Laicità e identità religiosa nella scuola multiculturale

Laicità e identità religiosa nella scuola multiculturale

di Gianluca Dradi

Le forti polemiche suscitate dalla decisione del consiglio di istituto di una scuola di Pioltello, di disporre un giorno di sospensione delle attività didattiche in occasione dell’ultimo giorno del Ramadan, offre il pretesto per una riflessione sul tema dello spazio che può essere riservato alle espressioni religiose all’interno della scuola pubblica, in un contesto ormai sempre più multiculturale.

Preliminarmente appare opportuno, sulla vicenda specifica, e per quanto si può ricavare dalle informazioni acquisibili attraverso gli organi di stampa, riconoscere la legittimità formale dell’operato della scuola che si è limitata a deliberare, ai sensi dell’art. 5 del DPR 275/1999, un adattamento del calendario scolastico, prevedendo un giorno di sospensione, da recuperare, in occasione della fine del Ramadan, atteso che il 40 % dei propri alunni sarebbe verosimilmente rimasto assente da scuola.

La norma citata viene applicata dalla generalità delle istituzioni scolastiche proprio in occasione dei “ponti” tra una festività e l’altra, considerando inutile tenere aperta la scuola quando appare verosimile che la maggioranza degli studenti rimarrebbe assente, nonché per venire incontro alle esigenze del personale residente fuori sede.

Precisato quindi che la decisione della scuola di Pioltello non è sorretta da una motivazione di contenuto religioso, ma si preoccupa semplicemente di essere inclusiva rispetto ad una rilevante quota della propria popolazione studentesca, l’episodio consente di proporre una riflessione sulle varie tipologie di manifestazioni religiose nella scuola: apposizione del crocifisso, presenza di alunne col velo islamico, benedizioni pasquali, apprestamento di presepi ecc.… E nel conseguente dibattito che nasce a seguito delle espressioni del sacro dentro un’istituzione pubblica ispirata al principio della laicità.

La laicità quale principio supremo dell’ordinamento

La Corte Costituzionale ha avuto plurime occasioni per precisare il concetto di laicità. Si segnala, in particolare, la sentenza n. 203 del 1989, nella quale la Corte afferma che gli articoli 2,3,7,8,19 e 20 della Costituzione concorrono a strutturare il principio supremo della laicità che caratterizza la nostra forma-Stato.

Tale principio si declina come equidistanza rispetto alle diverse confessioni religiose e non confessionalità dell’azione pubblica.

Ma, precisa la Corte, il principio di laicità non risponde ad un concetto ideologizzato ed astratto di estraneità rispetto alle istanze della coscienza civile e religiosa dei cittadini, implicando, invece, la «non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni», e, come precisato dalla Corte Cost. nelle sentenze n. 67/2017 e n. 254/2019, la «tutela del pluralismo a sostegno della massima espressione della libertà di tutti».

In altri termini, il concetto di laicità fatto proprio dalla nostra Costituzione non è sinonimo di chiusura di fronte al fenomeno religioso, ma significa apertura all’inclusione dei diversi orientamenti religiosi, nonché riconoscimento del loro valore in quanto tratto distintivo dell’identità personale e per il contributo che i valori religiosi possono apportare alla crescita della società.

L’uguaglianza dei cittadini e delle confessioni religiose davanti alla legge, può avvenire verso il basso o verso l’alto: nel primo caso, neutralizzando lo spazio pubblico rispetto al fenomeno religioso, nel secondo caso, invece, riconoscendo il valore delle diverse identità di fede e tutelando il loro diritto di esprimersi.

Come esempio di questo secondo modo di intendere il concetto si può citare la sentenza 440/1995 della Corte Cost. che, nel dichiarare l’incostituzionalità parziale del reato di bestemmia[1], precisa che «la scelta attuale del legislatore di punire la bestemmia, una volta depurata del suo riferimento ad una sola fede religiosa, non è dunque di per sé in contrasto con i principi costituzionali, tutelando in modo non discriminatorio un bene che è comune a tutte le religioni che caratterizzano oggi la nostra comunità nazionale, nella quale hanno da convivere fedi, culture e tradizioni diverse».

La laicità che riconosce il valore pubblico del fattore religioso significa quindi equidistanza dalle diverse confessioni, ma al tempo stesso tutela di tutti i valori religiosi.

Così concepita diviene anche un utile strumento di governance di una società complessa, multietnica e multiculturale, in quanto mezzo di dialogo che consente il confronto tra diverse visioni e valori su un piano di parità.

Come affermato da Pastore[2], infatti, «le società multiculturali (…) hanno bisogno di uno stato imparziale (e non neutrale, nel senso di indifferente), dove le molteplici identità possano rivelarsi, riconoscersi reciprocamente ed essere trattate con eguale considerazione e rispetto».

L’esperienza del sacro nelle istituzioni scolastiche

In una società che si definiva secolarizzata, sta invece emergendo con forza il tema del sacro e la richiesta di riconoscimento delle proprie identità culturali e valoriali da parte delle comunità immigrate e, come reazione, da parte di gruppi autoctoni che sentono minacciati i propri valori.

La scuola è il luogo per eccellenza in cui una società pluralista deve trovare il modo di incontrarsi e non scontrarsi. Perché è caratterizzata da un modello educativo e formativo «fondato sui valori dell’inclusività, dell’interculturalità, della democrazia e della non discriminazione», come recita l’art. 2 del D.lgs. 64/2017. Perché è «una comunità di dialogo, di ricerca, di esperienza sociale, informata ai valori democratici e volta alla crescita della persona in tutte le sue dimensioni» (art. 1 DPR 249/1998), dunque il luogo di formazione della cittadinanza, che ha nel suo DNA la funzione di tenere insieme il mondo civile, educandolo ed istruendolo.

E dentro la scuola queste istanze di affermazione delle identità religiose si esprimono in vari modi.

Alcuni, come l’indossare il velo islamico, piuttosto che la kippà ebraica o il clergyman del sacerdote che insegna religione, non dovrebbero suscitare dubbi sulla loro ammissibilità, in quanto chiara espressione sia del diritto all’identità personale sia della libertà religiosa (ed appare ingiustificato imporre ad un credente di lasciare la sua fede fuori dall’aula). In proposito, seppure riferito al caso dell’annullamento di un’ordinanza sindacale che vietava il burqa, il Consiglio di Stato, con sent. n. 3076/2008, ha dichiarato che il nostro ordinamento consente che una persona indossi il velo per motivi religiosi o culturali.

Un altro esempio è quello delle scuole che, in occasione delle festività natalizie, hanno la tradizione di allestire il presepe: in questo caso penso che il comportamento di quelle istituzioni scolastiche che decidono di modificare le loro prassi al fine di non discriminare altre religioni sia una forma di ipercorrettismo: il presepe, infatti, non è un simbolo religioso, perché, seppur originato dalle tradizioni proprie del cristianesimo, ha essenzialmente una valenza storico-culturale, al pari delle tante opere del nostro ricco patrimonio artistico che raffigurano soggetti e temi religiosi.

Venendo invece ai simboli o riti religiosi, un caso ricorrente è quello delle benedizioni pasquali. Sulla questione è utile fare riferimento alla pronuncia del Consiglio di Stato, sent. n. 1388/2017, che ha sancito il principio secondo cui «Gli organi scolastici quali il Consiglio di Circolo e il Consiglio di Istituto sono legittimati ad autorizzare lo svolgimento di “benedizioni pasquali” o di altri atti di culto all’interno degli edifici scolastici pubblici quale forma di attività complementare alla didattica. […] Né all’ammissibilità delle pratiche di culto osta la circostanza che le stesse, essendo espressione di uno specifico credo religioso, ben difficilmente potranno essere condivise dalla totalità degli studenti, giacché è compito della scuola riconoscere e valorizzare i diversi orientamenti confessionali ed ideologici, creando un clima di reciproca comprensione, conoscenza, accettazione e rispetto».

Come si può notare, la Corte, nel riconoscere dentro la scuola -alla condizione che ciò avvenga in orario extrascolastico e con partecipazione facoltativa- la possibilità di “cittadinanza” del rito della benedizione, fa riferimento al diritto di tutti gli appartenenti alle diverse confessioni religiose, con la conseguenza che analogo diritto di cittadinanza avrebbero anche riti di altre confessioni.

Del resto, pochi rammentano che l’art. 311 del testo unico delle leggi sull’istruzione (D.lgs. 297/1994) dispone che (sottolineatura aggiunta) «l’insegnamento religioso ed ogni eventuale pratica religiosa, nelle classi in cui sono presenti alunni che hanno dichiarato di non avvalersene [di insegnamenti religiosi], non abbiano luogo in occasione dell’insegnamento di altre materie, né secondo orari che abbiano per i detti alunni effetti comunque discriminanti». Quindi la norma ammette i riti a certe condizioni.

Altro caso, che in qualche misura richiama l’episodio dell’istituto comprensivo di Pioltello, è quello della sospensione delle lezioni in occasione di festività religiose diverse dalla cattolica.

Qui basti ricordare che ciò già avviene da molti anni, nei comuni piemontesi in cui esistono le comunità valdesi, in occasione del 17 Febbraio[3].

Inoltre appare significativo come il Governo italiano si sia difeso nella famosa causa Lautsi davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, per come riportato nel seguente passaggio della motivazione della sentenza CEDU, Grande Chambre, Lautsi c. Italie (n° 30814/06), 18 marzo 2011 (sottolineatura aggiunta): «selon les indications du Gouvernement, l’Italie ouvre parallèlement l’espace scolaire à d’autres religions. Le Gouvernement indique ainsi notamment que le port par les élèves du voile islamique et d’autres symboles et tenues vestimentaires à connotation religieuse n’est pas prohibé, des aménagements sont prévus pour faciliter la conciliation de la scolarisation et des pratiques religieuses non majoritaires, le début et la fin du Ramadan sont “souvent fêtés“ dans les écoles et un enseignement religieux facultatif peut être mis en place dans les établissement pour “toutes confessions religieuses reconnues“ (§ 74)[4]».

Si può concludere la casistica con il tema dell’apposizione del crocifisso nelle aule scolastiche e come esso sia stato risolto dalle sezioni unite della Corte di Cassazione, con sent. n. 24414/2021.

Il caso specifico originava da un conflitto tra gli studenti di una classe, che chiedevano il crocifisso, ed un docente che vi si opponeva in nome della laicità “alla francese” (nel senso dell’assoluta neutralità dello spazio pubblico), sentendosi coartato nella sua libertà di insegnamento dalla presenza del simbolo religioso.

La suprema Corte, in primo luogo, rammenta che la fonte normativa che prevede che tra gli arredi delle aule scolastiche sia ricompreso il crocifisso (art. 118 del R.D. 965/1924) deve essere interpretata in senso conforme alla Costituzione: nel contesto nel quale quella norma fu emanata, la religione cattolica era la religione di stato e questo spiegava il carattere obbligatorio dell’esposizione del crocifisso. Dopo la promulgazione della Costituzione e la revisione dei patti lateranensi, avvenuta nel 1984, l’esposizione autoritativa del crocifisso non è più ammissibile perché incompatibile con la distinzione degli ordini dello Stato e delle confessioni religiose.

Il crocifisso di Stato nelle scuole pubbliche, spiega sempre la Corte, entra in conflitto anche con un altro corollario della laicità: l’imparzialità e l’equidistanza che devono essere mantenute dalle pubbliche istituzioni nei confronti di tutte le religioni, indipendentemente da valutazioni di carattere numerico, non essendo più consentita una discriminazione basata sul maggiore o minore numero degli appartenenti all’una o all’altra di esse. Ed entra in conflitto con il pluralismo religioso come aspetto di un più ampio pluralismo dei valori.

Ma l’illegittimità dell’obbligo di esposizione non si traduce automaticamente nel divieto di affissione: «la disposizione regolamentare non può più essere letta come implicante l’obbligo di esporre il crocifisso nelle scuole, ma va interpretata nel senso che l’aula può accoglierne la presenza allorquando la comunità scolastica interessata valuti e decida in autonomia di esporlo, nel rispetto e nella salvaguardia delle convinzioni di tutti, affiancando al crocifisso, in caso di richiesta, gli altri simboli delle fedi religiose presenti all’interno della stessa comunità scolastica e ricercando un ragionevole accomodamento che consenta di favorire la convivenza delle pluralità».

La Corte offre dunque un’interpretazione evolutiva che tramuta l’obbligo di esposizione del crocifisso in una facoltà, affidandone la decisione alle singole comunità scolastiche.

Detta altrimenti: la parete dell’aula nasce bianca, ma può anche non restare spoglia ed accogliere la presenza di simboli religiosi per soddisfare un bisogno degli studenti.

Il tema del possibile conflitto va risolto caso per caso, alla luce delle concrete esigenze, nei singoli istituti scolastici, con la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti e con il metodo della ricerca del più ampio consenso possibile.

In tale modo il simbolo del cristianesimo, inserito in un contesto aperto alla presenza di simboli di altre religioni o di altre culture propri dei membri della comunità scolastica e quindi alla plurale ricchezza dei contributi offerti, concorre a delineare uno spazio pubblico condiviso, caratterizzato da una molteplicità di ragioni dialoganti e ispirato a una neutralità accogliente delle identità.

Il ruolo dell’autonomia scolastica

Le decisioni in materia di simboli e riti religiosi nella scuola laica e multiculturale è opportuno e necessario siano assunte dalle istituzioni scolastiche e non affidate ad autorità esterne.

Già il Consiglio di Stato, con sent. n. 1388/2017, ricordava come l’art. 4 DPR 275/1999[5], «ammette esplicitamente, con l’espressione “riconoscono e valorizzano le diversità”, tutte quelle iniziative che si rivolgano, piuttosto che alla generalità unitariamente intesa degli studenti, soltanto a determinati gruppi di essi, individuati per avere specifici interessi od appartenenze, per esempio di carattere etico, religioso o culturale, in un clima di reciproca comprensione, conoscenza, accettazione e rispetto, oggi tanto più decisivo in relazione al fenomeno sempre più rilevante dell’immigrazione e della conseguente necessità di integrazione».

Afferma inoltre la citata sentenza della Cassazione che l’autonomia, oggi riconosciuta anche a livello costituzionale dall’art. 117, significa inserire dentro il pubblico quei margini di flessibilità e di adattabilità ai diversi contesti che l’uniformità normativa non garantisce.

Ne deriva che spetta agli organi collegiali scolastici, che di quell’autonomia sono i registi, la competenza in ordine a scelte che investono la creazione di un ambiente condiviso nel quale si svolgono le relazioni tra docenti, alunni e famiglie, come pure l’eventuale gestione dei conflitti che ne possano derivare.

Si può concludere con la seguente citazione della Corte: «la strada da percorrere […] è quella dell’accomodamento ragionevole [che] è il luogo del confronto: non c’è spazio per fondamentalismi, per dogmatismi o per posizioni pretensive intransigenti che debbano valere in ogni caso nella loro pienezza irrelata.

L’accomodamento ragionevole è basato sulla capacità di ascolto e sul linguaggio del bilanciamento e della flessibilità. Valorizza le differenze attraverso l’avvicinamento reciproco orientato all’integrazione tra le diverse culture. La dimensione che lo caratterizza è quella dello stare insieme, improntata ad una logica dell’et et, non dell’aut aut.

Seguendo questa prospettiva, le soluzioni vanno ricercate in concreto, non sulla linea di chiusure e di contrapposizioni, ma attraverso un dialogo costruttivo in vista di un equo contemperamento delle convinzioni religiose e culturali presenti nella comunità scolastica, dove la plurale e paritaria coesistenza di laici e credenti, cattolici o appartenenti ad altre confessioni, è un valore inderogabile».

Ovviamente, affinché questa autorevole indicazione sia concretamente perseguibile, è richiesto a tutti i componenti della comunità scolastica un atteggiamento di disponibilità e tolleranza rispetto alle posizioni culturali espresse dagli altri. In presenza di soggetti che brandiscono “valori non negoziabili”, il principio della ragionevolezza e della ricerca del più ampio consenso possibile, finirà altrimenti per tradursi, inevitabilmente, nel classico principio maggioritario per l’assunzione delle decisioni.


[1] reato previsto dall’art. 724 C.P. nei confronti di chi inveisce “contro la Divinità o i simboli o le persone venerati nella religione di stato”; la incostituzionalità è stata dichiarata per il riferimento esclusivo ai simboli/persone venerate dalla religione cattolica.

[2] B. Pastore, Società multiculturale e laicità, in R. Bin, G. Brunelli, A. Pugiotto, P. Veronesi (a cura di), La laicità crocifissa? Il nodo costituzionale dei simboli religiosi nei luoghi pubblici, Torino, 2004

[3] Il 17 Febbraio 1848 Re Carlo Alberto concesse i diritti civili e politici ai sudditi valdesi.

[4] secondo le indicazioni del Governo, l’Italia apre lo spazio scolastico anche alle altre religioni. Il Governo indica quindi in particolare che non è vietato indossare da parte degli studenti il ​​velo islamico e altri simboli e indumenti con connotazioni religiose, sono previste misure per facilitare la conciliazione tra scolarizzazione e pratiche religiose non maggioritarie, l’inizio e la fine del Ramadan sono “celebrati spesso” nelle scuole e l’insegnamento religioso facoltativo può essere istituito negli istituti per “tutte le confessioni religiose riconosciute”.

[5] “Le istituzioni scolastiche, nel rispetto della libertà di insegnamento, della libertà di scelta educativa delle famiglie e delle finalità generali del sistema (…) concretizzano gli obiettivi nazionali in percorsi formativi funzionali alla realizzazione del diritto ad apprendere e alla crescita educativa di tutti gli alunni, riconoscono e valorizzano le diversità, promuovono le potenzialità di ciascuno adottando tutte le iniziative utili al raggiungimento del successo formativo”

Giornata Mondiale della Consapevolezza sull’Autismo

2 APRILE 2024, GIORNATA MONDIALE DELLA CONSAPEVOLEZZA SULL’AUTISMO

ANFFAS: “PERSONA AL CENTRO, PRESA IN CARICO ED INTERVENTO PRECOCI, PROGETTO DI VITA: QUESTE LE PRIORITÀ”

Persona al centro, presa in carico globale e continuativa in ottica bio-psico-sociale ed interventi precoci, Progetto di Vita personalizzato e partecipato: queste le priorità che da sempre Anffas – associazione maggiormente rappresentativa, a livello nazionale, sulle disabilità intellettive e del neurosviluppo tra le quali rientrano anche i disturbi dello spettro dell’autismo – ribadisce, continuando ad operare in tutti i contesti deputati con e per le persone nel disturbo dello spettro dell’autismo e loro familiari (unitamente a professionisti, operatori, e tutti coloro che a vario titolo operano in Anffas) ogni giorno per arrivare a renderle realmente concrete e garantire così la migliore Qualità di Vita possibile in una società pienamente inclusiva, in ogni suo ambito.

Tante infatti sono le attività, iniziative e progettualità di Anffas su tutto il territorio in tal senso  e che concretizzano il pensiero associativo “Prima le persone e poi gli autismi”, pensiero che ovviamente pone in evidenza come gli interventi da mettere in atto non debbano mai essere standardizzati ma sempre personalizzati e declinati sulla Persona nella sua peculiarità e specificità, ascoltando preferenze, aspettative e desideri, così come pienamente dimostrato anche durante l’evento online collegato alla XVII Giornata Nazionale delle Disabilità Intellettive e del Neurosviluppo che ha consentito di toccare con mano quante buone prassi siano ormai divenute una realtà tangibile.

In occasione della Giornata Mondiale della Consapevolezza sull’Autismo 2024, si discuterà di questo importante concetto anche il 20 aprile 2024 a Bari, durante il convegno “Autismo: un nuovo paradigma per l’inclusione e per la valorizzazione della persona” organizzato dal Ministero per le Disabilità che vedrà la partecipazione di illustri relatori del mondo scientifico e associativo, tra cui il presidente nazionale Anffas, Roberto Speziale, con l’intervento “Il Progetto di Vita: persone nel disturbo dello spettro autistico e loro famiglie”, e il contributo di Paolo Meucci, Direttore Servizi età evolutiva di Fondazione Renato Piatti dal titolo “Il cammino di Fondazione Renato Piatti al servizio dell’autismo, tra storia e prospettive future” per la sessione dedicata alle progettualità.

Proprio per ciò che riguarda la Fondazione Renato Piatti, ente a marchio Anffas, si registra in questo 2024 il continuum dell’ampliamento della sua offerta di presa in carico attraverso il Centro Mafalda Luce di Milano – gestito appunto da Fondazione Renato Piatti a m. Anffas – che permetterà di dare ulteriori risposte alle necessità del territorio relativamente alla diagnosi di disturbo dello spettro autistico.

Ricordiamo inoltre che, oltre ai tanti approfondimenti sul tema*, dallo scorso anno Anffas è entrata a far parte del Consiglio di Indirizzo della FIA – Fondazione Italiana per l’Autismo e che tante sono le altre iniziative della Rete Anffas attive da tempo (il cui elenco è possibile consultare cliccando qui).

Una panoramica di livello internazionale sulla condizione delle persone nel disturbo dello spettro sarà data dall’incontroorganizzato dal Dipartimento delle Comunicazioni Globali delle Nazioni Unite – in stretta collaborazione con l’Istituto di Neurodiversità (ION) – dal titolo “Moving from Surviving to Thriving”, “Passare dal sopravvivere al prosperare”: come l’anno scorso, l’evento presenterà una serie di relatori nel disturbo dello spettro in rappresentanza di Africa, Asia e Pacifico, Europa, America Latina e Caraibi, Nord America e Oceania che illustreranno le loro riflessioni relative alle rispettive aree di provenienza e sull’importanza dell’attuazione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) relativamente al tema autismo.

Inoltre, Anffas sostiene, in linea con il suo pensiero e con quanto sopra indicato, la campagna di sensibilizzazione di Autism Europe “Not Invisible”, “Non Invisibili”, lanciata proprio in occasione di questa Giornata e volta al pieno riconoscimento delle persone nel disturbo dello spettro e dei loro diritti.  

*solo per citarne alcuni “Documento di posizione Anffas in materia di salute, disabilità e disturbi dello spettro autistico”, “Autismi 2.0 – prima le persone poi gli autismi”, Agenda Associativa 2017 “Autismi, prima le persone”, rivista La Rosa Blu ed. dicembre 2015 “Prima le persone poi gli autismi”