F. Dürrenmatt, La panne

Dürrenmatt, il caso, la finzione, la realtà…

di Antonio Stanca

   Ultimamente, per conto di Adelphi nella serie “Piccola Biblioteca”, è comparsa una nuova edizione di La panne (Una storia ancora possibile), breve romanzo dello scrittore svizzero di lingua tedesca Friedrich Dürrenmatt. La traduzione è quella nota di Eugenio Bernardi che, però, è stata rivista. L’opera, che esiste anche come commedia, risale al 1956 e si può dire che da allora abbia continuato ad avere successo. Nel 1972 il regista Ettore Scola ne ha tratto il film La più bella serata della mia vita, interpretato da Alberto Sordi.

   Nato a Konolfingen, Berna, nel 1921, Dürrenmatt è morto a Neuchâtel nel 1990. Aveva sessantanove anni e aveva cominciato applicandosi nella pittura ma poi si era rivolto ad una saggistica di genere teatrale. Di questo genere erano state anche le sue prime opere. Ne avrebbe prodotto molte, lo avrebbero impegnato al punto da farlo conoscere soprattutto come drammaturgo anche se non meno importante e folta sarebbe risultata la produzione narrativa. Si sarebbe combinata con quella teatrale, l’avrebbe continuata nei temi e nei problemi. I più importanti, quelli che sarebbero tornati quasi in continuazione, sarebbero stati la solitudine dell’uomo contemporaneo, la crisi dei valori ideali, spirituali, morali, di quelli che erano unici, universali, eterni e che con i tempi moderni si erano visti sostituiti da altri di carattere materiale, contingente quali l’affermazione, la vittoria del caso sui progetti, sui programmi più arditi, la combinazione tra realtà e immaginazione, verità e finzione al punto da non farle più distinguere. Di questi ed altri problemi, di altre perdite soffre il mondo contemporaneo, soprattutto quello occidentale dove maggiore è stato lo sviluppo della scienza, della tecnica che è all’origine di tale fenomeno. In verità sono propri di molta letteratura moderna questi temi e se con Dürrenmatt hanno avuto maggiore diffusione, maggiore successo è stato per i modi espressivi che vanno dall’espressionismo al surrealismo, dall’umoristico al grottesco, dal comico all’orrido. Nessuno dei sistemi di scrittura, di comunicazione viene risparmiato, di tutti si mostra capace l’autore poiché molto importante è per lui raggiungere, coinvolgere chi assiste al suo teatro o legge i suoi libri. Molte traduzioni, molti riconoscimenti ha ottenuto, un autore moderno tra i più importanti è diventato. In ambito stilistico era stato favorito dal momento culturale, artistico nel quale visse, quello tra Ottocento e Novecento che si rivelò uno dei più fervidi, dei più ricchi di nuove correnti, di nuove tendenze, di nuova cultura, di nuova scrittura, di nuova arte. Molte situazioni, nelle opere del Dürrenmatt, sono a sorpresa, ad effetto, molte sono preparate in modo da risultare necessarie anche quando sono assurde. Molta critica viene mossa agli usi, ai costumi di certe classi sociali, di certe figure intellettuali, molto sarcasmo viene usato nei loro riguardi. È un contestatore Dürrenmatt, un autore polemico, rivoluzionario, un anticonformista che si serve pure della comicità ma che non rinuncia ad una morale inflessibile, rigorosa, dalla quale si sente mosso a protestare, discutere, ironizzare. Tutto questo avviene ne La visita della vecchia signora, opera teatrale del 1956 considerata il suo capolavoro. Qui dice della signora Claire Zachanassian che, diventata ricchissima, torna nel suo paese d’origine e viene accolta con grandi onori. In verità è venuta perché vuole eliminare, far uccidere quell’Alfredo III che da ragazza l’aveva messa incinta e poi lo aveva negato. Era stato il suo primo amante, ne avrebbe avuti molti altri, pure da sposata. Dopo molti tentativi, molte promesse di grossi compensi la signora riuscirà a far uccidere Alfredo III. Non contenta, tuttavia, era rimasta per aver dovuto attendere tanto tempo. Tutto è avvenuto tra il passato e il presente, il tragico e il comico, la realtà e l’invenzione e così sarebbe stato pure in La panne, il breve romanzo dello stesso anno dell’opera teatrale. In esso il caso fa sì che il rappresentante generale della ditta “Efestion”, produttrice dei moderni e tanto richiesti tessuti sintetici, subisca un guasto alla sua lussuosa automobile mentre torna a casa in città. Trainato nel paese più vicino è ormai sera ed è costretto a cercare una locanda dove cenare e rimanere per la notte. Viene indirizzato ad una villa piuttosto lussuosa che fa pure da albergo per forestieri e dove s’imbatte nel proprietario e in tre altri strani personaggi. Non ha, tuttavia, difficoltà a intrattenersi, a scambiare con loro le proprie opinioni. Attirato dalla situazione e contento del posto, l’ambiente rurale, il verde dei prati, le siepi fiorite, la chiesa in collina, la vista in lontananza dei boschi e delle montagne, non si cura nemmeno di avvertire la moglie e i bambini del suo mancato rientro. Si chiama Alfredo Traps, ha quarantasei anni, è un bell’uomo. Si è affermato nel suo lavoro, con la sua azienda è pervenuto a posizioni di prestigio abbastanza lucrose. La sua famiglia era stata povera, aveva cominciato come venditore ambulante ed ora godeva di quanto era riuscito a raggiungere. Di questo farà sapere ai nuovi amici mentre da loro saprà che tutti e quattro, compreso il padrone della villa, prima di andare in pensione avevano lavorato in ambito giudiziario, erano stati rispettivamente un giudice, un pubblico ministero, un avvocato difensore e un boia. Saprà pure che quando si trovavano in quella villa avevano molto piacere a giocare al tribunale, a fingere, cioè, di rifare, di rivivere quanto accaduto in antichi e famosi processi. Ancora più piacere avrebbero avuto, pertanto, se lui, Alfredo, avesse accettato di partecipare, quella sera, al loro gioco, al loro processo nelle vesti dell’imputato. Alfredo accetterà, sarà contento di far parte di quella comitiva, di quel processo intentato a lui che si svolgerà nel corso della ricca cena che li attendeva. Sarà lunghissima, lo comprenderà tutto, riempirà l’intera narrazione giacché infiniti saranno gli aspetti che il processo assumerà, moltissime le verità private e pubbliche, vicine e lontane, reali e immaginarie, che farà emergere. Proverranno da ognuno dei suoi cinque protagonisti ma più interessanti, più cercate saranno quelle di Alfredo poiché personaggio nuovo, sconosciuto in una situazione che per gli altri era solita. Sottoposto ad interrogatorio dal pubblico ministero, Alfredo non avrà problemi a parlare di sé, della sua vita privata, delle sue cose più intime anche perché è convinto che si tratti di un gioco. Dirà, quindi, dell’impegno profuso per fare carriera nel suo campo, delle illegalità commesse allo stesso scopo. Non si tratterrà dal farvi rientrare quelle circa la morte del precedente direttore generale da lui provocata per raggiungere lo stato del quale adesso gode. Era stata un’azione quasi involontaria ma era pur sempre una colpa e con la sua confessione il loro finiva di essere un gioco e diventava realtà, vita. Faceva sapere di un reato, del suo autore, chiedeva giustizia e non si saprà più come comportarsi visto che giustizia non era stata ancora fatta. Si era arrivati ormai alle ultime battute di quella strana situazione, agli ultimi preziosi alimenti di quell’interminabile cena. Erano quasi tutti ubriachi, quasi tutti cercavano la propria camera da letto tranne due che avevano pensato di passare da quella di Alfredo prima di ritirarsi nella loro. Lo avrebbero trovato morto suicida, aveva pensato di scontare così la pena che gli sarebbe spettata, aveva completato, concluso quell’oscuro rapporto tra realtà e finzione che era stato il motivo segreto della narrazione, che ne aveva fatto una delle migliori opere di Dürrenmatt e di lui uno dei maggiori autori dei nostri tempi. Un caso, quello di un’auto in panne, aveva cambiato una vita, quella di Alfredo Traps, l’aveva annullata, l’aveva fatta finire.