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C. e G. Crapis, Umberto Eco e la politica culturale della Sinistra

Contaminando “alto” e “basso”
ovvero quando in Italia esistevano gli intellettuali …

di Carlo De Nitti

Non vi è chi, oggi, non pensi che ad Umberto Eco (1932 – 2016) si possa attagliare – ritiene chi scrive queste righe – la definizione che Antonio Gramsci (1891 – 1937) coniò per Benedetto Croce (1866 – 1952), quella di “Papa laico”: il grande semiologo che poteva – absit inuria verbis –  spaziare nei suoi interventi a 360 gradi con riconosciuta autorità.

In questo recente saggio, Umberto Eco e la politica culturale della Sinistra, dovuto all’impegno di due studiosi attenti quali i fratelli Claudio e Giandomenico Crapis, pubblicato presso la prestigiosa casa editrice La Nave di Teseo, di cui Umberto Eco è stato il nume tutelare fin dalla fondazione (nel 2015), nella collana ”i Delfini”. Gli Autori scandagliano, da par loro, un argomento davvero interessante: non soltanto la personalità del filosofo piemontese ma anche una certa temperie politica e culturale, un pezzo di storia del nostro Paese.

Questo volume è la prosecuzione ideale di un altro testo dei medesimi autori, intitolato Umberto Eco e il PCI. Arte, cultura di massa e strutturalismo in un saggio dimenticato del 1963, dato alle stampe nel 2017 per i tipi della casa editrice emiliana Imprimatur.

Agli inizi degli anni ’60, un giovane Umberto Eco – allievo di Luigi Pareyson (1918 – 1991), proveniente dall’Azione Cattolica, poco più che trentenne – pubblicava sulla rivista “Rinascita” – fondata nel giugno 1944 (dopo la cosiddetta “svolta di Salerno”) e diretta da Palmiro Togliatti (1891 – 1964), segretario generale del Partito Comunista Italiano – un saggio che si potrebbe definire ‘dirompente’.

Ai più giovani tra i lettori del volume (et si parva licet… di queste poche righe) giova ricordare che “Rinascita” ha rappresentato, a partire dalla sua fondazione, con la sua presenza costante nel dibattito politico-culturale italiano, lo strumento di elaborazione e di diffusione della politica culturale del P.C.I. Pur essendo una rivista di diretta emanazione del vertice politico del Partito Comunista Italiano, ospitava articoli ed interventi anche di intellettuali di formazione diversa o, comunque, non necessariamente marxisti ‘ortodossi’ ed ‘organici’ (come allora si diceva) al Partito.

L’intervento di Umberto Eco sposta il piano della discussione: “Per la prima volta, dunque, e con uno sforzo intellettuale originale e brillante, venivano messe in discussione su una rivista marxista, anzi sulla rivista diretta dal leader del partito, le estetiche, le analisi, i giudizi che buona parte della cultura di Sinistra aveva sedimentato, nonostante le numerose eccezioni, fino ad allora” (p. 66).

Proprio per questa ragione, il saggio di Eco – in questo volume, ripubblicato nel capitolo 3 – suscita una vasta risonanza polemica, tant’è che, sulla medesima rivista, appare un articolo di Rossana Rossanda (1924 – 2020) – allieva di Antonio Banfi (1886 – 1957), dalla fine del 1962, responsabile della politica culturale del P.C.I. – dal significativo titolo Per una cultura rivoluzionaria, quale risposta ‘ufficiale’ alle ‘pro-vocazioni’ del giovane ‘compagno di strada’. E’ così che Rossana Rossanda (La ragazza del secolo scorso di parecchi decenni dopo) definisce Eco a conclusione del suo testo, accomunandolo nominalmente, ad esempio, al filosofo esistenzialista Jean-Paul Sartre (1905 – 1980) ed alla ‘fille rangée’, Simone de Beauvoir (1908 – 1986).

Alla sua interlocuzione, seguirono gli interventi di altri protagonisti della cultura di sinistra, con posizioni diversificate: una bella discussione a più voci, che, di sicuro, giovava alla cultura nel nostro Paese. Da Carlo Levi a Tullio Aymone, da Edoardo Sanguineti a Mario Spinella, da Luciano De Maria a Massimo Pini, da Louis Althusser a Luigi Pestalozzi: la provocazione di Eco aveva di sicuro lasciato un segno tangibile e profondo nella cultura di sinistra.                                  

In quel remoto saggio di Eco, c’è in nuce il pensiero del semiologo così come si sarebbe sviluppato nei cinque decenni successivi: a questo tema – dopo un’attenta disamina del saggio, è dedicato il capitolo 5 del volume di cui qui si discute. “La premessa fondamentale è che i prodotti della cultura di massa siano degni di studio al pari della cosiddetta cultura ‘alta’. Eco, infatti, superando la distinzione tra cultura alta e bassa, pone per la prima volta con chiarezza sullo stesso piano, il testo estetico e il prodotto della cosiddetta cultura di massa” (p. 178).

Con questo saggio, Eco assume le categorie marxiane (ed il marxismo) “come strumento e suggestione di ricerca, ma invita ad affiancarlo ad altri metodi” (pp. 179 – 180). Attraverso i quesiti che Eco pome si avvicina al metodo gramsciano: “Gramsci ed Eco condividono l’attenzione ai meccanismi della ricezione, alle esigenze dei fruitori, alle forme culturali ‘basse’ o marginali, che consentono per entrambi preziose osservazioni sulla ‘filosofia’ dell’epoca. Li accomuna anche la consapevolezza dell’esistenza di scambi bidirezionali tra cultura ‘alta’ e ‘bassa’, la lettura non deterministica del rapporto tra struttura e sovrastruttura, nella convinzione che il controllo dell’industria culturale giochi un ruolo chiave nel mantenere l’’egemonia’, l’attenzione al ruolo svolto dagli intellettuali” (pp. 197 – 198).

Non vi è chi non veda, in questi passaggi, l’Umberto Eco storico dei modelli culturali: la forza delle tesi dell’intervento di Eco consiste […] nel suo valore di ipotesi, ossia nella sua capacità di approfondirsi sviluppandosi teoricamente” (pp. 215 – 216). Il suo saggio su Rinascita, sessant’anni dopo la sua pubblicazione, “ha ancora molto da dirci – sia direttamente sia indirettamente – con metodo e freschezza immutata. In fondo Eco ci ha insegnato che c’è sempre qualcosa in più da osservare e capire.  Che si può capire. Che si deve capire” (p. 216).

Il volume è corredato/arricchito da una cospicua Appendice in cui sono riprodotti, per la prima volta in volume, cinque articoli di Umberto Eco – pubblicati su Corriere della sera, Quindici e Sipario – la cui meditata lettura non può che ulteriormente legittimare la ricostruzione e l’interpretazione del pensiero echiano, che hanno realizzato Claudio e Giandomenico Crapis, studiosi di comprovato valore ed esperienza, che, in questa sede, si è cercato di sunteggiare.

Chi scrive ritiene che, ad Umberto Eco – e, spero, anche agli autori di questo volume – non sarebbe dispiaciuta una conclusione di questo testo che prendesse a prestito le parole di un eccellente cantautore e scrittore, Roberto Vecchioni: “Formidabili quegli anni / Quando dicevamo d’essere compagni / Una così lieve e fragile parola / Scritta sopra il vento della storia”… 

AA.VV., La gestione della classe e degli alunni difficili

AA.VV., La gestione della classe e degli alunni difficili

Il volume è stato ideato al fine di rispondere in modo concreto e operativo alle necessità degli insegnanti della scuola primaria, secondaria di primo e secondo grado, che necessitano di essere aiutati nel loro lavoro sempre più complesso con gli alunni di oggi.

Il testo si propone come uno strumento di riflessione e operativo, suddiviso in due parti:

– la prima offre un inquadramento teorico presentando una fotografia della scuola di oggi e descrivendo la complessità e le sfide a cui gli insegnanti sono chiamati a dare risposte, attraverso l’evoluzione del proprio ruolo e lo sviluppo di nuove competenze professionali.

– la seconda è costituita da un ricco manuale operativo, con circa 150 attività, suddiviso in sei aree: gruppo, docenti, regole, conflitto/litigio, genitori e alunni difficili. In questa sezione il lettore troverà schede di lavoro, attività ludiche, questionari, griglie di osservazione, giochi dell’oca, carte, simulate e molto altro, suddivise per target (adulti-bambini-adolescenti).

Infine, a supporto del manuale, è stata inserita on-line una sezione denominata Percorsi filmici e serie Tv, dove per mezzo del linguaggio cinematografico, supportato da attività psico-pedagogiche, si potranno scoprire e analizzare gli argomenti trattati nella dimensione teorica.

Lunedì 4 dicembre il libro sarà presentato durante un webinar organizzato con l’Istituto di Psicologia dell’Università Pontificia Salesiana di Roma. Con gli autori interverrà Alberto Pellai.

L’incontro potrà essere seguito in diretta sul canale YouTube e sulla pagina Facebook dell’Istituto a questi link: La gestione della classe e degli alunni difficili – YouTube – La gestione della classe e degli alunni difficili – Facebook

 

E. Viola, Voltare pagina

Ester Viola, un’opera d’amore

di Antonio Stanca

   È appena uscito, presso Einaudi, Voltare pagina (Dieci libri per sopravvivere all’amore) di Ester Viola. La scrittrice è nata a Morbegno, Sondrio, nel 1978. È laureata in legge, collabora con “Il Foglio”, ha una posta del cuore su “iO Donna” e la newsletter “Ultraviolet”. Con Einaudi ha pubblicato altre opere che come quest’ultima e come l’altra attività su riviste riguardano, affrontano, discutono problemi legati al rapporto amoroso, a quanto succede, si crea tra l’uomo e la donna prima e dopo il matrimonio, da giovani e da adulti, da innamorati e da traditi, da uniti e da separati. Indaga la Viola nella sua narrativa, nella sua saggistica, sul fenomeno dell’incontro che avviene, del rapporto che s’instaura tra maschio e femmina, dell’unione che si verifica e della rottura che può giungere. È un argomento tra i più attuali vista l’estensione che è andata assumendo la crisi della coppia. Ma è anche un argomento che ha fatto parte di molta letteratura. Di esso hanno scritto autori soprattutto moderni e a loro si richiama la scrittrice nel libro. Non è un romanzo, è una serie di dieci racconti dedicati ognuno ad un particolare caso di vita femminile, alla particolare situazione nella quale sono venute a trovarsi tante donne. La loro età è compresa tra i trenta e i quarant’anni, i loro luoghi di provenienza sono tra i più diversi e così le loro origini, le loro famiglie, le loro condizioni materiali e morali, fisiche e spirituali. Milano diventa, nell’opera, la città dove tutte convergono, e uno dei suoi noti uffici legali il luogo dove tutte vanno a dire del loro problema. Ad accoglierle, ascoltarle è una donna avvocato che qui lavora e che ha il compito di registrare quanto le viene riferito e prepararlo, trasmetterlo ad avvocati superiori, giudici, perché sia valutato per eventuali cause di separazione, divorzio o altro. Di quella donna avvocato sarà la voce narrante, da lei si saprà delle dieci protagoniste dell’opera, delle loro vicende, di quale è stata la loro vita, di dove si è svolta, dell’uomo col quale si sono sposate, della famiglia, dei figli, del lavoro, di tutto e di come sono giunte alla separazione. Tutte vi sono giunte e per tutte c’è stata una causa anche se molte volte si è verificato un nuovo incontro, una riappacificazione finale e duratura. A suscitarla, suggerirla, compierla ogni volta è stata la lettura di un libro che si addiceva al caso in questione. Ad ognuna delle donne in crisi la Viola fa consigliare dalla donna avvocato che le riceve e le ascolta un libro dove si dice di una storia simile alla loro. Sono libri di autori famosi, fanno parte della letteratura moderna ma ci sono anche classici. Nonostante la diffidenza iniziale di quelle donne succederà che dopo la lettura riescano ad iniziare con una maniera utile alla soluzione del loro problema. Un rapporto, un riflesso, una combinazione tra letteratura e vita, una correlazione, un’interdipendenza, vuole instaurare la Viola, dimostrare vuole quanto possano servire il pensiero di un autore, la trama di un romanzo, le parole di un suo personaggio, i versi di un componimento poetico, come possano convertire certe situazioni, riportare l’amore, il bene dove si era giunti all’odio, al male.

   Molto originale va detto di questo libro, molto abile si rivela la scrittrice nella rappresentazione, nella valutazione dei casi femminili mostrati, molto sicura nelle considerazioni, nei collegamenti. Data l’attualità, la frequenza del problema trattato queste opere meriterebbero un’ampia diffusione. La loro è una funzione altamente educativa. Quello della crisi, della fine, del recupero dell’amore è un problema ormai diffuso per il quale poco si riesce a fare. Viola non si è arresa, ha creduto possibile una soluzione!

S. Tau, Carbonara in divisa

La storia di una comunità municipale attraverso i suoi militi e le loro storie

di Carlo De Nitti

Non occorre scomodare la celeberrima lirica di Bertoldt Brecht (1898 – 1956), Domande di un lettore operaio, che tematizza l’assenza delle masse dalla ricerca storica e neppure la scuola storica francese nata intorno alla rivista fondata nel 1929 Annales d’histoire économique et sociale – da Marc Bloch e Lucien Fèbvre in poi – per rimarcare l’importanza della ricostruzione delle storie delle comunità locali, la storia che va a scavare nel quotidiano delle vite degli uomini, delle donne, dei bambini, delle abitudini, delle mentalità, contrapposta alla storiografia tradizionale, quella dell’histoire événementielle.

La storia locale è quel luogo in cui si verifica – e può essere inverata o smentita – la storia che si studia a scuola sui manuali, quella politica, economica, religiosa che, di solito, ha per protagonisti i personaggi importanti oppure le élites. La storia locale quella che hanno vissuto i nostri padri e le nostre madri, i nostri nonni e le nostre nonne, ma anche noi attraverso i loro racconti, i loro aneddoti di vicende storiche vissute.

Anche noi, contemporanei, abbiamo vissuto e viviamo momenti storici che si trovano/troveranno sui libri: chi scrive queste righe aveva diciassette anni quando è stato la stagione del terrorismo raggiunse il suo picco con l’uccisione dell’on. Aldo Moro, ne aveva ventinove quando è caduto, dopo ventisette anni dalla sua costruzione, il muro di Berlino.

Ancora una volta, l’appassionato ricercatore di storia locale Salvatore Tau regala ai suoi concittadini – ed a tutti i lettori che si trovano extra moenia –  un volume che lumeggia la storia del suo paese (oggi parte del Municipio 4 di Bari): Carbonara in divisa in tempo di guerra e di pace, recentemente pubblicato dall’Associazione Culturale “Le Tre Lanterne”, presso le edizioni Joyprint.

Dopo aver ricostruito, in tre diversi volumi, la storia della scuola elementare “Armando Diaz” di Carbonara, la storia di Carbonara dall’anno mille al 1927, la storia delle famiglie carbonaresi illustri, Salvatore Tau ha indagato con inesausta ed acribica passione sui militi carbonaresi dall’istituzione della Guardia Nazionale nel periodo dal 1848 al 1861, fino alla seconda guerra mondiale con un unico, nobile, scopo: la divulgazione presso i propri concittadini della storia della comunità cui appartengono. “Conoscere ancora meglio il nostro territorio attraverso la vita dei suoi soggetti principali: quelli che una volta erano i carbonaresi” (p. 8). La ricerca è stata svolta in Archivi – quello di Stato ma anche privati –, nel cimitero monumentale di Carbonara e nei monumenti ai caduti.

I risultati sono certamente degni di nota per la ricchezza di informazioni e di materiale iconografico raccolto e pubblicato in questo volume a cominciare dalle stampe d’epoca per le immagini della metà del XIX secolo. All’inizio dello Stato italiano unitario, Carbonara contava poco più di cinquemila abitanti, quindi, prima della coscrizione obbligatoria, “sorteggiava solo due giovani” (p. 22) che avrebbero servito la patria con la divisa della Guardia Nazionale: notoriamente, la coscrizione obbligatoria fu introdotta nel 1862 e riformata dal 1876. Che la pratica del sorteggio fosse quella utilizzata per individuare i coscritti lo si apprende anche leggendo il primo grande romanzo scritto nello Stato italiano unitario, I Malavoglia di Giovanni Verga (1840 – 1922), in cui i due primi nipoti maschi del patriarca – ‘Ntoni e Luca – svolgono il servizio militare nella Regia Marina (per cinque anni): Luca, infatti, muore nella battaglia di Lissa (III guerra di indipendenza, 1866). La pugliese Carbonara non doveva essere molto diversa dalla siciliana Trezza…

Degli anni del primo conflitto mondiale, naturalmente è serbata la memoria collettiva mediante il Monumento ai Caduti che fu edificato in piazza Umberto I, nel 1928, ad opera dell’architetto barese Gaetano Civera e dello scultore rutiglianese Vitantonio De Bellis (cfr. p. 27).

I due conflitti mondiali sono le due fondamentali tappe ulteriori di questo volume. Salvatore Tau, attraverso i documenti conservati presso l’Archivio di Stato di Bari e la collaborazione dei loro discendenti, ricostruisce storie di militari (di ogni grado), ne pubblica le relative fotografie, perpetuandone così la memoria. Tant’è che molto ricco – e di grande interesse – risulta essere l’ampio apparato iconografico che accompagna i testi, sebbene, riconosce lo stesso Tau, non ha potuto reperire tutte le immagini possibili. Guardando le foto dei Carbonaresi in divisa si può fare, parallelamente, la storia, sebbene incompleta, delle divise che i vari Corpi delle Forze Armate hanno indossato nelle diverse epoche storiche, ma anche la storia della tecnica fotografica con cui le foto sono state realizzate. Si spazia dalle fotografie di singoli

Arricchisce la documentazione archivistica, la narrazione di aneddoti di cui l’Autore del volume è stato portato a conoscenza o che sono di pubblico dominio.

Tra le figure tratteggiate con maggiori dettagli, alle pp. 148-149, quella del dott. Ottavio Tieri (1922 – 2002), amatissimo e stimatissimo medico di famiglia e filantropo,  nonché Presidente della Sezione di Carbonara dell’”Associazione Nazionale Reduci dalla Prigionia (si vedano le pp. 148 – 149). “Il dott. TIERI ha sempre concepito la professione medica come una ‘missione’ e, pertanto, non si è mai sottratto al compimento del suo dovere professionale andando oltre a quanto solitamente richiesto. Alle numerose istanze quotidiane di prestazione della sua professione presso il domicilio dei sofferenti, anche durante le ore notturne e in qualsiasi stagione dell’anno, ‘Don Ottavio’ accorreva senza indugio, in sella alla sua ‘amata’ bicicletta della gloriosa ditta ‘Bianchi’ di colore nero e con i freni a ‘bacchetta’. Inoltre, era solito comperare le medicine a proprie spese per donarle ai suoi assistiti che non potevano permettersele economicamente” (p. 148).  

E’ innegabile merito del IV Municipio – e della sua Presidente, la prof.ssa Grazia Albergo, di cui è ben nota la sensibilità culturale – e dell’associazione culturale “le Tre Lanterne”, che hanno supportato il diuturno lavoro alacre di Salvatore Tau sempre teso ad interrogare le vestigia del passato di Carbonara, affinchè i cittadini, di oggi e di domani, possano essere tali in modo sempre più attivo e consapevole. A tal fine è interessante ricordare una frase del George Orwell di 1984: “Solo chi è padrone del passato è padrone del futuro”.     

A. Tosolini, Scuola bene comune

Scuola bene comune

Un libro indispensabile di Aluisi Tosolini

di Stefano Stefanel

È uscito da poco un libro di Aluisi Tosolini, dal titolo moltointelligente: “Scuola bene comune” (Edizioni EMI, Brescia 2023), che parla di scuola e sulla scuola. Che la scuola sia realmente un “bene comune”, come l’acqua, è cosa molto chiara all’Europa, ma molto meno chiara all’Italia, dove riforme raffazzonate e politiche incomprensibili hanno supportato gli interventi della politica, nel complesso tutti tesi a smontare quello che il compianto Luigi Berlinguer aveva costruito. Prevenendo e prevedendo la crisi sistematica dei sistemi dell’istruzione l’Europa ha avviato percorsi di analisi (i “libri bianchi” ed “Education at Glance”, il “periodico” annuale sulla scuola dell’OCSE), poi programmi ambiziosi (Lisbona 2010, EU 2020 e l’attuale Next Generation Eu da noi ribattezzato, chissà perché, PNRR), infine linee di progetto con ampi finanziamenti al seguito. In Italia la risposta è stata inizialmente ottima con la trasformazione della scuola italiana nell’ambito di un’autonomia di rango costituzionale per poi perdersi dentro riforme partitiche, settoriali, casuali. L’Europa ha fatto il suo percorso con una linearità e una consecuzione che Aluisi Tosolini ricostruisce mirabilmente, rimandando ad una serie di importanti documenti con grande precisione e attenzione. Se si segue la linea narrativa di Tosolini si può ricostruire con attenzione il quadro d’insieme che ha portato l’Italia dove è ora(cioè, nelle parti basse dei sistemi dell’istruzione dell’area Ocse). Ma si può anche comprendere come il sistema scolastico italiano, dentro i suoi quotidiani contorcimenti tra modalità ripetitive e ferrei diritti sindacali difficilmente potrà in tempi brevi uscire dalla crisi.

MA COS’E’ QUESTA CRISI?

Lasciamo la parola a Tosolini: “il quadro complessivo segnala oggi un aumento significativo a livello mondiale della disuguaglianza in tutti gli ambiti e settori” (pag. 35). Questa disuguaglianza fa il paio con la drammatica ascesa delle povertà educative: “la correlazione tra povertà e povertà educativa è nota e conclamata” (pag. 44) e tutto questo porta ad una progressiva perdita di learning loss, ovvero “perdita di apprendimento” (pag. 45). Questo corto circuito sta avvelenando i sistemi dell’istruzione, a cominciare dai più fragili, cioè da quelli come il nostro. E tutti i soldi che vengono trasmessi oggi alle scuole, senza un quadro di riferimento chiaro, poco potranno fare. Ma come può esserci un quadro di riferimento chiaro, quando il percorso narrato da Tosolini è sconosciuto alla gran parte dei dirigenti e dei docenti italiani, ancora alle prese con le modalità didattiche ed educative sedimentatesi negli Anni Settanta del secolo scorso? Su questo Tosolini è molto chiaro e preciso: senza una comprensione chiara dello scenario digitale e globalizzato in cui è inserita la scuola si può poco o nulla. Tosolini rimanda agli obiettivi dell’OCSE e ne isola due: “la definizione di global competence e l’aggiornamento del concetto di competenza” e “la rivisitazione del concetto di apprendimento e ambiente di apprendimento” (pag. 89). È chiaro che, mentre l’OCSE modifica i suoi parametri, in Italia stiamo tornando ai dibattiti sui voti, sui contenuti, sulla didattica trasmissiva, sulle bocciature, siamo cioè ripiombati nell’altrove più lontano da quelli che sono gli elementidi progresso cognitivo, dentro il poderoso avanzamento della serrata difesa dell’insegnamento da qualunque attacco portato dalle obiettive necessità dell’apprendimento.

Interessante come Aluisi Tosolini analizza l’Obiettivo n° 4 dell’Agenda 2030: “Fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti”. Questo obiettivo, all’apparenza ovvio, contiene un elemento di grande profondità che modifica gli equilibri dei sistemi formativi. Nell’obiettivo si citano la qualità, l’equità, l’inclusività e le opportunità di apprendimento, ma non si parla di eguaglianza? Perché ci si domanda allora? E il librodi Tosolini fornisce il percorso per comprendere come rispondere a questa domanda: perché l’eguaglianza si costruisce dentro una cultura della pace, dentro uno sviluppodelle competenze, dentro un’equità che permetta a tutti di essere inclusi. Purtroppo, quindi, dentro un percorso lontano da quello che prevede il sistema dell’istruzione italiano, in cui all’eguaglianza dichiarata non corrisponde una vera equità di fatto: come si dice spesso, l’ascensore sociale ha smesso di funzionare. Se la scuola è un bene comune che va rafforzato ecco che allora è necessario riprendere in mano le modalità di costruzione dell’apprendimento: “vanno incoraggiate condizioni di autonomia, flessibilità e agire collaborativo”, cioè quegli elementi che le classi di concorso, i rigidi orari, le valutazioni docimologiche, il rapporto irrisolto col sapere informale e non formale condizionano in maniera decisiva in ogni serio tentativo di far uscire il sistema scolastico italiano dalle secche delle sua difficoltà. E infatti Aluisi Tosolini ci riporta alla necessità di “rispondere alla crisi globale dell’istruzione, che riguarda l’equità e l’inclusione, la qualità e la pertinenza” (pag. 73) e quindi non verso una generica eguaglianza dichiarata da tutti e praticata da pochi, con richiami costanti a don Milani di maniera e non di contenuto, ma dentro un sistema equo e riflessivo, più professionale (pag. 72: “l’insegnamento deve essere ulteriormente professionalizzato”).

L’EDUCAZIONE TRASFORMATIVA

Un passaggio essenziale del bel libro di Tosolini è quello che richiama la necessità e l’importanza di ragionare in termini di “educazione trasformativa” (pag. 77), cioè di un sapere sempre in movimento dentro i due grandi elementi della nostra contemporaneità, che Tosolini affronta in dueappositi capitoli: il digitale e la pace. Se non comprendiamo che quella del digitale è una sfida ineludibile e quella della pace una cultura che va costruita, ci limiteremo a sperare che improvvisamente gli smartphone spariscano dalla scuola e a constatare che la pace è solo una bandiera colorata da sventolare alle manifestazioni. In realtà il percorso trasformativo della conoscenza passa attraverso la trasformazione di un sapere statico ed autoreferenziale in un sapere trasformativo che può cambiare le cose. Troppo puntuale per essere eludibile il libro di Tosolini ci aiuta a capire che cosa è successo con una mole documentale che dovrebbe diventare patrimonio comune per farci costruisce quella “scuola bene comune” che poggia su solide fondamenta e che non affonda, invece, nella melma di un dibattito pubblico veramente avvilente.

K. Balen, Il canto dei merli

Katya Balen, Il canto dei merli

Illustrazioni di Richard Johnson

“C’è musica dappertutto – se sai metterti in ascolto”.

Così inizia la storia di Annie, che ama la musica e potrebbe diventare una promettente musicista.

Annie sente e riconosce note e ritmi musicali ovunque: nello scalpiccio dei passi quando cammina, nella lattina vuota di una bibita che rotola per strada, nel cigolio della porta che si apre, nella voce della mamma che la chiama.

Ma non nel rumore dei vetri rotti, né in quello della lamiera dell’auto che si accartoccia. L’incidente d’auto che ha subito ha causato alla ragazzina diversi e lunghi problemi di salute, tanto che la mamma ha dovuto lasciare il lavoro per un lungo periodo e che, in conseguenza di ciò, madre e figlia sono state costrette a cambiare residenza, trasferendosi dalla loro graziosa casetta a un appartamento più economico, che ad Annie non piace affatto.

E anche il flauto, che suonava con perizia e passione, non accompagna più le sue giornate: il flauto ha perso le note, la musica tace mentre il suo braccio ferito, la sua mano rattrappita sembrano non dover più riprendere la loro funzionalità.

Finché un giorno, nello scampolo di prato vicino a casa, la ragazzina incontra oNoah, un suo coetaneo strano ma simpatico, impegnato ad accudire una covata di merli nascosta sotto un cespuglio.

Da quel momento pare che qualcosa si risvegli in Annie e pian piano la fanciulla torna a sentire le note, nel canto dei merli soprattutto, ritrovando in sé speranza e volontà.

La nuova discreta offerta d’amicizia del coetaneo Noah e il contatto con la natura le renderanno la serenità e la determinazione per ricominciare un percorso di crescita, con maggiore ottimismo.

L’autrice anglosassone Katya Balen, vincitrice della Carnegie Medal nel 2022, ci regala un racconto toccante, dai sentimenti delicati ma essenziali quali l’amore materno e quello filiale, l’amicizia, l’autostima.

Si inserisce nella Collana La Locomotiva, diretta dalla prof.ssa Zizioli dell’università di Roma Tre, dalla prof.ssa Garuti di INDIRE e da Giulia Franchi del PALAEXPO di Roma, in cui si propongono storie di resilienza in cui le risorse personali, la tolleranza, il buon senso e le ottimistiche visioni future permettono ai protagonisti di superare le fasi difficili della crescita e darle un senso.

G. Simi, Sarà assente l’autore

Giampaolo Simi, non solo comico

di Antonio Stanca

Da poco è comparso l’ultimo romanzo di Giampaolo Simi, Sarà assente l’autore, pubblicato da Sellerio nella serie “Il divano”. È un’opera di carattere umoristico, satirico, Simi fa ironia sulle attuali condizioni della letteratura, della narrativa, della scrittura. Non è dalla parte dei conservatori anzi è moderno, è quanto mai attuale nella sua posizione di autore. Non sopporta, però, le stranezze, gli eccessi che sono sopravvenuti ormai da tempo in ambito culturale, in particolare in quello letterario. Si è giunti ad accogliere ogni novità, dice, fino a trascurare, nella narrativa, il valore di quello che doveva essere il contenuto, la funzione di quella che doveva essere la forma.

Simi è nato a Viareggio nel 1965, qui ha studiato, qui ha cominciato a scrivere di narrativa intorno alla fine degli anni ’90. Già allora alcuni suoi romanzi erano stati premiati ma noto sarebbe diventato nei primi decenni del nuovo secolo con i romanzi pubblicati nella collana “La memoria” della Sellerio. È presente in molte antologie.Molto premiate e molto tradotte sono le sue opere. Ad interessare sono i loro temi che risultano quanto mai attuali, collegati con le varie situazioni, i vari ambienti, i tanti problemi che ultimamente sono venuti a crearsi in ambito individuale e sociale. Simi dà voce alla modernità, ne fa il suo tavolo di lavoro. È pure giornalista, soggettista e sceneggiatore televisivo. È un giocatore di football e un suonatore di chitarra. Molto movimento c’è nella sua vita e nelle sue attività,soprattutto molto ha scritto perché molto ha voluto diredi quanto oggi succede nelle case e fuori, presso i giovani e gli adulti, gli uomini e le donne. È come se si fosse assunto un impegno in questo senso, come se volesse passare al vaglio le condizioni che si sono createdopo che tanta storia è trascorsa. Anche in letteratura o meglio nella produzione letteraria è successo che molto è cambiato e in peggio. Di questo ha voluto dire in Sarà assente l’autore, di cosa significa oggi essere scrittore, di quanto richiede, di come si fa. Tramite il suo personaggio principale, lo scrittore Gianfelice Sperticato che è convinto di essere con i suoi romanzi un esempio della letteratura alta, di quella colta, aulica e che per questo non è accettato, non ha successo, Simi fa vederequanto è avvenuto in questo ambito, mostra come la notorietà, la fama vengano oggi costruite dalle case editrici, dai loro agenti, dai mezzi di comunicazione. Di molto è stata ridotta, quindi, la figura, l’azione, la funzione dell’autore, dello scrittore. La sua può essere anche un’opera che lascia a desiderare, l’importante è che entri a far parte del “giro giusto”, quello necessario a farla diventare famosa, a farle tante copie, produrre tanti guadagni. Un orrore, uno scempio sembrerà a Sperticatouna simile situazione, è gravemente offensiva ritiene nei confronti della tradizione letteraria, di quanto si è sempre inteso per letteratura. Non può lui accettare che sia stata trasformata in un’industria, che quella dello scrittore sia diventata un’attività come ogni altra, priva d’ispirazione, di trascendenza. Continuerà a fare lo scrittore impegnato, ispirato e a raccogliere delusioni, fallimenti. Succederà così finché non s’imbatterà in un direttore editoriale di un’importante e famosa casa editrice, Armando Vinciguerra, che lo convincerà ad accettare le regole del nuovo sistema, a mettere da parte principi, ideali e affidarsi a lui se voleva successo e guadagni. Così sarebbe stato e Sperticato oltre alla notorietà e alla ricchezza avrebbe finito col trovare anche l’amore e la felicità.

La narrazione è carica di umorismo, Simi si è rivelato un abile caricaturista ma lo ha fatto perché gli è sembrato il modo migliore per muovere un duro attacco alla grave situazione che si è creata in ambito letterario. Quello che dice è vero, a soffrire è anche lui ed ha reagito prendendo in giro, schernendo i responsabili di quanto accade. Come le altre anche questa è una crisi senza soluzione, come Simi anche altri autori sono destinati a lottare contro un contesto così corrotto, come la sua anche altre voci sono pronte a levarsi. Lui le ha sollecitate.

AA.VV., Parole per il dialogo

La relazione per il dialogo: un valore per le persone del nostro tempo

di Carlo De Nitti

Parole per il dialogo è il volume, curato da Santo Pagnotta o.p., padre domenicano della Basilica Pontificia di San Nicola di Bari, che offre alla meditazione di chi non vi ha partecipato gli Atti del Corso di aggiornamento in Ecumenismo tenutosi a Bari presso l’Istituto di Teologia ecumenico-patristica “San Nicola” di Bari dall’ottobre 2022 al maggio 2023. Scrive nell’Introduzione al volume Luca de Santis, Coordinatore del medesimo: “Conservare il testi non è solo un’operazione d’archivio, ma una sollecitazione sempre possibile della memoria per continuare a intrattenersi nel dialogo, in un incontro sereno e sempre imprevedibile” (p. 8). Non, quindi, un’operazione di mera erudizione filologica ma di ampio respiro teoretico.

A chi scrive queste righe piace pensare che la preposizione “per” nel titolo del volume abbia sintatticamente valore finale: le parole non possono che avere come loro fine il dialogo, quella pratica cui non può essere estranea quella comprensione dell’umano che nasce solo attraverso la relazione con gli altri e con l’Altro.

Le parole-chiave per il dialogo su cui il Corso si è incentrato – Dio (Carla Canullo), Bellezza (Gianpasquale Greco), Fraternità (Vincenzo Di Pilato), Intrattenersi (Annalisa Caputo) e Tolleranza (Adrien Candiard) – costituiscono altrettanti capitoli che compongono il volume a più mani qui recensito. La relazione dialogica è ontologicamente costitutiva dell’essere dell’uomo: non già, quindi, soltanto un “io” ma un “io”, un “tu” ed un “voi” che, insieme, costituiscono un “noi”. La relazionalità, come dimensione originaria dell’essere umano, è un concetto acquisito sin dal IV secolo a. C. con l’aristotelico “animale politico” e che corre lungo tutta la storia della teologia e del pensiero filosofico (occidentale). poiché l’essenza dell’essere umano è la relazionalità con gli altri e con l’Altro/Dio, l’uomo nasce ‘plurale’.

Una pluralità che è generata dalla bellezza, il cui archetipo è il modello greco del καλὸς καὶ ἀγαθός, transitato nel pulchrum et bonum della tradizione latina e cristiana come scrive Giampaolo Greco (cfr. p. 33), evitando quei fraintendimenti a causa dei quali l’arte ostacola il dialogo: “il principio fondamentale della bellezza come sorgente di dialogo sta nella non sopraffazione, nello scambio e nella necessità di comuni parametri misurativi, quando si sentisse l’esigenza di una comparazione di merito” (p. 73). 

Il dialogo – argomenta con un ampio excursus filologico, nel suo saggio, Carla Canullo – non può che essere quello di Dio (di qualunque religione) con l’uomo: “un dialogo che parte dall’appello che poi in ogni religione Dio lancia ad ogni vivente a partire dal quale ogni altro dialogo diventa possibile” (p. 24) in una dimensione di fraternità, intesa tanto come legame “orizzontale”, quanto “verticale”, ovvero originario, generativo. Scrive Vincenzo Di Pilato: “la fraternità è anche la via per un autentico ecumenismo che sappia riavvicinare i fedeli battezzati in Cristo nella lotta per i diritti civili di ogni uomo e donna sulla terra. A conclusione della sua enciclica “Fratelli tutti”, papa Francesco confessa di essersi sentito sì motivato, in special modo, da s. Francesco d’Assisi, ma anche da altri fratelli come il pastore battista Martin Luther King jr.” (p. 90). 

Nella fraternità, si situa lo spazio dell'”intrattenersi”, come lo denomina il filosofo francese François Jullien e su cui si effonde, nel suo contributo Annalisa Caputo, dopo aver analizzato i modelli di dialogo dominanti in Occidente. L’intrattenersi è in stretta connessione con il dialogo, in quanto entrambi partono da un concetto fondamentale, quello di “scarto”, ovvero “se c’è un ‘tra’, se c’è un ‘attraverso’, ci sarà anche uno spazio di separazione, di divergenza […] Questo Jullien lo chiama: movimento dello SCARTO” (p. 101). Esso è esemplificato paradigmaticamente anche nell’arte: basti pensare alla celeberrima statua di Amore e Psiche di Antonio Canova (1757 – 1822). Essa “ci fa cogliere immediatamente cosa significano scarto e attraversamento” (Ibidem).

Lo spazio che si colloca tra i corpi e le bocche è lo scarto che consente l’attraversamento e l’incontro: ove non ci fosse stato, questo dialogo, questo intimo cercarsi, sarebbe venuto a mancare. “Non ci siamo ‘io’ e ‘te’, io più l’altro o l’altra: perché io mi colgo nella mia distanza, nel mio scarto … solo in rapporto a te; e viceversa” (p. 104).
La necessità dello scarto vale per tutte le relazioni affinché ci sia dialogo: tra uomini, tra culture, tra comunità, tra uomo e Dio. “Dio è zoopoieîn: vita che crea vita. La creazione e l’incarnazione sono un bisogno vitale di Dio stesso” (p. 119). E’ attraverso lo scarto che si consegue quell’intimità che è indispensabile all’in-tra-tenersi, a cui non è estranea la dimensione del dialogo senza parole, il silenzio.

Il dialogo postula la tolleranza, concetto connesso come quant’altri mai, con quello di verità: solo se è definita la verità si può definire ciò che è tollerabile, in religione come in politica. Non a caso, l’autore cita il filosofo empirista inglese Joh Locke (1632 – 1704): la verità – insegna Papa Francesco – al di là dell’indifferenza e del sincretismo, è plurale, perché è sempre connessa con la carità, come asseriva già il filosofo e matematico francese Blaise Pascal (1623 – 1662).” […] se assolutizzo le formule del credo cristiano – che sono e restano vere – se le utilizzo per attaccare qualcuno, se le uso come strumenti di potere per farmi valere sull’altro la verità può diventare un idolo. A questo punto la verità, oggettivamente resterà vera, ma non sarà più niente perché la spoglio della sua divinità se la riduco ad uno strumento con cui impormi” (p. 134).

   A conclusione di questo breve testo, chi scrive queste righe ritiene l’epilogo del saggio di Adrien Candriard e, contestualmente, di questo bel volume, la vera sintesi essenziale del tema proposto: “Il dialogo [anche interreligioso] è molto più centrale perché ci aiuta a vedere che Dio è più grande di noi siamo mai proprietari di Dio […] Quando prendiamo sul serio il fatto di parlare di Dio, si scopre che Dio è già presente nella vita dell’altro e lì mi aspetta […] prendendo sul serio l’altro rispetto a quello che dice a quello che vive posso cercare anch’io Dio” (Ibidem).

Nel rispetto delle idee e delle vite di tutti, perché il dialogo è consustanziale alla condizione umana, la quale non può che esistere nelle relazioni.

J. Fosse, Mattino e sera

Jon Fosse, da tante opere al Nobel

di Antonio Stanca

Giovedì 5 Ottobre a Stoccolma dalla prestigiosa Accademia Svedese il Premio Nobel per la Letteratura 2023 è stato assegnato a Jon Fosse, noto autore norvegese dalle molte qualità e applicazioni. Gli è stato riconosciuto in particolare il merito di aver composto “opere innovative teatrali e in prosa che danno voce all’indicibile”. Nel 2007 gli era stato conferito il titolo di Cavaliere dell’Ordine Nazionale della Repubblica Francese. Dal Daily Telegraph è stato inserito tra i 100 geni viventi. Per meriti letterari ha ottenuto di risiedere con la famiglia, moglie e figli, nella sede reale di Grotten, Oslo. Al 2012 risale la sua conversione al cattolicesimo.

Della sua vasta e varia produzione ancora poco, tuttavia, è stato tradotto in italiano e tra questo rientra il breve romanzo Mattino e sera comparso in prima edizione nel 2019 e in seconda quest’anno sempre per conto de La nave di Teseo e con la traduzione di Margherita Podestà Heir. Fosse lo aveva pubblicato nel 2000.

Nato a Strandebarm, piccola città della Norvegia, nel 1959, ha esordito nella narrativa nel 1983, a ventiquattro anni, con il romanzo Rosso, nero. Ha continuato a scrivere impegnandosi in diversi generi. Oltre che di narrativa ha scritto di poesia, di teatro, di letteratura per ragazzi, è stato saggista e traduttore. In una produzione così vasta non cambiano solo i generi ma anche i modi espressivi, gli stili. Un autore multiplo può essere considerato Fosse, capace di dire molte cose e in molti modi. Anche i motivi, i temi sono tanti ma per questi è possibile ricondurli ad alcuni che ritornano, che appaiono con maggiore frequenza quali il passaggio avvenuto ultimamente dalla vecchia alla nuova generazione, i problemi che ancora adesso sta comportando, le difficoltà insorte nei rapportiindividuali, sociali, negli scambi, nella comunicazione compresa quella in famiglia, nella coppia, le contraddizioni che la segnano e che a volte diventano senza soluzione, il movimento, il flusso che avvienenella coscienza e che porta a ripercorrere il passato, che tiene sospesi tra quanto ricordato e quanto vissuto, traprima e dopo. Sia nella produzione narrativa che in quella teatrale Fosse ha concesso molto spazio a questi problemi. Sono della più recente attualità, di essi diconomolti drammi e molti romanzi. Drammi famosi sono E la notte canta, Io sono il vento, mentre per i romanzi celebri sono diventati i due che compongono Melancholia e i molti della serie Settologia. In molti teatri del mondo vengono rappresentati i drammi, in molte lingue tradotti i romanzi. Premiati sono stati spesso gli uni e gli altri. Grande interesse riscuotono i problemi che svolgono. Anche in Mattino e sera ritornano questi problemi, in particolare quello della famiglia, dei rapporti tra genitori e figli, tra figli, anche qui si verifica quel flusso di coscienza che fa stare tra passato e presente, che fa cadere ogni limite di tempo e di luogo, anche qui compare quella che è la manieraespressiva più ricorrente nel Fosse scrittore, una lingua, cioè, ridotta al minimo, scarna, incisiva, essenziale, fatta non tanto di frasi quanto di parole dirette a cogliere le contrarietà che insorgono nei rapporti, a mostrare quantodi oscuro si agita in fondo all’animo umano, quanto vi rimane di nascosto, di non detto, di non voluto.

Di una famiglia scrive Fosse in questo romanzo, della modesta famiglia di Johannes e della moglie Erna. Vivevano ad Holmen, piccolo centro su una delle tante isole del Mare di Norvegia, e si erano trasferiti in un posto più vicino alla città, nella periferia di questa. Avevano avuto sette figli, avevano fatto molti sacrifici per loro, per provvedere ai loro bisogni ma ora erano tutti adulti, indipendenti, e i genitori, ormai vecchi, in pensione. Improvvisamente, però, succederà che Erna venga a mancare, che muoia lasciando Johannes solo nella piccola casa. Lui era stato pescatore come il padre, il nonno e tanti altri della famiglia. Anche adesso continuava a farlo ma con minore frequenza ed interesse.È diventato vecchio, non si sente sicuro, è poco convinto di quello che fa, che pensa, di come trascorre il suo tempo. Ebbene del tempo di Johannes, di una sola giornata del suo tempo, si compone l’opera del Fosse. Sembra una giornata come le altre ma è diversa. Oltre alla moglie sono morti sull’isola tutti gli amici e vicini di Johannes, lui lo sa ma mentre compie, quel giorno, la solita passeggiata mattutina gli succede di imbattersi nelle persone che sapeva morte. Sono le loro ombre, le loro figure prive di spessore, ridotte a parvenze, senza consistenza, senza corpo. Gli sembra assurdo, incomprensibile. Con loro, tuttavia, quella mattina ha i rapporti di sempre, fa le cose di sempre e questo fino a sera, fin quando non saprà che anche lui è morto, anche se di recente, che anche lui è come loro, senza corpo. Così è tutto nel romanzo. Quello che Johannes vede, le persone con le quali si trova, lui stesso, tutto quanto èsospeso tra ricordo e sogno, realtà e visione, verità e immaginazione, materia e spirito, corpo e anima, vita e morte. È un mondo finito o quasi, è una situazione carica di misteri quella che Johannes scopre anche perché non capisce come a lui sia stato concesso di percorrerla, vederla, entrare nei suoi segreti compreso quello di Dio e del suo rapporto con gli uomini. A lui, alla sua coscienzaè stato concesso di sentire quel flusso che fa rivivere,recuperare, ricostruire il passato suo e degli altri, lo continua, non lo fa finire, lo rende eterno. È la sopravvivenza dello spirito, è l’immortalità dell’anima, èla sua vita eterna quella che Fosse vuole mostrare in questo modo? Alquanto singolare, geniale esso risulta sia perché immaginato nel giro di una sola giornata sia perché capace di indicare una soluzione per un problema così difficile.

AA.VV., La bellezza degli inizi. Pedagogisti in Romagna

La bellezza degli inizi. Pedagogisti in Romagna

a cura di Lorenzo Campioni e Giovanni Sapucci

ISBN: 979-12-80549-30-3

Numero di pagine: 260

La raccolta delle narrazioni su alcuni ‘personaggi’, donne e uomini nostre compagne e nostri compagni di cammino, non vuole essere un ricordo idealizzante ma restituire alla comunità romagnola tracce della sua storia nel settore dell’educazione e della scuola, in cui si formano i giovani cittadini.

Il sistema emiliano-romagnolo di educazione e istruzione, dagli anni Sessanta in poi, è stato frutto, in gran parte, di impegno corale di amministratori, dell’associazionismo femminile e sindacale, di cittadini e di tecnici che ne hanno segnato la storia. Eccellenze non nate come funghi ma prodotto di una comunità, di un pensiero collettivo e frutto di impegno personale.

L’area romagnola è stata un vero crogiolo di fermenti innovativi, in particolare grazie al Centro italo svizzero con Margherita Zoebeli la cui attività ha contribuito in Italia, nell’immediato dopoguerra, alla nascita, alla diffusione e al consolidamento di una pedagogia sperimentale, che ha caratterizzato l’educazione prescolastica e la scuola di base della seconda metà del Novecento.

Una pedagogia che finalmente si affrancava da un indirizzo pesantemente idealista e autoritario per approdare a un nuovo concetto di scienze dell’educazione, basate su ricerche sul campo, sul rinnovamento organizzativo e dei contenuti e sull’impegno civico di immettere e fare vivere una cultura democratica nella scuola, dopo l’epoca di indottrinamento e retorica fascista.

Il nostro intento, oltre a quello di non dimenticare e far conoscere persone a cui il nostro sistema educativo deve molto, è quello di coinvolgere le nuove generazioni di educatrici, insegnanti, pedagogisti, dirigenti – che non hanno vissuto il periodo istituente della scuola media unificata, della scuola dell’infanzia, del nido, dell’inserimento dei primi bambini e ragazzi ‘handicappati’ nella scuola di tutti, del tempo pieno, dei laboratori… – in un’avventura educativa dinamica segnata ogni giorno da un rinnovato impegno personale e collettivo.

La maieutica

La maieutica

di Giovanni Fioravanti

 

Leggo su Education Week l’articolo di un ricercatore, direttore degli studi sulle politiche educative presso l’American Enterprise Institute. Un articolo dedicato alla riscoperta del metodo socratico, che evidentemente pare essere stato dimenticato dalle scuole americane. Possibile che altrettanto valga per quelle italiane, non dispongo di dati in merito, sempre che si praticasse.

Quando studiavo pedagogia alle magistrali la maieutica socratica andava forte, cioè, ci spiegavano, l’arte della levatrice, quella di fare nascere il sapere dal di dentro dell’alunno, del resto l’etimologia di educazione, l’insegnante ricordava, è ex ducere, cioè condurre fuori. Le implicazioni poi di questo modo di concepire il sapere e l’insegnamento si perdevano nella nebbia del nozionismo scolastico.

Insomma, l’idea che il sapere per essere estratto, o meglio, per essere portato a galla, dovesse essere in qualche modo già posseduto, non era oggetto né di riflessioni né di approfondimenti. 

D’altra parte il Socrate che noi si studia è quello che ci ha raccontato Platone col suo iperuranio, le anime che cadono per via dei cavalli imbizzarriti e la conseguente metempsicosi.

Non è che poi ti facevano leggere il Menone, sostanzialmente la dimostrazione pratica di come Socrate metteva in atto attraverso l’arte del dialogo, domanda e risposta, la sua maieutica.

Menone, schiavo illetterato, sollecitato dalle domande del filosofo, giunge a risolvere complessi problemi di geometria. Chi l’ha letto ricorderà che Socrate pone al giovane schiavo un quesito: “Se io ti disegnassi un quadrato, sapresti trovarmi un quadrato dall’area esattamente doppia del primo?” Menone, che nulla sa di geometria, d’istinto risponde: ”Il quadrato con l’area doppia lo ottengo creandone uno nuovo che abbia per lato il doppio del lato del primo quadrato”.

La risposta è sbagliata, ma lo schiavo riflettendo, sollecitato dalle domande del maestro, giunge a dare  quella corretta.

Il dialogo, dunque, è l’esplicazione di come funziona la maieutica socratica. Potremmo dire che Socrate è stato il precursore di ciò che noi oggi chiamiamo problem solving.

Fra parentesi, per coloro che non avessero letto il Menone e fossero curiosi di conoscere la soluzione del problema posto da Socrate, consiglio di disegnare un quadrato e di tracciare le due diagonali, a questo punto la risposta dovrebbe essere intuitiva.

Abbiamo pagine di psicologia e di pedagogia che avrebbero dovuto facilitare la familiarizzazione della didattica con le tecniche del problem solving, rendere naturale il dialogo tra docente e studenti, il saper porre le domande da parte dell’insegnante e il saper ricercare le risposte a sua volta da parte dello studente senza il timore di sbagliare.

La vivacità dialettica non mi sembra un connotato delle nostre classi. Se vogliamo anche per comprensibili ragioni pratiche, come fai a gestire una didattica del dialogo con una classe di venticinque alunni, meno consistenti sono le osservazioni che così facendo non porteresti a termine il programma. Meglio teste ben fatte, per dirla con Morin, che teste infarcite come uova.

Ma la questione è di grande attualità, la formazione al problem solving, la richiede per primo il mercato del lavoro, ma a prescindere da questo, e per evitare critiche di aziendalismo, pensiamo per davvero di poter formare e crescere generazioni di giovani che non abbiano familiarità e confidenza con la problematizzazione della realtà?  Con l’abitudine a ricercare le risposte, accedere alle banche dati, alle fonti del sapere che possono fornire gli strumenti per confezionare le risposte stesse?

Qualcuno ha parlato, ci ha scritto pure, di risveglio della classe creativa, ma è inconcepibile che ci sia ancora chi pensi che il progresso nel sapere, nella conoscenza, nella ricerca scientifica non richieda di sviluppare forti capacità creative, intelligenze capaci di pensare la realtà oltre la realtà stessa, di interrogarla e formulare ipotesi.

Le televisioni commerciali con la creatività ci fanno i soldi. I giovani devono capire ed essere attrezzati a fare della creatività il loro futuro e non soggiogare le loro menti ai prodotti più deteriori della commercializzazione della creatività umana.

La ricerca scientifica consiste nel risolvere problemi, la vita è costituita da problemi da risolvere e, quindi, apprendere a risolvere problemi significa apprendere a vivere, scriveva Karl Popper, come già più di un secolo fa John Deweyteorizzava la didattica per problemi, per non parlare di quello che è venuto dopo nel campo della ricerca. Ma noi abbiamo fatto la scuola dello spirito, la scuola dell’umanesimo dimenticando di allenare e tenere esercitate le menti dei nostri giovani, troppo faticoso.

E qui viene il dunque, che per praticare la maieutica, il problem solving non solo bisognerebbe organizzarsi in maniera differente da come sono strutturate le nostre scuole, e questo è già un problema, perché menti che lavorano hanno bisogno di laboratori, ma bisogna anche essere competenti, essere preparati.

Se non si è mai fatto, nessuno te l’ha insegnato come fai ad averlo imparato.

Forse è questa la ragione vera per cui nelle scuole americane la maieutica non ha radicato, come del resto nelle scuole di casa nostra, la maieutica moderna intendo, il problem solving, quello dell’insight alla Wertheimer.

Noi al massimo pratichiamo la maieutica del fai da te come canta in Spazio Tempo Francesco Gabbani.

La didattica della nostra scuola è ancora quella delle risposte, le risposte da apprendere dalla voce dell’insegnante, dalle pagine dei libri di testo, le risposte da riferire nelle interrogazioni, da esercitare con i compiti, da verificare con i  test, con le prove oggettive a risposta multipla. Ma formulare le domande giuste per interrogarsi e ricercare è tutta un’altra storia.

E allora il metodo socratico diventa complicato, difficile da applicare bene. Il metodo socratico, osserva l’autore dell’articolo a cui facevo riferimento all’inizio, richiede che un insegnante abbia una profonda conoscenza dell’argomento specifico, una biblioteca di analogie rilevanti, una padronanza delle strade che il dialogo può prendere e la capacità di interpretare l’avvocato del diavolo. 

Fare tutto questo bene richiede tempo e pratica, entrambi elementi che scarseggiano per gli insegnanti che corrono per portare a termine il programma, anche questo vecchio retaggio gentiliano. 

Pertanto il problema più grosso che ha la nostra scuola e il suo futuro è quale profilo docente sia necessario progettare. Siamo di fronte a uno di quei casi in cui lo sviluppo professionale, se adeguatamente disegnato può fare una grande differenza. 

Oggi, naturalmente, alla faccia della maieutica socratica e della sua versione più moderna, quasi nessun insegnante ha ricevuto nemmeno un briciolo di tale formazione.

R. Martin, Un gatto nella mangiatoia

Roland Martin, Un gatto nella mangiatoia
Illustrazioni di Mariangela Mariotta
TS Edizioni, Milano 2023 Età di lettura: dai 7 anni 44 pagine
TestMe Font – libro ad alta leggibilità Disponibile anche in e-book
ISBN: 979-12-5471-216-0
Data di pubblicazione: 27 ottobre 2023

La magica notte di Betlemme raccontata da Baruch, micetto randagio

TS Edizioni pubblica, anche in edizione e-book, un nuovo libro della Collana «Gli Aquiloni – Grandi autori per piccoli lettori»: Un gatto nella mangiatoia di Roland Martin, pseudonimo di un affermato autore di romanzi – in Francia – che si cimenta in brevi e divertenti fiabe per bambini che hanno per protagonisti gatti e gatte. Le illustrazioni sono di Mariangela Mariotta, direttrice dello studio Kibo Graphic Design e impegnata da anni nell’editoria per bambini e ragazzi.

«Mi chiamo Baruch. O meglio, così mi ha chiamato mia madre, che amava origliare da una finestra le cantilene di strani uomini dallo scialle bianco e celeste, alle prese con misteriosi rotoli. Una mattina di sabato lo sentì ripetere infinite volte quello strano nome: “Baruch…”. E le sembrò adatto a un micetto con una macchia grigia sulla testa, proprio tra le orecchie. Anticipo di saggezza, pensò lei».
Baruch è un gatto randagio che odia gli uomini, perché da loro riceve solo calci e bastonate. Se ne va dalla città e comincia a vivere randagio in mezzo ai pastori del deserto, rubacchiando e rimediando da loro qualcosa di cui sfamarsi. Finché una notte…
«Arrivai a terra, scivolando lungo una vecchia trave che sorreggeva il tetto mezzo sfondato. La madre sonnecchiava, il padre la teneva tra le braccia, teneramente. Mi avvicinai al piccolo, trattenendo il fiato. Guardai. Il bel nasino, gli occhi chiusi nel sonno, i capelli fini fini, le manine strette a pugno, il respiro appena percettibile. E non so cosa mi prese, ma nella mangiatoia ci entrai».


La fiaba racconta uno dei più grandi misteri della storia sacra attraverso gli occhi di un simpatico gattino senza fissa dimora. La sua voce narrante incanta grandi e piccoli e trasporta i lettori nella magia della notte di Natale e dei tempi successivi…

«Una sera, prima di dormire, mi volle vicino e mi sussurrò nell’orecchio: “Baruch, ti voglio bene”. Rimasi pietrificato! Come poteva sapere il mio nome? Come poteva conoscere Baruch, il gatto matto, reietto e un poco ladro che aveva osato infilarsi nella mangiatoia?
“Baruch – mi disse ancora (e fu allora che mi accorsi che parlava la lingua dei gatti) – sono venuto anche per te. Perché anche ai gatti è concesso il Paradiso”.
Io sono un gatto ignorante, matto e disprezzato, e onestamente non so cosa sia il Paradiso. I gatti anziani dicono che sia un posto in cielo dove si va a stare bene, ma nessuno conosce la strada. Sta di fatto, bimbo bello, che il mio angolo di cielo è qui con te, vicino alla tua mangiatoia fatta culla. Tra le tue braccia, che mi stringono al cuore».

La penna raffinata di Roland Martin firma un’avventura scoppiettante di umorismo che incanta e diverte, sapientemente incastonata nelle vivaci illustrazioni di Mariangela Mariotta.

«Gli Aquiloni, grandi autori per piccoli lettori» è una collana narrativa di libri per bambini firmati dai più accreditati autori per l’infanzia del panorama italiano e internazionale e racconta emozioni, avventure, misteri e mondi fantastici in una collana di racconti a misura di bambino accompagnati dalle tavole a colori di famosi illustratori per un primo approccio alle questioni importanti del «diventare grandi». Oltre al rigore dei contenuti, la collana si caratterizza per l’attenzione alla qualità dell’illustrazione e per l’impegno educativo attento alle problematiche sociali.

Il testo è stato impaginato con TestMe, una font «libera», work in progress, basata sui principi del Design for All e sulle ricerche nell’ambito della dislessia a cura dei professori Luciano Perondi e Leonardo Romei.

G. Capurso, La passione e le idee

La Puglia antifascista e la costruzione dello stato autoritario in Italia

di Carlo De Nitti

Se è vero che – come chi scrive queste righe ritiene che sia – “la politica fa la storia e la storia ricostruisce la politica”, come recitava tanti anni fa uno slogan ‘pubblicitario’ di una notissima editrice, è di sicuro interesse accostarsi al recentissimo volume di un valente e documento saggista come Giovanni Capurso, La passione e le idee. La Puglia antifascista da Giuseppe Di Vagno a Giacomo Matteotti, che ha visto la luce a Bari nell’ottobre 2023 per i tipi di Progedit.

In questo volume, l’Autore ricostruisce, da storico, la politica di un secolo fa: esso è la prosecuzione diretta del suo precedente La ghianda e la spiga. Giuseppe Di Vagno e le origini del fascismo, pubblicato dalla medesima casa editrice barese nel 2021, ma anche ideale di Due Maestri del Sud: Gaetano Salvemini e Giovanni Modugno per i tipi della casa editrice coratina SECOP, nell’ambito del progetto <Caro don Gaetano…>.

In questo volume, Lo sguardo dello storico si allarga dalla figura, centralissima nel precedente, del deputato socialista conversanese Giuseppe Di Vagno (1889 – 1921) al clima storico-politico in Puglia ed in Italia che seguì al suo delitto fino a quello, posteriore ma parallelo, di Giacomo Matteotti (1885 – 1924).

Nei quasi tre anni che intercorrono tra i due delitti – dal settembre ’21 al giugno ’24 – si afferma in Italia la dittatura fascista, che si continuerà a consolidare fino alle cosiddette “leggi fascistissime”.

Le biografie culturali e politiche di Giuseppe Di Vagno e di Giacomo Matteotti mostrano sicuramente molte analogie (non a caso, Giovanni Capurso cita lo storico greco Plutarco e Vita parallele è proprio il titolo del primo capitolo del volume), ben prima della comune la loro tragica fine per mano squadrista, a Mola di Bari come a Roma.

Dopo l’assassinio di Giuseppe Di Vagno, la Puglia diviene un laboratorio politico sulla via della costruzione di uno Stato autoritario – ancorché ammantato dalla formale vigenza dello Statuto Albertino – in cui naufraga quella “pacificazione nazionale” cui Benito Mussolini prova a giungere, impedito in ciò dallo squadrismo più facinoroso e violento, di cui pure aveva politicamente bisogno.

E’ bene non dimenticare che la Puglia fu uno dei luoghi d’Italia in cui maggiore fu la resistenza delle forze politiche espressione del movimento operaio all’affermazione del Partito Nazionale Fascista e del Fascismo come Stato autoritario. Come non rammemorare l’assedio della Camera del Lavoro di Bari Vecchia, nell’agosto del 1922, la resistenza strenua, tenace, che fu opposta dai lavoratori e dai dirigenti sindacali alle violenze squadristiche? La Camera del Lavoro di Bari fu, nel luglio 1922, sotto la guida appassionata e fattiva di Giuseppe Di Vittorio (1892 – 1957), già deputato al Parlamento, l’ultimo baluardo contro lo squadriamo fascista, che poco dopo avrebbe preso il potere con la marcia su Roma ed il relativo incarico, conferito da Vittorio Emanuele III a Mussolini, di formare il governo, sostituendo l’inetto Gabinetto Facta.

Il punto di vista privilegiato di Giovanni Capurso è la situazione pugliese, che scandaglia con precisione e perizia attraverso l’utilizzo analitico della documentazione d’archivio e delle parole e degli scritti dei protagonisti di quei “tumultuosi” anni, in Italia come in Puglia (da Giuseppe Caradonna ad Araldo Di Crollalanza, da Gaetano Salvemini ad Antonio Salandra, da Tommaso Fiore ad Antonio Lucarelli), ma anche della stampa locale e nazionale.

Sintetizza Giovanni Capurso: “A grandi linee di potrebbe affermare che, mentre i fascisti settentrionali provenivano in larga parte da una cultura politica antisocialista e anticentralista, quelli del sud erano statalisti e governativi” (p. 67).

Tra di essi, emerge nel testo la figura di Araldo Di Crollalanza (1892 – 1986), che, negli anni seguenti fu Ministro dei lavori pubblici e Senatore della Repubblica fino al decesso: egli “era un uomo riservato, altero ma non altezzoso. Era, poi, un uomo estremamente rispettato per le sue doti di mediatore e per la sua solida formazione professionale di giornalista; amava lavorare sottotraccia, non vantava particolari clientele personali né aveva mai partecipato a spedizioni punitive” (pp. 69 – 70). Caratteristiche che, unite all’onestà personale (come scrisse alla sua morte Giuseppe Giacovazzo, su <La Gazzetta del Mezzogiorno> che dirigeva) gli sono valse l’elezione prima come consigliere comunale di Bari ed ininterrottamente come Senatore della Repubblica nel Collegio di Bari dalla II alla X Legislatura.

A chi scrive piace concludere questo breve testo con le parole di Antonio Lucarelli (1874 – 1952), pronunciate il 10 giugno 1925, in occasione del primo anniversario dell’assassinio di Giacomo Matteotti: “Giuseppe Di Vagno e Giacomo Matteotti, nella luce del martirio sono morti da socialisti, all’avanguardia della classe operaia italiana per il riscatto del lavoro, dell’oppressione dell’agraria e del capitalismo coalizzati. Ma io, sul corrusco dell’inferno e sull’etereo cielo, giuro e accetto e dico a voi tutti, qui, questa sera, convenuti, che non saranno dimenticati” (p. 112).

Invero, gli assassini di Di Vagno e Matteotti non furono mai puniti, anche nei processi celebrati dopo l’avvento della Repubblica a causa dell’amnistia voluta dall’allora Guardasigilli, Palmiro Togliatti (1891 – 1964). Sul vaticinio di Antonio Lucarelli, a chi scrive queste righe spiace constatare, nel tempo presente (gli ultimi trenta/quaranta anni?) – a distanza di quasi un secolo, forse a causa dei tanti rivolgimenti storico-politici avvenuti – una forma di amnesia del passato è avvenuta, vivendo oggi un’epoca sempre più contraddistinta da un antistorico presentismo e da un finto nuovismo.

Altresì, non vi è chi non veda in questo testo – di cui qui si è qui solo rapidamente cercato di dare ragione – un ottimo “sussidio” per l’insegnamento della storia (vero caposaldo per la trasmissione della “memoria”) nell’ultimo anno di scuola secondaria di secondo grado, coniugando esso la storia del “manuale” con la monografia di approfondimento di storia (anche) pugliese ed ampliando il discorso, “saccheggiando” la ‘bibliografia essenziale’ (pp. 117 – 123) che correda il volume.

Chi scrive, operatore della scuola da quasi quaranta anni, opina che un testo quale quello di Giovanni Capurso, La passione e le idee. La Puglia antifascista da Giuseppe Di Vagno a Giacomo Matteotti sia un eccellente abbrivo per percorsi di educazione civica ai sensi della L. 92/2018, che reintroduce l’educazione civica nelle scuole: itinerari storico-politico-culturali che non possono non coinvolgere un altro “martire laico” della politica: Aldo Moro (1916 – 1978).

G. Genisi, Spaghetti all’Assassina

Gabriella Genisi, un nuovo “giallo”

di Antonio Stanca

    Recentemente è stato riedito da Feltrinelli, su licenza Marsilio, il romanzo Spaghetti all’Assassina di Gabriella Genisi. È il quinto della serie di polizieschi “Le indagini di Lolita Lobosco”, scritta dalla Genisi a partire dal 2010 e ambientata in Puglia. Un’altra serie, ambientata nel Salento, ha avuto inizio nel 2019 e suo protagonista è stato il maresciallo Chicca Lopez. 

   La Genisi è nata a Bari nel 1965. Ha cominciato a scrivere quando aveva poco più di quaranta anni e molto ha prodotto se si pensa alle numerose opere che compongono le due serie. A renderla particolarmente nota è stata la prima, quella interpretata dal commissario Lolita Lobosco. Ha avuto una trasposizione televisiva, molte traduzioni e ha fatto della protagonista un personaggio amato e seguito.

   La Genisi vive tra Bari e Parigi. Molto si applica nel suo lavoro di scrittrice, molti riconoscimenti ha ottenuto, molto si è distinta. Anche se rientra nel genere “giallo” diversa è la sua narrativa innanzitutto per la Lolita che riesce a fare il commissario e tante altre cose, a dividersi in molti sensi, a far rientrare nella sua vita il lavoro, l’ufficio e tutto quanto è proprio di una donna, di una bella donna. Si comincia con la casa, i familiari, gli amici, le uscite, le cene, gli amori e si finisce con la vita intima, quella dell’anima, quella che conosce quando è sola, in pena, quando non ha nessuna delle certezze proprie del suo lavoro. A niente rinuncia la Lobosco, tutto quanto è della vita è anche suo senza sforzo, con semplicità, con naturalezza. È una figura di commissario diversa dalla solita. È più nuova, più completa, più affascinante, più seducente. Attira fin dall’inizio di ogni opera e non finisce mai di farlo. La si insegue ovunque vada siano posti richiesti dal suo lavoro siano altri voluti dalla sua altra vita. Si ha così, come in questo romanzo, la possibilità di conoscere quelle parti, quelle zone di Bari e dintorni che non sono abbastanza note, che sono rimaste quasi sconosciute. Gli spostamenti, gli inseguimenti, i pedinamenti, le frequentazioni, gli appuntamenti, le visite, gli incontri, gli scontri che la Lolita compie quasi senza sosta svelano una città infinitamente ricca di case, di strade, di piazze, di chiese, di persone, di cose, di usi, costumi ma anche di malavita, una città meravigliosa per la sua posizione tra Occidente e Oriente, il suo mare, le sue vedute, i suoi tramonti, le sue luci, i suoi colori ma anche pericolosa per quanto di sospetto, di oscuro, di violento vi si cela. Una città bella ma anche brutta, buona ma anche cattiva. Insieme al commissario, che procede nel suo lavoro e nella sua vita, tutto si muove nei romanzi della Genisi che bene riesce a rendere un ambiente così vasto e vario, così dinamico. Una rivelazione sembra che compia e con un linguaggio svelto, sempre mosso, sempre animato da un’intenzione, un pensiero, un programma, sempre in cerca d’altro. Non è solo il personaggio di Lolita ad aver reso famosa la Genisi ma anche il suo stile, la sua forma espressiva. Molto riesce a dire pur in poche righe: interno ed esterno, vicino e lontano, uguale e contrario, detto e pensato riesce a far rientrare nelle stesse parole, a far succedere nello stesso momento. Virtù e vizio, verità e menzogna, bene e male sono elementi sempre presenti nelle narrazioni della Genisi, elementi che si rincorrono, si alternano, si combattono, si sovrappongono ma non cessano di esistere, di agire. In Spaghetti all’Assassina il caso che ha messo in moto tutto quanto è stato l’efferato omicidio di Colino Stramaglia, noto proprietario del famoso ristorante “Al Ciuccio”, nella parte vecchia di Bari, dove è possibile gustare “gli spaghetti all’Assassina”, il piatto più prelibato della cucina barese, il più famoso. Stramaglia è diventato molto ricco col suo locale ma si è pure concesso a vizi come quello delle donne e attività clandestine quali il prestito di denaro ad usura. Trovato ucciso nel suo ristorante, la polizia e in particolare il commissario Lobosco iniziano con le loro indagini. Dai primi accertamenti la vicenda sembra piuttosto complicata. Molto si scopre, di molto si sospetta, molto si fa ma non si intravedono vie d’uscita. Inaspettatamente, però, succederà che la Lobosco intuisca un collegamento, abbia un sospetto che si rivela fruttuoso e che porta alla soluzione del caso. I giornali ne parleranno, la sua fama crescerà ma non cancellerà quegli scontenti, quelle insoddisfazioni che le sono proprie, che l’hanno accompagnata per tutta l’opera e che l’avrebbero fatto per tutta la vita confermando quanto complessa fosse la sua figura, come insieme al commissario ci fosse pure la donna. È l’altro dei motivi che fanno di Lolita un personaggio d’eccezione e della Genisi una scrittrice di culto.

M. Ianni, Se la sicurezza ce l’hai come materia di studio sei al sicuro

Scuola: “Se la sicurezza ce l’hai come materia di studio sei al sicuro”

Disponibile la nuova guida di Maura Ianni dedicata a buone pratiche per educare alla sicurezza. Spunti educativi per chi nelle scuole si occupa di sicurezza, che fanno del coinvolgimento di insegnanti, personale e ragazzi un elemento fondamentale, partendo dalla condivisione delle informazioni.

Milano 20 ottobre 2023 – Parola d’ordine? Sicurezza. Questo l’elemento fondante del libro di Maura Ianni dal forte orientamento pratico: se è opportuno, infatti, raccontare la parte teorica di ciò che salvaguarda la salute dei più piccoli in ambiente scolastico, è ancora più essenziale stilare un decalogo di sane abitudini.

Sicurezza è un concetto fondamentale che riguarda ogni ambito della vita sin dall’età evolutiva. Basti pensare alle norme di sicurezza nelle scuole, nei luoghi di divertimento, nei luoghi di sport, sul web e in strada, per comprende la centralità della promozione di una cultura della sicurezza sin dai banchi di scuola.

La sicurezza nell’era globalizzata e supertecnologica dovrebbe essere inserita come materia di studio in ogni fase del percorso scolastico.

La sicurezza è strettamente legata al concetto di qualità della vita: più si rendono consapevoli gli individui delle norme di sicurezza più la qualità di vita all’interno di un contesto è garantita.

Maura Ianni parte dalla correlazione tra percezione del rischio e concetto di sicurezza:

“Oggi parliamo di una vera propria pedagogia del rischio […] L’educazione al rischio è legata all’educazione emozionale che rende capaci di segnare i propri limiti e di valutare le proprie risorse Giocare a giochi rischiosi in sicurezza (oscillare, arrampicarsi, rotolare, sospendersi, scivolare) è essenziale per sviluppare le capacità motorie, l’equilibrio, la coordinazione e la consapevolezza del corpo, ma anche per mettersi alla prova e sperimentare la propria capacità di tollerare la frustrazione e apprendere dalle esperienze”.

Nel suo testo l’autrice presenta inoltre il protocollo Ossesapp. Il protocollo, da poter utilizzare nelle scuole con gli alunni di ogni ordine e grado, fonda le proprie radici su tre concetti educativi fondamentali: educare alla sicurezza per formare individui consapevoli dei propri limiti e delle proprie risorse, educare nel rispetto di sé, degli altri e del mondo che ci circonda, educare al concetto rischio/sicurezza nella sua eccezione individuale e collettiva.

Il protocollo prevede una metodologia basata sul “gruppo esperienziale” concepito come nicchia ecologica, uno spazio significativo per lo sviluppo di nuove competenze e un ambiente ricco di stimoli fisici, affettivi e relazionali.

“Se la sicurezza ce l’hai come materia di studio sei al sicuro” (Buone pratiche per educare alla sicurezza) di Jolly Roger Edizioni

Informazioni biografiche

Laureata in psicologia clinica e di comunità, Specializzata in Psicoterapia Psicoanalitica, Specializzata in Psiconcologia, Specializzata in psicologia Giuridica. Docente a contratto di Psicologia Generale Università Tor Vergata Roma. Docente di Teorie e tecniche delle dinamiche di gruppo Scuola di specializzazione APA Chieti. Docente di Psicologia della creativià, Scuola Superiore per mediatori Linguistici Salerno, Istituto Teseo Alta Formazione e Ricerca. Docente in diversi corsi (OSS, ASO, Badanti e Baby Sitter). Consulente Coordinatore comunità residenziali per anziani. Consulente Formatore per Cooperativa Sociale Gialla. Attività di psicoterapia psicoanalitica individuale e di gruppo. Membro Esperto Corecom Lazio. Membro del Direttivo Confederazione AEPI, Coordinatrice Gruppo Imprenditrici e Libere Professioniste sul tema del Lavoro al Femminile. Membro Direttivo Associazione OARI, Referente Formazione, Referente Pastorale della Salute CEI. Coordinatrice sessione Psicologia per il Forum Internazionale del Gran Sasso. Ideatrice del Vocabolario SalvaMente al tempo del Coronavirus, del Vocabolario del Pensiero Glocal, del Vocabolario dell’Armonia, del Vocabolario Psiconcologico SalvaMente al tempo del Coronavirus per la promozione dell’ALFABETIZZAZIONE PSICOLOGICA, del Vocabolario SalvaMente della Fantasia. Curatrice di una Rubrica di Psicologia per la Rivista On line VITA. Curatrice di una Rubrica di Psicologia per la Rivista La Finestra sul Gran Sasso. Autrice di diversi articoli pubblicati in varie riviste. Conduttrice di Gruppi Esperienziali in ambito Sanitario, Sociale, Imprenditoriale. Ideatrice del Protocollo INCONPER per la valorizzazione del gruppo in ambito lavorativo e per la Sicurezza Psicologica sul Lavoro. Particolare capacità di progettare interventi in ambito Sociale, Sanitario e Lavorativo per il miglioramento della Qualità della Vita e la promozione di una Cultura psicologica per la Prevenzione del Disagio Psichico e per la promozione di un Processo di Alfabetizzazione Psicologica sulle buone pratiche per una efficace promozione della Salute Mentale. Capacità di lavorare in Gruppo, con il gruppo e per il gruppo.

Link di vendita online:

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https://www.ibs.it/se-sicurezza-ce-hai-come-libro-maura-ianni/e/9788831938914

Dettagli prodotto:

Editore: Jolly Roger edizioni

Collana: Salute e benessere

Lingua: ‎ Italiano