Alternanza ma senza qualità

da ItaliaOggi

Alternanza ma senza qualità

Contro monitoraggio della Cgil: buco normativo sui requisti formativi della aziende

Emanuela Micucci

Il primo dato è positivo rispetto a quello del 10% fornito dal Miur. Solo il 2% degli studenti di III superiore non è stato inserito in percorsi di alternanza durante lo scorso anno scolastico. Per il resto il Monitoraggio delle esperienze di alternanza scuola-lavoro nelle scuole italiane promosso da Fcl-Cgil e Rete degli studenti medi, condotto dalla Fondazione Di Vittorio su 205 scuole in 87 province con 180.335 studenti intervistati, rivela una serie di criticità sul primo anno dell’obbligo dell’alternanza, analizzando indicatori qualitativi che l’analisi del Miur non esamina.

«Un ragazzo su 4 è fuori da percorsi di qualità e vive un’esperienza dequalificata», spiega la Cgil. «Il 10% ha partecipato solo ad attività propedeutiche, con un picco nei licei e il 14% ha partecipato solo ad esperienze di lavoro in particolar modo negli istituti professionali. Residuale la quota (4%) di chi ha fatto alternanza con l’impresa formativa simulata. E l’80 per cento delle esperienze è stato fatto almeno in parte nel periodo estivo, quando la scuola ha meno possibilità di verificare. Senza contare che al Sud la situazione è peggiore che al Nord».

Tra i principali fattori di rischio esperienze dequalificate, l’occasionalità dei percorsi. L’80% delle scuole, infatti, dichiara di averli progettati a partire da offerte di soggetti privati, nate in modo occasionale, fuori da accordi di settore e da una rete territoriale, senza stabilità di relazione. Fattore che implica uno scarso coinvolgimento dell’impresa nel suo impegno formativo, perché un’azienda che non si lega stabilmente alla scuola difficilmente si impegna in un’attività di coprogettazione e pluriennale. Il 90% dei progetti si realizzano in piccole imprese (il 40%, cioè aziende con meno di 50 dipendenti) o micro imprese ( il 50%, cioè fino a 9 dipendenti). «Un tessuto che non aiuta il controllo della capacità formativa delle aziende e che, in un quadro diffuso di occasionalità in cui si realizzano i percorsi, li rende più deboli e di minore qualità», spiega la Cgil.

Inoltre, «la normativa vigente non ha definito criteri e procedure di accreditamento della capacità formativa delle strutture ospitanti, limitandosi ad alcuni requisiti generali e riducendo le competenze richieste ai tutor aziendali all’affiancamento formativo». Così per accertare i requisiti le scuole si limitano a un criterio burocratico: il 77% il rispetto del proporzionato rapporto tra tutor e studenti, il 65% l’attivazione di un tutor con competenze professionali certificate, il 70% il settore economico connesso al seme formativo della scuola e le attrezzature necessarie.

Poco presente il coinvolgimento delle organizzazioni sindacali e quello di formazione per i propri lavoratori. D’altra parte, le scuole hanno iniziato ad adeguare la propria struttura organizzativa all’alternanza curricolare, ma secondo un modello poco collegiale: l’86,3% si è dotata di un gruppo dedicato, il 61,3% ha un docente funzione strumentale alternanza. Rari i casi di collegio docenti articolato in dipartimenti, in cui si è attivato un comitato tecnico scientifico (7,4%) o si sono coinvolti soggetti esterni al gruppo alternanza (13,7%). Si delega agli specialisti: solo il 14% dei collegi sceglie i tutor, mentre le candidature volontarie prevalgono nel 56% dei casi e il restante 30% è individuato dal preside.