Istruzione tecnica vs istruzione liceale: sembra che al Governo vogliano tutto e il contrario di tutto

da La Tecnica della Scuola

Di Reginaldo Palermo

Istruzione liceale vs istruzione tecnica: la contrapposizione va avanti da decenni, anzi dovremmo dire da un secolo, perché risale addirittura alla riforma Gentile che, proprio in questo periodo, compie cent’anni di vita.

Il tema è sempre il solito: i licei, almeno nelle intenzioni, dovrebbero fornire una formazione culturale molto ampia e “utilizzabile” nei più diversi contesti; i tecnici, dal canto loro, offrono (o dovrebbero offrire) una preparazione più specifica ma più facilmente “spendibile” nel mondo del lavoro.
Anche se poi le cose vanno un po’ diversamente, soprattutto perché il “mercato del lavoro” funziona secondo regole proprie.

La stessa Presidente del Consiglio Giorgia Meloni lo ha rimarcato in queste ore affermando“C’è difficoltà da parte delle aziende di trovare lavoratori qualificati. Si tratta di una questione culturale, come se l’istruzione tecnica fosse di serie B e per essere una persona di un certo livello si dovesse fare il liceo”.
Ma, quando parla del rilancio delle nostre eccellenze, la Presidente fa una affermazione che stride un po’ con le premesse e ricorda che per raggiungere l’obiettivo è stato istituito un percorso che “abbiamo chiamato liceo Made in Italy”.
La domanda sorge spontanea: ma se l’istruzione tecnica non è di serie B, perché mai il nuovo percorso è stato chiamato liceo?

Se poi torniamo alle dichiarazioni della sottosegretaria Paola Frassinetti all’indomani delle iscrizioni, la nostra confusione aumenta.
Parlando del liceo classico, in una intervista rilasciata alla Gazzetta del Mezzogiorno Frassinetti aveva detto: “È una scuola che prepara ad intraprendere ogni via, offrendo una solida base formativa e culturale. Purtroppo, i dati sulle iscrizioni per il prossimo anno scolastico evidenziano un calo di questa tipologia di scuola, soprattutto al Nord. Al Centro-Sud, invece, il Liceo Classico regge ancora. Per questo motivo, intendiamo proporre dei progetti per rimettere lo studio del latino nelle scuole secondarie inferiori. Non possiamo permettere che vada dispersa la tradizione di una scuola così importante, che ha formato intere generazioni di classe dirigente”.

Riassumendo: bisogna rilanciare l’istruzione tecnica perché non è un è una scuola di serie B, ma i nuovi percorsi del made in Italy è meglio chiamarli licei; evitando però che il glorioso liceo classico dove si traduce Erodoto e si dove si studia Cicerone perda alunni. Se poi già alle “medie” si inizia a tradurre un po’ di Giulio Cesare è ancora meglio.
Il programma è chiaro: tutto e il contrario di tutto, in modo da non scontentare nessuno, né i patiti del made in Italy come Lollobrigida né i gentiliani come Paola Frassinetti. Se poi si riesce anche a strizzare l’occhio a chi vorrebbe tornare alla vecchia scuola media degli anni ’50 (come Mastrocola e Ricolfi) si fa davvero “bingo”.

Educazione al “saper vivere insieme” per integrare la diversità

da La Tecnica della Scuola

Di Pasquale Almirante

A sopperire alla scarsa natalità italiana, come è noto, ci stanno pensando gli stranieri che sempre più numerosi frequentano le nostre scuole dove però il più delle volte essi partano svantaggiati, sia per la limitata conoscenza della lingua e sia per quella astrusa problematica relativa alla cultura e all’etnia (compreso il colore della pelle) di cui sono portatori.

Non ci impelaghiamo nel dibattito leghista sugli stranieri, né sulle scandalose prese di posizioni relative al caso della scuola di Pioltello alla quale viene contestata l’autonomia didattica, ma sarebbe opportuno che intorno alla accettazione e al rispetto della reciproca diversità a scuola si aprisse un dibattito sereno e ampio, anche perché è sui banchi che si apprendono le prime nozioni di convivenza, mentre il suo fine principale è proprio educare alla cittadinanza.

E se per un verso ci viene in contro la grande suggestione di Edgar Morin (I sette saperi) sull’insegnamento della “identità terrestre”, dall’altro ci pare opportuno riproporre la discussione avviata anni addietro di dedicare un’ora di insegnamento a settimana al “saper vivere insieme”. Che potrebbe essere una nuova disciplina tra quelle opzionali e che i ragazzi dovrebbero studiare.

E può sembrare una buona idea se il Ministero riuscisse a individuare la figura professionale insieme ai programmi, anche se già la scuola dispone di sperimentati strumenti educativi.

Al tempo, qualche decennio fa, fu Tuttoscuola a parlarne a lungo della disciplina del “saper vivere insieme”, spiegando di considerarla come materia  opzionale, al quarto dei grandi obiettivi formativi indicati dall’UNESCO e per integrare i tre tradizionali “saperi”: sapere, saper fare, saper essere, aggiornandoli alla luce della crescente complessità multietnica e multiculturale delle odierne società ad elevato sviluppo economico.

Quando infatti si è trattato di capire le più sconvolgenti evoluzioni delle società, come le tragedie del 900, e i nuovi fermenti culturali, la scuola ha sempre trovato al suo interno gli elementi per farlo, allo stesso modo, in era di globalizzazione, l’obiettivo principale dovrebbe consistere, non già nella “istigazione al dominio” (guerre e presunte superiorità culturali) o nella integrazione forzata, quanto nella capacità di comprensione e soprattutto di accettazione della diversità che è ricchezza, così come avviene in natura, dove la biodiversità genera paradisi.

E a scuola questi concetti per lo più sono presenti e in un modo o nell’altro sono oggetto di discussione anche se sonnecchia ancora, e non se ne capisce il motivo, una vera educazione alla lettura, ai libri, all’arte che poi sono gli elementi fondanti queste idealità.

La bellezza salverà il mondo, è spesso detto citando  i Dostoevskij, mentre Friedrich Schiller vagheggiava uno stato estetico, in grado di migliorare l’uomo e renderlo felice.

Si capisce l’utopia, ma la base forte rimane, perché nell’affinare il gusto estetico si affina l’amore per la vita e per tutto ciò che è stato ritenuto degno di esistenza sulla terra. E da qui forse bisognerebbe ripartire per rifondare un dialogo che riesca a rendere complementare il sud e il nord, l’est e l’ovest della terra.

Ora di religione a scuola, costa 859 milioni, 30% in più rispetto a dieci anni fa

da La Tecnica della Scuola

Di Redazione

Il 5 aprile scorso è stato pubblicato il Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, datato 22 febbraio, che autorizza il Ministero dell’istruzione e del merito è autorizzato ad avviare le procedure concorsuali per la copertura di complessivi 6.428 posti di personale insegnante di religione cattolica (70% straordinario e 30% ordinario).

I costi dell’ora di religione

Secondo quanto elaborato da Repubblica, nel corso degli ultimi anni la spesa per l’ora di Religione agli alunni italiani è aumentata in maniera consistente. Infatti, per il 2024 il bilancio è di 859 milioni. Nel 2019, cinque anni fa, la spesa a carico del bilancio ministeriale per gli insegnanti di religione era di 745 milioni di euro: il 15% in meno. E nel 2014, dieci anni fa, di 665 milioni: ben 194 in meno rispetto oggi, il 30%. Nel frattempo, gli alunni che si avvalgono dell’insegnamento calano anno dopo anno. Secondo i dati relativi al 2022/2023 diffusi dall’ufficio statistica della Cei, la Conferenza episcopale italiana, la quota di alunni di tutti gli ordini scolastici che esce dall’aula quando fa ingresso il docente di religione sfiora il 16%, qualcosa come un milione e 300mila alunni se consideriamo anche quelli delle paritarie. E ogni anno i non avvalentisi aumentano di circa mezzo punto percentuale.

Concorso ordinario insegnanti di religione

Requisiti procedura ordinaria

Per partecipare alla procedura del concorso ordinario i candidati devono essere in possesso oltre ai requisiti per la partecipazione ai pubblici concorsi, Il prescritto titolo di studio previsto dal DPR 275 del 2012 e l’idoneità rilasciata dall’ordinario diocesano competente per territorio

Prove previste

I candidati dovrebbero affrontare:
• Una prova scritta costituita in una serie di quesiti a risposta multipla, volta all’accertamento delle conoscenze e competenze del candidato in ambito pedagogico, psicopedagogico e didattico metodologico e sulla lingua inglese, la prova sarà svolta mediante l’ausilio di mezzi informatizzati;
• Una prova orale consistente in un colloquio nel quale i candidati dovranno dimostrare particolare conoscenza e competenza sulla disciplina della classe di concorso o tipologia di posto per la quale partecipano, oltre alle competenze didattiche e l’abilità nell’insegnamento anche attraverso un test specifico.

Concorso straordinario insegnanti di religione

Requisiti procedura straordinaria

Per partecipare alla procedura del concorso straordinario i candidati devono essere in possesso oltre all’idoneità riconosciuta dall’ordinario diocesano, almeno di trentasei mesi di servizio anche non consecutivi nell’insegnamento della religione cattolica esclusivamente nella scuola statale. Ai fini del calcolo dei trentasei mesi è considerato a tutti gli effetti il servizio prestato fino alla data ultima di presentazione della domanda prevista dal bando.

Prova prevista

Il concorso straordinario, prevede una prova orale della durata di 30 minuti volta ad accertare le competenze didattico – metodologico del candidato oltre alla conoscenza della lingua inglese, la prova sarà conosciuta 24 ore prima di svolgere la prova orale e non prevede un punteggio minimo per essere superata.

Graduatoria a esaurimento

In considerazione che la prova orale non prevede un punteggio minimo al termine di tutta la procedura sarà stilata una graduatoria che sarà a esaurimento, formata da tutti i candidati in possesso dei titoli previsti dal bando. Il punteggio massimo raggiungibile è di 250 punti dati da un massimo di 100 punti per il servizio, 100 punti per la prova orale e 50 punti per i titoli.

Modalità presentazione della domanda

La domanda per partecipare a uno o a entrambi i concorsi, va presentata esclusivamente in modalità telematica sul Portale unico di reclutamento raggiungibile all’indirizzo www.inpa.gov.it . Per accedere alla compilazione della domanda occorre essere in possesso delle credenziali del Sistema Pubblico di Identità Digitale (SPID) o di quelle della Carta di Identità Elettronica (CIE). Inoltre, occorre essere abilitati al servizio “Istanze on line”. Il servizio è eventualmente raggiungibile anche attraverso l’applicazione “Piattaforma Concorsi e Procedure selettive”, collegandosi all’indirizzo www .miur.gov.it, attraverso il percorso “Argomenti e Servizi. Le domande presentate con modalità diverse non saranno prese in considerazione.

Alunni stranieri in classe: l’impraticabilità del limite del 20%

da Tuttoscuola

L’analisi dei dati rende chiara l’impraticabilità di una limitazione senza filtri di alcun genere (es., alunni di recente immigrazione, nati all’estero, ecc.). Riportiamo infatti la situazione delle classi di scuola statale in cui nel 2022-23 la percentuale di alunni con cittadinanza non italiana superava il 20% degli alunni presenti.

Dalla scuola dell’infanzia alle superiori il numero di classi o sezioni che superavano il 20% è stato complessivamente di 65mila (esattamente 64.999), interessando e coinvolgendo quasi 425mila alunni stranieri (esattamente 424.873 tra bambini, alunni e studenti).

In considerazione del fatto che la scuola primaria rappresenta il settore maggiormente coinvolto in materia di alunni stranieri, Tuttoscuola ne ha curato un approfondimento specifico, circoscritto agli ambiti regionali, con il seguente risultato.

L’Emilia-Romagna, con 40.442 alunni stranieri (23,2% di tutti gli alunni) ha oltre la metà (54,4%) delle classi che superano il 20% di alunni stranieri: 4.721 classi su un totale di 8.686 classi. In quelle classi con percentuali superiori al 20% gli alunni stranieri presenti sono 29.815, pari al 73,7% dei 40.442 stranieri iscritti.

Seguono la Lombardia con 9.551 classi (47,9%) che hanno percentuale di alunni stranieri oltre il 20%, seguita dalla Liguria con 1.205 (44,2%), dal Veneto con 4.053 (39,6%), dalla Toscana con 2.602 (37,1%). Seguono Friuli VG e Umbria.

Come si può agevolmente constatare, la particolare incidenza di alunni stranieri per classe riguarda in particolare le regioni settentrionali e, in subordine, quelle dell’Italia centrale, in ragione della ben nota presenza di stranieri in quei territori.

In tutte le regioni meridionali il numero delle classi con presenza di stranieri sopra il 20% è dell’ordine di poche centinaia, con la Basilicata che non va oltre le 76 classi interessate e il Molise fermo a 37.

La Sardegna ha soltanto il 2,6% delle classi con l’incidenza superiore al 20%.

Complessivamente, a livello nazionale le classi della scuola primaria con incidenza superiore al 20% di presenza straniera sono poco più di 32mila, poco più di un quarto di tutte le classi, dove sono presenti 195.520 alunni stranieri (cioè il 62% degli alunni stranieri: ciò significa che la distribuzione non è omogenea e che si formano classi con alta densità di alunni stranieri).

 

Nota 16 aprile 2024, AOODPPR 2845

Ministero dell’istruzione e del merito
Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione
Dipartimento per le risorse, l’organizzazione e l’innovazione digitale

Alle istituzioni scolastiche e educative statali
e p.c. Ai Direttori Generali e ai Dirigenti preposti agli uffici scolastici regionali
Alla Direzione Generale per le risorse umane e finanziarie
Alla Direzione Generale per i sistemi informativi e la statistica
All’Unità di Missione del PNRR presso il MIM
Alle OO.SS.

Oggetto: Proroga dei contratti a tempo determinato dei collaboratori scolastici