P. Handke, Infelicità senza desideri

Peter Handke, in fondo all’anima

di Antonio Stanca

   Infelicità senza desideri è un romanzo dello scrittore austriaco Peter Handke. Risale al 1972 e di recente ha avuto una nuova edizione per conto di Guanda Editore nella serie “Narratori della Fenice”. La traduzione è di Bruna Bianchi.

   Handke è nato a Griffen, Carinzia, nel 1942. Nel 2019, quando aveva settantasette anni, ha vinto il Premio Nobel per la Letteratura dopo che altri riconoscimenti gli erano stati attribuiti. Ora ha ottantadue anni e molto ha fatto durante la lunga carriera di autore. Aveva cominciato giovanissimo, intorno agli anni ’60, e suo primo interesse era stato il teatro, era venuta poi la narrativa, quindi la poesia, la saggistica, la diaristica ed infine la sceneggiatura e la regia. Contrario, ribelle a quanto giungeva dalla tradizione si era mostrato all’inizio sia come drammaturgo sia come scrittore e poeta. Soprattutto riguardo ai modi espressivi, al linguaggio, ci aveva tenuto a sperimentare nuove forme, aveva rinunciato a quelle convenzionali convinto che non erano adatte ad esprimere la profonda interiorità, la segreta intimità dell’animo umano. Altri mezzi, altri sistemi servivano per verità tanto insolite, tanto fuori dal comune. Era giunto a pensare, Handke, che le parole non fossero sufficienti a tale scopo e che più adatti fossero i suoni, i colori, le immagini, le visioni. Da qui il suo amore per il cinema. Sarebbe stato il regista delle riduzioni cinematografiche di alcuni suoi romanzi.

   Col tempo, però, ridurrà questo atteggiamento polemico nei riguardi della tradizione culturale, letteraria o altra, e accetterà, anche se non completamente, quanto da essa proveniva. Il suo spirito, tuttavia, rimarrà inquieto, ribelle. Convinto, ad esempio, sarà sempre che a far sapere dei problemi dell’anima, dei travagli dello spirito nessuno può riuscire meglio di chi li patisce. Da qui la maniera, propria di questo autore, di fare dei personaggi, degli interpreti dei suoi romanzi, del suo teatro, del suo cinema, gli osservatori, i giudici di sé stessi. Sono loro a rivelare, confessare, valutare quanto avviene al loro interno, i propri pensieri, i propri sentimenti, e modo migliore per farli conoscere a chi legge un libro o assiste ad uno spettacolo non sembra possibile all’Handke. Secondo lui è il più autentico, il più convincente e famosi sono diventati così i personaggi di tante sue opere. Possono essere uomini o donne, quel che conta è la pena venuta loro dalla vita, il pericolo nel quale sono andati a finire, i rischi che stanno correndo, l’inutilità dei rimedi. Dei loro drammi vuole far sapere Handke e in un modo quanto mai aderente a quel che è successo o sta succedendo. Così sarà pure in Infelicità senza desideridove la situazione è autobiografica. Quando aveva ventinove anni, nel 1971, Handke aveva perso la madre perché morta suicida. Era rimasto così sconvolto da pensare subito di scrivere dell’accaduto, di ricavarne una narrazione. Lo farà con quest’opera dell’anno successivo, ricostruirà per intero la vita della madre dalle origini, nella Carinzia slovena, alla fine. Comincerà da quando era bambina e finirà quando era diventata madre di quattro figli, dei quali uno alcolizzato come il padre che era in sanatorio, quando aveva cinquantuno anni e continui problemi economici, quando un caso disperato era ormai il suo. Come in altri casi dell’Handke autore anche lei aveva creduto molto nella vita, nella forza d’animo, nella volontà, nel successo. Era convinta che le spettassero situazioni, relazioni, persone di rilievo, lontane dalle ristrettezze, dalla povertà della sua casa. Per questo era andata in città quando era giovanissima. Si era adattata a svolgere lavori molto modesti ma non aveva smesso di nutrire le aspirazioni che le erano proprie, quelle che ora la portavano a partecipare della vita, del movimento intorno a lei, a coltivare amicizie, frequentare locali pubblici, stare in compagnia, fare tardi la sera. Era giovane, era bella, si sentiva animata, spinta dalla situazione che stava vivendo in città, dai posti, dalle persone che frequentava, dai loro discorsi, dai loro modi di fare. Era l’inizio di quella vita che voleva, che non avrebbe mai smesso di perseguire e per la quale avrebbe affrontato qualunque sacrificio considerandolo un ostacolo momentaneo, un arresto provvisorio in quello che doveva essere il suo vero percorso. Succederà, invece, che di ostacoli, di arresti se ne presentino tanti, che diventino molti, che la guastino nel corpo e nello spirito, che la portino a voler stare sola, lontana dal marito, dai figli, ad ammalarsi, a farneticare, a darsi la morte. Diventerà un altro dei tormentati personaggi di questo scrittore e come quelli la si vedrà bisognosa di confessare i suoi dolori, di farli sapere a tutti, di mostrarsi disperata per quanto non aveva ottenuto, delusa, offesa da circostanze che non aveva previsto. Sola era rimasta, spaventata, atterrita, niente aveva avuto di quanto sperato. Nessuna differenza c’era ormai tra il suo stato e quello proprio della morte. Sceglierà questo.

   Neppure come figlio Handke aveva rinunciato a fare da spettatore dei suoi personaggi. Così gli è sembrato di riuscire meglio a dire della vita, di quanto di grave vi può succedere, lo fa dire a chi la vive, fa come in quel cinema che tanto ama.