Incontro con Antonio Ferrara
di Mario Coviello
Lo scrittore Antonio Ferrara, il cui ultimo romanzo “ Il ragazzo e la tempesta “ è uscito da meno di un mese edito da Rizzoli, incontrerà il 14, 15 e 16 maggio 2014, nell’ambito della settima edizione del Torneo di lettura di undici scuole in rete della provincia di Potenza, coordinate dall’Istituto Comprensivo di Bella, i ragazzi delle scuole superiori di Muro Lucano, Rionero e Potenza e i genitori e gli alunni di Bella. A questi ragazzi Ferrara ha fatto leggere in anteprima i primi tre capitoli della sua ultima fatica e li ha invitati a finire la storia. Nei laboratori di scrittura di maggio si confronterà con questi adolescenti alla ricerca del senso della vita e i loro docenti.
La tempesta a cui allude il titolo del libro non è solo la bufera di neve che sorprende Bruno, suo padre e la sorellina Dora tra i sentieri e i crepacci di montagna, trascinandoli in un’avventura drammatica che cambierà per sempre la loro vita. E’ il tormento quotidiano di un ragazzino che sta crescendo a tu per tu con il padre, ex guardiacaccia, tornato a casa dopo essere stato cinque anni di ospedale, in coma, in seguito a un brutto incidente in montagna. E’ una persona indurita dall’esperienza quest’uomo che Bruno stenta a riconoscere come suo papà: nervoso, taciturno, talvolta assente e spesso severo più del dovuto. Bruno, che ha tredici anni, lo osserva di continuo; un po’ lo teme – i suoi castighi forti e sbrigativi lo umiliano, ogni volta li sente come una lama che gli trafigge il cuore – ma nello stesso tempo lo adora, ne ha un’ammirazione sconfinata, vuole corrispondergli, assomigliargli, essere apprezzato in ciò che fa, imparare a diventare un uomo come lui. L’occasione giusta per stare insieme e conoscersi si presenta con la proposta di un’escursione verso le rocce e la vetta di quella montagna traditrice che ha cambiato per sempre suo padre. Una sfida da raccogliere ma piena di incognite. Il ragazzo e la tempesta (Rizzoli; 10,50 euro) è una storia intensa che parla di crescita, di emozioni e di coraggio. Di amore di figlio e amore di padre che non sempre sono sulla stessa lunghezza d’onda. Essenziale, senza fronzoli, a volte tagliente ma mai privo di tenerezza, il linguaggio di Antonio Ferrara, premio Andersen 2012 – indimenticabile autore di Batti il muro e Ero cattivo – ci accompagna attraverso un racconto di formazione che rapisce anche il lettore adulto.
Lo abbiamo intervistato. Ecco le sue risposte.
Figura centrale del tuo ultimo romanzo “ Il ragazzo e la tempesta” è un padre che non ha nome, che non fai mai chiamare papà, che si sveglia dal coma, causato dalla caduta in un crepaccio, dopo cinque anni e diventa il punto di riferimento del figlio. Bruno ha tredici anni, ed impara ad amarlo anche se tutti in paese e a scuola lo chiamano pazzo. “Il padre” ha gli occhi azzurri “ duri come due biglie di vetro”, è alto come la montagna alla quale vuole tornare, parla poco; ha un raro sorriso timido che sembra prenderti in giro. Nelle spalle un’aquila tatuata vola quando coglie la frutta e spacca la legna.
Nell’epoca in cui, come sostiene lo psichiatra Massimo Recalcati, e prima di lui già dal 1968 Lacan, i padri si sono evaporati, perché hai voluto affrontare questo tema in un libro che si rivolge agli adolescenti ?
Proprio per riportare al centro la figura paterna, ultimamente appunto così defilata. In casa e a scuola ormai l’educazione dei figli è quasi completamente delegata a figure femminili (mamme, maestre, professoresse), dimenticando che i bambini e gli adolescenti – sia maschi che femmine – hanno un urgente bisogno di punti di riferimento anche maschili, che proprio Recalcati sottolinea quanto siano portatori di regole, limiti e dunque perfino di desideri. Nel senso che il padre è colui che indica il confine oltre il quale non si può andare e entro cui egli stesso è tenuto a rimanere, ma all’interno del quale si può e si deve assolutamente desiderare. Il Padre salva dal delirio di onnipotenza infantile, ti insegna che non puoi volere tutto. Che devi “sceglierti” per bene i desideri. Il padre di Bruno non ha nome perché è il Padre di tutti.
Dedichi questo libro a tuo padre “ che non aveva paura di niente e di nessuno “
Chi era tuo padre per te ? Somiglia al padre de “ Il ragazzo e la tempesta “ che ha le rughe, i capelli grigi, i peli lunghi sulla faccia, le dita delle mani rosse e pelose, fa ombra al sole “?
Somiglia a questo padre con una rabbia dentro così grande che lo porta a fare a pezzi con la scure le cassette della frutta e cataste di legna; una carogna, a volte, con Bruno,capace di dargli uno schiaffo, di mettergli un coltello alla gola. Un padre che lo spinge a bere il vino, a fumare, a lavorare sodo con lui, contro la moglie che dice che Bruno è piccolo e invece lui fa così perché “ era ora di imparare e che per crescere bisogna fare “ ?
Mio padre faceva il poliziotto, era un tipo davvero un po’ matto, imprevedibile, facile agli accessi d’ira, ma anche decisamente generoso e notevolmente coraggioso. Non temeva il confronto con niente e con nessuno, non era mai in soggezione, mai subalterno coi potenti. Da piccolo mi vergognavo del suo essere sfacciato, invadente con gli estranei, ma intanto ne ammiravo profondamente il coraggio anche nelle situazioni più difficili.
Bruno è un adolescente che ha paura ma “ vuole capire le cose che gli capitavano “, che si sente fuori posto, che ha una madre e una sorella che parlano sempre fra di loro e vuole piacere allo sconosciuto che è risuscitato e fa la carogna con lui e con la sorella che butta fuori dal lettone e corre a prendergli le sigarette.
Vuole conquistare un padre che lo costringe a mangiare la frutta che odia, un padre che ha negli occhi “ una luce che non c’era negli occhi di nessuno”, “ occhi ostinati che ti bucavano la pelle… ti entravano dentro come un coltello “ un padre che finalmente gli dice “ vieni con me “.
E Bruno impara a lavorare senza sosta, a star male per la fatica e a non dire niente perché vuole essere uguale a lui. E finalmente suo padre dice “ E’ come me .”
E’ stato così tuo padre con te.? Sei stato così per tua figlia.. ? Di padri come quello del tuo romanzo hanno bisogno gli adolescenti che conosci in giro per l’Italia, quelli che ascolti, fai divertire, educhi con i tuoi libri, i laboratori di scrittura ?
Mio padre non è stato un padre molto attento ai suoi figli (a me e a mia sorella). Ho imparato presto che dovevo farmi bastare quel poco che riuscivo a cavarne. Sono in fondo stato come Bruno, che, dal poco padre (e nel poco tempo) che riesce ad avere, cerca di mettere a punto una specie di autopedagogia, cerca di osservare e di capire cosa voglia dire crescere, essere autosufficienti, cavarsela. E cerca di farlo molto in fretta.
I ragazzi oggi hanno una formidabile sete di padri, di solidi muri contro i quali cozzare. Di un’autorità che ostacoli il gigantismo dell’Io. Senza regole non c’è trasgressione, e senza trasgressione non c’è ricerca del sé.
Con mia figlia ho provato ad essere un padre esemplare, ma non credo proprio di esserci sempre riuscito. Ho capito, da padre, che il coinvolgimento affettivo è una molla potente d’amore ma anche un elemento che comporta scarso distacco nella valutazione delle situazioni. Ti porta ad enfatizzare vizi e virtù. E l’educazione (come in fondo la scrittura, a pensarci) è invece distacco e tenerezza. Tenerezza, certo, ma anche distacco.
Mentre in altri tuoi romanzi come “ Batti il muro “ le donne sono protagoniste ne “ Il ragazzo e la tempesta “ l’universo femminile è più defilato. C’è la madre che è meno stanca da quando il marito è tornato, prega e porta i fiori alla Madonna, cucina, fa il caffè, lucida la frutta con lo sputo ed è innamorata del marito “ e lo guardò e gli occhi gli brillavano e dentro gli occhi se ci guardavi bene ci trovavi l’amore per mio padre “.Ha paura che un’altra disgrazia lo porti via, questa volta per sempre.
Devono essere così le donne ? Quanto sono importanti per Antonio Ferrara le donne nella vita ?
Le donne sono così, nel senso che possiedono biologicamente e culturalmente una formidabile energia che le porta a contenere, a prendersi cura, ad essere empatiche, a cogliere prima e meglio il dolore degli altri. Sono però meno allenate a staccarsi, a tagliare i legami, a spingere i figli nel mondo. E per questo ci sono (o dovrebbero esserci) i padri.
Il padre, col suo arrivo, porta a Bruno il pensiero razionale, concreto, pragmatico, che si confronta con la realtà e lo allontana progressivamente dal mondo magico dell’infanzia.
Ma veniamo alle “mie” donne.
Mia madre, che ha studiato fino alla quinta elementare, ha sempre creduto ciecamente in me, ed è stata il primo, vero, potente motore della mia motivazione e della mia autostima.
Mia moglie, suscitando in me l’amore e il desiderio adulti, mi ha fatto crescere di colpo, mi ha staccato quasi violentemente dalla mia infanzia, e mi ama teneramente, e la sua stima è sempre stata per me un talismano contro i mali e le sfortune della vita. E’ stato proprio per far colpo su di lei (che recitava in una compagnia teatrale) che da ragazzo mi sono messo a studiare tutto il teatro moderno di Ibsen, Beckett, Ionesco, Eduardo, Fo. E, sempre per conquistarla, (era in un’altra città, fidanzata con un altro) ho cominciato a scrivere, a scriverle struggenti lettere d’amore, che alla fine per fortuna hanno funzionato. E poi, per raggiungerla, ho cambiato anch’io città, staccandomi così fisicamente dalla mia famiglia.
Con mia figlia ancora adesso provo a puntellare la sua ancora traballante autostima, a spingerla a mettersi in gioco, ad andare all’estero, a studiare, a lavorare, a imparare le lingue, a faticare senza lamentarsi troppo, a correre dei rischi, perché ho sperimentato sulla mia pelle che se non corri dei rischi non cresci.
Un’altra bella figura femminile è la prof. di scienze che ama la suamateria, la natura, la montagna e gli alberi e sa disegnare le foglie alla lavagna e le conosce , invita a mangiare la frutta, mette in guardia sui pericoli del fumo, si mette il camice e fa gli esperimenti, conosce i suoi alunni.
In un’altra occasione ti ho già fatto questa domanda che voglioriproporti. Come sono le donne insegnanti che incontri in giro per l’Italia ? Sono cambiate nel corso di questi anni..?
La prof del romanzo è una sorta di sintesi di quello che dovrebbe essere un’insegnante: una figura portatrice di cure, di passione, di regole, di stimolo alla curiosità, di pensiero ludico e laterale. Un padre e una madre insieme, ecco.
A scuola, e soprattutto con la letteratura, si può fare educazione sentimentale e spirituale, si può insegnare a nominare e a condividere le emozioni. Hermann Melville in Moby Dick insegna l’importanza di avere delle ossessioni, delle tenaci passioni. Joseph Conrad in Linea d’ombra insegna la consapevolezza di cosa voglia dire l’autonomia e l’indipendenza, ma anche la solitudine che ne deriva.
Ne trovo, di insegnanti così, in giro per l’Italia, e quando le trovo me le tengo strette. Tante altre le trovo sole, demotivate, depresse. Ma per fare l’insegnante non si può essere depressi, né si può aspettare la Grande Riforma della scuola, per cominciare a lavorare.
Nel tuo romanzo , dopo Bruno e il padre, prima dell’incidente guardia forestale, è protagonista la montagna che il padre tornato in vita guarda sempre dalla finestra di casa e dalla quale aspetta un richiamo. La montagna è stata importante nella tua vita? Quali sono state le montagne che hai dovuto scalare tu per crescere ?
La montagna è solo una metafora, non ci sono montagne topograficamente vere, nella mia vita. Le mie montagne, da ragazzo, sono state in primis una devastante timidezza che mi paralizzava anche i pensieri, che mi impediva di parlare in pubblico e di manifestare le mie emozioni. Poi la paura di andar via da casa, di non farcela da solo, di perdere le mie sicurezze e le mie amicizie di ragazzo. Poi la paura di entrare nel mondo del lavoro. Poi la paura di non riuscire ad essere un bravo genitore. E tante altre paure-montagne quotidiane che vanno e tornano, perché maturi non si diventa mai, si cresce sempre.
La montagna brucia a causa di un folle e la rabbia del padre aumenta. E con il figlio decide di agire. Scala la montagna e su di essa si compie il rito sacrificale, fatto di neve, fatica, lacrime, freddo, fuoco, vino e sangue . Il sacrificio è necessario perché “ l ‘ albero che brucia butta i semi lontano “. E’ qui che il ragazzo cresce e finalmente “ mi sentivo capace come un bambù che cresceva tutto d’un colpo.. sto crescendo proprio adesso, pà…Davvero sai…sento che mi si allungano tutte le ossa .”
Ho capito bene ? Perché hai chiuso così il “ Ragazzo e la tempesta ?
Sì, il romanzo finisce con una specie di rito sacrificale, propiziatorio della crescita di Bruno, del piccolo uomo che comincia adesso la sua vita. Per crescere devi “ammazzare” tuo padre dentro di te, e comunque io personalmente mi sono sentito veramente adulto soltanto quando mio padre è venuto a mancare fisicamente. Il muto sacrificio dei padri, il loro fare in silenzio cose sacre ai tuoi occhi, ti orienta il cammino.
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