Marco Balzano, L’ultimo arrivato, Sellerio editore 2014
di Mario Coviello
Nemmeno duecento pagine: trentuno brevi capitoli che appassionano e scorrono veloci, senza mai annoiare è questo “ L’ultimo arrivato”, romanzo di Marco Balzano, Sellerio editore, premio Campiello 2015, che mi ha appassionato e commosso in queste ultime settimane e che vi consiglio di leggere e far leggere, e leggere in classe ai vostri alunni se siete docenti, che vi consiglio di raccontare ai vostri figli e nipoti.
Ninetto e Giuvà, paesani di San Cono, lavorano i campi legati ancora al grembo materno delle loro terre. Maturano sempre di più la speranza di staccarvisi, per recarsi in quel posto dove la macchina industriale e quella del destino si incontrano. Dopo un interminabile viaggio in treno arrivano a Milano e si scontrano con una realtà diversa, fatta di palazzoni, ciminiere, viaggi in tram e giornate scandite dalla nebbia.
E’ la storia di Ninetto pelleossa, che il romanzo racconta che lascia il suo paese sperduto in Sicilia, alla fine degli anni cinquanta e va a lavorare a Milano
«Non è che un picciriddu piglia e parte in quattro e quattr’otto. Prima mi hanno fatto venire a schifo tutte cose, ho collezionato litigate, digiuni, giornate di nervi impizzati, e solo dopo me ne sono andato via. Era la fine del ’59, avevo nove anni e uno a quell’età preferirebbe sempre il suo paese, anche se è un cesso di paese e niente affatto quello dei balocchi»(pag 18 )
Negli anni Cinquanta a spostarsi dal Meridione al Nord in cerca di lavoro non erano solo uomini e donne pronti alla vita, ma anche bambini a volte più piccoli di dieci anni che mai si erano allontanati da casa. Il fenomeno coinvolge migliaia di ragazzini che dicevano addio ai genitori, ai fratelli, e si trasferivano spesso per sempre nelle lontane metropoli.
Ed ecco come l’autore racconta la nascita del libro “ Poi qualcuno, non mi ricordo chi, mi ha raccontato che negli anni Cinquanta e nei primi anni Sessanta arrivavano a scuola anche bambini, che scappavano dalla fame e da un futuro che non poteva riservare nessuna sorpresa o speranza di miglioramento. Dunque mia madre, che è emigrata dalla Puglia bambina, lì dentro non si sarà potuta sentire nemmeno la più piccola. La notizia mi ha colpito e . ho letto saggi che mi restituivano la percezione di allora…. La conclusione era chiara, dell’emigrazione infantile non se n’è parlato molto. E se n’è raccontato ancora meno. Poi ho intervistato questi bambini emigranti, oggi più o meno settantenni. Un signore mi rimandava a un altro. Un ex compagno di fabbrica, di partito, un vicino di casa, un parente… “
E da qui il romanzo che mi ha emozionato per l’affetto che Ninetto conserva per il suo maestro Vincenzo che gli faceva imparare a memoria le poesie di Pascoli e raccontava di Rousseau e Campanella.
E grazie a questo maestro che non dimentica mai, Ninetto che è stato educato così :“Come per il cielo è normale piovere, per una vacca muggire, per un albero far cadere le foglie, per un genitore di San Cono era naturale sganciare mazzate… “Ti sei sporcato i pantaloni?” calci a ripetizione….”amerà sempre lo studio:“Anche oggi, quando mi capita di conoscere una questione o un argomento sento una soddisfazione che non si può dire. Questo sentimento non tutti lo provano, c’è chi non si interessa di sapere e vive bene con la sua faccia da ignorante. Io invece sono curioso, mi mangio le mani se si parla di cose che non so e godo quando qualcuno mi fa una domanda e conosco la risposta per filo e per segno come un egregio dottore.”(p. 160)
Ninetto va in carcere per motivi che non vi racconto perché dovete comprare e leggere il libro e, torniamo a Balzano “! In tutto questo vuoto si fa strada un desiderio che già in carcere, nello squallore della cella, Ninetto avvertiva: raccontare la sua storia a chi può custodirla. Questo scrigno innocente è la nipotina mai vista. Si chiama Lisa, figlia della sua unica figlia, che ha deciso di non fargliela conoscere per dimostrargli il disprezzo per ciò che ha fatto. Ninetto da quando è nata la immagina: fantastica di portarla in giro, prenderle la mano, proteggerla dal mondo, che è sempre prudente affrontare con un coltello in tasca. La sua storia è l’unica cosa che gli è rimasta, tutto il resto si è perso per strada. Ad essere capace di scrivere l’avrebbe lasciata sul diario che gli aveva regalato il suo idolo, il maestro Vincenzo della scuola di via dei Ginepri, a San Cono, che gli faceva imparare i versi di Pascoli a memoria e gli aveva messo voglia di diventare poeta o maestro elementare anche lui. Però quella pagina è rimasta sempre bianca, la mano si irrigidiva ogni volta che impugnava la penna. Invece, quando vedrà la bambina che gioca con nonna Maddalena, e quando la strapperà da lei per qualche ora portandola in via Gorizia, in una sorta di viaggio agli inferi in cui lui veste i panni di un poco saggio Virgilio, Ninetto sentirà di non meritare perdono, ma di aver riscattato almeno parzialmente la paura di vivere senza lasciare traccia.
Le parole di Ninetto, ovvero di Balzano, trasudano una bellezza primitiva, sia candida che aggressiva. Un’epoca che ci sembra così distante ci viene descritta con parole semplici e per questo poetiche. Ninetto da grande voleva fare il poeta. E il lettore che si affeziona a lui quasi come se lo conoscesse da anni, continua ad augurarglielo anche dopo aver letto l’ultima pagina di questo libro straordinario.
Perdetevi nei dialoghi e nelle descrizioni di questo romanzo, innamoratevi del tempo che dedicate a ogni pagina. Lasciate che, a un certo punto, le lacrime corrano veloci sul vostro viso come era solito fare Ninetto per le vie di Milano.
Il romanzo infatti è commovente (“Il dolore tiene insieme più di ogni altra cosa”) sia perché attraversa efficacemente le dinamiche psicologiche del protagonista e i fenomeni sociali – l’emigrazione, il caporalato – che i corsi e ricorsi storici tragicamente ripropongono, sia perché Marco Balzano, milanese e docente di scuola media, riesce a identificarsi pienamente nel suo personaggio siciliano e ingenuamente innamorato della cultura (“Questo signor Camus autore de Lo straniero…
E al giornalista che gli chiede “Come si riflette il drammatico tema dell’immigrazione internazionale sulla scuola dei nostri giorni?
lo scrittore risponde “ – La diversità è una ricchezza, su questo non si discute. Dove la scuola ha gli strumenti per interpretarla, accoglierla e condividerla nascono situazioni molto stimolanti. Dove gli strumenti non ci sono è più facile che si verifichino fenomeni di emarginazione, incomprensione, razzismo. È sempre una questione di risorse, se preferisci una questione politica.
In quanto a dialogo col contemporaneo, dunque, quello di Balzano è un romanzo che cade bene: si incontra e scontra con il tema dell’altro e del multiculturalismo All’immigrazione in senso largo, si pensa e ci s’interroga, leggendo questo romanzo.
Marco Balzano arriva dalla letteratura che si insegna nelle scuole – professore di medie e liceo, già pubblicato da Sellerio nel 2013 con Pronti a tutte le partenze, e prima ancora timido esordiente poeta con Particolari in controsenso (Lietocolle, 2007), con in più una passione, e alcuni saggi pubblicati sull’argomento, nientemeno che per Giacomo Leopardi. Arriva quindi in un certo senso ultimo, anche lui, dietro ai grandi autori che riporta in luce per i propri studenti, al punto che quando scrive riesce a sembrare Verga, in certe righe, e far rientrare nella storia di Ninetto, nel suo universo curioso e dissacrante, le lezioni scolastiche del maestro Vicenzo su Giovanni Pascoli e “Giangiacomo Russò”: “Fece una lezione coi fiocchi, il maestro. Parlò di un signore che si chiamava Giangiacomo Russò e lo chiamò pensatore, una parola che non avevo mai sentito e che secondo il mio compagno di banco significava uno molto intelligente e che la sa lunga, mentre secondo Peppino indicava uno che il mattino si alza e non tiene una minchia da fare”.
E che Balzano scriva di questo, sembra un ottimo motivo per vincere il Campiello, per farci pensare, alla spaccatura tra cultura lenta del sud e nord industrializzato, alla necessità di capire e accettare i contatti con le culture del Mediterraneo.
Che l’Italia abbia un’anima mediterranea, di cui il nord spesso si dimentica, si esprime per il narratore nei suoi viaggi al sud sempre sofferti: “Il treno che scende non è lo stesso che sale. È un’altra storia. Quelle carrozze vuote parlano chiaro, dicono vuoto è pure il paese dove si è diretti. Vuoto di lavoro, di cose fare e vuoto pure delle persone che pensi di ritrovare e invece non ci stanno più”.
“L’ultimo arrivato diventa così anche un importante documento sociologico perché fa riflettere sul problema dell’immigrazione e su come sia cambiata la nostra realtà negli ultimi sessant’anni
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