C. De Gregorio, Di madre in figlia

Concita De Gregorio, altre donne, altre storie

 di Antonio Stanca

   Nella serie “Narratori” della Feltrinelli è comparsa quest’anno Di madre in figlia, la più recente opera di Concita De Gregorio. Come altre volte sono soprattutto donne le protagoniste, sono soprattutto loro le storie che narrano quasi si confessassero, svelassero quanto c’è stato in ognuna e quanto tra tutte. Separate, distinte si presentano queste confessioni al punto da costituire un seguito di voci, di discorsi, di persone sempre diverse e da non permettere di parlare di un romanzo. Non è costruito in tal senso perché diviso in tante parti che a volte si richiamano ma che rimangono distinte. Un modo nuovo, anche se già sperimentato dalla scrittrice, un modo che vuole dare maggiore risalto alla persona che parla, alla sua storia. E nuova stavolta è anche nel linguaggio la De Gregorio dal momento che si compone di tanti toni, di tanti livelli, di tante forme da rendere difficile distinguere tra il parlato, il quotidiano, il corretto, lo scorretto ed altri. Le sarà sembrata la maniera più adatta per aderire alla varietà di quella vita che rimane la vera protagonista delle sue opere. Stavolta ha voluto renderla  anche nell’espressione linguistica.

   Molto nuova, molto originale la De Gregorio, sono tante le esperienze dalle quali proviene che naturali sembrano certi suoi esperimenti, certe sue invenzioni.

   Nata a Pisa nel 1963, qui si è laureata in Scienze Politiche e già da universitaria aveva cominciato a scrivere per giornali passando dai meno noti a la Repubblica, l’Unità, del quale sarebbe stata direttrice dal 2008 al 2012. Tornata a la Repubblica sarebbe diventata una delle collaboratrici più autorevoli. Anche su importanti riviste straniere avrebbe scritto. Alla radio, alla televisione si sarebbe applicata con programmi specifici e intanto avrebbe cominciato a scrivere di narrativa, racconti e nel 2006 il romanzo Una madre lo sa Tutte le ombre dell’amore perfetto. La narrativa e il giornalismo sarebbero state fino ad oggi le sue attività principali, quelle che l’avrebbero tenuta impegnata più di ogni altra. E in entrambe a muovere la De Gregorio sarebbe stato il bisogno di dire della realtà più vicina, di quell’attualità che si è tanto caricata di problemi, che ha perso tanta della moralità, della spiritualità che la costituivano da rendere necessaria, secondo lei, una denuncia, una contestazione, un’indagine su quanto di losco, di clandestino, di oscuro, è entrato a far parte della vita, della società, della storia, specie di quella italiana degli ultimi tempi. Sui gravi avvenimenti di ordine sociale, politico verificatisi in Italia negli anni più recenti, si è soffermata, infatti, a protestare, indagare la giornalista, della donna italiana dei nostri tempi, delle sue condizioni dopo quanto apportato dal femminismo e da altro si è mostrata particolarmente incline a dire la scrittrice. Lo si può considerare il motivo ricorrente, il tema dominante nella sua narrativa, da quando l’ha iniziata, a quarant’anni, ad oggi che ne ha sessantadue e ha scritto Di madre in figlia. Qui non sono molte le donne e sono tutte della stessa famiglia: dalla più giovane, la sedicenne Adè, si risale alla sua bisnonna, Agata, che faceva l’erborista, passando attraverso la mamma di Adè, Angela, impegnata insieme al marito in studi scientifici dove hanno raggiunto risultati di alto livello, attraverso la mamma di Angela, Marilù, vissuta fin da ragazza in maniera libera e diventata capace di traguardi eccellenti prima nella ginnastica artistica e poi nel mondo dello spettacolo, ed infine attraverso sua madre, della quale non si sa il nome e che era stata farmacista perché aveva seguito l’esempio della nonna Agata, che aveva curato con le erbe.

   Sono cinque le donne protagoniste del libro, la scrittrice le farà parlare a turno, diranno di sé ma anche dei rapporti tra loro e con altre persone, delle loro esperienze, di come, di quando è stata la loro vita. Tutto inizierà da quando Angela, consigliata dal marito, ha mandato la piccola Adè a casa della nonna Marilù perché vi rimanesse circa un mese, il tempo che avrebbe visto impegnati e lontani da casa lei e il marito. La bambina ha problemi di carattere nervoso, stati di ansia, crisi di panico, insonnia, paura dell’esterno che può essere la gente del centro urbano, un rapporto d’amicizia, il contatto col mare, l’esposizione al sole. La nonna abita in una casa in cima ad un’isola, in mezzo ad una vasta radura. Più giù c’è il bosco ed infine il paese con le sue spiagge, il suo porto, le sue case, le sue barche, i suoi pescatori. Non molto tempo è disposta a dedicare alla nipote né molta attenzione ai suoi problemi. Inizierà tra loro quel dialogo che le vedrà intervenire a turno, che diventerà spesso difficile e così durerà per tutto il libro. Di quel dialogo diventeranno partecipi le altre donne protagoniste, le loro parole, i loro interventi, quelli che faranno conoscere la storia della famiglia, almeno la più recente, compreso quanto di celato, di non detto, di non chiarito era sempre rimasto, quelli che faranno sapere, ancora tramite frammenti di discorsi, tutto quanto è avvenuto durante gli anni che vanno dalla bisnonna Agata alla giovanissima Adè. Le cinque donne, che hanno fatto parte di quegli anni, parleranno ognuna del proprio modo di pensare, di fare, di vivere in quella che era stata una famiglia particolare, ognuna del proprio modo d’intendere, di comportarsi riguardo a ciò che si diceva, si pensava, si sospettava. È questo che la De Gregorio vuole mostrare attraverso una forma espressiva così singolare, così varia, così articolata, vuol far vedere da vicino, dal vivo quanto diversi possono essere i giudizi, i pensieri circa una stessa vicenda. Facendo parlare ogni personaggio per conto proprio vuole mostrare come si può essere o diventare diversi pur in un posto uguale per tutti, come si può caricare di particolari, di significati contrastanti un evento che dovrebbe essere unico. Se si tiene conto che sono donne quelle che testimoniano di un simile fenomeno, si deduce quanto più delle altre volte sia riuscita la De Gregorio nell’intento di evidenziare come ancora difficile, ancora complicato sia quell’universo femminile al quale tante conquiste vengono attribuite. Non fa intravvedere, nell’opera, la possibilità di comporlo, ordinarlo in un senso, in una direzione unica. Destinato, sembra voglia presentarlo, a rimanere complicato. A farlo è una donna, una scrittrice di donne che stavolta si è messa alla ricerca di tante prove, di tante testimonianze e nonostante tutto di quella varietà, di quella contrarietà della vita che sono i temi di tutta la sua narrativa è rimasta più convinta che mai.