G. Colombo e L. Segre, La sola colpa di essere nati

Insieme nella Giornata della Memoria

di Antonio Stanca

   Ultimamente in occasione della Giornata della Memoria è comparsa, allegata a “TV Sorrisi e Canzoni”- Periodici Mondadori- e su licenza Garzanti, un’edizione speciale dell’opera La sola colpa di essere nati di Gherardo Colombo e Liliana Segre. È un lungo dialogo che si svolge tra i due e che vede lui impegnato a chiedere di momenti particolari nella vita della Segre, e lei intenta a ricordare le gravi situazioni patite, insieme ai suoi familiari, a causa delle Leggi Razziali del 1938 e della deportazione ad Auschwitz nel 1944. La loro condizione di ebrei li aveva fatti diventare vittime di quegli eventi.

   Colombo è stato magistrato per molti anni e dal 2007 è entrato a far parte dell’associazione “Sulle regole”. La sua collaborazione consiste nel promuovere momenti di osservazione, di riflessione sull’importanza, il significato delle leggi, della giustizia. Ha settantotto anni mentre la Segre ne ha novantaquattro. Entrambi provengono dal Nord Italia, Colombo da Briosco (Monza-Brianza), Segre da Milano. Non era la prima volta che s’incontravano, che si fermavano a parlare ma stavolta il loro incontro è durato più a lungo, i loro discorsi sono stati più completi, hanno seguito un percorso più preciso, hanno rispettato tempi e luoghi, sono stati motivo di un’opera vera e propria. Di questa si può dire come di una ricostruzione storica di quanto è avvenuto in Italia e fuori dal momento delle Leggi Razziali (1938) alla fine della seconda guerra mondiale e dopo. Che si sia ottenuto tanto tramite una conversazione tra due amici non è da poco. Facili, semplici sono i loro discorsi, a chiunque permettono di accedere a quella fase della storia d’Italia e d’Europa che tanto travagliata è stata. È questo il merito maggiore dell’opera: si parla di grandi e gravi avvenimenti, li si chiarisce, li si spiega in ogni loro aspetto e con un linguaggio che non diventa mai difficile, che mai si complica. È il risultato positivo dell’ennesima testimonianza che la Segre, sopravvissuta ad Auschwitz, rende riguardo alla sua vita. Mentre dice di sé dice della storia che le si verificava intorno. Nel 1938, quando aveva quattro anni e viveva con il padre e i nonni a Milano, era stata espulsa dalla scuola elementare a causa delle Leggi Razziali; nel 1943-44 era fuggita da Milano insieme al padre, erano stati scoperti, arrestati e mandati ad Auschwitz dove lui sarà ucciso; anche per i nonni, arrivati dopo, sarebbe stato così mentre per puro caso lei sarà più volte risparmiata e malvestita, malnutrita, continuamente umiliata, sempre utilizzata in una fabbrica di armi, riuscirà a resistere alla tremenda situazione finché, ai primi del 1945, non arriveranno le forze alleate e i tedeschi fuggiranno portando i prigionieri in Germania, in un altro campo di concentramento. Sarà un viaggio a piedi, lunghissimo, durissimo, molto faticoso per la piccola Segre. Lo aveva, però, affrontato con un certo entusiasmo, con quel coraggio che a volte emerge nei momenti estremi. Nel 1945 era finalmente rientrata in Italia, a Milano, fra i parenti. Aveva quindici anni ma ce ne sarebbero voluti molti altri perché si ambientasse, si ritrovasse tra la sua gente, i suoi posti, le sue cose. L’esperienza vissuta era stata così grave da averla sconvolta, da non permetterle un facile recupero delle sue capacità fisiche e mentali. Non ci riusciranno neanche eventi come il matrimonio, i figli, i nipoti, e solo dopo molto tempo, intorno al 1960, mostrerà segni di ripresa. Fino allora aveva pure evitato di parlare di quanto sofferto poiché la faceva star male. Poi le attenzioni di chi le era vicino, le cure di medici specialisti, l’avevano convinta della necessità di aprirsi agli altri, confidarsi. Lo avrebbe fatto, avrebbe parlato del suo passato, agli inizi con molte difficoltà, dopo con sempre maggiore sicurezza. Sarebbe successo in molti posti, scuole, università, centri di studio italiani e stranieri, biblioteche, locali pubblici, sedi di associazioni politiche. Molto seguita, molto rispettata, molto onorata sarebbe stata. Molti riconoscimenti avrebbe ottenuto. Nel 2018 sarebbe stata nominata senatrice a vita.

   Ogni volta, però, dopo ogni intervento, ogni testimonianza, si riprometteva di non accettare nessun altro invito. Anche per quest’ultima tenuta di fronte al giudice Colombo non si era mostrata particolarmente propensa. Ma ancora una volta aveva ceduto, aveva accettato di parlare, di dire di sé. Colombo l’ha ascoltata, l’ha sollecitata, le ha posto molte domande, ha puntualizzato molti argomenti, ha apportato il contorno necessario a fare delle rivelazioni di lei un quadro ordinato, completo.

    In verità, ha spiegato la Segre nel libro, se prima dire della sua vita la faceva soffrire ora la fa stare meglio. È come se si fosse accorta che le sue confessioni possono essere utili, possono far capire quanto sia importante la solidarietà, la partecipazione, l’aiuto, a quanti vantaggi possono portare e a quanti svantaggi l’odio, la violenza. Lei è stata vittima dell’odio, della violenza e parlarne, farlo sapere, può convincere a rifiutare, condannare simili comportamenti, a non imitarli, a fare del bene al posto del male.

    Sempre umile, modesta, generosa è la sua posizione, sempre al bene che si può ricavare è rivolta anche quando c’è stato tanto male, quando lo ha sofferto direttamente.