Se si boccia la bocciatura

da Corriere della sera

Se si boccia la bocciatura

Solo credendo realmente e dunque puntando sull’istruzione come potente fattore anticiclico si potrà fare un discorso non demagogico sul funzionamento del sistema scolastico

Fulvio Cammarano

Per gli studenti non poteva esserci viatico migliore di quello della ministra Carrozza: «La bocciatura è utile soltanto in casi rari perché quando si entra a scuola si entra per uscirne vincitori con il diploma». Nessun discorso poteva illustrare meglio di questa frase l’ambiguità degli obiettivi dell’istruzione pubblica. La ministra in prima persona ci dice che la scuola in fin dei conti non è altro che una sorta di competizione sportiva che ha per traguardo il diploma. Il vincitore, cioè, non è lo studente preparato, ma quello diplomato. Non si tratta certo di una teoria nuova, tuttavia sino ad ora tale angolo di visuale era occupato dagli studenti e soprattutto dai loro genitori che, naturalmente, vogliono una sola cosa: la promozione, vale a dire un risultato, umanamente comprensibile, sul cui altare si è disposti a sacrificare tutto, qualità della preparazione compresa. Il fatto che oggi anche la ministra si collochi pubblicamente nella stessa prospettiva non ha però nulla a che fare con l’adesione a un qualche modello pedagogico, ma rappresenta solo uno dei tanti frutti avvelenati della crisi economica. «Bocciare» la bocciatura, insomma, è solo un espediente per tagliare la spesa pubblica e a ben guardare è anche un modo comodo con cui far passare un disinvestimento per una teoria pedagogica. Si tratterebbe, infatti, di un tipo di taglio che, unico al mondo, non provoca proteste e non causa scioperi; anzi, al contrario, procura consensi in quella larga parte dell’opinione pubblica che guarda con ansia non al tipo di preparazione dei ragazzi, ma solo all’esito finale di esami e scrutini. L’esternazione però è molto pericolosa perché la reticenza della ministra a segnalare i veri motivi di questo intervento finisce per avallare l’idea di un’indicazione politica ministeriale che non potrà non avere conseguenze a cascata sui presidi e sui consigli di classe di tutt’Italia. Il sacrosanto obiettivo di avvicinare allo zero il numero delle bocciature non può essere perseguito a suon di dichiarazioni, scaricando sugli operatori le responsabilità, ma solo con cospicui investimenti, vale a dire rafforzando qualitativamente e quantitativamente il corpo docente. Il resto è demagogia, a cominciare dal tentativo di trasformare la questione in uno scontro tra passatisti e progressisti. E se è vero che la bocciatura, come dice il ministro, «è un elemento di disagio del sistema educativo nel suo complesso», è altrettanto vero che ne rappresenta l’effetto, non certo la causa. Solo credendo realmente e dunque puntando sull’istruzione come potente fattore anticiclico si potrà fare un discorso non demagogico sul funzionamento del sistema scolastico. Se manca questa volontà politica, la promozione d’ufficio rappresenterà non l’attenzione delle pubbliche autorità verso i più deboli, bensì, al contrario, la loro indifferenza nei confronti di chi per tutta la vita dovrà convivere, diplomato o meno, con gli effetti catastrofici di una mediocre scolarizzazione.