Ok definitivo, tra le proteste, alla riforma della scuola: tutte le novità per studenti, presidi e prof

da Il Sole 24 Ore

Ok definitivo, tra le proteste, alla riforma della scuola: tutte le novità per studenti, presidi e prof

di Eugenio Bruno

La buona scuola è legge. Ma condurre al traguardo la riforma dell’istruzione è risultato per il governo più arduo del previsto. Come dimostrano i numeri con cui la Camera ha licenziato ieri in via definitiva il ddl Renzi-Giannini (277 sì, 173 no e 4 astenuti) e le proteste che hanno preceduto il via libera dell’assemblea.  Sia dentro il palazzo, con l’opposizione ancora sul piede di guerra, che fuori, con i sindacati e gli studenti che già annunciano battaglia per settembre. Di tutt’altro avviso il premier Matteo Renzi e la ministra Stefania Giannini che hanno esplicitato la loro soddisfazione per il risultato raggiunto.

Partiamo dai contenuti. Con la riforma varata ieri l’Italia torna a investire sull’istruzione dopo sette anni pressoché continuativi di tagli. Gran parte del miliardo stanziato dalla scorsa legge di stabilità (che a regime diventeranno 3) viene destinato a un maxi-piano di oltre 102mila assunzioni. Al tempo stesso il provvedimento porta a 200 milioni il fondo di funzionamento delle scuole, ne stanzia altrettanti per introdurre un primo embrione di merito nella retribuzione degli insegnanti (lasciando peraltro in vita gli scatti di anzianità, ndr), dona ai prof una card prepagata da 500 euro con cui acquistare libri o biglietti di cinema e teatri, finanzia con 100 milioni il potenziamento dell’alternanza scuola-lavoro, assegna 90 milioni all’adeguamento dei laboratori e alla digitalizzazione della didattica, introduce una detrazione sulle rette per l’iscrizione alle scuole paritarie (con un tetto di 400 euro), prevede un o school bonus per chi investe in istruzione, destina 300 milioni per l’edilizia scolastica ai progetti per la costruzione di istituti innovativi.

Passiamo ai numeri. I 277 voti a favore incassati dal ddl rappresentano il punto più basso di consenso delle riforme varate dal governo Renzi. Ancora meno di quei 316 sì che a maggio avevano dato il primo via libera parlamentare al provvedimento. A determinare questo risultato sono state le 39 assenze tra i banchi del Pd. Di questi solo 15 erano giustificate, le altre 24 fanno capo ad altrettanti esponenti della minoranza democrat a cui si aggiungono i 5 voti contrari di Alfredo D’Attorre, Carlo Galli, Angelo Capodicasa, Vincenzo Folino e Giuseppe Zappulla. Solo parzialmente compensati dal “soccorso azzurro” giunto dai quattro verdiniani D’Alessandro, Parisi, Faenzi e Mottola.

Tutti dati di cui l’esecutivo dovrà tenere conto nelle prossime settimane. Insieme al clima in cui anche ieri si è svolta la discussione sull’istruzione. Dai banchi della minoranza si sono levate voci critiche. E non solo. Dalla lettura corale degli articoli 3, 33 e 34 della Costituzione da parte dei 5 Stelle alla bandiera greca con la scritta ”Oxi alla buona scuola di Renzi” che campeggiava sui banchi di Sel fino ai cartelli “Giù le mani dai bambini” esposti dai deputati della Lega per protestare contro la norma che inserisce l’educazione di genere tra i comparti dell’offerta formativa da rafforzare. Una protesta che è costata al capogruppo del Carroccio, Massimiliano Fedriga, l’espulsione dall’aula.

Lo stesso copione è andato in scena in piazza Montecitorio. Con docenti e studenti riuniti per protestare contro la riforma. Tra lanci di libri in aria, striscioni, magliette e bandiere sindacali. Proprio dai sindacati sono arrivate le critiche più dure. E la promessa che la mobilitazione proseguirà a settembre quando – secondo i Cobas – diventerà «battaglia». Il come lo decideranno nei prossimi giorni Flc-Cgil, Cisl scuola, Uil scuola, Gilda e Snals che hanno tuttavia già messo in moto gli uffici legali per preparare i ricorsi sui passaggi del provvedimento – a loro dire -illegittimi, ad esempio sulla chiamata diretta dei prof.

Di tutt’altro tenore la reazione del governo. Il premier Matteo Renzi ha affidato a un tweet la sua gioia: «Centomila assunzioni, più merito, più autonomia. #labuonascuola è legge». Analogo il commento della ministra dell’Istruzione, Stefania Giannini: «Questa legge è un passaggio rivoluzionario, sia in termini di risorse che di decisionismo dell’autonomia. È un patrimonio – ha spiegato – che consegniamo nelle mani degli insegnati, dei dirigenti, degli studenti e delle famiglie». Dicendosi anche aperta a successive modifiche: «Non c’è legge perfetta, è chiaro che ci saranno dei punti deboli che troveremo e che dovranno essere riformulati e corretti». E a «misure attese da anni» si è riferito anche il titolare dei Beni culturali, Dario Franceschini. Toni simili si sono registrati infine tra le fila della maggioranza democrat. Che, in risposta al dissenso della minoranza interna, si è sperticata in aggettivi. Dal capogruppo Ettore Rosato che ha parlato di riforma «straordinaria» al presidente della commissione Istruzione, Andrea Marcucci, che l’ha definita «coraggiosa» fino a Simona Maplezzi che ha respinto al mittente tutte le «menzogne» dell’opposizione.