I “vantaggi” del docente di lingue

I “VANTAGGI” DEL DOCENTE DI LINGUE

di Tiziana Venuti [1]

Le rilevazioni Invalsi degli apprendimenti degli studenti risultano da molti anni insoddisfacenti e non raggiungono un livello adeguato nelle competenze previste per italiano e matematica, solo nella Lingua Inglese i risultati dei test rilevano che i livelli raggiunti sono in linea con soglia prevista, per una buona percentuale la superano, e sono in graduale miglioramento. Nei test Invalsi di inglese vengono valutate la comprensione della lingua orale e della lingua scritta, in cui, ad esempio, gli studenti nel triennio della scuola secondaria di primo grado riescono a sviluppare e a raggiungere un livello di competenza in linea con quello previsto dalla Indicazioni Nazionali alla fine del primo ciclo d’istruzione (livello A2 del QCER).

Da docente di Lingue mi sono sempre sentita avvantaggiata nella costruzione di un percorso didattico per i miei studenti principalmente grazie a due fattori: il primo sono gli strumenti didattici che ho sempre avuto a disposizione e il secondo è una scala di riferimento condivisa a livello europeo, che identifica gli obiettivi da raggiungere e li illustra in modo chiaro e dettagliato.

Prima di analizzarli, faccio una digressione riguardo alla mia esperienza personale.  Quando poi ho cominciato a insegnare, prima Italiano L2,  poi Inglese nelle scuole secondarie di primo grado mi sono subito resa conto di quanto il mio lavoro fosse facilitato e guidato da alcuni libri di testo (o altre pubblicazioni con materiale didattico redatto per ogni diversa abilità linguistica) che fornivano delle attività pratiche, applicando concretamente i principi fondamentali delle teorie sull’apprendimento linguistico. L’unico contatto che avevo avuto precedentemente con la didattica era stato un esame all’università, che peraltro era complementare, e quindi non faceva necessariamente parte del bagaglio formativo di un laureato in Lingue.

La solida base teorica di glottodidattica, di matrice essenzialmente anglo-sassone, non è rimasta astratta e avulsa dalla pratica in classe, ma le maggiori e più prestigiose case editrici l’hanno incorporata sistematicamente nei loro manuali traducendola nelle metodologie operative più efficaci, ad esempio lo scaffolding linguistico, il sillabo a spirale, i role-play, il cooperative learning, il learning by doing, il CLIL. I docenti vengono guidati verso una programmazione coerente, progressiva e basata su strategie didattiche attive, pratiche e coinvolgenti.

La standardizzazione internazionale ha contribuito a definire con chiarezza i livelli di competenza, ha uniformato obiettivi didattici e criteri di valutazione, le prove proposte richiedono abilità comunicative reali e non solo conoscenza teorica. L’apprendimento è centrato sullo studente, sul fare linguistico, la versione digitale dei libri di testo offre strumenti multimediali di facile utilizzo, con contenuti accattivanti e rilevanti per lo studente. Sono incluse attività che prevedono competenze integrate (comprensione orale collegata alla produzione scritta). Le competenze diventano più importanti rispetto ai contenuti, che possono variare per argomento e complessità.


Tutto questo elevato grado di “professionalità” è riconducibile alla predominanza del mondo anglosassone e statunitense nello sviluppo delle teorie dell’apprendimento linguistico e delle metodologie didattiche, per svariati motivi storici, culturali, economici ed accademici.

In primo luogo si deve tenere conto dell’affermazione dell’inglese come lingua globale: prima con l’espansione dell’impero britannico, e poi con l’ascesa degli Stati Uniti come potenza mondiale, l’inglese è diventato la lingua della diplomazia, della scienza, del commercio, della tecnologia e della cultura popolare.  La necessità di imparare l’Inglese come L2 ha generato un enorme mercato e un conseguente interesse accademico e metodologico attorno al suo insegnamento. Durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti dovevano addestrare rapidamente un gran numero di soldati, spie, diplomatici e operatori sul campo a comunicare efficacemente in lingue strategiche (tedesco, giapponese, russo, cinese, arabo, ecc.).

Da iniziali metodi di tipo comportamentista, per i quali l’apprendimento è un processo meccanico di acquisizione tramite stimolo-risposta, si è passati alla scoperta dell’importanza di comunicare efficacemente in contesti reali, apprendendo attraverso l’interazione sociale e la situazione comunicativa. Ecco che la competenza linguistica diventa strumento di comunicazione sociale, le attività linguistiche proposte nei libri di testo diventano meno meccaniche e puramente grammaticali, basate quasi solo sulla memorizzazione.

Questo ha portato alla nascita e alla sistematizzazione di metodi funzionali, rapidi e orientati alla comunicazione pratica, cioè alla nascita di un apprendimento per via curricolare e non programmatica per cui ad ogni obiettivo di apprendimento da raggiungere viene collegata una precisa strategia didattico-formativa.

Conseguentemente alla crescente domanda di insegnare l’inglese come L2 si è reso necessario avere delle scale e dei descrittori di riferimento per una valutazione il più possibile precisa, oggettiva e affidabile. La diffusione delle certificazioni linguistiche, che ormai la maggior parte delle scuole secondarie di primo e di secondo grado includono nella loro offerta formativa, ha costituito un notevole passo avanti per stabilire quali sono le competenze attese, i livelli che è realisticamente possibile raggiungere. Il focus è sulla competenza “globale”, le certificazioni sono progettate per valutare la competenza complessiva di un candidato, non una singola performance in singole abilità. Nelle certificazioni non è necessario ottenere il punteggio minimo in ogni singola abilità valutata, quello che conta è il risultato complessivo nel quale i singoli punteggi si compensano. Questo sistema descrive quindi un profilo generale di competenza in cui alcuni aspetti (abilità) possono essere più sviluppati di altri, senza che questo impedisca di comunicare efficacemente.

Un elemento significativo delle certificazioni linguistiche è che, nel caso in cui uno studente non raggiunga la soglia prevista per il superamento dell’esame (ad esempio il livello B1), non riceve un attestato con l’indicazione di ‘non superato’ o ‘bocciato’. Al contrario, viene rilasciato un documento  che riporta il punteggio ottenuto su scala per ciascuna delle componenti dell’esame (Reading, Writing, Listening, Speaking), che può corrispondere a un livello inferiore, come l’A2. Questo approccio mira a valorizzare le competenze effettivamente acquisite, offrendo al candidato uno strumento utile per l’autovalutazione e per il monitoraggio dei propri progressi.

Allo stesso modo è auspicabile, ma non sempre avviene, che il docente di lingue si attenga a questo tipo di valutazione: ogni studente ha stili di apprendimento e personalità diverse, alcuni sono più estroversi e eccellono nella produzione orale, altri più riflessivi emergono nella produzione o comprensione scritta e così via. In quest’ottica ciò che realmente conta è la capacità dello studente di comunicare in modo efficace, anche se una specifica abilità dovesse risultare non particolarmente sviluppata o l’accuratezza grammaticale non ancora consolidata. La competenza comunicativa è data dall’equilibrio e dalla compensazione tra le diverse abilità, in una visione integrata e funzionale della lingua.

Grazie a queste pratiche consolidate e alla disponibilità di manuali costantemente aggiornati e implementati, anche senza un’approfondita preparazione in area pedagogica e didattica, un insegnante di lingue scrupoloso e motivato riesce ad offrire ai suoi studenti un approccio efficace che può portare al raggiungimento dei traguardi di apprendimento. Ritengo che in alcune discipline (come l’italiano e la matematica) prevalga ancora una didattica di tipo troppo trasmissivo, con strumenti poco interattivi e focalizzati più sul contenuto e sulle nozioni. Sarebbe interessante capire perché altre discipline non definiscano standard di riferimento condivisi.

La definizione chiara di competenze, orientata ad aumentarne la trasferibilità e spendibilità in contesti professionali ed accademici, potrebbe contribuire in modo significativo al miglioramento complessivo di tutto il sistema scolastico italiano, in un’ottica di competenze chiave nell’ambito dell’apprendimento permanente.


[1] Tiziana Venuti insegna Inglese nell’Istituto comprensivo di Pasian di Prato (Udine). Ha maturato competenze didattiche e linguistiche (connesse con una certificazione C2) in Inghilterra, Israele, Nigeria, Monaco di Baviera. Collabora con il Panel Oxford per la redazione di libri di testo ed è tra i formatori della DeA Scuola.