”, integrato dal successivo D.P.R. 235/07, che definisce una cornice di principi cardine per la gestione della disciplina scolastica.

Inoltre, il MIUR, con la circolare 3602 del 2008, emanata in risposta all’esplosione del fenomeno del bullismo, ha fissato aspetti metodologico-educativi e sanzionatori, delineando un approccio più equilibrato e orientato alla prevenzione. Questo percorso evolutivo ha condotto a una scuola progressivamente più inclusiva e orientata al benessere dell’alunno, culminando nella recente normativa che riflette la necessità di una scuola capace di educare non solo al sapere, ma anche all’essere, promuovendo competenze sociali ed emotive indispensabili per affrontare le sfide della società contemporanea.

Le sanzioni disciplinari nella Legge 150/2024

La Legge 1° ottobre 2024, n. 150, ha rinnovato il panorama delle sanzioni disciplinari, ponendo particolare attenzione al loro valore educativo. Tra le novità principali, l’introduzione della valutazione del comportamento in decimi nella scuola secondaria rafforza l’importanza di un comportamento responsabile, con conseguenze dirette per chi riceve una valutazione inferiore a sei decimi. In caso di comportamenti gravi o reiterati, la normativa prevede l’allontanamento dalle lezioni, con modalità che privilegiano la riflessione e la riparazione: per periodi fino a due giorni, gli studenti sono coinvolti in attività di approfondimento, mentre per sospensioni più lunghe devono partecipare a iniziative di cittadinanza solidale presso strutture convenzionate. Queste misure trasformano la disciplina da strumento repressivo a opportunità educativa, collegando l’esperienza della sanzione a un percorso di responsabilizzazione e crescita personale, orientato alla costruzione di una cittadinanza attiva.

Rimprovero verbale

Il rimprovero verbale rappresenta la misura disciplinare più immediata e diretta, spesso utilizzata per correggere comportamenti scorretti sul momento. La sua efficacia, come sottolineato da autori come Mario Polito (“La gestione della classe e dei conflitti”), risiede nella capacità del docente di comunicare il rimprovero in modo rispettoso e mirato. Un rimprovero ben calibrato può rafforzare la relazione educativa, ponendosi come un intervento correttivo che stimola la riflessione senza compromettere la dignità dello studente. Tuttavia, un tono umiliante o aggressivo può generare sentimenti di sfiducia o alienazione, minando la relazione tra docente e discente.

Un esempio pratico potrebbe essere il caso di uno studente che interrompe la lezione con comportamenti inappropriati: il docente, rivolgendosi a lui in modo calmo ma fermo, potrebbe evidenziare il valore della collaborazione e il rispetto per il gruppo. Questo approccio, come indicato anche da Haim Ginott (“Teacher and Child”), rafforza l’idea che il comportamento scorretto non definisce la persona, ma è un errore che può essere corretto. La sensibilità nel dosare questa misura è fondamentale per garantire che essa mantenga il suo valore educativo, evitando che venga percepita come un atto esclusivamente punitivo.

Annotazione o nota disciplinare

La nota disciplinare è uno strumento formale utilizzato per segnalare comportamenti scorretti o gravi, spesso emesso dopo reiterati rimproveri verbali che non hanno sortito effetto. Tuttavia, un uso frequente o poco meditato di questo strumento rischia di inflazionarlo, riducendone l’efficacia come deterrente. Secondo i principi del diritto penale, ogni sanzione deve essere individuale e proporzionata alla gravità del fatto, un principio che si applica anche alla nota disciplinare scolastica. Le note collettive, infatti, risultano inefficaci, in quanto non favoriscono la responsabilizzazione personale degli studenti, come evidenziato da Mario Polito.

L’abuso della nota disciplinare può condurre a una percezione di inutilità dello strumento, soprattutto quando utilizzata per gestire situazioni di conflitto minori o ricorrenti. Inoltre, l’avvento della dematerializzazione, con la scomparsa del registro cartaceo dalla cattedra, ha ridotto la visibilità immediata delle note, privandole di quella funzione simbolica che un tempo rappresentava un forte deterrente per gli studenti. Per mantenere la sua efficacia, la nota deve essere inserita nel registro elettronico con descrizioni precise, tempestive e contestualizzate, in modo da garantire trasparenza e tracciabilità.

Un altro aspetto centrale è il coinvolgimento delle famiglie. Comunicazioni chiare e tempestive ai genitori consentono loro di comprendere il contesto e collaborare con la scuola per gestire il comportamento dello studente in modo costruttivo. Come sostenuto da Daniel Goleman (“L’intelligenza emotiva a scuola”), una sinergia tra famiglia e istituzione scolastica può trasformare una sanzione formale in un’opportunità educativa, favorendo un percorso di crescita personale condiviso. In definitiva, la nota disciplinare deve rappresentare non solo un atto formale, ma anche un potente strumento educativo capace di promuovere la responsabilizzazione e il dialogo tra scuola, studente e famiglia.

Sospensione dalle attività didattiche

La sospensione rappresenta un provvedimento più incisivo, riservato a casi di comportamenti particolarmente gravi o reiterati. La nuova normativa introdotta dalla Legge 1° ottobre 2024, n. 150, ha specificato ulteriormente le modalità di gestione di questa misura, introducendo importanti novità. Per le sospensioni inferiori a due giorni, è previsto che gli studenti producano un elaborato critico per riflettere sul proprio comportamento, trasformando la sanzione in un momento di crescita personale e autoconsapevolezza. Per le sospensioni superiori a due giorni, invece, è obbligatorio il coinvolgimento in attività di cittadinanza solidale presso strutture o enti convenzionati con la scuola. Queste attività includono servizi come il supporto ad associazioni locali, progetti di cura ambientale o attività di aiuto a fasce deboli della comunità.

Le attività devono essere progettate in modo da responsabilizzare lo studente, promuovendo una riparazione concreta del danno arrecato e rafforzando il legame tra scuola e territorio. Inoltre, queste misure rappresentano un’opportunità per stimolare una riflessione profonda sul proprio ruolo all’interno della comunità scolastica e sociale.

Un elemento distintivo della sospensione è la distinzione tra quella con obbligo e senza obbligo di frequenza. Nel primo caso, lo studente è tenuto a frequentare la scuola partecipando a programmi di recupero o riflessione guidata; nel secondo, l’allontanamento fisico dalla scuola è temporaneo e mira a sottolineare la gravità del comportamento scorretto. Entrambe le tipologie di sospensione devono essere decise collegialmente: il consiglio di classe è responsabile delle sospensioni fino a 15 giorni, mentre per quelle di durata maggiore interviene il consiglio d’istituto.

A tutela dello studente, la normativa prevede inoltre il ricorso all’organo di garanzia interno alla scuola, che ha il compito di verificare la correttezza procedurale e valutare eventuali contestazioni da parte dello studente o della famiglia. Questo sistema, basato su trasparenza, dialogo e coerenza normativa, rappresenta un passo significativo verso una gestione disciplinare più equa ed educativa.

L’Allontanamento fino alla fine dell’anno scolastico e la non ammissione

L’allontanamento fino alla fine dell’anno scolastico e la non ammissione agli esami di Stato rappresentano le sanzioni disciplinari più gravi previste dal sistema scolastico, applicabili solo in casi eccezionali in cui il comportamento dello studente comprometta la sicurezza della comunità o renda impossibile valutare il percorso educativo. Questi provvedimenti, disciplinati dal D.P.R. 249/98 e integrati dalla Legge 1 ottobre 2024, n. 150, si basano sui principi di proporzionalità e gradualità, richiedendo un’analisi rigorosa da parte del consiglio d’istituto, supportato eventualmente dall’organo di garanzia regionale per assicurare trasparenza e rispetto dei diritti dello studente. Sebbene rappresentino un forte deterrente, tali sanzioni non devono escludere opportunità di recupero attraverso supporto psicologico, percorsi educativi personalizzati e attività utili, per favorire il reinserimento e prevenire l’abbandono scolastico, mantenendo l’equilibrio tra disciplina e diritto all’istruzione.

Proposte di nuove sanzioni ispirate a modelli internazionali

Guardando alle esperienze di altri Paesi, emergono modelli innovativi di gestione disciplinare che possono arricchire l’approccio scolastico italiano. Ad esempio, in alcune scuole finlandesi e svedesi, si adottano sanzioni formative come il coinvolgimento degli studenti in attività di volontariato o in laboratori di riflessione guidati, volti a favorire una maggiore consapevolezza delle conseguenze delle proprie azioni. In altri contesti, come negli Stati Uniti, vengono utilizzati contratti comportamentali personalizzati, che includono obiettivi specifici e premi per il miglioramento. Questi contratti incoraggiano la partecipazione attiva dello studente nel proprio percorso di correzione.

Un’altra proposta innovativa potrebbe essere l’introduzione di programmi di mediazione tra pari, in cui gli studenti, sotto la supervisione di un docente, aiutano i compagni a risolvere conflitti e a riflettere sui comportamenti scorretti. Questo modello, diffuso in Canada, si è dimostrato efficace nel ridurre episodi di bullismo e nel migliorare il clima scolastico.

Infine, un’idea ispirata alle scuole giapponesi è il coinvolgimento degli studenti in attività di cura dell’ambiente scolastico, come la pulizia delle aule o la manutenzione di spazi comuni, non come punizione, ma come opportunità per sviluppare responsabilità e senso di appartenenza.

Libri Consigliati

Per approfondire le tematiche legate alla gestione della disciplina scolastica e all’evoluzione delle pratiche educative, si suggeriscono alcuni testi fondamentali. Mario Polito, con “La gestione della classe e dei conflitti”, offre strumenti pratici e riflessioni teoriche per affrontare situazioni difficili in aula, rafforzando il legame educativo. Haim Ginott, in “Teacher and Child”, analizza come un approccio empatico e comunicativo possa influire positivamente sulla relazione docente-studente. Daniel Goleman, con il suo celebre “L’intelligenza emotiva a scuola”, esplora il ruolo delle competenze socio-emotive nella gestione del clima scolastico. Infine, “Mindset” di Carol Dweck rappresenta un contributo essenziale per comprendere come l’adozione di una mentalità di crescita possa promuovere la resilienza e il miglioramento continuo, anche in contesti disciplinari.

Conclusione

La disciplina scolastica, nell’evoluzione normativa e pedagogica, non può più essere intesa esclusivamente come un mezzo punitivo, ma deve assumere il ruolo di strumento educativo, capace di favorire la crescita personale e la consapevolezza civica degli studenti. Le sanzioni, personalizzate e integrate in un percorso di recupero, rappresentano un’opportunità per trasformare un errore in un momento di apprendimento significativo. Il panorama educativo italiano, arricchito da modelli internazionali, si muove sempre più verso un approccio inclusivo e orientato al benessere, promuovendo un sistema disciplinare che coniuga rigore, empatia e responsabilizzazione. La vera innovazione risiede nel creare una scuola che non si limiti a correggere, ma che ispiri, educando non solo al sapere, ma anche all’essere, in una prospettiva di crescita integrale.

Riorientamento scolastico

Riorientamento scolastico
L’ultimo tabù?

di Davide Fricano

Forza di carattere. Accogliere moltissimi stimoli e lasciare che agiscano profondamente, lasciarsi deviare moltissimo, quasi fino a perdersi, soffrire moltissimo – e tuttavia riuscire ad attuare il proprio orientamento complessivo.
Friedrich Nietzsche, Frammenti postumi, 1869-1889

Introduzione: scuola formale e scuola materiale

“Riorientamento scolastico”, espressione che non da molto tempo è stata “sdoganata” nel lessico scolastico manifestandosi in occorrenze sempre più frequenti, ma non tanto spesso quanto dovrebbe. Anzi, la sostanziale trascuratezza in cui versa tale aspetto, invece cruciale, del processo di scolarizzazione degli studenti della secondaria di secondo grado contribuisce probabilmente in modo decisivo a produrre certe criticità che a livello sistemico si tende a superare per lo più con strategie e soluzioni che alla lunga corrono il rischio di rivelarsi in effetti come diversivi, accorgimenti elusivi che finiscono per spostare il focus del problema altrove e, semmai, complicare loro malgrado altri aspetti nevralgici del funzionamento della vita scolastica. Tra le tante linee guida, indicazioni prescrittive, note esplicative, circolari e direttive integrative, ordinanze interpretative, gli altrettanti decreti attuativi emanati a supporto di misure normative generali, perché non dedicare un documento di istruzioni tecniche e operative in modo peculiare al fenomeno del riorientamento di quegli studenti che hanno sperimentato gli effetti di una scelta di indirizzo scolastico rivelatasi purtroppo infelice e inopportuna?

Rispondere a tale interrogativo è uno degli obiettivi di questa riflessione: esponendo una breve rassegna delle norme più significative in tema di orientamento e cercando di capire quanto ci sia di coerente, con questo impianto normativo, in ciò che è stato concretamente fatto e nelle interpretazioni applicative che nel mondo della scuola sono risultate più diffuse, si espliciteranno alcune ipotesi sulle ragioni per cui sono scaturite e si sono affermate nel corso degli anni talune pratiche orientative e cosa in tali concezioni e processi non funziona. Infine, si proporrà un modello alternativo di riorientamento scolastico, ovviamente emendabile, che dal punto di vista teorico e pratico possa costituire un’opzione da percorrere.

Lo sfondo di questa disamina è costituito dalla rielaborazione di una metafora che ha avuto notevole successo nel mondo del diritto e che può tornare utile a comprendere le dinamiche con cui si è sviluppata la logica dell’orientamento scolastico e quelle con cui può essere utilmente riconfigurata. Il modo in cui esso è stato concepito scaturisce dall’incrocio dialettico di due dimensioni del sistema scolastico: il piano formale, costituito da ciò che le norme prescrivono, e quello sostanziale o materiale, dato dal filtro ermeneutico con cui sono state poi trasferite sul piano attuativo, operativo. Si sa che in ogni produzione normativa lo snodo critico sta nel delicato processo di bilanciamento tra un insieme di valori di base, cui ci si ispira assiologicamente, e le esigenze reali, concrete del tessuto che dovrebbe essere normato da tali leggi; così anche per la comunità scolastica ciò che le scuole di volta in volta hanno manifestato come esperienza di bisogni e dati, direbbe il buon Machiavelli, “effettuali” si è dovuto confrontare con la sfera ordinamentale delle norme ponendosi di volta in volta o come correttivo (in caso di scarto tra quanto rappresentato in sede legislativa e quanto espresso dalla realtà concreta), oppure come fisiologico e diretto riscontro applicativo (che si ha quando ciò che pragmaticamente accade nel mondo della scuola diventa una sorta di naturale laboratorio coerente con l’impianto normativo di riferimento che vede quindi confermata sia la propria validità, che la propria efficacia). Ma è pur vero che non sempre questo travaglio ermeneutico “correttivo” ha poi onestamente determinato risultati apprezzabili: a volte nelle norme di diritto scolastico in tema di orientamento si è letto molto di più, di differente, in termini peggiorativi, di quanto le norme stesse riportassero. La verità è che i due piani, materiale e formale, condividono meriti e demeriti rispetto al lacunoso inquadramento dell’orientamento scolastico in termini di riorientamento.

Come la Costituzione materiale, originaria, teorizzata da Costantino Mortati[1] dovrebbe compenetrarsi con quella formale cercando di trovare in essa un punto di equilibrata stabilità rispetto agli scopi e alle forze che la animano, così la sfera della prassi scolastica, l’uso, le abitudini, le esperienze effettive maturate nel mondo della scuola di giorno in giorno, le istanze e le necessità che da questo variegato e proteiforme organismo vanno, letteralmente, emergendo si spera possano trovare idonea interlocuzione e convergenza nella prescrizione normativa. Speranza però, come dicevamo, non di rado vana o a causa di una specie di sordità/ritardo del dettato normativo relativamente alle voci del campo vivo e vitale della scuola cui dovrebbe dar corpo e che al contempo dovrebbe recepire, o – all’opposto ‒ per un’indebita sovrapposizione di senso giuridico che la pratica della comunità scolastica impone a volte per effetto di forzature ideologiche o professionali. Ecco che allora per tanto tempo si è imposto materialmente un certo modo di realizzare orientamento scolastico in conseguenza di interpretazioni normative che ‒ “approfittando” della laconicità regolamentare, formale, sulla questione “riorientamento” ‒ hanno proposto modelli che si sono rivelati in poche parole controproducenti. D’altro canto questa stessa laconicità giuridica è già di per sé un notevole  problema che, in quanto tale, concorre a complicare lo scenario, e non solo perché ha predisposto a quel tipo di operazione, ma anche perché a sua volta è verosimilmente segno di una determinata visione della questione cui – questa volta virtuosamente – la dimensione materiale dell’autonomia scolastica ha ultimamente cercato di porre rimedio con progetti e regole che sempre più istituzioni scolastiche hanno finalmente deciso di darsi.

1. Orientamento normato, orientamento “normale”

Il sistema scolastico investe molto sull’orientamento, è risaputo. Misure ed interventi normativi arricchiscono un corposo dossier legislativo ripetutamente aggiornato ed integrato dall’Amministrazione centrale nel corso degli anni e delle varie declinazioni ministeriali cui governi e maggioranze differenti hanno dato vita nel loro succedersi[2]. Se ne impone dunque una ricognizione, seppure sommaria, finalizzata anche ad estrapolare il senso, la direzione cui le visioni ministeriali di “orientamento” finora maturate hanno dato vita.

Sin dal TU (il Dlgs 297/1994), nell’art.193-bis (aggiunto dalla Legge 352/1995 in fase di conversione del DL 253/1995, art.2) poi abrogato dall’art.17 del DPR 275/1999, siparla di attività didattiche integrative volte a favorire il passaggio di indirizzo degli studenti. Con la Legge 59/1997, art. 21, e il DPR attuativo 275/1999, l’orientamento è inquadrato nell’aspetto funzionale dell’autonomia scolastica, previsto com’è sia tra le voci di spesa vincolanti per il fondo finanziario ordinario, sia nell’ambito della ricerca, dello sviluppo e della sperimentazione, intendendolo come transito dello studente tra istruzione e formazione, ma anche tra indirizzi scolastici diversi. Su questa falsariga di autonomia, la Legge 107/2015 raccomanda di riservare una voce del PTOF all’orientamento, al fine di strutturare reti e convenzioni per contrastare la dispersione, incentivando autoformazione e istruzione per adulti, favorendo anche l’uso di locali scolastici nell’ottica dell’apprendimento permanente e monitorando grazie all’INDIRE i percorsi CPIA; il c.7 inserisce infatti esplicitamente l’orientamento tra gli obiettivi formativi da dover conseguire. Sempre la “Buona scuola” curva all’orientamento la sezione dedicata al curricolo, per le varie aree (Alternanza-Scuola/Lavoro[3], istruzione degli adulti, Istruzione e Formazione Professionale, ricerca, sperimentazione, innovazione –  anche tecnologica/digitale – rapporti col territorio, inclusione), invitando dirigenza e organi collegiali ad attivare iniziative di orientamento e a definirne al contempo un sistema complessivo (di cui parte non trascurabile è la redazione del curriculum degli studenti)[4]. Del resto, lo Statuto delle studentesse e degli studenti (DPR 249/1998) annovera esplicitamente l’orientamento tra i diritti degli alunni. Una buona, prima, organica sintesi degli indirizzi emersi fino al periodo a cavallo tra i secoli è rappresentato dalla Legge 53/2003: essa affida parte dell’orientamento alla regolamentazione dell’A-S/L[5]; indica l’acquisizione di crediti formativi conseguiti con la frequenza di segmenti del secondo ciclo e spendibili per un eventuale futuro reinserimento nei percorsi di studi; raccomanda che all’ultimo anno ci sia intesa con l’istruzione tecnica superiore e universitaria per programmi che implementino competenze e abilità nonché conoscenze specifiche per l’accesso a tali settori di istruzione. Inoltre, rispetto al PECUP (profilo educativo, culturale e professionale dello studente) si sostiene che la sua articolazione non può che passare per l’orientamento (conoscere forza e debolezza della preparazione, verificare l’adeguatezza delle decisioni circa il futuro scolastico, operare con flessibilità nei cambiamenti di percorsi, secondo le logiche del Long Life Learning). Il tutto viene preparato sin dalla secondaria di primo grado: in essa il terzo anno è volto a completare l’orientamento (va sottolineato del resto che nell’e-portfolio dell’orientamento confluisce la certificazione della scuola secondaria di primo grado). Il che riporta alla decretazione collegata al disposto normativo in materia di obbligo scolastico, formativo e orientamento: con il Dlgs 76/2005 (attuativo della delega presente nella legge) si auspica un orientamento funzionale alla scelta delle superiori o alla maturazione di un titolo conclusivo del primo ciclo. Il Dlgs 59/2004 all’art.9 aveva già previsto una diversificazione didattica in relazione all’orientamento verso percorsi futuri. E proprio il versante didattico, proiettato verso l’orientamento, è stato curato nelle norme successive, anche a proposito – ad es. – della certificazione delle competenze. Gli assi culturali e le relative metodologie didattiche (empirica, laboratoriale, ricerca-azione) vanno infatti canalizzati all’orientamento e le stesse competenze andranno poi certificate con modalità che lo favoriscano (Dlgs 62/2017 e DM 742/2017). Con i DM 139/2007 (che recepisce la Raccomandazione europea 2006[6]) e 9/2010, quest’ultimo sostituito dal DM 14/2024 (modelli di certificazione delle competenze per l’obbligo scolastico), si declina esplicitamente tale certificazione di competenze chiave ai fini dell’apprendimento lungo il corso della vita e dunque dell’orientamento (che diviene così il vero scopo dell’insegnamento/apprendimento).

L’ultima tappa di tale iter è il DM 328/2022 con le relative Linee Guida, su cui si è aperto – come ampiamente prevedibile – un serrato dibattito tra chi lo valuta come l’ennesima occasione persa per un serio ripensamento di un aspetto così importante delle politiche di istruzione nazionale, inquadrandolo come l’ultimo dei tanti interventi legislativi di settore che cambiano l’assetto della vita scolastica finendo però così per forzare i necessari e opportuni tempi di metabolizzazione di innovazioni precedenti (introdotte con modalità analoghe), e chi invece ne sottolinea la novità, la condivisibilità e la rispondenza all’esigenza di attualizzazione, cioè di avvio di un reale cambiamento che renda coerente la politica di istruzione del Paese con gli indirizzi europei prevalenti, da contrapporre ad un immobilismo, una stagnazione nella vita scolastica effettiva che sussisterebbe a dispetto delle tante norme di riassetto ed evoluzione di sistema periodicamente proposte.

Da questa rassegna si evince dunque l’importanza rivestita dall’orientamento nella determinazione delle politiche di istruzione, ormai da decenni. Orbene, tale centralità si gioca e ribadisce su più versanti: organizzazione ministeriale, expertise e performances attese da figure e profili professionali, valutazione (interna ed esterna) di sistema, ossia delle istituzioni scolastiche, attenzione specifica riservata ad alunni titolari di BES. Di questi, velocemente, daremo adesso conto.

1.a Uffici e organizzazione ministeriale

L’art.50 della Legge 12/2020 (riorganizzazione del Ministero) stabilisce che una delle aree funzionali ministeriali è quella dedicata anche all’orientamento (con la pianificazione per es. di esperienze formative indirizzate al lavoro, alla filiera formativa professionale, all’ITS). Col DPCM 208-2023 (riordino dei Dipartimenti ministeriali) il “Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione” si occupa di orientamento allo studio e professionale, di supporto alla realizzazione di esperienze formative finalizzate alla valorizzazione del merito e all’incremento delle opportunità di lavoro e delle capacità di orientamento degli studenti. In particolare è la “Direzione generale per lo studente, l’inclusione, l’orientamento e il contrasto alla dispersione scolastica”(una delle direzioni afferenti al Dipartimento) che con l’Ufficio II – “Welfare dello studente, partecipazione scolastica, dispersione e orientamento” si dedica al coordinamento di attività di orientamento allo studio e professionale, di analisi, ricerche, iniziative di contrasto alla dispersione, e di incentivazione del successo formativo. La “Direzione generale per gli ordinamenti scolastici, la formazione del personale scolastico e la valutazione del sistema nazionale di istruzione” con l’Ufficio IV – “Ordinamenti dei percorsi dell’istruzione tecnica, dell’istruzione professionale, dell’istruzione tecnica superiore e dell’istruzione degli adulti” elabora linee guida, note, guide operative, atti di indirizzo e standard, attiva il monitoraggio e stabilisce l’assegnazione di risorse per la realizzazione di PCTO, di tirocini e stage, fatte salve le competenze delle regioni e degli enti locali in materia; promuove infine azioni di orientamento al lavoro e alle professioni e di rafforzamento della filiera tecnico-scientifica non universitaria.

1.b Figure professionali: a) Dirigenti Tecnici (DT), b) Dirigenti scolastici (DS), c) Docenti

A) il DT collabora con i dipartimenti ministeriali per la gestione dell’orientamento allo studio e la formazione professionale. Col DM 41/2022 (Atto di indirizzo del ministro Bianchi) si assegna al DT, come ambito di intervento che ne definisca identità e ruolo, anche la formazione degli insegnanti concernente la didattica e, in essa, quella orientativa (volta ad incentivare motivazione e successo scolastico negli alunni).

B) Quanto l’orientamento sia elemento professionalmente strutturale per il DS, lo dimostrano alcuni riscontri. La parola chiave più ricorrente è “promuovere”, la promozione di attività, strutture, figure e processi utili a fini orientativi. Per la valutazione professionale del dirigente, l’orientamento è sia uno degli ambiti dei corsi che può dichiarare di seguire, sia un’eventuale rete di scopo cui può dar vita o partecipare, stando a quanto indicato nella nota esplicativa dell’auto compilazione del portfolio. Nell’Area di processo intitolata “Continuità e Orientamento”[7], da incrociare con gli omologhi dati di auto valutazione interna di Istituto e con quelli di valutazione esterna a cura del NEV, si considera se il dirigente promuova azioni mirate a favorire la continuità educativa nel passaggio da un ordine all’altro, nonché l’orientamento formativo e la didattica per lo sviluppo delle competenze orientative di base. Si valuta inoltre se promuova comunque specifiche attività di orientamento personale, scolastico e professionale degli allievi (anche con il coinvolgimento delle famiglie); parimenti in merito all’Inclusione, si esamina se in raccordo con i docenti referenti (BES, Orientamento, coordinatori di classe) il dirigente predisponga specifiche azioni di orientamento per gli alunni interessati, al fine di favorirne la prosecuzione degli studi e della formazione in contesti tutelati (es. progetti ponte, cooperative sociali ecc.). Azioni esemplificative del dirigente consistono nella promozione della formazione di un gruppo di lavoro sull’orientamento e sulla didattica orientativa (con la nomina di un docente responsabile), nell’organizzazione di percorsi di formazione specifici sull’orientamento destinati ai docenti, e nell’individuazione e definizione di modalità e modelli per l’espressione di consigli orientativi per gli studenti. Il dirigente infine dovrebbe promuovere la verifica dell’efficacia degli interventi sull’orientamento mediante un sistema di monitoraggio, con attenzione specifica ai risultati degli studenti nel segmento scolastico successivo, nel corso di laurea prescelto, nel mondo del lavoro. Auspicabile anche l’attivazione dirigenziale di uno sportello di orientamento affidato a docenti tutor con formazione specifica e l’organizzazione di incontri con Scuole/Università per fornire agli studenti elementi utili per la conoscenza e la scelta delle relative offerte formative (del territorio e non solo). Sempre in questa direzione, segno di un diligente operare dirigenziale sarebbe l’avvio di iniziative mirate alla conoscenza del territorio e delle realtà produttive e professionali, il sostegno alla progettazione e alla realizzazione di attività di sviluppo di “Career Management Skills” (stage, apprendistato, esperienze imprenditoriali, ecc.), la creazione di una sezione del sito web della scuola dedicato all’orientamento.

C) Per i docenti è di più stretta pertinenza il DM 850/2015 (art.8 c.4) – “Obiettivi, modalità di valutazione del grado di raggiungimento degli stessi, attività formative e criteri per la valutazione del personale docente ed educativo in periodo di formazione e di prova, ai sensi dell’articolo 1, comma 118, della legge 13 luglio 2015, n.107” (solo come premessa) poi rinovellato col DM 226/2022 – “Disposizioni concernenti il percorso di formazione e di prova del personale docente ed educativo, ai sensi dell’articolo 1, comma 118, della legge 13 luglio 2015, n. 107 e dell’articolo 13, comma 1 del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 59, nonché la disciplina delle modalità di svolgimento del test finale e definizione dei criteri per la valutazione del personale in periodo di prova, ai sensi dell’articolo 44, comma 1, lett. g), del decreto legge 30 aprile 2022, n. 36, convertito con modificazioni dalla L. 29 giugno 2022, n. 79”: si fa dell’orientamento  una delle aree trasversali del laboratorio formativo. Il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro relativo al personale del comparto Istruzione e Ricerca 2016-2018 e, in particolare, l’articolo 27 statuisce che il profilo professionale dei docenti è costituito da competenze di orientamento; sappiamo infatti che l’accertamento del possesso e dell’esercizio di queste è annoverato tra i criteri per la verifica degli standard professionali del personale docente in percorso di formazione e nel periodo annuale di prova in servizio. La Legge 79-2022 (sul Reclutamento docenti e l’alta formazione), come già il Dlgs 59/2017 (poi rivisto con la Legge 145/2018), prescrive che il percorso di formazione iniziale preveda la capacità di progettare, anche tramite attività di gruppo e tutoraggio tra pari, dei percorsi didattici flessibili e adeguati alle capacità e ai talenti degli studenti da promuovere nel contesto scolastico e in sinergia con il territorio e la comunità educante, al fine di favorire l’apprendimento critico e consapevole, l’orientamento, nonché l’acquisizione delle competenze trasversali da parte degli studenti, tenendo conto delle soggettività e dei bisogni educativi specifici di ciascuno di essi. Sostanzialmente sia per la formazione iniziale, sia per l’accesso ai ruoli del docente della secondaria tra le competenze professionali quelle valutative e orientative sono quindi essenziali. In linea di continuità, infatti, la formazione continua incentivata per i docenti prevede l’acquisizione di contenuti concernenti continuità e strategie di orientamento formativo e lavorativo.

1.c Orientamento nella valutazione delle Istituzioni scolastiche

Inserire l’orientamento esplicitamente come criterio di misurazione della qualità dell’offerta formativa delle istituzioni scolastiche è accorgimento che il sistema di istruzione italiano condivide con altre realtà scolastiche europee, in particolar modo quella francese e quella olandese. Nel Paese transalpino ispettori dell’educazione nazionale (Inspecteurs de l’Éducation Nationale – IEN) controllano la qualità dell’insegnamento offerto, i tassi di ripetenza, l’orientamento. Anche in Olanda oggetto di valutazione ed ispezioni sono le politiche di orientamento attuate dalle istituzioni scolastiche.

In Italia sia il RAV, sia lo speculare rapporto di valutazione redatto dal NEV dedicano ampio spazio alla gestione delle pratiche di orientamento da parte delle istituzioni scolastiche. La configurazione di questo spazio e le modalità previste dicono molto della visione strategica di sistema in ordine al tema.

Sono previsti appositi paragrafi: “Attività di orientamento” e “Tipologia delle azioni realizzate per l’orientamento”. Facendo un confronto con le stime delle realtà nazionali, regionali, provinciali, si deve valutare se siano state attivate, ed eventualmente quali, risorse operative finalizzate all’orientamento, e cioè: percorsi di orientamento per la comprensione di sé e delle proprie inclinazioni da parte degli alunni, il ricorso a collaborazione con soggetti esterni (consulenti, psicologi, ecc.), l’uso di strumenti specifici e mirati (es. test attitudinali), la presentazione agli alunni dei diversi indirizzi di scuola secondaria di secondo grado (anche ad es. con visite organizzate degli studenti agli istituti superiori, oppure con l’implementazione di incontri tra insegnanti della secondaria di primo grado e quelli della secondaria di secondo grado per definire competenze in input e output o per forme di coprogettazione) o dei corsi di studi universitari (incontri con i Centri di Orientamento e Tutorato degli Atenei, o anche con ex studenti dell’Istituto che frequentano l’Università) e post diploma,  il monitoraggio degli studenti dopo l’uscita dalla scuola (ad es. con la rilevazione degli esiti al termine del primo anno del corso universitario frequentato), l’organizzazione di incontri individuali di alunni con i docenti referenti per l’orientamento al fine di ricevere supporto nella scelte del percorso da seguire, la predisposizione di un modulo articolato per il consiglio orientativo da consegnare agli alunni (solo per le scuole del primo ciclo) e la valutazione della corrispondenza ed adeguatezza (ad es. numero di ammessi al secondo anno in percentuale tra coloro che hanno seguito e quelli che invece non hanno seguito le indicazioni dei consigli di classe della secondaria di primo grado) tra consiglio orientativo e scelta poi effettuata dagli alunni, le interazioni col territorio e con le realtà produttive e professionali (per le scuole del secondo ciclo), l’organizzazione di gruppi di lavoro (e la previsione di una referenza con cui enti esterni, famiglie e studenti possano periodicamente relazionarsi), reti e selezione di progetti[8] prioritari (soprattutto con riferimento alla sezione PCTO). Ovviamente, più sono le risorse attivate più elevata sarà la valutazione dell’efficienza del sistema operativo di Istituto e dell’efficacia delle azioni messe in campo. Il criterio di qualità prevede come giudizio ottimale (in un scala di punteggio da 1 a 7) il seguente: la scuola garantisce la continuità dei percorsi scolastici e cura l’orientamento personale, scolastico e professionale degli studenti; le attività di continuità sono ben strutturate; la collaborazione tra i docenti di diversi ordini di scuola è consolidata; la scuola realizza diverse attività finalizzate ad accompagnare gli studenti nel passaggio da un ordine di scuola all’altro; le attività di orientamento sono ben strutturate e coinvolgono anche le famiglie; la scuola realizza percorsi finalizzati alla conoscenza di sé e delle proprie attitudini; gli studenti dell’ultimo anno e le famiglie, oltre a partecipare alle presentazioni delle diverse scuole/indirizzi di studio universitario, sono coinvolti in attività organizzate all’esterno (scuole, centri di formazione, università); la scuola realizza attività di orientamento alle realtà produttive e professionali del territorio; la scuola monitora i risultati delle proprie azioni di orientamento; un buon numero di studenti segue il consiglio orientativo della scuola. In più, per la scuola secondaria di secondo grado: la scuola ha stipulato convenzioni con un variegato partenariato di imprese ed associazioni del territorio; ha integrato nella propria offerta formativa i percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento; questi ultimi rispondono ai fabbisogni professionali del territorio, le relative attività vengono monitorate, adeguatamente pubblicizzate e le competenze esitate vengono valutate e certificate.

Oltre alla sezione della piattaforma specificamente dedicata all’orientamento, quest’ambito interessa trasversalmente altre due dimensioni o aree: nella parte riguardante “Territorio e capitale sociale” la definizione delle caratteristiche economiche del territorio, della sua vocazione produttiva, la selezione di istituzioni ed enti significativi del distretto vengono effettuate e valutate tenendo conto di criteri tra i quali l’inclusione, la lotta alla dispersione scolastica, l’orientamento. Nella dimensione “Processi”, alla voce “Pratiche gestionali e organizzative”, nelle aree “Strategie e modalità organizzative” – “Sviluppo/valorizzazione risorse umane” – “Rapporti con territorio e famiglie”, gli indicatori includono la definizione della profilatura dei progetti prioritari, e tra questi sono espressamente previsti quelli dedicati all’orientamento, all’accoglienza e alla continuità.

Nel protocollo operativo delle visite del NEV, infine, le interviste a docenti con incarichi particolari, a studenti o rappresentanti dei genitori vertono esplicitamente anche sull’orientamento, le cui azioni – calibrate sui bisogni formativi appositamente rilevati – vanno esplicitate nel PTOF.

1.d Orientamento nelle varie tipologie, nei vari indirizzi e gradi di istruzione

Il tempo e lo spazio dedicati all’orientamento sono direttamente proporzionali al crescere del grado di istruzione, tanto che lo stesso esame di Stato nella secondaria di secondo grado conosce come sua funzione di fondo anche quella orientativa, per la prosecuzione degli studi. Si comincia sin dall’infanzia: nelle “Indicazioni nazionali per il curricolo dell’infanzia e del primo ciclo”, nelle “Linee Guida pedagogiche 0-6”, nonché nei recenti “Nuovi scenari” del 2018 è ripetutamente sottolineato che, anche in quel grado di istruzione, la scuola svolge un ruolo di orientamento verso gli studi successivi[9] ed a tale scopo sono indirizzate le istanze pedagogiche e l’articolazione del curricolo.

Tutto l’arco della scolarizzazione è dunque coinvolto nella realizzazione di questa delicata operazione formativa e didattica[10], ma di base, ai fini del tema del riorientamento, quel che ci interessa è quanto previsto per la secondaria di secondo grado. Man mano che si transita dal contesto liceale a quello tecnico e a quello professionale il peso riservato alle politiche di orientamento ritrova un riscontro sempre più ampio.

Il DPR 89/2010 concepito per la revisione didattica dei Licei vede come suo scopo anche l’orientamento, per favorire il quale vengono raccomandate a partire dal triennio attività di collegamento con Università, AFAM, ITS.

In merito all’istruzione tecnica, nella Direttiva 57/2010 si prevede una sezione dedicata all’orientamento informativo e formativo, all’insegna della continuità verticale e con l’auspicio della predisposizione di una rete come modello operativo. Nella Direttiva 4/2012 l’orientamento è classificato nella direzione del raccordo al lavoro e agli ITS; si accenna anche a forme di riorientamento, o interno o ad altri indirizzi scolastici, da attivare nel biennio. Infine, negli Allegati alle Linee Guida volte a gestire e accompagnare il passaggio al nuovo ordinamento, lo studio della Storia – al quinto anno – è mirato a far acquisire l’abilità di analizzare storicamente profili professionali anche in funzione dell’orientamento. Tutto il quinto anno in verità è dedicato ad approfondire tematiche ed esperienze finalizzate anche a favorire l’orientamento dei giovani nelle attività di settore, in approfondimenti professionali mirati, nella prosecuzione verso specifiche offerte di Istituti Tecnici Superiori e verso percorsi universitari.

Ma, sicuramente, è l’istruzione professionale quella in cui l’orientamento occupa uno spazio qualitativamente e quantitativamente più rilevante. Già con il Dlgs 226/2005, inerente ai percorsi di istruzione e formazione professionale, tra i livelli essenziali degli obiettivi connessi all’offerta formativa assicurati dalla Regione è previsto l’orientamento funzionale al recupero degli apprendimenti e il tutorato. Nel Dlgs 61/2017, tra gli strumenti per l’attuazione dell’autonomia nell’ambito dell’istruzione professionale, è indicato lo sviluppo di attività e progetti di orientamento scolastico, nonché di inserimento nel mercato del lavoro, anche attraverso l’apprendistato formativo. In tale norma si sollecita la definizione di un sistema di orientamento, del quale possa far parte la metodologia laboratoriale, insieme all’alternanza scuola lavoro (ora PCTO), perché essa viene presentata come fondamentale per la continuità del processo di orientamento teso a favorire la riflessione degli studenti sulle scelte operate rendendole più fondate e consapevoli. Con l’emanazione del successivo Regolamento recante la disciplina dei profili di uscita degli indirizzi di studio dei percorsi di istruzione professionale[11], nonché la revisione dei percorsi dell’istruzione professionale nel rispetto dell’articolo 117 della Costituzione (con il relativo raccordo quindi con i percorsi dell’istruzione e formazione professionale), si prescrive che, nel rispetto dell’assetto organizzativo del biennio dei percorsi dell’istruzione professionale, le istituzioni scolastiche effettuino, al termine del primo anno, la valutazione intermedia concernente i risultati delle unità di apprendimento inserite nel P.F.I[12]. A seguito della valutazione, il consiglio di classe comunica alla studentessa o allo studente le carenze riscontrate ai fini della revisione del P.F.I. e della definizione delle relative misure di recupero, sostegno ed eventuale riorientamento[13] da attuare nell’ambito della quota non superiore a 264 ore nel biennio (quota oraria destinata alla personalizzazione degli apprendimenti). I Piani triennali dell’offerta formativa comprenderanno attività e progetti di orientamento scolastico, anche ai fini dei passaggi tra i sistemi formativi di istruzione professionale e di istruzione e formazione professionale[14] (IeFP), sia per promuovere l’inserimento della studentessa e dello studente nel mondo del lavoro (magari attraverso l’apprendistato formativo di primo livello di cui al Dlgs 15 giugno 2015, n. 81), sia per facilitare la progressiva costruzione del percorso formativo di ciascuna studentessa e di ciascuno studente. Le Università e le istituzioni scolastiche possono stipulare convenzioni allo scopo di favorire attività di aggiornamento, di ricerca e di orientamento scolastico e universitario. Infine, nello schema di Decreto Interministeriale 358/2021 (per la definizione dei criteri e delle modalità per l’organizzazione e il funzionamento della rete nazionale delle scuole professionali, ai sensi dell’articolo 7, comma 4, del Dlgs 13 aprile 2017, n. 61) vengono espressamente richiamati il Dlgs 14 gennaio 2008, n. 21, recante «Norme per la definizione dei percorsi di orientamento all’istruzione universitaria e all’alta formazione artistica, musicale e coreutica, per il raccordo tra la scuola, le università e le istituzioni dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica, nonché per la valorizzazione della qualità dei risultati scolastici degli studenti ai fini dell’ammissione ai corsi di laurea universitari ad accesso programmato di cui all’art. l della legge 2 agosto 1999, n. 264, a norma dell’articolo 2, comma l, lettere a), b) e c), della legge Il gennaio 2007, n. 1», e il Dlgs 14 gennaio 2008, n. 22, recante «Definizione dei percorsi di orientamento finalizzati alle professioni e al lavoro, a norma dell’art. 2, comma l, della legge 11 gennaio 2007, n. l», oltre che la normativa sul transito da A-S/L a PCTO, il tutto per ribadire che finalità della rete connessa all’aggiornamento di indirizzi di studio e profili in uscita è anche la promozione di strategie per orientamento (con riferimento pure a quelle in uscita dal primo ciclo).

Gli ultimi due capitoli di questo breve excursus riguardano l’istruzione degli adulti e quella superiore.

Per ciò che concerne i Centri per l’istruzione degli adulti, il Decreto Interministeriale del 2015 stabilisce che sia riservato un monte ore destinato ad attività di accoglienza/orientamento per la definizione del Patto Formativo Individuale; e così nel RAV l’orientamento è valutato sulla base del numero di patti formativi individuali sottoscritti. E, a proposito di RAV, gli esempi di domande guida e di individuazione dei punti di forza e di debolezza del Centro dicono molto sulla cornice entro cui le pratiche di orientamento sono inserite nel mondo dell’istruzione degli adulti: 1) il CPIA realizza percorsi di orientamento per la comprensione di sé e delle proprie inclinazioni? In che modo vengono attuati? 2) In che modo il CPIA realizza attività di orientamento finalizzate alla scelta del percorso formativo successivo? Queste attività coinvolgono le realtà formative del territorio? 3) Il CPIA realizza attività di orientamento al territorio e alle realtà produttive e professionali? In che modo vengono strutturate? La risposta ottimale a tali quesiti configura il livello d’eccellenza, che si può sintetizzare nel seguente profilo: il CPIA realizza azioni di orientamento finalizzate a far emergere le inclinazioni individuali che coinvolgono tutti i gruppi di livello; inoltre propone attività mirate a far conoscere l’offerta formativa presente sul territorio, anche facendo sperimentare agli allievi esperienze esterne (scuole, centri di formazione). Le attività di orientamento sono molto strutturate e pubblicizzate e coinvolgono anche famiglie, tutori, educatori per i minori.

Se con il Decreto Interministeriale 7/2/2013 (in particolare l’Allegato A – Linee Guida) si indirizza l’istruzione superiore terziaria verso la  promozione dell’apprendistato, dell’apprendimento permanente, del PCTO e dell’orientamento in genere (prevedendo la presenza di funzioni di orientamento e tutoring che supportino gli allievi in ingresso, in itinere e in uscita)[15], la Legge 99/2022 (sul sistema terziario di istruzione tecnologica superiore) assegna agli ITS Academy il compito di sostenere l’orientamento permanente dei giovani verso le professioni tecniche (aspetto ribadito nel DM 89/2023 – Allegato A). Sono peraltro previste azioni di orientamento anche nella scuola secondaria di primo grado e nei vari PCTO attivati in quella di secondo grado. Il DM 228/2023 – Allegato Tecnico, a proposito dell’indicatore n. 1, pone l’attrattività come prima componente di un percorso ITS Academy, collegandola all’esito delle attività di orientamento in relazione al corso proposto. Infine, il DM 191/2023, concernente l’accreditamento degli ITS, inserisce come requisito il fatto che nell’organigramma di Istituto sia presente personale (inclusa la Direzione) con comprovata esperienza nell’orientamento.

1.e Orientamento e BES  

Tra gli scopi fondamentali della Legge 104/1992 si trova l’affermazione dell’orientamento e della continuità come diritto del diversabile. Conseguentemente vanno attivate forme sistemiche e sistematiche di orientamento almeno a partire dalla prima classe della secondaria di primo grado[16]. Il Gruppo di lavoro operativo per l’inclusione che opera a livello d’istituzione scolastica prevede tra i propri membri eventuali specialisti che operano nella scuola nell’ambito dell’orientamento, quali psicopedagogisti o medici[17]. Nell’area BES dedicata ai Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) le linee guida (allegate al DM 5669/2011) indicano l’adozione in ambito scolastico di forme di orientamento e di accompagnamento per il prosieguo degli studi.

2. Postulato della ragion orientativa

Orbene, una prima e sommaria valutazione del prolifico portato normativo e documentale ne sottolinea una caratteristica fondamentale: le norme regolano e incentivano soprattutto l’orientamento da attuare nella nevralgica fase di passaggio tra cicli scolastici e/o tra sistemi formativi (istruzione e formazione professionale), ossia quel che nella prassi delle scuole è stato poi rubricato come orientamento in ingresso e in uscita con relative iniziative e piani organizzativi annessi e rimessi alla loro autonomia. Rispetto all’entità, quantitativa e qualitativa, delle indicazioni e prescrizioni ministeriali proposte nel corso degli anni, non appare invece dedicato uno spazio proporzionato al cosiddetto “riorientamento scolastico”, intendendolo nel suo significato più elementare e conciso: revisione delle scelte scolastiche degli alunni, maturata a seguito dell’emergere di problemi e difficoltà didattiche significative. Peculiarmente dedicate all’argomento appaiono infatti in modo più rilevante le Linee Guida nazionali sull’orientamento permanente, nonché le parti che si riferiscono al rilascio annuale della certificazione delle competenze contenute nelle ultime Linee Guida sull’orientamento attualmente vigenti[18]. Inclusi i riferimenti precedentemente fatti all’accenno nel TU al riorientamento, alle considerazioni presenti nella Direttiva 4/2012 in ordine alla possibilità di riorientare gli alunni ad altro indirizzo durante il biennio dell’istruzione tecnica, e a quanto esposto nell’ambito dell’istruzione professionale a proposito della funzione del tutor e del Consiglio di classe, nonché del monte ore flessibile e personalizzato da dedicare nel Piano di Formazione Individuale, non abbiamo invero molto.

Viene dunque da chiedersi quali siano le ragioni di tale laconicità istituzionale in merito. Siamo giunti pertanto all’incipit di uno degli scopi essenziali di questo lavoro, ossia rispondere al quesito con cui abbiamo introdotto questo studio: perché la normativa generale e quella ministeriale, che adesso conosciamo meglio, non si occupano di individuare e indicare protocolli operativi di attivazione, organizzazione e cura dell’intero processo che sta a monte del riorientamento scolastico che esulino dai meri adempimenti burocratici che regolano “amministrativamente” il transito da un indirizzo scolastico all’altro? Si parla di esami di idoneità, di esami integrativi, si concentra il focus operativo genericamente sul biennio (eredità – questa – ormai ancestrale della non attuata riforma dei cicli progettata dall’allora Ministro Berlinguer) e – per il resto – poco altro.

Tale riluttanza da parte del sistema a curare questo aspetto dell’orientamento sembra effettivamente recepire, e incoraggiare a sua volta, una prassi invalsa nelle istituzioni scolastiche fino a poco tempo fa, e soltanto ultimamente in controtendenza in diversi istituti. In questo caso ci sarebbe pertanto una convergenza sistema/scuole, spesso e per altri tratti vanamente agognata e puntualmente disattesa. Centro e periferia sostanzialmente concordano; tale confluenza si riconduce ad un ragionamento che si potrebbe, ci si conceda una licenza di “semplicismo”, tradurre nella postulazione di un senso di fondo così riassumibile: scopo dell’offerta formativa di ogni istituzione scolastica è il successo formativo e scolastico; tale successo si declina, per una forma di automatismo, nella “promozione” dell’alunno nel proprio corso di studi. Ogni divergenza da tale percorso, ivi compresi i trasferimenti, viene di fatto considerata come un’anomalia, una sconfitta, una criticità da evitare.

2a. Origine e conseguenze del postulato orientativo

Esiste una formulazione esplicita di tale postulato, quanto meno nella forma con cui è stato sopra enunciato? Forse no, ma il suo senso di fondo è stato probabilmente avvalorato dalle indicazioni contenute in una serie di documenti e dalle interpretazioni di cui esse sono state diffusamente oggetto nell’ambito delle istituzioni scolastiche.

Cominciamo dal RAV, il documento chiave per l’autovalutazione di Istituto sulla base del quale redigere poi il Piano di Miglioramento dell’istituzione scolastica, da inserire nel PTOF. Sappiamo che il Piano di Miglioramento è un punto basilare della pianificazione dell’offerta formativa di un istituto scolastico: indica le priorità e i traguardi attuativi che nell’arco di un triennio quell’istituto deve dimostrare di essersi sforzato di conseguire (e di cui poi trarrà un bilancio nella Rendicontazione sociale). Tali priorità, su cui incardinare la progettazione scolastica triennale, vanno individuate nell’area cosiddetta degli “esiti”. Nella relativa piattaforma ministeriale vengono infatti caricati a sistema dall’Amministrazione alcuni dati, confrontati con parametri provinciali, regionali e nazionali. La ricognizione di questi dati fa sì che l’Istituto, vagliando quelli più critici (ad es. gli scarti maggiori – in negativo ‒ tra i risultati conseguiti dall’istituto e quelli dei benchmark di riferimento), calibri i propri obiettivi operativi. L’area degli esiti prende in considerazione, con cifre in percentuale, le seguenti voci: alunni ammessi, alunni con giudizio sospeso, diplomati per fasce di voto, risultati nelle prove standardizzate nazionali, risultati a distanza (rendimento universitario e inserimento nel mondo del lavoro) e dulcis in fundo abbandoni e trasferimenti (in entrata ed in uscita). Talché, la deduzione è automatica: indicatore di criticità nell’offerta formativa dell’Istituto sarà – per es. ‒ un elevato numero in percentuale di trasferimenti in uscita e un ridotto numero di trasferimenti in entrata, soprattutto se confermato – in sofferenza ‒ con le cifre medie provinciali, regionali, nazionali. La plausibilità di tale lettura peraltro si auto alimenta in virtù dell’incontro con le attese delle componenti della comunità scolastica che vanno nella stessa direzione, avvalorandola: tra gli obiettivi contenuti nelle lettere di incarico dei dirigenti scolastici sono riportati gli obiettivi regionali, oltre quelli nazionali (estrapolati spesso dall’atto di indirizzo ministeriale) e di Istituto (priorità del RAV); per molti USR tali obiettivi includono la lotta e il contrasto alla dispersione (intesa come esito di un processo multifattoriale comprendente non ammissioni, giudizi sospesi, evasioni, abbandoni ecc.) che si traduce in una flessione del numero di iscritti e frequentanti. I dirigenti scolastici pertanto operano affinché il numero degli iscritti al proprio istituto non diminuisca e, semmai, aumenti, considerato che il conseguimento di tali obiettivi concretizza tra l’altro la possibilità di veder soddisfatta la legittima aspirazione alle gratificazioni premiali in termini di retribuzione di risultato.  I docenti, d’altro canto, hanno tutto l’interesse a non veder diminuito il numero di alunni della scuola, onde evitare il taglio delle cattedre e dunque l’odissea professionale (e logistica) che travolge i perdenti posto all’insegna di una rinnovata precarietà che colpisce gli insegnanti a tempo indeterminato (i quali non di rado sono già reduci da anni di precariato pre-ruolo, che ‒ con tutti i disagi vissuti ‒ rende tale situazione un’esperienza che essi sono comprensibilmente ben lungi dal voler sperimentare nuovamente). Resistenza alla mobilità studentesca interscolastica è poi notoriamente presente sia nelle famiglie, che negli studenti stessi: il cambio di scuola viene vissuto come un fallimento scolastico, considerate le aspettative coltivate a monte della scelta iniziale, una dequalificazione del titolo di studio auspicato, un trauma nell’abbandono di un luogo in cui magari nel frattempo sono nate relazioni affettive che potrebbero cessare con il cambio di una scuola e il venir meno di una quotidianità mattutina di frequentazione stabile.

Quali conseguenze genera l’imposizione di questo assetto ermeneutico? Almeno due: una di tipo organizzativo che è operativa a livello periferico e una di tipo didattico, in realtà più sovrastrutturale e meno diretta, gestita a livello centrale.

Cominciamo dalla prima. Se ogni istituto scolastico investe, e tanto, nell’orientamento in ingresso prevedendo gruppi di lavoro, figure professionali specificamente dedicate (magari tra le funzioni strumentali del piano dell’offerta formativa), iniziative finanziate con appositi capitolati del fondo di Istituto, tra cui spiccano i sempre più articolati “open day”, ciò accade – al netto di tante altre possibili puntualizzazioni – innegabilmente per offrire un’informazione più completa e approfondita sul corso di studi e favorire dunque una scelta più consapevole da parte degli studenti, ma è pur vero che la pratica si è poi spesso tradotta anche nella ricerca del modo di acquisire un maggior numero di iscritti rispetto agli anni precedenti (dato rivendicato spesso come indicatore di efficacia della virtuosità dell’azione implementata) e rispetto alle altre istituzioni scolastiche del distretto o ambito[19].

La seconda ricaduta riguarda la revisione epistemologica della didattica. E qui corre l’obbligo di una precisazione preventiva: non si intende asserire che le ragioni dell’introduzione di una serie di novità didattiche e della scelta delle modalità con cui sono state introdotte risiedano nell’agevolazione del paradigma di orientamento finora delineato. Si vuole semmai sostenere che non può escludersi che una delle ricadute ex post delle svolte didattiche intraprese a livello centrale vada ritrovata, appunto, in quel modello, finendo poi con l’alimentarlo, transitando così (tale cambiamento didattico) da conseguenza a concausa dell’implementazione di quella tipologia di orientamento e del suo postulato di fondo. Lo scenario pressappoco è questo: gli alunni si sono iscritti, magari persuasi anche dalle considerevoli energie profuse dagli istituti per dare concretezza all’orientamento in ingresso; come gestire ora quella quota tutt’altro che trascurabile di studenti il cui rendimento rivela tratti di pronunciata e ostinata problematicità rispetto agli insegnamenti curricolari? Naturalmente, sperimentare tutte le possibili iniziative di recupero rimane la via obbligata e maestra, ma qualora si rivelasse infruttuosa? In questo caso, pur di non disperdere il patrimonio umano rappresentato da questi alunni è veramente del tutto fuori luogo pensare che si sia voluto intervenire anche su piani più strutturali, quali quelli della didattica e della valutazione[20]? Per spiegare meglio il passaggio è opportuno concedersi una breve, ma funzionale digressione in merito.

2.a.1 Evoluzioni e involuzioni didattiche

Per anni nel mondo della scuola è stata percorsa la stagione delle grandi riforme scolastiche, spesso promosse dalle varie forze politiche di governo per segnare in modo riconoscibile il tracciato della propria azione in un campo della vita del Paese ambìto, ma anche molto difficile e impegnativo, come quello dell’istruzione. Programmi Brocca e lavori della relativa Commissione parlamentare, riforma Berlinguer, riforma Bertagna/Moratti, riforma Gelmini, “Buona Scuola” renziana, sono soltanto gli esempi di alcuni tentativi, più o meno riusciti, di intervento. Non è qui in discussione l’analisi “politica” di tali proposte, né si intendono indagare le retrostanti ragioni ideologiche, culturali o semplicemente finanziarie a monte di tali provvedimenti. Il dato sostanziale è che essi hanno spesso destato un vivace dibattitto, frequentemente scantonato in polemiche e contestazioni, tanto che per vari motivi e in vario modo (per via parlamentare o giurisprudenziale) alcuni di questi, in tutto o in parti (anche centrali) del loro dettato, sono stati accantonati, ridimensionati, congelati. Abbandonata dunque questa strategia di cambiamento, sembra essere stata scelta una maniera operativa radicalmente diversa: interventi mirati, specifici, settoriali, autonomi oppure attuati a distanza di tempo rispetto alla legge cui si richiamano (si pensi a parte della decretazione ricollegabile alla legge matrice 107/2015)[21]. Per citare alcuni esempi: introduzione della metodologia didattica PCTO e dell’insegnamento trasversale di Educazione Civica. In entrambi i casi, sia nei testi, sia nei corsi di formazione organizzati per le misure di accompagnamento all’introduzione di tali novità si è indirizzata la modalità attuativa di tali processi formativi e didattici sul versante delle Unità di Apprendimento, delle esperienze laboratoriali di esperienza civica, del service learning ecc. Tali attività, in particolare l’insegnamento di Educazione Civica (non a caso parzialmente sovrapponibile allo stesso PCTO), sostituiscono, integrano e condizionano le ore di lezione delle ordinarie Discipline curricolari, godendo peraltro di una posizione statutaria “privilegiata”[22]. Stessa logica, in parte, e stesso verso sta a monte dei moduli orari di orientamento previsti dalle recenti linee guida in materia. In definitiva, le ore di lezione delle Materie curricolari devono essere curvate ai fini dell’inserimento nei percorsi sopra menzionati: argomenti e metodi disciplinari quindi si dovranno adattare e dovranno essere rimodulati sulla base delle indicazioni contenute nelle relative linee guida. Seppure con sfumature di cogenza diverse[23], a livello ministeriale è stata caldeggiata e raccomandata più o meno direttamente l’adozione di determinate modalità di organizzazione della lezione da parte dei docenti. Lo si è fatto a volte in modo chiaramente prescrittivo, come nel caso delle Unità di Apprendimento come modello didattico da implementare negli istituti professionali o nei centri per l’istruzione per adulti, a volte in modo più morbido e indiretto per cercare di rispettare i limiti imposti dal dettato costituzionale sulla libertà assicurata all’insegnamento.

Ma perché queste misure costituirebbero un riscontro di quell’idea di orientamento diffusamente praticata e veicolata, da noi tratteggiata nei paragrafi precedenti?

Perché è ad esse sottesa una concezione della valutazione (e dell’istruzione) che agevola in un Istituto la permanenza di quegli alunni che sulla base di altri criteri, qualificati – più o meno correttamente poco importa ‒ come “tradizionali”, si rivelerebbe più difficile.

Vediamo di capire perché.

Gli indirizzi in cui si suddivide l’offerta scolastica della secondaria di secondo grado, determinano una profilatura specifica del curricolo. Possiamo distinguere un indirizzo ordinamentale (Liceo, Tecnici, Professionali) ed un (sotto)indirizzo specifico (scientifico, classico, tecnico economico ecc.). La differenziazione, ovviamente, si calibra sui curricoli e sul peso che in essi esercitano alcune Discipline, denominate appunto di “indirizzo”, rispetto alle altre. Alcune Materie costituiscono i marcatori degli indirizzi ordinamentali (ad es. liceo c’è, ove si insegna Filosofia e una volta ‒ prima della sostanziale ibridazione con i Tecnici, come nel caso dell’opzione liceale “Scienze Applicate” – Latino), altre quelle dello specifico curricolo (quelle cioè il cui monte ore o la cui presenza permettono di distinguere un liceo scientifico, da un classico ecc.). Posta questa strutturazione, è chiaro che il bilancio dei requisiti minimi di apprendimento nei vari corsi è per lo più, de facto, condizionato dal rendimento fatto registrare dagli alunni nell’arco di Materie che ricoprono, quantitativamente e qualitativamente, il maggior numero di ore, richiedendo impegno direttamente proporzionale. Tale impostazione ovviamente “penalizza” quegli alunni dal profitto deficitario nelle Discipline di indirizzo, magari per effetto di una scelta di orientamento in ingresso rivelatasi non fortunata. Poiché tale percentuale si rivela di una certa consistenza (si pensi al novero di alunni iscritti ai licei scientifici che proprio in Matematica denunciano i limiti più evidenti)[24], si è pensato di spostare l’asse della valutazione su un baricentro “eccentrico”. Ossia, si tende a ridimensionare il peso di conoscenze, competenze, abilità e capacità delle Discipline (soprattutto di indirizzo) nell’economia della valutazione complessiva e diluirle in un ambito più esteso, inclusivo di altri elementi che, mentre prima fungevano da corollario complementare e integrativo di valutazione, adesso – invertendo i pesi specifici – esercitano invece una “forza” dominante.

Avvalendoci di esempi: dedicare molte ore ad attività di Educazione Civica e PCTO, e considerare soprattutto tali percorsi come modelli didattici da emulare nelle altre, ordinarie lezioni curricolari delle Discipline, significa in poche parole prendere atto che nella valutazione dell’alunno di un liceo scientifico non peserà più tanto la sua capacità o meno di risolvere un esercizio durante un compito o un’interrogazione, quanto la capacità che ha di metter su una performance attiva su più codici (il più delle volte limitandosi a curare l’implementazione di uno solo dei quali, o addirittura solamente di alcuni segmenti di attivazione dello stesso) in cui lo svolgimento di questo esercizio è inserito, se non semplicemente rappresentato. Il tutto indipendentemente dall’effettiva capacità risolutoria: nate per opporsi a processi didattici rubricati come puramente mnemonici, tali modalità finiscono per riprodurre lo stesso limite; riportare un dato al fine di inserirlo in un processo d’azione più estesa (un compito di realtà, un prodotto multimediale) non garantisce che il report di per sé equivalga all’effettiva comprensione dello stesso, al saperlo padroneggiare. Girare video di buona qualità, accompagnarli con l’esecuzione di una colonna sonora accattivante, interpretare drammaturgicamente i contenuti di un teorema dando vita alla cosiddetta geometria creativa, sostenuta nella drammatizzazione magari dall’allestimento di una scenografia artisticamente apprezzabile, diventano processi formativi con cui talento, creatività, spirito di iniziativa, impegno e contenuti restituiscono degli studenti che ne sono artefici e protagonisti un profilo brillante e da premiare con un buon voto. La valorizzazione di questi talenti, soprattutto se spesi all’interno di un percorso formativo di educazione allo spirito civico o di costruzione e presa di coscienza della propria identità, diventa elemento docimologicamente prevalente, mentre parallelamente viene rappresentata come eccessivamente penalizzante una valutazione negativa qualora tale successo in questa dimensione della formazione non trovasse poi riscontro nel conseguimento di conoscenze e competenze tecniche che fanno capo a quel nucleo epistemologico del curricolo che ne definisce l’indirizzo. Sì, perché non c’è alcun automatismo tra crescita nell’ambito delle competenze cosiddette “trasversali” e potenziamento di capacità, contenuti e abilità “curricolari”: frequenti sono le occorrenze in cui gli alunni, trovandosi di fronte ad esercizi o quesiti standard, come quelli – per intenderci – che si ritrovano ai test standardizzati nazionali o nelle prove agli esami di Stato, di cui hanno gestito una versione esemplificata in una fase della performance sopra descritta (sotto forma di compito o prodotto di realtà), non si rivelano in grado di individuarne la forma, di identificarli correttamente, o comunque di applicarvi la corretta logica di risoluzione. Questo perché può accadere che l’attenzione e la concentrazione dello studente, volgendosi su ciò che egli percepisce come più “attrattivo”, si sposti sulle competenze trasversali, a discapito di quelle specifiche, finendo per acquisire sul piano meramente narrativo o recitativo le conoscenze dell’argomento che dovrebbe apprendere e quindi – come dicevamo ‒ per riprodurre in altra versione le dinamiche di quell’apprendimento nozionistico o mnemonico che pure tale metodologia didattica e pedagogica avrebbe dovuto contrastare.

L’asse portante dell’incentivazione di tale – peculiare[25] ‒ modello didattico “per competenze” è il seguente: i dati restituiti dalle prove standardizzate nazionali e internazionali hanno delineato criticità significative nelle competenze di base[26]. Tali fragilità sono riconducibili al permanere provincialistico di una cultura dell’insegnamento definita in alcuni documenti ministeriali “gentiliana”[27] (v. le Linee Guida allegate alla Direttiva 4/2012 sui programmi e le metodologie didattiche degli istituti tecnici), ossia – traduciamo ‒ trasmissiva, frontale, nozionistica, mnemonica e a canne d’organo (non interdisciplinari), peraltro veicolata nel corso di lezioni che presuppongono la passività dello studente, mero ricettore di informazioni dispensate in verbose lezioni che insegnano prevalentemente ad annoiarsi. La soluzione consisterebbe pertanto nell’adozione dei modelli didattici sopra descritti, capaci di coniugare, nella “formazione”, istruzione ed educazione. E siccome finora si è puntato sull’istruzione, peraltro con risultati appunto al di sotto delle aspettative, ora si deve far leva più sul profilo educativo: educare, più che istruire. Meno competenze e conoscenze tecniche e più competenze trasversali (soprattutto “civiche”); meglio un alunno e futuro cittadino più educato, anche se meno istruito, che viceversa. E quindi: percorsi interdisciplinari[28], in cui gli alunni, chiamati a far qualcosa di attivo, anzi di “proattivo”, usufruiscano di momenti formativi in cui il docente, insieme alla classe, sappia innestare le nozioni necessarie da “programma” nelle attività collaterali che le rendano spendibili in compiti accattivanti e utili.

Ora, al di là delle perplessità di ordine didattico cui già si è accennato, e volendo tralasciare considerazioni sulla condivisibilità o meno degli standard europei sulla base dei quali stimare adeguato o meno il livello di apprendimento degli alunni, su cui pure – prima o poi – sarebbe opportuno aprire una franca discussione, il problema riguarda la tenuta di sistema, la sua coerenza.

Esistono infatti quelle che si possono inquadrare come “strozzature di sistema”. La disomogeneità o discontinuità con cui normativamente si interviene per indurre questi cambiamenti didattici comporta che – perdendosi una prospettiva organica, sistemica che dia coerenza alle varie parti emendate – si finisca per creare un terreno scabroso, in cui se da un lato si spinge verso una certa direzione, dall’altro esistono delle chiuse, dei punti di uscita e dei passaggi obbligati che non stati adeguati a tali cambiamenti, ma semmai risentono di quelle che si potrebbero definire – nell’ottica degli innovatori – “vecchie logiche”. Possiamo sbilanciare quanto vogliamo l’insegnamento su competenze trasversali, alla fine però quel che gli alunni devono saper fare agli esami è risolvere esercizi, versioni, affrontare prove disciplinari specifiche su competenze tecniche. Finché l’atto conclusivo del percorso scolastico secondario superiore (in vista del quale ci si prepara, quanto meno nel secondo biennio e nell’anno terminale) sarà calibrato sull’attribuzione di un punteggio/voto determinato dalla valutazione di specifici compiti (uno dei quali di indirizzo), quell’operazione di riconfigurazione didattica si rivelerà produttiva in modo molto relativo. Per decidere il voto degli esami la Commissione dovrebbe anche tenere indirettamente conto del curriculum con tutte le esperienze e gli interessi maturati dagli alunni (potendovi imperniare il colloquio), ma alla fine è pur vero che sarà la capacità di risolvere prove che si rivelerà prevalente. O si cambia questo, o ha poco senso cambiare altro.

In altre parole, e tirando un po’ le somme con una provocazione: se davvero dobbiamo dare molto più peso docimologico ai progressi educativi corrispondenti alla maturazione di competenze trasversali, piuttosto che all’attivazione di conoscenze e competenze specifiche, tecniche e disciplinari incardinate nel versante formativo dell’istruzione, allora tanto vale obliterare l’articolazione per indirizzi (specifici e ordinamentali) dei percorsi scolastici superiori. Tale specializzazione, che peraltro richiede processi metacognitivi all’atto della selezione o scelta che ragazzi di 13 anni, pur assistiti da docenti e famiglia, è possibile che non siano ancora in grado di fare, può essere preservata, sì, ma declinandola in altra maniera. L’esperienza insegna che il biennio “comune”, di transito, serve solo a posticipare il problema, rinviando unicamente l’onere di affrontarlo. A 14 o 16 anni, il ritornello non cambia molto, anzi diventa molto più arduo prospettare cambiamenti al terzo anno, allorquando si consolidano e manifestano le difficoltà di apprendimento ricollegabili al carico di specializzazione presente nel curricolo di indirizzo. Più utile sarebbe forse istituire un unico corso superiore di studio con Discipline di base, riservando la specializzazione e gli indirizzi – anche ordinamentali ‒ ad una quota opzionale e facoltativa di corsi caratterizzanti, la valutazione dei quali quindi inciderebbe sul quadro complessivo in modo ridotto, inferiore, a questo punto per statuto e non per effetto di tortuosi rivolgimenti o infingimenti didattici.

3. Un’alternativa di riorientamento scolastico: proposta di un protocollo operativo

Naturalmente, quanto detto per le modalità di giustificazione di quella lunga rivoluzione didattica, vale – a maggior ragione – per il principio generale di cui essa costituisce una forma di realizzazione. Trattenere alunni in un determinato Istituto viene infatti presentato come un doveroso, umano atto di inclusione e accoglienza. “Presentato”, perché a monte di questa rappresentazione sta una sorta di processo di sublimazione con cui rendere socialmente accettabile – e dunque difficilmente criticabile – un fenomeno che, invece, può prestarsi anche a letture meno “confortevoli”. Per cui, come è possibile nutrire perplessità e ipotizzare controargomentazioni rispetto all’interventismo didattico, parimenti è possibile rilevare delle incrinature rispetto ad alcuni assunti sottesi alla narrazione di questa inclusività.

Cominciamo dalle prime osservazioni. Perché “sublimare”? Freud ci direbbe che di solito lo si fa per alleggerire il carico dei sensi di colpa che potremmo provare nel fare ciò che, sotto sotto, sappiamo di non dover fare. Questa è una pratica pressocché ordinaria della didattica e dell’insegnamento che, in proposito, non conosce purtroppo mezze misure. Passati da stagioni ed epoche dell’insegnamento in cui la legge ontologica e morale della didassi era “se l’alunno non apprende la colpa è sua”, tanto che sottolinearla con rituali poco commendevoli era ritenuto normale (il voto brandito come un’arma sanzionatoria, il rimprovero aspro coram populo per mancanze in condotta o per aspetti deficitari nel rendimento), siamo approdati per compensazione all’eccesso opposto irrobustito da copiosa letteratura sociologica e cinematografica: se l’alunno non apprende la colpa è del docente (o del famigerato “sistema” e delle sue contraddizioni). Fermo restando che di fronte ad un insuccesso scolastico, per di più tradottosi magari in un fenomeno di dispersione, è inevitabile per i docenti chiedersi se per evitarlo hanno fatto tutto ciò che fosse nelle loro personali corde e nelle loro prerogative professionali, d’altro canto formulari abusati nella fenomenologia linguistica degli insegnanti del tipo “dobbiamo interrogarci su dove abbiamo sbagliato”, di fronte a scenari docimologici negativi, tradiscono questa deriva di sovrabbondante autocolpevolizzazione. In essa la chiave di lettura prevalente nell’inquadrare la fragilità di rendimento si rivela “univoca”, pendendo in termini di difettività dalla parte dei professori, mentre – a volte – sarebbe anche consigliabile dare retta a quell’interrogativo che nella pratica empirica di insegnamento ogni docente si sarà fatto rispetto ad alcuni, neanche poco numerosi, dei propri alunni, refrattari ad ogni misura di supporto didattico: siamo sicuri che questo sia il posto giusto per loro? Spesso non ci si rende conto che le immagini implicite di processo di insegnamento e apprendimento, di cosa sia la figura del docente, e di quale debba essere o sia il rapporto effettivo docente/alunno, che sta a monte dell’atteggiamento compensativo sopra descritto, per un curioso paradosso sono “autoritarie” tanto quanto quelle dell’assetto precedente. Sembra quasi che il/la docente sia una sorta di demiurgo (se non di novello re taumaturgo) che può plasmare a suo piacimento una materia prima amorfa, informe, che di per sé, contrariamente a quella platonica, si presterebbe a questo tipo di operazione, opponendo resistenze che bravi docenti non possono non superare. Ogni alunno/a può apprendere tutto; ogni docente deve essere in grado di insegnare tutto. Questa unidirezionalità di fondo, che è e rimane tale a dispetto di come si provi a mascherarla terminologicamente con irrorazioni di termini quali “interazione”, “relazione seduttiva” (nel senso pedagogico e socratico del termine), non tiene minimamente conto del fatto che l’alunno sarà forse una spugna, come si ama – infelicemente – connotare metaforicamente la coscienza e la mente dei ragazzi, ma non nuova, né “incontaminata”. Giunti nelle aule degli istituti superiori gli alunni hanno un bagaglio consolidato di schemi cognitivi e assiologici maturati nei gradi scolastici inferiori nonché nelle prassi di apprendimento e “disapprendimento” non formale e informale che popolano buona parte della loro vita. E tra queste sussistono preferenze, predilezioni, orientamenti per attività e contenuti, libera scelta di dosaggio dell’impegno, su cui i docenti non sempre possono agire efficacemente in termini di riconversione, tanto che nella valutazione del rendimento degli alunni ne terranno poi conto. Ebbene sì, esattamente come il medico e tanti altri profili professionali, in un contesto scolastico normale (in cui si tenga onestamente conto cioè – tra le altre cose – delle ore di lezioni, dell’entità media di un gruppo classe, dei livelli culturali estremamente eterogenei di composizione) il docente non è nelle condizioni di “far tutto”, deve anche tenere conto di ciò che lo studente o la studentessa è già – di suo – e del fatto che la sua vita continui al di fuori delle aule; deve anche accettare che il processo di destrutturazione di tali mappe mentali e attitudinali, propedeutico alla riconversione verso forme proficue di apprendimento, può non generare i risultati attesi, quanto meno – ripetiamo – nei tempi e nei modi che realisticamente regolano l’ordinaria vita professionale e scolastica.

Esatto, ogni tanto va anche detto da parte della scuola serenamente e – s’intende – motivatamente, ragionevolmente, qualche “no”. Raggiungere una meta significa anche escludere certe vie, seguirne altre, escludersi da percorsi devianti. Un “sì”, include e comporta diversi e molteplici “no”. Certo, la cultura del “no”, la cosiddetta dialettica negativa, nelle società democratiche, liberali e progressiste è accettata e promossa quando traduce un’opposizione al sistema. Sull’onda lunga di consolidate, rodate pratiche di disobbedienza civile e obiezione di coscienza la resistenza a ciò che del sistema è percepito come ingiusto viene considerata doverosa, e non semplicemente un diritto. Invece il sistema-che-(si)nega, soprattutto il sistema scolastico, vede solitamente attribuirsi delle motivazioni tutt’altro che condivisibili a monte della messa in opera di atti di “esclusione”: classismo, discriminazione, settarismo. Se la scuola dice “no” ad alcuni dei suoi studenti, se li valuta negativamente, con ciò – si sostiene – disorientandoli, lo fa perché non fornisce gli strumenti e le risorse adatte a garantire opportunità di successo formativo a chi parte da condizioni di svantaggio (socioculturale o economico). Il che, storicamente, è innegabilmente accaduto e in parte accade[29].  Ora, il punto è esattamente questo: se davvero includere tutti è imperativo indefettibile dell’intero sistema scolastico, imperativo nel senso kantiano del termine, ossia naturalmente condiviso, spontaneamente sentito, quando esso lo diventa di un singolo istituto scolastico finisce per tradursi in un “recludere” molti e “occludere” il microsistema stesso. Sia chiaro, però, quel che è ovvio: l’idea di una società che presenti tassi alti e percentuali sempre crescenti di alunni qualificati con una certificazione scolastica configura un obiettivo auspicabile, un progetto di auto investimento formativo sano e fruttuoso, tanto che elevare l’obbligo scolastico al raggiungimento della maggiore età, ricomponendo istruzione e formazione professionale all’interno di un’unica dimensione o area, senza speciose distinzioni tra istruzione professionale e “istruzione e formazione professionale” di pertinenza regionale, sarebbe “cosa buona e giusta”. Allora l’aspetto su cui lavorare dovrà essere questo: è più sensato che un ragazzo, una ragazza si diplomino, rimanendo entro e completando un circuito scolastico in modo ragionevole e coerente con le proprie attitudini, o che un ragazzo e una ragazza si diplomino in una determinata istituzione scolastica? La banalità della domanda, nella sua retoricità, sembrerebbe veicolare una riposta scontata. Ma – come abbiamo visto – né per molte istituzioni scolastiche, né per il sistema complessivo, nella prassi lo è. “Orientare” vuol dire anche selezionare, catalogare e quindi – Aristotele docet – giudicare, ragionare: tale processo è biunivoco, coinvolgendo i due soggetti interagenti. L’alunno giudica e seleziona molteplici indirizzi e istituti scolastici e, viceversa, la fondatezza della sua scelta sarà poi inevitabilmente oggetto di giudizio all’atto della valutazione del suo rendimento complessivo. La presa di coscienza di questo semplice presupposto può aiutare a rivedere alcuni snodi dell’interpretazione pratica dell’orientamento finora delineata, a illustrare quali siano le ragioni per cui soluzioni alternative possano legittimamente affermarsi (riconsiderando parimenti il concetto di successo scolastico e il suo nesso logico con l’orientamento) e – infine – a motrare quale sia questa possibile versione alternativa del “riorientamento”.

Proviamo intanto a rimettere in discussione gli elementi e i fattori su cui quel quadro di orientamento “occlusivo” si è strutturato e che abbiamo sopra delineato: 1) l’uso delle risorse ministeriali di valutazione di sistema, 2) il concetto di successo scolastico, 3) la prassi antagonistica tra istituti scolastici.

E cominciamo dalla possibile revisione logica dei modi di interpretare le risorse ministeriali.

I numeri in sé sono un po’ come i fatti qualificati da Nietzsche: muti (per non dire altro). Sono le nostre interpretazioni a farli parlare. S’è visto che nella piattaforma del RAV si riportano le cifre dei trasferimenti, ma di per sé esse possono essere suscettibili di diverse letture, anche antitetiche, nella loro eterogeneità. E la stessa piattaforma “lo sa”, infatti è previsto uno spazio in cui l’estensore illustri le considerazioni fatte a margine degli indicatori con un commento e con la possibilità di individuare punti di forza e di debolezza. E dunque: un’alta percentuale di alunni che si trasferiscono allontanandosi da un istituto, certo, può rappresentare una criticità, fatta salva qualche precisazione sia di contorno, sia di sostanza (che costituisce l’aggancio con un nuovo significato da poter associare al concetto di successo scolastico/formativo). Tanto per cominciare, naturalmente, al di là del numero occorre specificare in sede di esplicitazione del dato in piattaforma le cause dei trasferimenti in uscita. Se un alunno chiede di trasferirsi da un Istituto ad altro dello stesso indirizzo, magari nelle adiacenze[30], per dichiarate difficoltà ad accettare metodi di insegnamento o modalità relazionali strutturate con i compagni è ovvio che l’istituto “abbandonato” avvii una riflessione sul proprio operato che legittimi, in qualche modo, una lettura critica, negativa del dato. Ma se un alunno lascia una scuola per trasferirsi ad Istituto di altro indirizzo scolastico, l’automatismo di una valutazione negativa della scuola di provenienza scricchiola. E qui andiamo al secondo punto: cosa intendiamo per successo scolastico? Da quanto anticipato, successo scolastico dovrebbe essere la compiuta interazione tra sistema e utente che sbocchi nell’ultimazione del percorso di formazione scolastica, fino alla maggiore età (e oltre). Successo scolastico, quindi, non è la nominale prosecuzione dell’iter scolastico di classe in classe nel medesimo istituto, quando costellato di fragilità e criticità permanenti e strutturali non superate, bensì meramente obliterate con la certificazione puramente teorica di ammissione alla classe successiva (che copre, come polvere sotto il tappeto, lacune in effetti non colmate). Tale strategia per di più si accompagna a ricadute negative sul delicato processo di metacognizione che ogni alunno deve attivare, sia dal punto di vista psicologico, sia da quello educativo. Psicologicamente, transitare fino al diploma da una classe all’altra con un carico perdurante di punti di debolezza espone gli alunni ad una condizione che alimenta senso di frustrazione, scarsa fiducia in sé stessi e disistima eccessiva e rischiosa. Educativamente, all’opposto, trasmette in altri alunni l’idea che comunque il sistema sia premiale indipendentemente dai meriti effettivi[31] e che – al di là dei concreti risultati conseguiti in termini di crescita didattica – alla fine per una sorta di entropia auto organizzativa il sistema stesso risolva tutto con un lieto fine, tranne però che per l’istituzione scolastica stessa, la quale  ‒ nelle altre voci corrispondenti agli esiti del RAV ‒ vedrà verosimilmente attestarsi su livelli di perdurante criticità i fattori negativi equivalenti ai giudizi sospesi, alle non ammissioni e ai risultati delle prove standardizzate nazionali e degli esami di Stato: più elevato è il numero di studenti e studentesse “trattenuto” in un ordine o indirizzo scolastico che non si confà loro, più alto è il numero di alunni e alunne che frequentano una classe di annualità non corrispondente alle conoscenze e competenze da essi autenticamente acquisite, più sarà difficile per l’istituto scolastico collocarsi ad un livello medio/alto di “rendimento” complessivo. Lo abbiamo anticipato quando abbiamo parlato di “strozzature di sistema”, lo ribadiamo ora, trattando di format e criteri di conduzione dell’autovalutazione di Istituto: fintantoché non si escogiteranno, se proprio si deve, sistemi di rilevazione della qualità e dell’efficacia dell’offerta formativa calibrati sulla trasversalità delle competenze[32] cui spinge la rivoluzione didattica funzionale alla modalità di orientamento attualmente prevalente, ma si continuerà a puntare a testare competenze tecniche specifiche nell’ottica della misurazione (e non della valutazione sommativa), allora mantenere questo assetto ibrido di innesto tra orientamento contenitivo, didattica per competenze trasversali e criteri di valutazione di sistema incentrati su logiche di misurazione di competenze e abilità disciplinari non solo non ha senso, ma – constatata l’incompatibilità di fondo di questa triangolarità ‒ è pure contro attitudinale e auto difettivo. Un contributo significativo in termini di crescita culturale e benessere psicologico la scuola potrà invece offrirlo a se stessa e ai propri alunni solo nel momento in cui condurrà questi davvero a sapersi leggere introspettivamente acquisendo anche la consapevolezza di dover e sapere a volte riorientare le proprie scelte affinché il percorso intrapreso giunga ad una meta effettiva e non semplicemente trascritta su carta, mettendo poi l’istituto nelle condizioni potenziali di collocarsi a livelli superiori rispetto al rendimento complessivo della propria popolazione studentesca. Scelte opposte, al di là delle ragioni e della buona fede con cui vengono implementate, finiscono per bloccare tale processo, mortificando autentiche opportunità di progresso e formazione personale. Saper riorientare e – riorientando – accompagnare oculatamente gli studenti a scelte differenti da quelle iniziali, allorquando queste si rivelino irrimediabilmente scorrette, traducendosi in trasferimenti, diventerà allora un dato positivo del profilo di autovalutazione di un Istituto, e non un punto di fragilità.

Questo naturalmente richiede il darsi a monte di un nuovo e diverso concetto di riorientamento e di nuove, efficaci modalità di implementazione che salvaguardino e garantiscano la positività del processo attivato.

Occorre, in prima battuta, che le singole istituzioni scolastiche (e con esse il sistema complessivo) cessino di ragionare in termini – per l’appunto – di “singole istituzioni” (incorrendo nella tentazione di mantenere anche assetti antagonistici tra esse) e operino con la consapevolezza di far parte di un sistema che condivide un unico obiettivo con l’ausilio di più elementi e risorse (le istituzioni scolastiche medesime): benessere e successo effettivo degli studenti, come detto più volte. In quest’ottica non conta più l’istituto X, ma la rete di istituzioni scolastiche che in piena logica cooperativa collabori per condurre ogni alunno esattamente là dove è più opportuno che giunga, sulla base delle facoltà possedute e sviluppate.

Perché, infatti, oggi per un alunno o un’alunna che tutto sommato sanno di non aver fatto la scelta giusta per le scuole superiori, considerando la fatica spesa e l’esiguità dei risultati ottenuti, è così difficile accettare di cambiare, e farlo?

In parte, per quanto sopra abbiamo diffusamente descritto. E cioè sia a causa della prevalente interpretazione che si fornisce del concetto di orientamento scolastico, sia per una forma di inerzia dettata da più ragioni. In primis, per alunni che mirano all’utile del diploma, la consapevolezza che in un modo o nell’altro, magari con debiti formativi mai effettivamente sanati nelle Discipline, tale meta aspirata arriverà comunque, esercita una forza frenante sull’opportunità di riconsiderare le proprie scelte, all’insegna di un invalso principio di economia pseudo didattica per cui si può conseguire il massimo risultato (agognato) col minimo sforzo. Poi, a causa del residuo di rigidità di una mentalità corporativa, espressione di retaggi storici nazionali più o meno recenti. In un assetto ultra postmoderno in cui si promuove l’idea di una società e mentalità liquide e flessibili, in cui la debolezza del pensiero indirizza a scelte che difficilmente si dovrebbero considerare ultime, definitive e irrevocabili, ecco che la scuola, il modo di intendere il proprio situarsi in essa da parte di molti alunni (ma anche, come visto, il modo in cui essa stessa sembra vorrebbe ci si stesse) si pone come l’eccezione. Rispetto alle flessibilità (lavorativa e studentesca) estreme della mentalità anglo-americana, da noi prevale il connubio tra aspirazione a mobilità sociale ascendente[33] e/o riproduzione dei profili professionali già praticati in famiglia. Per tale forma mentis,nella vita (e la scuola non fa eccezione) un cambio di rotta è difficilmente digerito e metabolizzato, vissuto com’è – semmai – nei termini di un “fallimento”.

Ma soprattutto, ed è questo il punto che qui interessa approfondire (perché su questo si può intervenire direttamente, mentre gli altri due evocano dimensioni psicosociologiche di più ampio respiro), tali resistenze o ritrosie in ordine alla possibilità di cambiare si verificano perché anche quando gli studenti maturano l’intuizione di volerlo fare, in tale critico momento sono lasciati del tutto soli, sia nella fase di auto analisi (di ciò che non va nel percorso fatto e di quale nuova direzione scolastica intraprendere), sia in fase operativa del cambio. Questi ragazzi non vengono seguiti, né preparati dal sistema scolastico ad affrontare gli esami di idoneità, confinati ad un’improvvisata auto preparazione o costretti a ripiegare sul mercato delle lezioni private che non per tutti sono economicamente sostenibili. Questo isolamento scoraggia e disorienta, inducendo pertanto gli studenti a rinunciare, vivacchiando nella precarietà e cercando di limitare i danni. È qui che si deve agire; qui si dovrebbe intervenire con misure specifiche che curino questa fase difficile di presa di coscienza prima e di transito poi; ed è invece proprio qui che le indicazioni, nell’ambito dell’orientamento, scarseggiano.

È dunque il momento di inserire la proposta di un modello ex novo di riorientamento che si auspica possa costituire (questo o qualsiasi altro che esprima concretamente in chiave attuativa il medesimo spirito) uno spunto di riflessione per una futura nota integrativa delle attuali linee di orientamento. Va premesso che in proposito esiste già un novero non indifferente di scuole che comprendono aree di intervento in chiave riorientativa che si discostano dal modello “occlusivo” invalso finora e presentano tratti di innovatività che tengono conto delle reali, effettive situazioni che si danno nella prassi e nella vita di ogni comunità scolastica. In tal senso, l’autonomia ha giocato un ruolo positivo, spingendo in una direzione “oltre sistema” rispetto alla quale si spera il sistema stesso recepisca le istanze di fondo.

Il processo di riorientamento non può che essere articolato, pur nella semplicità di fondo da salvaguardare, in modo graduale.

Le fasi operative in cui delinearlo potrebbero essere le seguenti:

PROTOCOLLO OPERATIVO DI RIORIENTAMENTO

Costituzione istituzionale di una rete d’ambito o polo che includa – nel distretto (o in quelli limitrofi) – istituti superiori rappresentativi dei principali indirizzi ordinamentali tra Licei, Tecnici e Professionali. Ogni Istituto della Rete individua un proprio Referente per il Riorientamento (anche, eventualmente, come figura inserita nel gruppo di supporto a eventuali Funzioni Strumentali o Responsabili dell’Orientamento). La Rete – con fondi misti – conferisce annualmente incarico di consulenza operativa (rinnovabile) ad una equipe formata da psicologi (esperti in psicologia dell’apprendimento) e pedagogisti. Il numero di unità dei responsabili del servizio di supporto e assistenza psicologica sarà proporzionale all’entità della Rete.
Il CdC (Consiglio di classe) di appartenenza prende in esame i risultati della prima parte del primo periodo didattico. Si isolano i casi di diffuse e/o strutturali (gravi) insufficienze, con particolare ma non esclusivo riguardo alle Discipline di indirizzo ordinamentale e curricolare. Si prendono in carico anche eventuali istanze di concessione del Nulla Osta per trasferimenti presentate dagli studenti.
PRIMI COLLOQUI ESPLORATIVI 1. Dopo un primo colloquio esplorativo con le famiglie e gli studenti, il Coordinatore del Consiglio di Classe,  esaminato il fascicolo didattico personale (rendimento degli anni scolastici pregressi, eventuali annotazioni di carattere medico o sociale, consigli orientativi), acquisisce le brevi relazioni tecniche predisposte dai docenti delle Discipline in cui si manifestano le criticità e contenenti l’esplicitazione delle competenze, capacità, conoscenze e abilità – anche trasversali – in cui emergono fragilità e carenze. 2. Primo colloquio esplorativo della famiglia e degli studenti con l’equipe psicopedagogica. L’indagine è mirata ad accertare dal punto di vista dell’autovalutazione didattica da parte degli alunni anche come essi vivono il clima relazionale di classe (rapporti con docenti e compagni) e l’ambiente scolastico, sia “fisico” che nei termini della dimensione emotiva e affettiva, il permanere o meno di coinvolgimento e interesse per le Discipline di indirizzo ordinamentale o curricolare, il rapporto bilanciato o meno (e a sfavore o favore di quale dei due fattori) tra ore dedicate allo studio e spazio riservato agli impegni extrascolastici. 3. BILANCIO dei primi colloqui: confronto incrociato, in seduta collegiale o tramite breafing delle figure di riferimento (Coordinatore CdC, Referente al Riorientamento, membro dell’equipe psico-pedagogica) dei dati acquisiti dai rispettivi gruppi (per l’ambito didattico dal coordinatore CdC e per l’ambito psicopedagogico da psicologo e pedagogista) e valutazione di primo livello. Quest’ultima consta di tre finalità: a) è volta ad escludere eventuali problematiche di carattere sociale, economico o psicologico che possono condizionare negativamente lo studio in modo del tutto indipendente dall’indirizzo scelto. In caso di riscontro di tali fattori ostativi si opererà il coinvolgimento dei servizi del territorio (in proporzione alla gravità della situazione: assistenza sociale, ASP e figura psicologica di supporto, ecc.). B) È funzionale a selezionare i casi di difficoltà didattiche transitorie e temporanee risolvibili con l’attivazione di processi di motivazione o di acquisizione di un corretto metodo di studio (inteso come instradamento verso un’ordinata organizzazione degli impegni scolastici e dello studio delle varie Discipline, nonché come dimestichezza con abilità operative quali a titolo meramente esemplificativo lettura, sottolineatura, ripetizione, confronto con tutor o gruppo di studio, elaborazione di mappe concettuali, redazione autonoma di glossari tecnici che fungano da guida nell’apprendimento e rielaborazione dei concetti chiave ecc.). Frequenza di corsi di recupero interni (mentoring, corsi di potenziamento, sportelli didattici). In tali corsi sarà essenziale il raccordo tra docente esperto e docente curricolare sugli obiettivi da conseguire, attraverso la predisposizione concordata di test di ingresso e conclusivi, al fine di ottimizzare l’efficacia dell’intervento e ridurre le possibili variazioni tra stili e orientamenti docimologici differenti. Eventuale cambio di classe o di opzione o di curvatura entro l’Istituto. In caso di cambio di opzione (es. da Scienze Applicate a Tradizionale o viceversa, per il Liceo scientifico) tutte le procedure previste per il cambio di indirizzo tra Istituti/indirizzi diversi si applicheranno al circuito interno all’Istituto stesso. C) Ha come scopo evidenziare l’eventuale sussistenza di obiettive resistenze da parte degli alunni che hanno espresso il desiderio di cambiare indirizzo scolastico.
COLLOQUIO TECNICO Nel caso C (e nel caso in cui le procedure B alla fine del primo periodo didattico non dessero risultati apprezzabili, con relative notifiche al Referente del Riorientamento da parte del Coordinatore del CdC a margine degli scrutini), avvio del secondo colloquio di carattere tecnico col gruppo psicopedagogico. L’alunno viene preso in carico dal Referente del Riorientamento di Istituto e dall’equipe psicopedagogica. Il CdC di appartenenza predispone e indirizza al Referente e al Gruppo breve relazione con l’indicazione dell’indirizzo di studio alternativo consigliabile e delle relative, specifiche motivazioni (ossia i dati frutto di osservazione, quelli emersi dalle verifiche[34] e dalle eventuali attività curricolari ed extracurricolari frequentate dall’alunno di cui il coordinatore del CdC si premurerà di prendere nota, anche con eventuali note integrative inserite dai responsabili di tali attività). Il Gruppo psicopedagogico somministra test psico-attitudinale all’alunno per guidarlo nella scelta del nuovo indirizzo o – in caso di preferenza espressa a monte dall’alunno – per evitare possibili rischi di ripetizione dell’errore di auto orientamento. Contestualmente, il Referente dell’Orientamento fornisce materiale informativo su tutti gli indirizzi scolastici disponibili nella rete di ambito. Convocazione delle famiglie e degli studenti con la proposta di riorientamento più plausibile ad esito delle analisi condotte.
STAGE e PRIMO COLLOQUIO INFORMATIVO NELL’ISTITUTO OSPITANTE In caso di condivisione della proposta (o del persistere della scelta dell’alunno in altra direzione), breve stage c/o l’Istituto e corso di studi individuato. Il Referente al riorientamento dell’Istituto di destinazione predisporrà il processo di accoglienza: notificherà al CdC ospitante l’assegnazione dell’alunno e socializzerà all’organo collegiale la documentazione (esiti del test psicoattitudinale, relazione di orientamento del CdC di provenienza) giratagli dal Referente di riorientamento dell’Istituto di provenienza. Il Coordinatore del CdC ospitante preparerà gli alunni all’accoglienza dell’alunno uditore assegnando anche un singolo o un gruppo di compagni in funzione di tutor. In un colloquio preliminare con studenti e famiglie, il Riorientatore dell’istituto accogliente illustrerà il piano dell’offerta formativa, le principali, essenziali norme di funzionamento dell’istituto e – soprattutto – con quali Discipline e programmi l’alunno dovrà integrare il corso di studi originario. L’alunno sarà avviato – in prova – a corsi extracurricolari intensivi di apprendimento delle Materie che saranno oggetto di esame di idoneità. Questi percorsi potranno essere specifiche declinazioni di spazi entro corsi ordinariamente previsti per il recupero e il potenziamento di quelle Discipline nell’Istituto (riservati agli alunni già iscritti nella scuola), oppure – e meglio – corsi predisposti e organizzati ad hoc. In ogni caso, in presenza di uno o più alunni in stage ogni Istituto della rete ha il preciso obbligo di articolare i corsi delle Discipline tecniche e di indirizzo di cui tali alunni hanno bisogno.
INSERIMENTO A margine dello stage (durata massima 1 mese; la data utile per ritiri o trasferimenti dovrebbe essere posposta al 31 marzo), in caso di conferma da parte dell’alunno e della famiglia della scelta effettuata: 1) il Referente del riorientamento dell’Istituto di provenienza assisterà e istruirà la famiglia sul disbrigo delle pratiche burocratiche, previo appuntamento con personale della Segreteria alunni, con compilazione della modulistica. Le suddette pratiche saranno inviate telematicamente dalla Segreteria alunni dell’Istituto di provenienza a quella dell’Istituto di accoglienza; 2) l’alunno continuerà a frequentare stabilmente le lezioni nella classe ospitante, questa volta come iscritto e non più come uditore. Per le Materie comuni con l’indirizzo di provenienza (es. Italiano, Matematica) si effettueranno le normali procedure di raccordo da parte dei nuovi docenti curricolari (almeno per gli obiettivi di base o minimi declinati nelle varie programmazioni dipartimentali). Se ritenuto opportuno/necessario (soprattutto nei casi di programmi istituzionalmente sfalsati), l’alunno potrà comunque usufruire delle normali misure di supporto/recupero extracurricolare attivate dall’Istituto. Per le Materie tecniche e di indirizzo nuove, l’alunno continuerà afrequentare fino alla fine dell’a.s. (nei casi di risposta positiva, soltanto fino a giugno e comunque entro la data degli scrutini e dell’esame di idoneità) appositi corsi di inserimento e alfabetizzazione intensivi funzionali a sostenere l’esame di idoneità che, si ribadisce, ogni istituto della rete ha il preciso obbligo di organizzare. Anche il contributo del docente curricolare sarà curvato a tale preparazione. A giugno, entro gli scrutini, e – in eventuale sessione integrativa, entro il 31 agosto e non prima del 16 dello stesso mese, in caso di fragilità emerse nelle verifiche di giugno – l’alunno sosterrà l’esame alla presenza dei soli docenti delle Materie oggetto dei corsi di idoneità, ossia l’esperto che li ha tenuti e il docente curricolare. Gli esiti di tali esami saranno comunicati al CdC in sede di scrutini per l’ammissione/non ammissione dello studente all’a.s. successivo. Chiude il circuito, un colloquio conclusivo del Coordinatore del CdC e del Riorientatore dell’istituto con la famiglia e con l’alunno per una profilatura generale dei punti di forza e di quelli da potenziare emersi ad esito del percorso effettuato.
MONITORAGGIO Istituzione di una banca dati di rete in cui registrare i flussi di riorientamento (numero di alunni e versi dei transiti, ossia da quale indirizzo/istituto a quale indirizzo/istituto) e gli esiti degli stessi (se l’inserimento si è risolto positivamente o meno, col superamento dell’esame conclusivo o la non ammissione). N.B. (Risorse): della Rete/Polo d’ambito deve fare parte una biblioteca con saggi campione dei libri di testo in adozione nei vari Istituti. Essi saranno concessi in comodato d’uso gratuito agli alunni ospitati o neo iscritti, al fine di evitare alle famiglie gravosi costi che possano incidere sulla fattibilità della scelta di riorientamento.

4. Conclusione e tre corollari

In questo percorso, com’è facile constatare, gli alunni sono seguiti, accompagnati, sostenuti, guidati, in una sola parola: orientati, in tutte le delicate fasi della maturazione di una scelta di per sé non facile e abbastanza travagliata.

Questa logica, dicevamo, si va timidamente e faticosamente affermando nella prassi scolastica, affidata per adesso esclusivamente al buon senso e alla buona volontà di istituzioni scolastiche, di docenti avveduti e di dirigenti scolastici illuminati e “coraggiosi”, anche sulla scorta di esperimenti ed esperienze campione o pilota purtroppo rari, quando non isolati, che hanno però visto coinvolte in piena ed efficace sinergia diverse componenti del territorio (Università, Comune, Terzo Settore ecc.)[35] e dunque con spirito e modalità anche difformi da quelle qui proposte. Più rare invero le risorse e le energie investite in tale direzione dall’Amministrazione centrale; si ricorda un PON (“Orientamento formativo e riorientamento”) di ormai 10 anni fa funzionale anche alla formazione di personale docente esperto in materia di riorientamento, oltre che ovviamente finalizzato a implementare pratiche di orientamento e riorientamento degli studenti nelle varie istituzioni scolastiche in virtù di moduli progettuali ad hoc ma chiaramente specifici di ogni realtà scolastica periferica e privi di un’impostazione organica generale e di indicazioni di criteri operativi generali. Ancora oggi il riorientamento è per la maggior parte dei casi demandato ad associazioni private o, nel migliore dei casi, no-profit che operano sul territorio, quando invece dovrebbe essere, com’è naturale che sia (e come avviene per tutte le più importanti attività formative e didattiche di recupero e contrasto ai divari ed alla dispersione scolastica implicita ed esplicita), un processo interamente gestito da reti scolastiche territoriali. In tal senso si dovrebbe incrementare l’attenzione da dedicare a questo aspetto nei corsi formativi per le figure di orientatore e tutor introdotte con le ultime linee guida, che pure contemplano la possibilità di prendere in carico soggetti e processi inquadrabili nell’ambito del riorientamento.

Non sfugga però che l’auspicio dell’adozione di un nuovo modello di riorientamento, con cui mettere a sistema, a regime organico, alcune delle pratiche già spontaneamente avviate da diverse scuole, comporta corollari, non considerati i quali ci si troverebbe di fronte all’ennesimo intervento normativo isolato, sporadico e del tutto decontestualizzato da aspetti ad esso complementari.

Il primo di tali corollari è la riqualificazione effettiva degli indirizzi tecnico e professionale, propedeutica alla possibilità di agevolare i travasi in essi dai licei e di gestire in modo altrettanto oculato anche quelli di senso inverso.

Al momento non disponiamo di dati che quantifichino questi flussi[36]. Ad ogni buon conto, anche in questo caso dobbiamo ragionare in termini di scuola “materiale”, vale a dire di ciò che effettivamente si sperimenta nelle ordinarie, quotidiane prassi di interazione e interlocuzione con studenti, studentesse e relative famiglie. Pensare che la perdurante flessione di iscritti negli istituti tecnici e professionali secondari superiori, rispetto ai dati di un paio di decenni fa, e la ritrosia degli iscritti nei licei a transitare in tali ordini e indirizzi, siano riconducibili unicamente al persistere nell’immaginario collettivo dell’utenza di arcaici pregiudizi greci, ellenistici e gentiliani incentrati sulla vantata superiorità della cultura teoretica e umanistica su quella tecnica e professionale e – di conseguenza ‒ sull’ aspirazione a processi di mobilità (e “onorabilità”) sociale ascendente, equivale ad una visione parziale di aspetti essenziali del problema. Chiunque abbia avuto occasione di confrontarsi con famiglie e ragazzi che frequentano un liceo sull’opportunità di cambiare indirizzo scolastico dirigendosi verso un tecnico o un professionale, sa che nella diffusa fenomenologia delle obiezioni opposte alla proposta formulata ricorre il mantra che in quegli istituti non si troverebbe l’atmosfera giusta per la sensibilità caratterizzante l’alunno. Anche in questo caso, però, la materialità delle esperienze scolastiche e del modo di intenderle ha avviato un percorso in controtendenza volto a porre rimedio a questo scarto, o almeno a ciò che è percepito come tale. Intraprendenti Collegi dei docenti, sostenuti e indirizzati da dirigenti altrettanto attivi, si sono adoperati per invertire la rotta e lavorare perché venisse superato lo stereotipo di scuole tecniche e professionali con un target studentesco medio non sempre predisposto a favorire il clima più adatto a dedicarsi serenamente allo studio. Si è così promosso il progressivo passaggio da situazioni ambientali difficili in cui la vivibilità del contesto scolastico non era certamente delle migliori, con docenti spesso dotati di risorse spuntate ed inefficaci per poter intervenire, lasciati soli ed esposti ad un quotidiano rito di occasioni lavorative in cui si consumava un misto di umiliazioni e frustrazioni, a realtà di vita didattica e professionale in cui si è dato spazio alla doverosa centralità dell’ascolto e dell’accoglienza nei confronti di ragazzi cosiddetti “difficili”, ossia privi di quella sostanza educativa e civica adatta alla vita comunitaria scolastica (che quindi proprio la scuola ha la missione di trasmettere loro), coniugata però con la fermezza e il rigore necessari nel gestire situazioni ostinatamente problematiche, refrattarie ad ogni sano tentativo di stabilire rapporti funzionali a processi di apprendimento effettivi. Relazioni di fiducia, ma anche di rispetto, senza il timore, laddove strettamente necessario, di accettare (e irrogare) la sanzione disciplinare come valido ausilio in tal senso. L’auspicio è che il sistema consolidi questa linea di tendenza e va detto che recenti interventi sull’assetto valutativo della condotta sembrano andare proprio in questa direzione, anche sulla scorta di inqualificabili atti di aggressione, derisione, violenza di cui i docenti sono oggetto in misura vieppiù crescente negli ultimi tempi.

Un secondo corollario riguarda la revisione del CCNL. Non sarà sfuggito che nell’ipotesi di protocollo operativo sopra delineata una parte attiva e importante è quella riservata a figure quali il Referente del riorientamento e il coordinatore del CdC. Il che, naturalmente, comporta un aggravio di oneri professionali in termini di compiti da assolvere e tempi da dedicarvi. Ciò conferma che sarebbe maturo il tempo di rivedere profondamente il CCNL di settore, quanto meno a proposito della contrattualizzazione degli incarichi aggiuntivi (se non – come invece si dovrebbe – della riarticolazione della carriera docente con profili differenziati) che, invero, stanno progressivamente diventando primari, rendendo sempre più residuale l’insegnamento puro. Atipico e curioso, invero, il CCNL del personale scolastico docente. E in tutti i suoi “rivoli”[37]. Nel CCNL viene indicata genericamente anche la funzione di “coordinamento” nel profilo professionale del docente, ma a tale enunciazione di principio non si è associata una dettagliata contrattualizzazione della stessa. E perché? Sostanzialmente perché essa potrebbe avere un senso solo all’interno di un integrale processo di ristrutturazione della carriera docente. E sappiamo che tutte le proposte e i tentativi legislativi di introdurla sono stati bloccati e osteggiati. Essendo del tutto opzionali e su base volontaria, le ragioni per cui alcuni docenti si impegnano in ulteriori attività professionali non strettamente legate all’insegnamento possono essere molteplici: incremento, ancorché minimo, degli emolumenti stipendiali di base, acquisizione di titoli spendibili nei concorsi per dirigente scolastico e dirigente tecnico, affetto e stima nei confronti di dirigenti che richiedono tale collaborazione, spirito di servizio nei confronti dei colleghi o verso l’istituzione che altrimenti non sarebbe messa nelle condizioni di funzionare adeguatamente, ambizioni personali coltivate nella ricerca di visibilità all’interno della comunità scolastica e territoriale. Un’ampia gamma di motivi, tra nobili e meno disinteressati, spinge pertanto ad accettare o richiedere incarichi che vengono retribuiti forfettariamente principalmente con i fondi economici di cui è dotata l’istituzione scolastica per effetto del finanziamento erogato dall’Amministrazione centrale; tale retribuzione è computata sulla base di un monte ore prefissato in sede di contrattazione decentrata tra dirigenza e rappresentanti sindacali all’atto dei negoziati funzionali alla stipula del contratto integrativo di istituto. Orbene, se consideriamo che le dotazioni finanziarie di cui sopra non aumentano proporzionalmente alle incombenze di cui ogni istituzione è investita per effetto dei continui aggiornamenti legislativi[38], si può ben capire quale sia la considerevole quota di lavoro (monte ore) offerta dal lavoratore di fatto su base volontaria e non retribuita. A titolo di esempio, un coordinatore di consiglio di classe (figura rimessa all’autonomia scolastica e non contrattualizzata a livello nazionale) viene retribuito mediamente per un totale di 10/15 ore di lavoro presupposte in un intero a.s. Il coordinatore di classe è un delegato del dirigente all’interno di quell’organo collegiale, e gli vengono progressivamente affidati sempre più compiti e responsabilità. Giusto per intenderci: è sufficiente che nello stesso periodo il coordinatore di trovi a redigere una seria programmazione coordinata di CdC, si occupi della redazione di Piani di studio personalizzati (in crescita esponenziale) per alunni titolari di BES e debba simultaneamente gestire magari la delicata situazione di bullismo delineatasi in un gruppo classe, che le 10 ore sono abbondantemente evase nel corso del primo mese di scuola. Tutto quello che il coordinatore farà nei restanti 7 mesi sarà svolto a titolo gratuito. In altri termini, la scuola è riuscita a travasare nel settore dei servizi quel che Marx aveva – anche discutibilmente ‒ diagnosticato come nerbo critico del sistema di sfruttamento capitalistico della classe operaia: il pluslavoro. Queste sbavature critiche richiedono ovviamente il superamento di reciproche resistenze a rivedere i termini contrattuali che le autorizzano. Resistenze opposte da un sistema che ne approfitta e da un fronte sindacale che preferisce mantenere tale iniquo status quo pur di non rivedere l’assetto strutturale di base della carriera docente, avviandola ad una distinzione e articolazione progressiva, in termini di avanzamento della stessa. Forse si preferisce volgere maggiormente la propria attenzione alla larga fetta di popolazione professionale che non è interessata a tali rivolgimenti, dato che essa limita molto la propria adesione agli incarichi aggiuntivi di cui sopra e quindi vive con una certa insofferenza l’introduzione di percorsi innovativi nella determinazione e nella differenziazione della propria categoria lavorativa. Del resto, s’è visto quanto sia stata snaturata nei fatti l’introduzione del posto di potenziamento per i docenti (che avrebbero dovuto favorire l’espletamento delle funzioni di referenza e coordinamento, nonché l’attivazione di interventi di supporto didattico e recupero), non di rado assegnati a istituti in cui non è previsto l’insegnamento della loro Materia e ridotti a far da tappabuchi nelle sostituzioni di colleghi assenti in giornata, considerato che a causa delle famose strozzature di sistema di cui sopra qualche anno fa sono state inopinatamente eliminate le ore di disponibilità/disposizione dal monte ore settimanale non prevedendo al contempo misure che consentissero agli istituti di garantire l’essenziale e prioritario compito di vigilanza degli alunni, col rischio di lasciarli così incustoditi in barba a quanto previsto dal Codice Civile e dal contratto di lavoro. Ebbene, in attesa che si metta seriamente mano a tale revisione contrattuale, e per evitare di rinviare sine die l’ipotetica riformulazione del riorientamento (considerando che non sembrano maturi i tempi di ricontrattazione), ad oggi si potrebbe investire una quota parte dei cospicui finanziamenti PNRR destinati al contrasto dei divari e della dispersione scolastica, stornandoli dalla sola organizzazione di corsi di recupero e canalizzandoli verso il finanziamento della rete di ambito auspicata. In fin dei conti, l’esperienza drammatica della pandemia qualche esempio lo ha fornito: con stanziamenti specifici si sono promosse all’interno degli istituti scolastici contrattualizzazioni di rapporti professionali con figure specialistiche che potessero supportare i membri della comunità scolastica nella gestione di quei difficili momenti.

In ultimo, il corollario concernente gli interventi a livello ministeriale. Sarebbe opportuno rivedere il format del RAV, sostituendo (o integrando) la voce in sé neutra dei trasferimenti in entrata e uscita dall’Istituto, con un indicatore specificamente dedicato al riorientamento e alla sua efficacia (attingendo dai dati riportanti gli esiti degli esami di idoneità degli alunni che si sono trasferiti c/o altra istituzione scolastica o sono stati accolti nella propria). Inoltre si dovrebbe esplicitare la qualificazione dei trasferimenti, non soffermandosi sulla mera quantificazione, ossia si dovrebbe discriminare tra quelli dettati da ragioni extra scolastiche e quelli invece riconducibili a fattori didattici e ambientali. Come già detto, infine, sarebbe auspicabile procedere all’elaborazione statistica di ulteriori informazioni o – se già attuata – ad una loro maggiore socializzazione e pubblicazione al fine di disporre di dati concernenti sia il rendimento degli studenti emerso agli scrutini (e non soltanto nelle prove standardizzate) nelle Discipline di indirizzo per i vari corsi scolastici, sia i flussi direzionali nei vari cambi di indirizzo a livello nazionale (es. quanti alunni dai licei si trasferiscono c/o altri licei, ma di diverso indirizzo, sezione o opzione, oppure verso istituti tecnici e professionali – e viceversa ‒ e con quali esiti).

Il mondo della scuola è forse quello in cui le scienze sociali e umane trovano uno dei terreni più ardui in cui dovere sperimentare e misurare il proprio statuto epistemologico. Ricette e modelli stabili, formule asettiche e di sicura efficacia, tipiche di molti versanti delle cosiddette scienze esatte, in quest’ambito rappresentano una rarità. E la proposta sopra illustrata, ovviamente, non fa eccezione. Essa nasce, oltre che dall’analisi di alcuni elementi offerti dalla letteratura e dalle fonti dell’Amministrazione, anche dall’immancabile riferimento all’esperienza professionale maturata in decenni di insegnamento (naturalmente non esclusivamente dello scrivente). L’idea è che il sentiero un po’ labirintico, accidentato e pericoloso dell’orientamento non si trasformi in una sorta di Holzwege di Heidegger, segnavie che non portano da nessuna parte, “meta non meta” cui però spesso si finisce per giungere, ancorché animati da tutte le buone intenzioni che, come si sa, spesso lastricano il viaggio verso l’inferno. Sbagliare strada è umano; quel che non si vorrebbe – e dovrebbe – è instradare sistematicamente verso lo sbaglio. Abbiamo aperto la “discussione” introducendola con un’esortazione nietzscheiana. Sarebbe già tanto se la potessimo considerare un punto d’approdo, un risultato, rispetto ad una situazione di partenza che vede molti ragazzi, che ci vengono affidati in una fase così critica della loro crescita, trovarsi spesso sull’orlo di un piccolo abisso formativo in cui ribolle qualcosa di indefinito e confuso che li porta, e ci porta, ad essere tentati di dare vita, come girovaghi della nostra stessa esistenza, a sinistre escursioni, come quelle vissute da Emil Cioran:

Ho un coraggio negativo, un coraggio rivolto contro me stesso. Ho orientato la mia vita fuori del senso che essa mi prescriveva. Ho invalidato il mio futuro.

Quaderni, 1957-1972 (postumo 1997).


[1] Si veda La Costituzione in senso materiale, nell’edizione con ristampa inalterata del 1998 (premessa di Gustavo Zagrebelsky), Giuffrè, Milano.

[2] Per la normativa più datata si può ancora consultare il link ad uno dei vecchi siti del Ministero: https://www.istruzione.it/archivio/web/istruzione/dg-studente/orientamento/normativa_orientamento.html.

[3] D’ora in poi abbreviata anche in A-S/L (come PCTO starà per Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento).

[4] La norma prevede l’obbligo di certificare le competenze alla fine della Primaria, nonché del primo ciclo, proprio per realizzare una prima concreta azione nella direzione dell’orientamento.

[5] Estesa obbligatoriamente a tutti gli indirizzi superiori, licei compresi, dalla Legge 107/2015 è stata poi oggetto di decretazione mirata ad associarvi le relative linee guida d’attuazione. La prima guida operativa infatti è stata poi rivista e integrata dal DM 774/2019 connesso alla Legge 145/2018 che ha, tra le altre cose, ridenominato la metodologia didattica in questione come PCTO, Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento, collegandola in maniera più esplicita sia alla funzione di orientamento, sia alle soft skills oggetto di molteplici e anch’esse aggiornate raccomandazioni europee.

[6] Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio, 18 dicembre 2006 (2006/962/CE). L’aggiornamento nel 2018 (Raccomandazione del Consiglio del 22 maggio 2018 – 2018/C/189/01) sottolinea che un’area di intervento critica e problematica su cui lavorare in campo educativo, scolastico e formativo è proprio quella della valutazione e della certificazione, vale a dire delle modalità di descrizione delle competenze all’interno di definiti quadri di riferimento dei risultati di apprendimento nel contesto di una valutazione che sia diagnostica, formativa e sommativa. La sfida sta anche nella messa a punto di una sperimentazione efficace di forme di convalida dell’apprendimento informale e non formale che coinvolgano datori di lavoro o specialisti dell’orientamento. Ebbene, tra le competenze chiave personali, sociali, metacognitive (“imparare ad imparare”), nonché di contrasto ai fattori ostativi dell’inclusività, vi sono quelle che si risolvono nella capacità di mettere a punto strategie di orientamento costruendo così un corretto rapporto, una proficua relazione tra istruzione e formazione.

[7] Per essere precisi, l’area generale è articolata al suo interno in due sotto aree: Continuità, ossia azioni intraprese dalla scuola per assicurare la continuità educativa nel passaggio da un ordine di scuola all’altro, e Orientamento, cioè azioni intraprese dalla scuola per orientare gli studenti alla conoscenza di sé e alla scelta degli indirizzi di studio successivi.

[8] Per il vaglio dei medesimi è utile riportare se le attività sono interne o esterne, il periodo in cui sono programmate (es. giorni festivi), i luoghi (estero), la tipologia dei soggetti coinvolti (enti pubblici, terzo settore, imprese, camere di commercio e del lavoro, associazioni di categorie, oppure ricorso alla forma dell’impresa formativa simulata).

[9] Prospettiva già anticipata dalla Legge 53/2003, in cui – a proposito del primo ciclo –si afferma chela scuola secondaria di primo grado si articola in un biennio e in un terzo anno che assicura l’orientamento ed il raccordo con il secondo ciclo.

[10] In tale ottica si colloca ad es. il cosiddetto Piano delle Arti (DPCM 12 maggio 2021) concepito sull’idea di sfruttare il potenziale orientativo del linguaggio artistico, con cui poter procedere alla scoperta e valorizzazione di talenti, alla tesaurizzazione e al conferimento di senso alle proprie esperienze di vita, alla creazione di occasioni di interazione col territorio, incrementando le politiche di prevenzione e contrasto alla dispersione scolastica.

[11] Decreto Interministeriale 92/2018 e successive Linee Guida di implementazione.

[12] Tale Progetto Formativo Individuale sostituisce qualsiasi documento finalizzato alla definizione di modalità didattiche personalizzate per gli alunni con bisogni educativi speciali (BES), alla documentazione delle attività di accoglienza per gli alunni stranieri, alla gestione di “passerelle” o passaggi fra ordini di scuola o sistemi diversi. In particolare, per gli alunni a forte rischio di esclusione sociale, devianza e abbandono scolastico, il P.F.I. deve individuare gli obiettivi primari in termini di contenimento e partecipazione, che saranno perseguiti prioritariamente rispetto al conseguimento dei livelli di competenza previsti dal PECUP di riferimento. Per tali alunni rivestiranno particolare importanza, nell’ambito del P.F.I., le attività di orientamento e riorientamento, anche col ricorso all’alternanza scuola lavoro e all’apprendistato.

[13] Viene prevista la figura di un Tutor che predispone il PFI (flessibile e riadattabile) da sottoporre a delibera da parte del Consiglio di Classe. Tale Tutor è indicato come un soggetto istituzionalmente preposto all’orientamento e riorientamento dell’alunno (ad es. i docenti orientatori e Tutor possono guidare gli studenti dell’istruzione tecnica e dell’istruzione professionale ad attivare e tenere aggiornato il loro profilo sul portale Europass21, “strumento personale e gratuito per studiare e lavorare in Europa”; la piattaforma è stata recentemente dotata di nuovi strumenti e servizi web per l’orientamento, l’istruzione, la formazione e il lavoro). Tale riorientamento si rende necessario laddove l’alunno denunci criticità significative nella frequenza (superando il tetto del 25% di assenza del monte ore annuale, senza poter usufruire di deroghe a normativa vigente) o nel rendimento (deficit nelle conoscenze e competenze di base e indirizzo) non compensate con le attività di recupero programmate. La figura del tutorato viene ulteriormente attenzionata nel DM 766/2019.

[14] Un’apposita Commissione si occuperà della gestione di tali passaggi; essa è nominata dall’istituzione di destinazione ai sensi dell’art. 7 dell’Accordo del 10 maggio 2018 e contribuisce a garantire la funzione di tutoraggio relativa a orientamento e supporto personalizzato.

[15] Per tale motivo viene inserita una tabella indicativa delle correlazioni tra l’offerta di istruzione e formazione tecnica professionale e le aree economiche professionali, le filiere produttive, le aree tecnologiche, gli ambiti degli ITS ed i cluster tecnologici, ai fini dell’orientamento dei giovani.

[16] Peraltro nelle linee guida del 2022 sulla redazione dei PEI si riserva una sezione specifica ai PCTO.

[17] Nel TU (artt.6, 9) a proposito delle istituzioni scolastiche statali o convenzionate col Ministero che svolgono compiti educativi speciali per alunni minori diversabili o comunque in stato di difficoltà, si prescrive che nei loro Consigli possono essere inclusi professionisti per l’orientamento che operano in regime di continuità.

[18] Ove si scrive chiaramente che ricalibrare annualmente la certificazione delle competenze è funzionale anche all’attivazione del riorientamento. Si dà così agio di modificare le scelte inizialmente operate dall’alunno in merito all’indirizzo della scuola secondaria di secondo grado ai fini di un successo scolastico più ragionevolmente fondato sulle competenze acclarate. Per ciò che concerne le linee guida esitate nel 2014, esse rappresentano da un lato lo sviluppo di quanto già decretato nel 2009 con analogo intervento legislativo e dall’altro – in qualche misura –la prefigurazione di quanto poi esplicitato nelle attuali (vedi le annotazioni sulla formazione dei docenti e sulla conseguente definizione di una figura professionale specifica, nonché quelle sulla didattica orientativa o sull’e-portfolio). Di particolare interesse, per l’oggetto del presente contributo, la tesi per cui le attività di accompagnamento e consulenza orientativa di sostegno alla progettualità individuale condotte dai docenti dovrebbero, testualmente, “essere sempre più staccate dallo specifico scolastico” (p.6), tanto da poter essere affidate a personale esperto esterno alla scuola ma con competenze fungibili per un’efficace canalizzazione degli studenti dal mondo dell’istruzione a quello del lavoro e delle professioni. Da qui la sollecitazione al transito tra sistemi complementari ma diversi, all’inclusione sociale e l’auspicio di reti interistituzionali operanti in quest’ottica. Di passaggio da scuola a scuola (ordine/indirizzo), poco o nulla (quanto meno di esplicito).

[19] Emerge qui un esempio delle non poche “anomalie” di sistema ascrivibili all’autonomia scolastica. Non basta auspicare la costituzione di reti di scopo o di ambito per trasmettere l’idea di una proficua collaborazione e interazione tra scuole di uno stesso territorio, se poi altre istanze (come la spinta verso l’incremento degli iscritti e i numeri di alunni sempre più elevati che sono necessari per la costituzione di una classe) predispongono – all’opposto e simultaneamente – ad una sorta di concorrenza tra gli istituti che i medesimi, invero, a volte interpretano con molto zelo.  

[20] Evito qui di riferirmi ad azioni di altra natura sulle pratiche valutative, ma è facilmente intuibile che se l’indicatore di efficienza/efficacia di un Istituto riposa anche sul ridotto numero di “debiti” (giudizi sospesi, insufficienze) e non ammissioni, non è poi così illogico supporre che ciò finisca per indurre a generare valutazioni più nominali che reali. Se confrontiamo determinati dati, il dubbio è legittimo. Perché aree in cui gli alunni nelle prove standardizzate nazionali ottengono risultati critici, poi alle prove degli esami di Stato (la cui correzione è spesso condizionata nei fatti dalla logica di mantenere una sorta di coerenza col quadro di presentazione dell’alunno/a) conseguono esiti superiori rispetto ad altre realtà di verso opposto (con alta resa alle prove gestite dall’INVALSI)? Si tratta di una polemica che si rinnova praticamente ogni anno, per un inquadramento più esaustivo della quale si rinvia ad alcuni contributi esemplificativi pubblicati recentemente: per il 2019 https://www.tecnicadellascuola.it/prove-invalsi-e-maturita-il-racconto-opposto-della-scuola-italiana, per il 2021 https://www.ilsole24ore.com/art/in-controtendenza-i-test-invalsi-100-maturita-prevalgono-sud-AEZmE0X, per il 2024 https://www.orizzontescuola.it/100-e-lode-alla-maturita-e-discrepanza-con-le-prove-invalsi-ma-e-cosi-importante-la-correlazione-dirigente-giovanetti-parametro-importante-ma-non-lunico-da-considerare/.

[21] Tale opzione però complica il già ingravescente e caotico panorama normativo del diritto scolastico. Se consideriamo tra l’altro che le misure di cui si discute sono a loro volta state riviste e aggiornate nel breve volgere di pochi anni dalla loro già recente promulgazione (si pensi alle linee guida Alternanza Scuola/Lavoro poi PCTO, a quelle di Educazione Civica, oppure a quelle sull’assetto degli insegnamenti negli Istituti professionali), si può dedurre quanto poco tempo abbiano docenti e istituzioni scolastiche per entrare a regime con quanto appena prescritto, per poi dover in un lasso di tempo estremamente ristretto rivedere quanto già progettato e attivato, correndo così il rischio di scadere nell’approssimazione, se non a volte nel dilettantismo. Inoltre, la frastagliata varietà di indicazioni normative che compongono il diritto scolastico, tra fonti primarie e secondarie, e dunque decreti legislativi e decreti ministeriali, quelli del Presidente della Repubblica e leggi ordinarie (tralasciando le note, circolari e ordinanze ministeriali interpretative), nonché – e non certo per ultimo – l’abitudine invalsa di inserire misure concernenti l’attività delle scuole anche in leggi “estranee” al settore (v. le leggi di bilancio) generano inevitabilmente significative difficoltà ermeneutiche. Gli esempi dello stato di sofferenza in cui versa la legislazione scolastica, a qualsiasi livello, abbondano: disposizioni normative diverse, vigenti, delineano prescrizioni che si rivelano contraddittorie. Si pensi a quanto accaduto con la Legge 107/2015 che ha esteso le prerogative della dirigenza scolastica, intervenendo sulla governance della scuola, mantenendo però quelle degli organi collegiali per come disciplinati dal TU del 1994, ritenendo di risolvere l’eventuale contrasto o sovrapposizione con un riferimento al principio di massima per il quale il dirigente deve rispettare quanto di competenza dei suddetti organi. Ebbene, nell’arco dei due anni successivi all’approvazione della legge il contenzioso è cresciuto esponenzialmente. Alla casistica si aggiungono profili di “anomalie” contenuti in alcune indicazioni normative cui sarebbero chiamati poi a porre rimedio i regolamenti di istituto, dando luogo però così ad eterogeneità talmente pronunciate tra le varie istituzioni scolastiche, su aspetti chiave dei processi deliberativi, che renderle accettabili inquadrandole come aspetti connessi all’esercizio dell’autonomia scolastica appare eccessivo. Si pensi alla questione del numero legale richiesto per la validità delle sedute di alcuni organi collegiali (Collegio dei Docenti, Consigli di Istituto), ma non di altri parimenti importanti quali i Consigli di classe, senza alcuna valida ragione addotta per tale differenziazione. Ecco che rispetto a tale “vuoto” le singole istituzioni scolastiche si comportano differentemente: alcune introducendo nel proprio regolamento la previsione del numero legale anche per i Consigli di classe, allo scopo di evitare che si trovino a deliberare su aspetti essenziali della vita scolastica due soli membri (presidente e segretario), altre invece attenendosi alla lettera del dettato normativo e non prevedendo dunque tale requisito. O, infine, si consideri quanto sia necessario per venire a capo di certi nodi operativi professionali integrare quanto prescritto da alcune norme di diretta pertinenza in ordine a temi specifici con altre a loro volta non direttamente pertinenti, le quali finiscono però per mostrare come la formulazione delle prime vada rivista. Il TU, ad es., prevede che l’anno scolastico possa essere suddiviso in due o tre periodi (art.74), con ciò deducendosi che si può anche non deliberare alcuna articolazione optando per un unicum. Ma nell’art.7 dello stesso testo si scrive che il Collegio dei docenti delibera la suddivisione dell’anno scolastico in due o tre periodi aggiungendo che tale partizione venga effettuata ai fini della valutazione, la cui normativa (v.ad es. l’OM 92/2007, ancora oggi citata in sede giurisprudenziale o nei pareri degli USR, come quello della nota 8202 del maggio 2018 in Toscana) invece parla espressamente e specificamente di quadrimestri o – comunque – di prima parte e ultimo periodo dell’anno scolastico, con ciò quindi inducendo a ritenere che la suddivisione di cui sopra sia tutt’altro che facoltativa. Si tratta solo di alcuni esempi di situazioni problematiche che sperimenta chiunque si confronti con la prassi ordinaria dell’attività professionale di docenza e dirigenza scolastiche. Parrebbe pertanto giunto il momento di dare attuazione ad una delle poche deleghe assegnate dalla legge 107/2015 ancora inevasa: la riscrittura di un Testo Unico della Scuola, posto che quello in vigore è ormai abbondantemente abrogato e rivisto in molte degli articoli e commi che lo componevano.

[22] Ad esempio le ore di lezione delle Discipline curricolari non svolte per effetto del sovrapporsi di altre iniziative didattiche o meno (per es. assemblee di classe o istituto) non devono obbligatoriamente essere recuperate; quelle di PCTO ed Educazione Civica invece sì, essendo inderogabile il tetto complessivo minimo da attuare annualmente o nel triennio.

[23] Non attenersi a linee guida e indicazioni, che sembrerebbero nella loro attestazione nominale riservarsi un potere prescrittivo depotenziato, comporta – in casi di controversie e contestazioni o ricorsi – l’obbligo preventivo di dare conto delle ragioni di tale discostamento. Detto in altri termini: se le cose non vanno per il verso giusto, non aver ottemperato alle linee guida rappresenta un fattore di criticità e “colpa” nell’operato istituzionale.

[24] Gli esiti delle prove standardizzate nazionali del 2024 sono in tal senso indicativi (fonte Rapporto INVALSI 2024, a cura dell’Istituto): in alcune regioni, quali Lombardia, Lazio, Sicilia, Sardegna, Calabria, Campania si toccano percentuali di alunni di livello 1 e 2 (ossia fragile) quasi del 20% o superiori a tale soglia (fino al 30%). La media nazionale si colloca intorno al 15%. In dettaglio, “nei licei scientifici si conferma anche per il 2024 la quota di coloro che raggiungono la soglia dell’accettabilità (85%) con un calo rispetto ai tempi pre-pandemici (-5 punti percentuali tra 2019 e 2024); tra le macro-aree geografiche, solo nel Mezzogiorno si registra un aumento: +7 punti percentuali nel Sud e +4 punti percentuali nel Sud e Isole” (p.85). L’Ufficio Statistica del MIM pubblica annualmente un rapporto o focus sugli esiti degli scrutini in cui si riportano – per annualità/classe ‒ dati su ammessi, non ammessi, giudizi sospesi per macro-indirizzi (Licei, Tecnici, Professionali) e distribuzione geografica. Sarebbe utile anche disporre di informazioni statistiche sul rendimento nelle materie di indirizzo per ciascuna tipologia di corso (es. esiti degli scrutini di Matematica, Fisica e Scienze nei Licei scientifici).

[25] La specificazione è d’obbligo, giacché in questa sede non si vuol criticare il processo di insegnamento/apprendimento per competenze in sé, ma quel particolare modello (e l’inserzione di esso nel più articolato mondo della valutazione scolastica a fini orientativi). Si può fare didattica per competenze o laboratoriale in altri, più efficaci modi nelle ore di lezione curricolare. In fin dei conti, ci sono voluti decenni di dibattiti e formazione per curvare la didattica all’implementazione di competenze specifiche delle varie Materie, sganciando l’insegnamento dal processo di trasmissione di mere conoscenze e contenuti nozionistici. All’ipotesi di inserimento di uno specifico insegnamento per l’attivazione di una competenza trasversale percepita come emergenziale (in ultimo le cosiddette competenze affettive), si può obiettare infatti che una buona selezione di contenuti, argomenti, testi, fonti iconografiche e di abilità/competenze disciplinari nelle lezioni delle varie Materie può essere di per sé già ottimale e dunque sufficiente a veicolare tale competenza efficacemente, molto ovviamente dipendendo dalle capacità dell’insegnante. Il problema è sorto quando si sono invertiti i fattori, ritenendo erroneamente che capovolgendo il peso specifico degli stessi si potesse dar luogo ad una sorta di permutazione didattica: prima si pensava che sottolineando l’importanza delle competenze tecniche e specifiche (e dei contenuti ad esse strutturalmente legate) e dedicando molto spazio e tempo al loro insegnamento e apprendimento si potessero trasmettere anche competenze più generali e trasversali, adesso invece si vuol percorrere la strada nel verso opposto; si agisce sulle seconde sperando, spesso vanamente, che si attivino anche le prime. Invece si potrebbe riservare alle attività co-curricolari o extra-curricolari, e con esperti adeguatamente formati, questa determinata tipologia di didattica appositamente dedicata alle competenze non tecniche, bensì trasversali. Perché non va nemmeno sottaciuto il fatto che molti docenti non hanno grande dimestichezza con le tecniche da impiegare per mettere a punto i compiti o prodotti di realtà, con ciò vedendo compromessa la propria funzione di orientare gli alunni nel corso dell’esperienza didattica; se può essere suggestiva l’idea di un momento di interazione formativa in cui gli alunni, con le loro passioni coltivate al di fuori dell’ambito scolastico, possono fungere da co-orientatori del docente, muovendosi quindi su un piano di mutua e reciproca orizzontalità, d’altro canto il rischio che tutto scantoni in una sorta di festival del dilettantismo è concreto. Fin tanto che la scelta degli aspetti del proprio operato professionale da aggiornare e riformare spetterà – da contratto – al docente, non si può pensare di aggirare il problema imponendo agli insegnanti gli ambiti tecnici su cui doversi formare per adeguarsi a questi nuovi modelli didattici. Non è infatti trascurabile che tali didattiche non di rado veicolano verso un’implementazione del piano formativo che richiama livelli e logiche operative di gradi scolastici per lo più pregressi, in una sorta, ci si conceda l’espressione volutamente enfatica e paradossale, di regressione didattica; cartellonistica, gadget artigianali, recite di fine anno cominciano ad imperversare in modo inflazionato nelle attività didattiche delle superiori, in misura drammaticamente proporzionale alla quantità di corsi di recupero e riallineamento che i corsi di laurea universitaria devono mettere a regime per colmare le lacune dei neo-diplomati che vi si iscrivono. La cosiddetta pedagogia ludico/artistica in fascia d’età adolescenziale avanzata non comporta meno rischi della balzana idea per cui fare buona didattica debba perciò stesso significare realizzare lezioni “seriose”. Si può forse intuirne l’intenzione “machiavellica” (nel senso nobile del termine), ossia sperare di far imparare qualcosa agli studenti coinvolgendoli e interessandoli, ma il punto è esattamente questo: cosa imparano, dal momento che l’oggetto dell’apprendimento non è corpo estraneo rispetto a come lo si è appreso?

[26] I dati negativi sono relativi soprattutto alla fase pre-pandemica e comunque agli anni immediatamente successivi o contestuali. Dopo, si è registrata un’inversione di tendenza, anche se i report vanno differenziati. L’ultima indagine IEA-TIMSS (Trends in International Mathematics and Science Studies) mostra che gli alunni delle quarte classi primarie e delle terze classi secondarie di primo grado si collocano al di sopra dei punteggi internazionali, ma al di sotto della media europea. D’altro canto i dati delle rilevazioni INVALSI 2024 evidenziano sì un calo netto della dispersione implicita (rispetto al 2019, anno di inizio indagine), però diminuisce – rispetto al 2023 – la percentuale di studenti che raggiunge i traguardi di base in Matematica e Italiano nelle primarie; nelle secondarie di primo grado sono in calo i risultati di Italiano e stabili quelli di Matematica; alle superiori, nelle classi seconde i livelli sono stabili, con lieve ribasso in Italiano, e nelle classi quinte in miglioramento. Da notare che il Presidente di INVALSI, Ricci, imputa proprio alla pratica di insegnamento errata l’incapacità di motivare i ragazzi all’apprendimento delle Discipline STEM (si veda quanto riportato in https://www.focus-scuola.it/i-risultati-invalsi-2024-e-il-sistema-distruzione-italiano/). L’ultima indagine OCSE-PISA (2022) ha evidenziato un rendimento in Matematica in linea con la media OCSE, mentre in Italiano (lettura) addirittura superiore; sotto di 8 punti invece le competenze maturate in Scienze.

[27] Il cui identikit, invero, risulta abbastanza distante dalle idee pedagogiche del filosofo castelvetranese.

[28] Sul punto si può concordare: da decenni si cerca di indurre i consigli di classe a lavorare in modo interdisciplinare e in équipe, collegialmente. Lo si è fatto già con la riforma degli esami di Sato introdotta da Berlinguer (questo, invero, il senso del colloquio e anche della terza prova), ma non è bastato. Nella prassi, si sa, docenti e Discipline marciano isolatamente, lasciando spesso all’alunno l’onere di effettuare quei collegamenti tematici e metodologici che – ovviamente ‒ non è poi in grado di fare. Le stesse prove d’esame lo dimostrano: lo spirito interdisciplinare della terza prova venne nella prassi snaturato, trasformandola in un “quizzone” di più Materie in sequenza e scollegate; al colloquio, i medesimi percorsi interdisciplinari ripetuti a migliaia di commissioni per anni (ogni sessione, ogni classe, avrà avuto un/una alunno/a che si confrontava con l’Io, il tema del doppio, il rapporto con la natura, la crisi della ragione) destando l’insofferenza dei docenti, sono incredibilmente rientrati in auge quando è toccato a questi ultimi, quasi per contrappasso e nemesi, allestire l’avvio di prova orale su spunti interdisciplinari.

[29] Proprio gli esiti delle prove standardizzate nazionali e delle indagini statistiche internazionali che abbiamo già citato evidenziano come dato costante, quando non in crescita critica, i divari sempre pronunciati tra aree territoriali a diverso indice socioeconomico con risultati positivi medi superiori al settentrione e negativi in regioni più deprivate, come quelle meridionali e insulari. Inoltre, delle istituzioni scolastiche che operano in aree cosiddette “a rischio” e di quanto il sistema fatichi a inserire/integrare generazioni di scolari di recente immigrazione la letteratura pedagogica e sociologica ha abbondantemente trattato. Assodato ciò: siamo sicuri del fatto che esista un automatismo strutturale tra status socioeconomico ed effettivo successo scolastico? Se in negativo è vero che spesso, ma per fortuna non sempre, condizioni di sofferenza in tal senso incidano significativamente sulla propria promozione formativa, è anche certo che un orizzonte analitico a più ampio spettro, che includa tutte le articolate galassie della realtà scolastica (comprese, per esempio, quelle delle istituzioni scolastiche non statali), indurrebbe a coltivare qualche dubbio in merito per quegli alunni che – all’opposto – godono di posizioni “privilegiate”, di maggiore benessere; il rendimento scolastico di questi ultimi è infatti tutt’altro che scontatamente apprezzabile.

[30] A ribadire che i dati numerici vanno letti “semanticamente”, trasferirsi ad altro istituto del medesimo indirizzo, ma di altra e distante città, per esigenze familiari (per es. trasferimenti logistici dovuti a ragioni lavorative), non può ovviamente avere nessuna ricaduta sulla capacità formativa dell’Istituto da cui ci si allontana. Considerando i tassi di mobilità che riprendono a crescere nel contesto dell’immigrazione/emigrazione interna per ragioni occupazionali, la percentuale di tali studenti potrebbe non essere trascurabile.

[31] Ammesso che, tra l’altro, l’alunno in questa logica (auto) promozionale sia tanto avveduto da essere veramente cosciente di quali punti di fragilità caratterizzino la sua preparazione. Tale consapevolezza è spesso infatti ostacolata dalla ricerca da parte dell’alunno di conferme sull’accettabilità del proprio rendimento, attuate valorizzando solo l’esito finale, generosamente sommativo, e operando una sistematica rimozione di tutte le problematicità e criticità emerse nel corso dell’intero anno scolastico. In definitiva, rispetto all’obiettivo primo di orientamento, cioè diventare sempre più consapevoli di sé, questa impostazione didattica finisce per vanificare tutto e disorientare gli studenti.

[32] Nelle indicazioni ministeriali di compilazione del RAV è stato escluso di poter individuare priorità che abbiano a che fare col raggiungimento di risultati certi in merito al conseguimento degli obiettivi formativi, proprio perché la certificabilità e la misurazione degli stessi è statisticamente non computabile, né rilevabile.

[33] Soprattutto, ma non solo, nelle fasce sociali di maggior disagio. “Non solo”, però: in Per la scuola, Sellerio editore, Palermo, 2008, raccolta di saggi diP.Calamandrei dedicati alla scuola e all’istruzione, l’insigne giurista e politico faceva notare che vera sfida della scuola non è solo quella di mettere il figlio dell’operaio nelle condizioni di studiare per intraprendere la carriera di avvocato, bensì l’altra di verso opposto, e cioè rendere i figli degli avvocati coscienti che a volte potrebbero anche decidere di fare gli operai.

[34] Es. in quali Discipline l’alunno consegue i risultati migliori, quali sono gli argomenti che lo hanno maggiormente interessato e che ha imparato meglio, ecc.

[35] Si legga in proposito quanto riportato in tale contributo di Fulvia Antonelli sull’esperienza organizzata al quartiere Pilastro di Bologna: https://rivistedigitali.erickson.it/educazione-interculturale/archivio/vol-13-n-3/perche-ho-scelto-questa-scuola-riflessioni-su-drop-out-e-orientamento-scolastico-il-progetto-europeo-il-progetto-europeo-success-at-school-sas-through-volunteering/.

[36] Dai dati socializzati a gennaio del 2024 dall’organizzazione Save the children circa il 3% degli studenti cambia indirizzo scolastico tra il primo e il secondo anno delle scuole secondarie di secondo grado. I dati sulle iscrizioni (non sui trasferimenti) generali all’a.s. 2024/2025 attestano sempre una maggioranza di alunni che scelgono il liceo (più della metà), quasi un terzo gli istituti tecnici e circa il 17% i professionali. Quelli relativi alle iscrizioni o scelte delle prime classi per gli alunni uscenti dal primo ciclo fanno registrare un live incremento di iscritti a tecnici e professionali (+ 0,6-0,7%) rispetto all’anno scolastico precedente, in un contesto di permanente divario (licei: 55,6%, Tecnici 31,6%, Professionali 12,7%). Il focus sulla dispersione scolastica pubblicato dall’ufficio di Statistica del MIM nell’ottobre 2023, concernente gli aa.ss. 2019-20/2021/2022, evidenzia come a rischio abbandono nella secondaria di secondo grado (intendendosi per tale l’interruzione di frequenza durante l’a.s. corrente o la non frequenza dell’a.s. successivo, senza valide motivazioni) sono soprattutto alunni che, tra gli altri fattori riconducibili alla cosiddetta regressione logistica, non  hanno seguito i consigli orientativi nel passaggio da primo a secondo ciclo oppure frequentano istituti tecnici o professionali.

[37] I CCNI spesso risultano ancora più “bizzarri”, trovandosi obiettivamente difficile qualificare altrimenti disposizioni contrattuali che – ad es. ‒ nella mobilità territoriale conferiscono precedenza ai movimenti di chi si sposta da un istituto ad un altro distante magari poche decine di metri (entro lo stesso Comune), rispetto a genitori che cercano disperatamente di ricongiungersi con la propria famiglia da cui li separa una sede di lavoro distante migliaia di chilometri (v. Allegato A CCNI sulla mobilità territoriale e professionale).

[38] Sempre più norme imperative primarie superano quelle pattizie o contrattuali assegnando nuovi compiti alle istituzioni scolastiche e prevedendo per ciascuno di essi delle figure professionali interne ad hoc. Quando non espressamente introdotte con la clausola “senza nuovi o aggiuntivi oneri per lo Stato”, le risorse finanziarie stanziate specificamente non appaiono sufficienti a garantire adeguata retribuzione a tutti (e sono davvero tanti) coloro che sono impegnati in tali attività, considerando tra l’altro che le operazioni da gestire e i profili di responsabilità connessi non di rado sono numerosi e complicati. Tra gli esempi ultimi: i coordinatori di consiglio di classe di Educazione Civica e i tutor PCTO, nonché i referenti di istituto dei due insegnamenti/metodi didattici.