Per stare insieme…
di Antonio Stanca
E’ comparso nel 2007 pubblicato dalla casa editrice E/O di Roma che nel 2009 lo propose nella prima edizione Tascabili e nel 2011 in questa ristampa ancora Tascabili, pp,137, € 9,50. E’ il romanzo Amiche per la pelle compreso tra quelli scritti in italiano dall’indiana Laila Wadia che ha sempre scritto in inglese.
Wadia è nata a Bombay nel 1966, ha quarantotto anni, vive in Italia, a Trieste, dal 1986, da quando aveva venti anni, e presso l’Università di Trieste lavora come Collaboratore Esperto Linguistico. E’ giornalista, traduttrice, interprete ma l’attività che maggiormente la impegna è quella della scrittura narrativa. Romanzi e racconti ha scritto finora e molti riconoscimenti ha ottenuto, in molte antologie o riviste, anche on-line, sono presenti suoi racconti. Temi ricorrenti nella narrativa della Wadia sono quelli della migrazione, della condizione degli immigrati in Italia ed in particolare delle donne immigrate. Di immigrati scrive, dei disagi, dei problemi loro, delle loro famiglie, dei loro figli, per gli immigrati del Nord Est d’Italia e per la loro integrazione s’impegna in maniera concreta, prende iniziative, fa dei programmi. Nella sua scrittura, però, non giunge mai a dire di situazioni estreme, di problemi insolubili poiché rimane in superficie, si muove con leggerezza tra quanto rappresentato, tende a cogliere gli aspetti curiosi, comici di una circostanza, a fare ironia. Tanto sicura è diventata la Wadia nello scrivere da riuscire ad ottenere effetti così apprezzabili, da venare le sue narrazioni di umorismo, di comicità, da procedere con semplicità, con naturalezza pur tra vicende complicate.
Anche in Amiche per la pelle si assiste a questa maniera, anche qui si narra con ironia, ora manifesta ora celata, di donne immigrate, un’indiana, un’albanese, una bosniaca ed una cinese, che vivono, tra gli ultimi anni del ‘900 e i primi del 2000, a Trieste nello stesso condominio situato nel centro storico della città in via Ungaretti al numero 25, e come la strada pur esso ormai in condizioni di degrado. L’indiana, Shanti Kumar, è la voce narrante e dietro di essa si può intravedere la figura dell’autrice. Ognuna delle quattro donne ha il suo appartamento dove vive col marito, qualcuna anche con i figli. Provengono da luoghi diversi, lontani, sono fuggite da situazioni difficili, pericolose e trovatesi a Trieste sono diventate amiche perché hanno avuto gli stessi problemi, quelli di un lavoro per il marito e per loro, delle spese per la casa e per la famiglia, delle ristrettezze economiche che a volte diventavano preoccupanti. Ma è successo pure che a differenza degli uomini esse si siano incontrate più spesso, abbiano avuto rapporti, scambi più frequenti, si siano confidate più cose, abbiano parlato di più tra loro e con le persone del vicinato e dei negozi frequentati. Questo ha rafforzato la loro amicizia e le sta inserendo nell’ambiente, le sta integrando con esso, sta facendo loro desiderare di apprendere la lingua italiana, di rivolgersi ad un’insegnante, Laura, per avere lezioni di lingua. Diverranno “amiche per la pelle”, saranno loro, i loro pensieri, le loro azioni, gli elementi più importanti del romanzo, intorno a loro questo si muoverà in ogni sua parte.
Oltre che di lingua italiana Laura parlerà alle quattro amiche anche di emancipazione femminile, di diritti delle donne, di quanto nelle società occidentali le donne siano progredite e di come dovrebbero fare anche loro. Sono discorsi che non vengono accettati molto dai mariti perché legati ancora all’antica concezione della donna che attende alla casa, ai figli ed è sottomessa all’uomo.
L’unico inquilino italiano del palazzo è il signor Rosso che vive solo, si dedica a studi di letteratura e non sopporta gli stranieri.
Così, tra mariti impegnati in duri lavori e mogli divise tra ore di lavoro, di lezione ed altre dedicate alla casa, ai figli, vivono a Trieste in via Ungaretti, numero 25, quattro famiglie d’immigrati fin quando dai proprietari del condominio non vengono avvisate che devono lasciare le case perché lo stabile deve essere ristrutturato. Si crea uno stato di allarme che dura un certo tempo durante il quale si pensa alle soluzioni più diverse del problema. Chi vorrebbe trovare altro alloggio nella stessa città, chi rientrare in patria, chi avviare un’azione legale contro i proprietari. Molto contrastata e molto difficile diventa la situazione ma infine e con sorpresa generale si risolve nel migliore dei modi poiché tramite l’intercessione dell’immigrata cinese il suo datore di lavoro acquista l’immobile e fa rimanere ognuno nella sua casa e con la stessa spesa di affitto a condizione che nelle cantine siano temporaneamente ospitati alcuni cinesi clandestini. Altra ed ultima sorpresa è quella del signor Rosso che muore lasciando ad ognuna delle quattro famiglie una cospicua eredità in denaro.
Da un pericolo che diventava sempre più incombente si sono salvati tutti. Tutti potranno rimanere ai loro posti, vivere nella loro strada. Le quattro amiche non si separeranno ma continueranno nei loro impegni e nelle loro intenzioni d’integrarsi con l’ambiente, di far crescere i propri figli insieme ai ragazzi del posto, di vederli con gli altri, come gli altri.
D’integrazione parla, per l’integrazione si adopera, d’integrazione scrive la Wadia senza lasciare mai, nella sua scrittura, che un problema diventi insolubile, senza mai rinunciare a far sorridere pur in circostanze difficili.
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