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La Rosa Bianca

La Rosa Bianca

di Maurizio Tiriticco

18 FEBBRAIO 1943 — “Fate resistenza passiva, resistenza ovunque vi troviate; impedite che questa atea macchina da guerra continui a funzionare, prima che le città diventino un cumulo di macerie”. Questo è il testo del primo volantino della Rosa Bianca. Quando si pensa alla Germania degli anni ’40, si è soliti pensare alla shoah o alle vicende militari tedesche; esi è meno propensi a pensare al dissenso e alla resistenza che gruppi, movimenti e associazioni, singole persone, opposero al regime dei nazionalsocialisti. Tra questi vi è il movimento della Rosa Bianca (in tedesco Weiße Rose), che fu uno dei più significativi, anche per il fatto che era composto da ragazzi e ragazze molto giovani. Era un gruppo di cinque studenti tutti attorno ai vent’anni: Hans e la sorella Sophie Scholl, Christoph Probst, Alexander Schmorell e Willi Graf. Il movimento era fondato su valori prettamente cristiani, realizzò azioni sempre non violente, operando nella Germania nazista tra il giugno del 1942 al febbraio del 1943, quando i componenti del gruppo vennero arrestati e, in alcuni casi, condannati a morte, come successe per i due fratelli Hans Scholl e Sophie Scholl. Il gruppo agìsoprattutto a Monaco di Baviera. Furono pubblicatisette opuscoli, ma ne vennero diffusi solamente sei a causa della cattura che impedì loro di diffondere anche il settimo. Gli opuscoli invitavano fortemente iconcittadini tedeschi ad opporre resistenza passiva al regime.

Valori cristiani e non violenza erano accompagnati da tolleranza e giustizia, nel sogno di realizzare un’Europa federale all’insegna della cooperazione e del perseguimento del bene comune. Nei loro opuscoli venivano citate spesso fonti ed autori di alto profilo, dalla Bibbia ad Aristotele, da Sant’Agostino a Goethe. Il gruppo si appellò all’intelligenza del popolo tedesco, perché potesse andare oltre Hitler e il nazismo, opponendosi al regime che provocava tanti orrori sia in patria che in Europa. Va ricordato chealcuni membri del gruppo erano stati arruolati nelle campagne contro la Francia e contro l’Unione Sovietica. Ed in tal modo avevano potuto vedere con i propri occhi le atrocità che venivano compiute. Tra le altre iniziative, il gruppo rigettò il programma di eutanasia forzata, basato sull’eugenetica nazista, attuato contro i cittadini tedeschi che erano affetti da disabilità intellettiva e fisica.

Nei primi mesi di vita, i membri del gruppo avevano distribuito opuscoli antinazisti in diverse città della Baviera e dell’Austria, nella convinzione che la Germania meridionale fosse più ricettiva nei confronti del loro messaggio antimilitarista. In seguito il gruppo prese una posizione ancora più decisa contro Hitler, sul finire del 1942 e l’inizio del 1943. E non si limitavano a distribuire opuscoli. Di notte scrivevano slogan anti-nazisti e anti-hitleriani sui muri dei palazzi di Monaco e sui cancelli dell’Università Ludwig Maximilian.

Il gruppo della Rosa Bianca, nonostante tutte le misure prudenziali attuate, venne però scoperto! Era il 18 FEBBRAIO del 1943! Sophie Scholl e suo fratello Hans si erano recati all’università con circa 1500 copie del sesto opuscolo del movimento, da distribuire ovviamente senza alcun permesso. Ma, mentre i due fratelli operavano, un impiegato li notò e li condusse dal rettore. Denunciati, furono arrestati dalla Gestapo. In seguito furono arrestati anche gli altri membri, insieme ad un’ottantina di persone, che, pur non facendo parte attiva del gruppo della Rosa Bianca, a questa erano comunque collegati. Ed il 22 FEBBRAIO 1943 a Monaco di Baviera Hans e Sophie Scholl e Christoph Probst vennero giustiziati.

I nazisti la ebbero vinta! Ma i semi lanciati dai patrioti della Rosa Bianca diedero i loro frutti! E, se la folle ideologia nazista crollò anche presso i tedeschi, parte del merito va anche ai coraggiosi della Rosa Bianca.

Una terribile ricorrenza!

Una terribile ricorrenza!

di Maurizio Tiriticco

16 OTTOBRE 1943 — E’ una data importante e tristissima per la comunità ebraica di Roma, ed anche per l’intera città. Per gli ebrei romani quella data segna una tappa del mostruoso itinerario normativo e applicativo iniziato nel settembre del 1938 con la promulgazione delle leggi razziali. Si trattò di un insieme di provvedimenti legislativi e amministrativi applicati nel nostro Paese fra il 1938 e il primo quinquennio degli anni quaranta, inizialmente dal Regime Fascista e poi dalla Repubblica Sociale Italiana. Le leggi razziali hanno di fatto rappresentato l’anticamera dei campi di sterminio nazisti. Così dal 1938 in Italia gli ebrei addirittura…non muoiono più! Perché è vietata la pubblicazione dei necrologi! Perché gli ebrei devono diventare “invisibili”! Tuttavia – stando a quel che di tragico accadde in quel 16 OTTOBRE 1943 – gli ebrei romani in effetti erano molto visibili e facilmente reperibili: erano stati registrati in una lista, quindi perfettamente identificabili. Quel 16 ottobre era un sabato, quando, alle 5.30 del mattino, un nutrito drappello di soldati tedeschi, guidati dal capitano Dannecker, fecero irruzione nelle case degli ebrei di Roma, che le leggi razziali avevano contribuito a identificare. Furono così arrestate 1259 persone. Di queste, 237 furono rilasciate, le altre 1022 furono caricate su dei treni merci e deportati direttamente ad Auschwitz. E solo in 16 torneranno a casa!

Dal racconto di LELLO DI SEGNI —- “Eravamo tutti e sei in casa: io, mio padre, mia madre e tre fratelli: Angelo, Mario e Graziella. Quasi all’alba sono arrivati, si sono presentati e con una lista di nomi hanno iniziato a perlustrare le stanze, convinti che nascondessimo qualcuno. Dentro gli armadi, in soffitta, in cantina. Niente. C’eravamo solo noi, gli altri parenti erano scappati le settimane precedenti. Poi con il mitra dietro la schiena siamo scesi in strada e ci hanno fatto salire su dei camion… ”—- Un passo indietro. Il 26 SETTEMBRE 1943 il generale Kappler parla con il presidente della Comunità israelitica di Roma: vuole 50 chilogrammi di oro da racimolare in meno di due giorni. In cambio garantisce la non deportazione di 200 ebrei. L’oro viene consegnato. Fino a quel momento i tedeschi si erano dimostrati di parola e fino all’armistizio dell’8 SETTEMBRE 1943 non avevano deportato ebrei. Eppure tutto cambiò. La decisione arriva dall’ufficio centrale per la sicurezza del Reich, diretto da Otto Adolf Eichmann: che vuole un blitz come quello di Parigi: la cosiddetta operazione “Velodromo d’inverno”, quando più di tredicimila francesi furono riuniti e chiusi in uno stadio dedicato a gare di ciclismo e poi rastrellati. Pertanto l’oro fu intascato e gli ebrei furono tutti catturati! E’ opportuno ricordare che In Italia furono eseguiti 1898 arresti di ebrei da parte di italiani, 2489 da parte di tedeschi. 312 arresti vennero compiuti in collaborazione tra italiani e tedeschi, mentre non si conosce la responsabilità dei rimanenti 2314.

I prigionieri furono trasportati alla Stazione ferroviaria Tiburtina e rinchiusi in vagoni merci debitamente piombati. Ma torniamo al racconto di LELLO DI SEGNI: “Rimanemmo chiusi dentro ai vagoni per cinque giorni, quasi senza mangiare, il poco cibo e la pochissima acqua dipendevano da quanto le mamme erano riuscite a racimolare prima di partire. I nazisti non hanno mai, dico mai, aperto un portellone del vagone. Respiravamo a fatica”. Giungono in Polonia. La sfilata dei “trofei”, il ghigno dei gerarchi, i cani tenuti a fatica al guinzaglio, anche loro eccitati, la scelta di chi era utile per il lavoro e di chi no. La famiglia Di Segni non esiste più: la mamma e i tre fratelli sono uccisi subito, giudicati inutili dai nazisti. Si salvano solo Lello e il padre e, quando lo ricorda, non possono bastare settant’anni per trattenere le lacrime. Non ha potuto neanche dirgli addio! Un attimo ed è finita un’esistenza.

Lello si ferma. Sbottona il polsino della camicia sinistro, alza la manica, gira l’avambraccio e mostra il suo numero tatuato. “Mi sono fatto due anni di campo di concentramento, tra la Polonia e la Germania; ho anche lavorato dentro al Ghetto di Varsavia, scavavo, scavavo e ancora scavavo. Cosa trovavamo? Meglio lasciar perdere…”. Non vuole aggiungere altro. Troppa fatica, troppo dolore. Finita la guerra, Lello torna faticosamente in Italia; non pesa neanche trenta chili. “Mi sono fermato a Milano da alcuni parenti e, quando a Roma si è sparsa la voce che ero sopravvissuto, non ha idea di quante persone mi hanno raggiunto con le foto dei parenti scomparsi per chiedere se sapevo qualcosa. Se li avevo visti. Se erano ancora vivi”. Fino a quando gli giunge anche un messaggio inaspettato, del padre, anche lui vivo. “Sono riuscito a riabbracciarlo, ma per poco! Era troppo stanco, provato e malato. Subito dopo è morto”. Dei deportati di quella maledetta notte del 16 OTTOBRE 1943 sono tornati in sedici! E Lello era l’unico ancora vivo insieme a Enzo Camerino. Ma ci lascerà il 26 OTTOBRE del 2018.

Morte di un generale

Morte di un generale

di Maurizio Tiriticco

14 FEBBRAIO 1941 —- Agli inizi del 1941 la guerra nel Nordafrica, sul fronte libico-egiziano, per le truppe italiane non andava affatto bene! Erano messe a dura prova dall’8ª armata britannica. Pertanto, all’interno della cosiddetta Operazione Sonnenblume, ovvero Girasole, al fine di supportare le truppe italiane, Hitler decise di inviare l’unità della Werhmacth denominata Afrikakorps sotto la guida del feldmaresciallo Erwin Rommel. Il 14 FEBBRAIO le prime divisioni giunsero a Tripoli. E poi… grazie all’aiuto tedesco, ci fu una grande rimonta delle truppe dell’Asse!!! Il nemico cominciò a indietreggiare!!! E per questa brillante operazione, Rommel venne soprannominato la “Volpe del Deserto”. Ma… ma… qualche anno dopo per la Volpe e per tutto l’esercito tedesco le cose cominciano a cambiare su tutti i fronti, e sempre di male in peggio!

Fu così che, nell’estate del 1944, generali ed alti funzionari politici tedeschi, ovviamente preoccupati, stante l’andamento della guerra, e convinti che ormai per la Germania non ci fosse più nulla da fare, presero una estrema decisione, convinti che tutto si sarebbe potuto risolvere “facendo fuori” il loro non più amato Führer.Ovviamente una votazione democratica in un Paese,governato da anni da una terribile dittatura, sarebbe stataassolutamente impensabile.

Fu così che, in quel clima di terrore e di vittoria sempre più incerta, venne ordita una congiura. Ed il 20 LUGLIO 1944 venne compiuto un attentato dinamitardo, e proprio nella sede dove Hitler, il Führer, esercitava le sue funzioni di grande stratega. E’ bene ricordare che un anno prima, esattamente il 25 LUGLIO 1943, era stato “fatto fuori” Benito Mussolini! Ma con metodi più civili: come è noto, fu “impacchettato” dai carabinieri dal Re Vittorio Emanuele III e fatto scomparire in un luogo segreto. Con grande esultanza degli Italiani, che della guerra che si stava perdendo non ne potevano proprio più.

Ma purtroppo l’attentato ad Hitler – la cosiddetta Operazione Valchiria – fu un fallimento ed il Führer si salvò.Era stata messa una bomba nella cartella di cuoio del colonnello Von Stauffenberg e posta sotto il tavolo vicino a Hitler. Alle 12.42 la bomba esplose. Tre ufficiali restarono feriti, ma Hitler rimase praticamente illeso. I congiurati furono arrestati e la sera stessa passati per le armi. Ma la vendetta di Hitler non conobbe limiti! Ben 200 esecuzioni e 5000 arresti!

Ma tra gli attentatori c’era il generale Rommel, amatissimo dal popolo tedesco. Che forse non avrebbe capito! E allora? Che fare? Grande idea! Rommel fu invitato… semplicemente… a suicidarsi!!! Quante belle invenzioni nei regimi dittatoriali! Ed al popolo sarebbe stato detto che era morto, punto e basta! Ed avrebbe avuto anche tutti gli onori, militari e civili! E così fu!! Due suoi colleghi, i generali Wilhelm Burgdorf ed Ernst Maisel, gli fecero questa proposta: se si fosse suicidato, sarebbe morto per “cause naturali” e sarebbe stato sepolto con tutti gli onori militari.Altrimenti avrebbe seguito il destino di molti altri congiurati: la degradazione, l’espulsione dall’esercito con disonore e, molto probabilmente, la morte per impiccagione. Inoltre la sua famiglia avrebbe subito le conseguenze del suo gesto, come stava già succedendo ai congiunti delle persone compromesse nell’attentato. Infatti era seguita un’orgia di vendette che condusse a ben 200 esecuzioni e a 5.000 arresti, purtroppo anche di persone innocenti.

Durante il colloquio con i due generali, Rommel, pentitissimo??? Mah!!!, dichiarò la propria fedeltà a Hitler e alla causa nazista, negando il proprio coinvolgimento nel complotto e sostenendo di voler continuare a servire la patria. Ma Hitler la sua decisione l’aveva già presa: morte al traditore! L’ex Volpe del Deserto, ridotto ormai ad agnello sacrificale, optò allora per un dignitoso suicidio, forse ancheper evitare le rappresaglie che sarebbero seguite nei confronti della sua famiglia e dei suoi collaboratori. Rommel illustrò la sua scelta alla moglie ed al figlio, ai quali intimò di mantenere l’assoluto segreto sulla vicenda, altrimenti anche loro avrebbero rischiato la morte. Perché con il Führer c’era poco da scherzare! Con grande dignità, come un eroe omerico, Rommel indossò la sua uniforme di comandante dell’ Afrika Korps, prese con sé il proprio bastone da maresciallo e salì a testa alta sull’automobile di Burgdorf, guidata dal sergente capo Heinrich Doose. L’auto partì e si fermò poco lontano dall’abitato. Doose si allontanò dalla vettura, lasciando Rommel assieme a Burgdorf. Cinque minuti dopo anche Burgdorf uscì dalla vettura e fece cenno ai due uomini di tornare verso la macchina. Era il 14 ottobre 1944 ed Erwin Rommel aveva posto termine alla propria vita, quasi certamente tramite assunzione di una capsula di cianuro di potassio.

Una storia che si ripete?

Una storia che si ripete?

di Maurizio Tiriticco

Dopo l’assalto e la devastazione neofascista della sede della CGIL in Roma —- Un monito e una storia! La Confederazione Generale Italiana del Lavoro, CGIL, fu fondata nel lontano 1906. Ed è doveroso ricordare BRUNO BUOZZI, operaio metallurgico specializzato e convinto antifascista. Fu tra i più autorevoli sindacalisti italiani della prima metà del Novecento e deputato socialista dal 1919 al 1926. Poi fu costretto a trasferirsi in Francia, dove ricostituì la Confederazione Generale del Lavoro e fece attiva opera antifascista attraverso la direzione del giornale “L’Operaio Italiano” che, pubblicato in formato ridotto, venne fatto circolare clandestinamente anche in Italia.

Nel 1940, alla vigilia dell’occupazione tedesca di Parigi, Buozzi si trasferì a Tours, nella cosiddetta “Francia Libera”. Nel febbraio del 1941 tornò a Parigi. Il 1º marzo 1941 fu arrestato dai tedeschi, su richiesta delle autorità fasciste italiane, e rinchiuso nel carcere de La Santé, dove ebbe modo di ritrovare il collega e amico della CGdL Giuseppe Di Vittorio, assieme al quale fu poi trasferito in Germania e, di qui, in Italia.

Dopo il 25 luglio 1943, in seguito alla caduta del fascismo e all’arresto di Mussolini, il 30 luglio venne liberato. Riprese così la sua vita di politico e di sindacalista. Dopo l’8 settembre del 1943 e l’occupazione tedesca di Roma, fermato il 13 aprile 1944 per accertamenti, fu condotto nella famigerata prigione di via Tasso, dove i fascisti scoprirono la sua vera identità. Il Comitato di Liberazione Nazionale di Roma tentò a più riprese, ma senza successo, di organizzarne l’evasione.

Il 1º giugno 1944, quando gli americani erano ormai alle porte della Capitale, il nome di Bruno Buozzi fu incluso dalle SS in un elenco di 160 prigionieri destinati ad essere evacuati da Roma. Nella notte del 3 giugno 1944, mentre gli alleati si accingevano ad entrare da sud nella Capitale, i tedeschi in fuga da nord caricarono su due autocarri i prigionieri di Via Tasso per trasferirli a Verona. Erano in gran parte socialisti appartenenti alle Brigate Matteotti o membri del Fronte militare clandestino.

Il comandante delle Brigate Matteotti, Giuseppe Gracceva, e i passeggeri del primo camion si salvarono perché l’automezzo era guasto e non partì. Sul secondo camion fu caricato Buozzi, con altri tredici prigionieri. Al momento della partenza, essendo il camion sovraccarico, Buozzi fu invitato a scendere, ma preferì cedere il posto ad un altro prigioniero. Il camion si avviò lungo la via Cassia, ingombra di truppe naziste in ritirata, accodandosi alla lunga teoria di veicoli diretti al nord.

All’alba del 4 giugno, giunti all’altezza del km 14,200 della Cassia, presso la località “La Storta”, forse per la difficoltà di proseguire, l’automezzo si fermò e i prigionieri furono fatti scendere. Buozzi e gli altri tredici prigionieri furono portati in aperta campagna e rinchiusi in una rimessa della tenuta Grazioli per la notte; nel pomeriggio furono brutalmente sospinti in una vicina valletta e vennero tutti assassinati con un colpo di pistola alla testa. Il sindacato dei lavoratori ha una lunga e grande storia! Ma soprattutto è un presidio di liberà! Un attacco al sindacato è un attacco alla democrazia e alla nostra grande e bella Repubblica, nata dalla Resistenza antifascista!

E non è un caso che l’articolo 1 della nostra Costituzione così recita: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Pertanto, chi attenta al lavoro ed alle sue rappresentanze sindacali, attenta al Paese ed al suo Popolo!

Ricorrenza napoleonica

Ricorrenza napoleonica

di Maurizio Tiriticco

ITALIA, 11 OTTOBRE 1796. Il contesto è la complessa vicenda napoleonica. In quel giorno a Milano la Legione Lombarda adotta il primo stendardo dai colori VERDE, BIANCO e ROSSO. Nasce così quella che in seguito diventerà la bandiera italiana. Il BLU della bandiera francese viene sostituito dal VERDE, il colore delle uniformi della Guardia civica milanese, quindi simbolo dei volontari che combattono per l’Italia. L’11 aprile di quell’anno Napoleone aveva dato inizio alla cosiddetta “campagna d’Italia”. E sul Passo del Monviso aveva incoraggiato i suoi soldati con queste parole: “Je vais vous conduire dans le plus fertles plains du mond”.

A liberazione/occupazione avvenuta, il 29 giugno del 1797 venne istituita la Repubblica Cisalpina. Il nuovo Stato comprendeva inizialmente i territori dello Stato di Milano, la Repubblica Cispadana, che raccoglieva l’antico Ducato di Modena e il Ducato di Massa, e i vecchi domini di terraferma veneziani di Bergamo e di Crema. Successivamente, il 27 luglio, dopo la pubblicazione della Costituzione, si aggiunsero le Legazioni pontificie di Bologna, Ferrara e Ravenna. L’Arciducato d’Austria non poté fare altro che riconoscere formalmente la Repubblica Cisalpina il 17 ottobre 1797 con il Trattato di Campoformio.In effetti la cittadina si chiamava Campoformido ed è tuttora esistente: è un Comune del Friuli nelle vicinanze di Udine. Il trattato fu firmato da Napoleone in persona e dal Conte Johann Ludwig Josef von Cobenzl, in rappresentanza dell’Austria.

Per coloro che avevano partecipato alla Municipalità veneziana, l’organo del governo rivoluzionario, quel trattato costituì un vero e proprio tradimento compiuto dai Francesi, che in tal modo subordinavano l’affermazione degli ideali rivoluzionari ai loro concreti disegni di conquista. Ugo Foscolo interpretò la posizione dei patrioti veneti con una delle sue opere più intense, le “Ultime lettere di Jacopo Ortis”. Ecco l’incipit:

“Il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppure ne verrà concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure e la nostra infamia. Il mio nome è nella lista di proscrizione, lo so: ma vuoi tu ch’io per salvarmi da chi m’opprime mi commetta a chi mi ha tradito? Consola mia madre: vinto dalle sue lagrime le ho obbedito, e ho lasciato Venezia per evitare le prime persecuzioni, e le più feroci. Or dovrò io abbandonare anche questa mia solitudine antica, dove, senza perdere dagli occhi il mio sciagurato Paese, posso ancora sperare qualche giorno di pace? Tu mi fai raccapricciare, Lorenzo; quanti sono dunque gli sventurati? E noi, purtroppo, noi stessi Italiani ci laviamo le mani nel sangue degl’Italiani. Per me segua che può. Poiché ho disperato e della mia patria e di me, aspetto tranquillamente la prigione e la morte. Il mio cadavere almeno non cadrà fra le braccia straniere; il mio nome sarà sommessamente compianto da pochi uomini, compagni delle nostre miserie; e le mie ossa poseranno su la terra de’ miei padri”. Lorenzo Alderani è l’amico del protagonista, oltre che fittizio editore del libro. Nel nome possiamo intravedere un omaggio di Foscolo a un autore inglese da lui molto amato, Laurence Sterne.

Ma la Repubblica Cisalpina ebbe vita breve! Infatti il 26 gennaio del 1802 i deputati della Repubblica Cisalpina proclamarono la sua trasformazione in Repubblica Italiana, con Presidente, ovviamente, il “nuovo padrone”, Napoleone Bonaparte. E poi, in seguito alla proclamazione e incoronazione di Napoleone a Imperatore dei Francesi (avvenuta la domenica del 2 dicembre 1804, ovvero, secondo il calendario rivoluzionario, l’11 Frimaio dell’anno XIII), la Repubblica Italiana cesserà di esistere per trasformarsi nel Regno d’Italia. Il tutto avvenne il 26 maggio 1805 nel Duomo di Milano, dove Napoleone fu consacrato Re d’Italia. Napoleone – data la sua mania di grandezza – anticipò ciò che avrebbe dovuto fare il Cardinale Giovanni Battista Caprara Montecuccoli; prese lui stesso la Corona di Ferro, oggi conservata presso il Duomo di Monza, e si auto-incoronò Re d’Italia. Poi racconterà di aver pronunciato in quel momento la famosa frase: ‘’Dio me l’ha data, guai a chi me la tocca’’. Ed intendeva proprio sottolineare il fatto che l’unica autorità a cui doveva sottomettersi fosse soltanto Dio.

E’ forse opportuno ricordare che lo storico inglese Vincent Cronin scrisse nel suo libro “Napoleon Bonaparte, an intimate biography” che Napoleone aveva informato Pio VII che si sarebbe posto la corona sul capo da solo. E che il Papa non aveva sollevato alcuna obiezione. Ma, se avesse obiettato? Uno dei grandi interrogativi della storia!

L’infausto 6 ottobre del 1939

L’infausto 6 ottobre del 1939

di Maurizio Tiriticco

1939! Il primo ottobre di quell’anno avevo iniziato a frequentare il secondo ginnasio presso il Regio Liceo Ginnasio “Ulpio Traiano” del Lido di Roma – il Duce voleva che Ostia si chiamasse così – quando, qualche giorno dopo, il 6 OTTOBRE – per me una giornata come un’altra – ebbe inizio di fatto la seconda guerra mondiale! Le truppe tedesche avevano invaso la Polonia! Per me adolescente, ma anche per tanti miei concittadini, quella era una “cosa” lontana mille miglia da noi! Il web non aveva ancora allargato i nostri confini spazio/temporali! E poi noi Italiani eravamo tutti intenti a godere della nostra “grandezza”! Avevamo costruito un Impero!!! L’Etiopia! E poi eravamo forti! Con gli alleati tedeschi avevamo costruito un asse, ovvero l’Asse Roma-Berlino, il 24 ottobre del 1936. E non ci bastava! Perché il 22 maggio del 1939 l’Asse divenne il Patto d’Acciaio! E poi l’alleanza italo-tedesca varcò gli oceani! Il 27 settembre del 1940 il Patto venne esteso al Giappone e divenne il Patto Tripartito: l’Asse Roma-Berlino-Tokio!

Ero convinto che a breve avremmo conquistato il mondo intero e che la Pax Romana avrebbe garantito stabilità al mondo intero! Si sarebbe avverato così il sogno di Orazio, che nel Carmen Saeculare così recitava tra l’altro: “Alme Sol possis nihil Urbe Roma vidère maius”! Liberamente tradotto in italiano: “Sole che sorgi libero e giocondo sui colli nostri i tuoi cavalli doma! Tu non vedrai nessuna cosa al mondo maggior di Roma, maggior di Roma”! Testo di Fausto Salvatori; musica di Giacomo Puccini!

La Grande Italia Fascista degli anni trenta! Così tutti credevamo! Beh! Proprio tutti no! L’antifascismo c’era! Antonio Gramsci era finito in carcere a Roma e lì morirà il 27 aprile del 1937. Molti antifascisti erano stati “isolati” nell’isola di Ventotene! Altri erano riusciti ad espatriare. Tra questi i fratelli Carlo e Nello Rosselli, giornalisti e politici, che erano riparati a Parigi. Ma non si salvarono dalla vendetta fascista: il9 giugno del 1937 furono uccisi da militanti dell’estrema destra. Nonostante tutto, l’antifascismo esisteva, in clandestinità o all’estero o al confino. Qualche nome: Alcide De Gasperi, Don Luigi Sturzo, Palmiro Togliatti, Giuseppe Di Vittorio, Pietro Nenni, Pietro Secchia, Teresa Noce, Randolfo Pacciardi, Umberto Terracini e mille altri.

E’ doveroso ricordare che l’antifascismo militante operò anche in Spagna, durante la guerra civile (dal 17 luglio 1936 al 1º aprile 1939). Ed è bene ricordare quanto accadde nella battaglia di Guadalajara, nel marzo 1937, quando il corpo di spedizione italiano,inviato da Mussolini in aiuto del generale Franco, venne fermato dalle brigate internazionali, all’interno delle quali si distinse il battaglione Garibaldi, che ebbe come primo comandante Randolfo Pacciardi che,dopo la guerra 1940-45, divenne leader del Partito Repubblicano Italiano.

Il fascismo, con la sua mania di grandezza, non esitò a gettarci in una guerra che sarebbe stata rovinosa! Infatti, quando le truppe tedesche, nella primavera del 1940, invasero e conquistarono gran parte della Francia e stavano per entrare a Parigi (sarebbe stata occupata il 14 giugno), Mussolini non esitò a dichiarare guerra alla Francia! Nonostante il parere contrario dello Stato Maggiore che conosceva bene lo… stato minore delle nostre forze armate, Era il 10 giugno del 1940! Ed il tutto fu pubblicizzato dal balcone di Palazzo Venezia! Dal discorso del Duce. Ecco l’incipit:

“Combattenti di terra, di mare e dell’aria! Camicie nere della rivoluzione e delle legioni! Uomini e donne d’Italia, dell’Impero e del regno d’Albania! Ascoltate! Un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria. L’ora delle decisioni irrevocabili. La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia. Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’Occidente, che, in ogni tempo, hanno ostacolato la marcia, e spesso insidiato l’esistenza medesima del popolo italiano.   Alcuni lustri della storia più recente si possono riassumere in queste frasi: promesse, minacce, ricatti e, alla fine, quale coronamento dell’edificio, l’ignobile assedio societario di cinquantadue Stati. La nostra coscienza è assolutamente tranquilla. Con voi il mondo intero è testimone che l’Italia del Littorio ha fatto quanto era umanamente possibile per evitare la tormenta che sconvolge l’Europa; ma tutto fu vano…. Noi impugniamo le armi per risolvere, dopo avere risolto il problema delle nostre frontiere continentali, il problema delle nostre frontiere marittime. Noi vogliamo spezzare le catene di ordine territoriale e militare che ci soffocano nel nostro mare, poiché un popolo di quarantacinque milioni di anime non è veramente libero, se non ha l’accesso all’Oceano”. La dichiarazione di guerra fu considerata dai francesi un vero e proprio tradimento. Ma il Duce aveva dichiarato testualmente ai suoi collaboratori che gli sarebbe bastato qualche migliaio di morti per sedere al tavolo della pace. Il cinismo di certa politica!

Ma torniamo allo scoppio della seconda guerra mondiale. Ovviamente provocata dall’espansionismo della Germania di Hitler. Che preoccupava non poco le cancellerie europee. L’11 marzo del 1938 la Germania aveva invaso l’Austria. Ed Hitler era stato accolto, purtroppo, come un trionfatore! Realizzava il sogno della grande Nazione tedesca!? Ma Hitler rivendicava anche la regione dei Monti Sudeti, la parte occidentale dell’allora Cecoslovacchia, abitata prevalentemente da popolazione di etnia tedesca. E le preoccupazioni dei Paesi europei salì alle stelle. E si giunge così alla Conferenza di Monaco, il 29 e il 30 settembre, fra i capi di governo del Regno Unito(Arthur Neville Chamberlain), della Francia (Eduard Daladier), della Germania (Adolph Hitler) e dell’Italia/Benito Mussolini). La conferenza si concluse con un accordo che portò all’annessione di vasti territori della Cecoslovacchia da parte dello Stato tedesco. Ma fu cosa grave che i rappresentanti cechi e slovacchi non vennero fatti partecipare alle trattative, per cui quel trattato venne da loro etichettato come “diktat di Monaco”. Di ritorno da Monaco, Mussolini venne pressoché incensato da tutta la stampa nazionale – eravamo in piena dittatura – come lo stratega politico che, con il suo equilibrio e la sua abilità diplomatica, aveva salvato l’Europa dalla guerra. Tutto questo nella tarda estate del 1938!

Ma l’anno successivo, esattamente il primo settembre 1939, le truppe di Hitler invadono la Polonia. Fu un fatto gravissimo! Che preoccupò, e non poco, non solo i governi europei, ma anche l’Unione Sovietica di Giuseppe Stalin che, ovviamente, non fu da meno! E il 17 settembre le truppe sovietiche invadono la Polonia da est. L’intenzione delle due potenze, o meglio dei due dittatori, Hitler e Stalin, era di spartirsi il territorio polacco: e dimostrare al mondo che in Europa “comandavano” loro!!! La campagna, incominciata il 1º SETTEMBRE, ebbe termine un mese dopo, esattamente il 6 OTTOBRE, con la resa delle ultime forze polacche. E va ricordato che quell’invasione fu il primo esempio di un nuovo modo di scatenare una guerra: e fu coniata la locuzione di “guerra lampo” (Blitzkrieg).

L’invasione della Polonia segnò l’inizio della terribile seconda guerra mondiale. Infatti l’aggressione tedesca spinse, il 3 settembre, i paesi alleati della Polonia, Regno Unito e Francia, a dichiarare guerra alla Germania nazista. Lunghi anni di immani sofferenze, che si conclusero soltanto l’8 maggio del 1945!

La “difesa della razza”

La “difesa della razza”

di Maurizio Tiriticco

IL NEFASTO 6 OTTOBRE DEL 1938! Il Gran Consiglio del Fascismo approva la “DICHIARAZIONE SULLA RAZZA”. E’il primo documento razzista ufficiale che, di diritto e di fatto, dà il via alla persecuzione contro i cittadini ebrei. Il successivo 17 novembre 1938 la dichiarazione vienetrasformata in Regio Decreto Legge, il n. 1728, concernente “Provvedimenti per la difesa della razza italiana”. Insisto! Un decreto legge regio!!! Si tratta di uno dei tanti tradimenti perpetrati dal Re d’Italia e Imperatore d’Etiopia Vittorio Emanuele III (ed in seguito anche Re di Albania, dopo l’occupazione militare italiana che sarebbe avvenuta il 7 aprile 1939) ai danni dei suoi… fedeli sudditi!

Il regime fascista si preoccupa di attendere al “miglioramento quantitativo e qualitativo della razza italiana, miglioramento che potrebbe essere gravemente compromesso, con conseguenze politiche incalcolabili, da incroci e imbastardimenti”. La cura del Duce per il suo amato popolo è altissima, per cui deve preservare la sua “purezza razziale”! Pertanto il Gran Consiglio del Fascismo stabilì: a) il divieto di matrimoni di italiani e italiane con elementi appartenenti alle razze camita, semita e altre razze non ariane; b) il divieto per i dipendenti dello Stato e da Enti pubblici – personale civile e militare – di contrarre matrimonio con donne straniere di qualsiasi razza; c) il matrimonio di italiani e italiane con stranieri, anche di razze ariane, dovrà avere il preventivo consenso del Ministero dell’Interno; d) dovranno essere rafforzate le misure contro chi attenta al prestigio della razza nei territori dell’Impero.

Ed ancora il Gran Consiglio del Fascismo si premura di ricordare che “l’ebraismo mondiale – specie dopo l’abolizione della massoneria – è stato l’animatore dell’antifascismo in tutti i campi e che l’ebraismo estero o italiano fuoruscito è stato – in taluni periodi culminanti come nel 1924-25 e durante la guerra etiopica unanimemente ostile al Fascismo”. Ed ancora! “L’immigrazione di elementi stranieri – accentuatasi fortemente dal 1933 in poi – ha peggiorato lo stato d’animo degli ebrei italiani nei confronti del Regime, non accettato sinceramente, poiché antitetico a quella che è la psicologia, la politica, l’internazionalismo d’Israele. Tutte le forze antifasciste fanno capo ad elementi ebrei; l’ebraismo mondiale è, in Spagna, dalla parte dei bolscevichi di Barcellona.

Pertanto il Gran Consiglio del Fascismo ritiene che la legge concernente il divieto d’ingresso nel Regno degli ebrei stranieri non può più oltre essere ritardata e che l’espulsione degli indesiderabili è indispensabile. Il Gran Consiglio del Fascismo decide che, oltre ai casi singolarmente controversi che saranno sottoposti all’esame dell’apposita commissione del Ministero dell’Interno, non sia applicata l’espulsione nei riguardi degli ebrei stranieri che si trovino in particolari condizioni. E segue un lungo elenco a cui rimando (è sul web).

Per quanto riguarda l’immigrazione di ebrei in Etiopia, il Gran Consiglio del Fascismo non esclude la possibilità di concedere, anche per deviare la immigrazione ebraica dalla Palestina, una controllata immigrazione di ebrei europei in qualche zona dell’Etiopia. Questa eventuale e le altre condizioni fatte agli ebrei potranno essere annullate o aggravate a seconda dell’atteggiamento che l’ebraismo assumerà nei riguardi dell’Italia fascista. Ed ancora! Il Ministro dell’Educazione Nazionale istituisce cattedre di studi sulla razza nelle principali Università del Regno.

Ma non finisce qui! Due decreti legge ministeriali, il n. 1390 e n. 1630 del 5 e 23 settembre 1938 (poi confluiti nel R.D. n. 1779 del 15 novembre 1938, approvato dal Parlamento fra la fine del 1938 e l’inizio del gennaio 1939),esclusero dalle scuole italiane «di ogni ordine e grado, pubbliche e private» i professori e gli studenti ebrei. E, tra i tanti provvedimenti attuativi, una circolare ministeriale stabilì che, a partire dal 16 ottobre 1938, gli esami universitari non fossero più tenuti da docenti ebrei.

Ed infine il Gran Consiglio del Fascismo, mentre nota che il complesso dei problemi razziali ha suscitato un interesse eccezionale nel popolo italiano, annuncia ai Fascisti che le direttive del Partito in materia sono da considerarsi fondamentali e impegnative per tutti e che alle direttive del Gran Consiglio devono ispirarsi le leggi che saranno sollecitamente preparate dai singoli Ministri.

San Francesco

San Francesco

di Maurizio Tiriticco

Il 4 OTTOBRE è il GIORNO DI SAN FRANCESCO! Ed è stato indicato dal Parlamento italiano nel 2005 quale “solennità civile e giornata per la pace, per la fraternità e il dialogo fra le religioni”. Ciò rappresenta una felice occasione per continuare a proporre gli ideali e i valori del Poverello di Assisi e le sue forti scelte di vita. La scelta adottata dal Parlamento offre un’occasione in più per diffondere il suo messaggio. Per certi versi si tratta di una precisazione relativa, visto che già in tanti lo conoscono come fratello, uomo del dialogo, dell’amore per l’altro e per il mondo intero.

Ma perché si celebra il 4 ottobre? Occorre fare un salto nel passato, di appena… ottocento anni!!! Tommaso da Celano, primo biografo del Santo, racconta come Francesco, trovandosi a Foligno insieme a frate Elia, nel 1224, ebbe la predizione della sua morte, che sarebbe avvenuta due anni dopo. Una notte – così racconta il Celano – apparve in sogno a Frate Elia un sacerdote bianco-vestito, di aspetto grave e venerando, che gli disse: “Va, fratello, e avverti Francesco che, essendosi compiuti diciotto anni da quando rinunciò al mondo per seguire Cristo, gli rimangono solo due anni e poi il Signore lo chiamerà a sé nell’altra vita” (Fonti Francescane, 508). La sua data di nascita non è certa, ma alcuni ricercatori indicano come la più probabile il 26 settembre 1182. E morì quindi il 4 ottobre 1226 – secondo altri il 3 – all’età di 44 anni.

Dante Alighieri nel canto XI del Paradiso ricorda Francesco cosi: “Intra Tupino e l’acqua che discende /dal colle eletto del beato Ubaldo, / fertile costa d’alto monte pende, / onde Perugia sente freddo e caldo / da Porta Sole; e diretro le piange / per grave giogo Nocera con Gualdo. / Di questa costa, là dev’ella frange / più sua rattezza, nacque al mondo un sole, / come fa questo talvolta di Gange.  /// Nel crudo sasso Intra Tevere ed Arno / da Cristo prese l’ultimo sigillo / che le sue membra due anni portarno.   /   Ma il suo pecuglio di nova vivanda / è fatto ghiotto, sì ch’essere non puote / che per diversi salti non si spanda…”.

Il crudo sasso è il Monte della Verna, in cui è stato costruito il più famoso dei conventi del Casentino, in Toscana. Ed è tuttora uno dei luoghi più rilevanti del francescanesimo. La fondazione di un primo nucleo eremitico risale alla presenza sul luogo di Francesco che, nella primavera del 1213, incontrò a San Leo, in Montefeltro, il conte Orlando Caetani, di Chiusi nel Casentino. Costui, colpito dalla sua predicazione, volle fargli dono del monte della Verna, a 1128 metri di altezza. Più in alto, a 1283 metri di altezza, si erge il Monte Penna, con una stupenda vista panoramica sul Casentino. Francesco si ritirò sul monte con un gruppo dei suoi ‘fratelli’ nell’estate, appunto, del 1224. La sua intenzione era quella di poter partecipare alla Passione di Cristo. Il Signore lo ascoltò: gli apparve sotto forma di serafino crocifisso e gli ‘donò’ i segni tangibili della sua Passione, le stimmate.

Negli anni successivi sorsero alcune piccole celle e la chiesetta di Santa Maria degli Angeli (1216-18). In seguito, molto più tardi, prospiciente al piazzale del Quadrante, venne costruita la grande basilica, dedicata alla Madonna Assunta, consacrata nel 1568, quindi più volte rimaneggiata. In questa si trova un organo particolare, che ha origini molto antiche: 1586! Fu realizzato da Onofrio Zeffirini di Cortona. In seguito l’organo, nel corso degli anni, subì importanti modifiche ed innovazioni. Nel 1951 fu restaurato e ampliato in onore del grande organista del santuario, Padre Vigilio; un suo ritratto, insieme a quello di Fra’ Achille, ultimo speziale della Verna, si trova nel museo del monastero. Nel 1967 l’organo fu ancora ampliato con l’aggiunta del nuovo Organo Positivo Espressivo, che andò a sommarsi al Grand’Organo e al Recitativo Espressivo. Tutti e tre sono posti all’interno del coro. Con quest’ultimo intervento, il numero dei registri dello strumento passò da 62 a 90 e le canne passarono da 3000 a 5700. Da questi numeri si può ben comprendere che la definizione di monumentale per quest’organo non è niente di esagerato. Per gli appassionati della musica di questo strumento, la sua meravigliosa ‘voce’ è piacevolmente apprezzabile la sera dei mercoledì estivi, che vanno all’incirca dal 10 luglio al 20 di agosto, quando si tiene alla Verna il Festival Internazionale di Musica d’Organo con concerti eseguiti da maestri di fama mondiale. Il convento e l’intero complesso del convento della Verna sono particolarmente suggestivi. E le visite o i pellegrinaggi sono sempre numerosi per tutto l’anno.

Il 18 giugno 1939 San Francesco viene proclamatoda Papa Pio XII, assieme a Santa Caterina da Siena, patrono principale d’Italia. Successivamente, il 24 ottobre 1964, Paolo VI dichiarò San Francesco santo patrono d’Italia e d’Europa.

La riunificazione tedesca

La riunificazione tedesca

di Maurizio Tiriticco

Il 3 ottobre ricorre un importante evento per l’Europa. Il 3 ottobre del 1990 il popolo tedesco, e con esso lo Stato germanico, riconquistarono l’unità nazionale. E ciò dopo ben 45 anni, quando aveva avuto fine la seconda terribile guerra mondiale. In quel 3 ottobre i territori della Repubblica Democratica Tedesca (RDT, Deutsche Demokratische Republik o DDR), comunemente chiamata “Germania Est”, dalla fine della guerra sotto lo stretto controllo dell’Unione Sovietica, vennero incorporati nell’allora “Germania Ovest”, in tedesco denominata ufficialmente BundesRepublik Deutschland o BRD (ovvero Repubblica Federale Tedesca o RFT), per poi costituirsi in cinque nuovi Länder (Stati Federati): Meclemburgo-Pomerania Anteriore, Brandeburgo, Sassonia, Sassonia-Anhalt e Turingia.

Lo Stato tedesco così riunificato mantenne il nome che era quello della Germania Ovest, ed è così ancora oggi: REPUBBLICA FEDERALE TEDESCA. In vista della riunificazione, passaggi fondamentali, furono la “caduta del muro di Berlino” (9 novembre 1989) e l’entrata in vigore, il 1º luglio 1990, del Trattato sull’unione monetaria, economica e sociale (Währungs-, Wirtschafts- und Sozialunion) tra i due Stati. Questo prevedeva un tasso di conversione tra marco dell’est e marco dell’ovest di 1 a 1 per le partite correnti e di 2 marchi dell’est per un 1 marco dell’ovest per patrimoni e debiti..

Dopo le prime elezioni libere nella Germania Est, tenutesi il 18 marzo 1990, i negoziati tra i due Stati culminarono in un Trattato di Unificazione, mentre i negoziati tra le due Germanie e le quattro potenze occupanti (Francia, Regno Unito, Stati Uniti d’Americae Unione Sovietica) stilarono il cosiddetto “Trattato due più quattro”, che garantiva la piena indipendenza a uno Stato tedesco riunificato.

Legalmente non si trattò di una riunificazione tra i due Stati tedeschi, ma dell’annessione da parte della Germania Ovest dei cinque Länder della Germania Est e di Berlino Est. Fu una scelta che velocizzò la riunificazione tra i due Stati; e si evitò così la creazione di una nuova costituzione e la sottoscrizione di nuovi trattati internazionali. La Germania riunificata rimase un Paese membro delle Comunità europee (e poi dell’Unione europea) e della NATO. La riunificazione tedesca apparve come un passaggio imprescindibile per la successiva integrazione europea (a partire dal Trattato di Maastricht, firmato il 7 febbraio 1992 ed entrato in vigore il 1º novembre 1993) e per l’adozione dell’euro come valuta comune a numerosi Paesi del continente. Com’è noto, la nuova Germania, in forza della sagacia dei suoi cittadini e della saggezza dei suoi governanti, è stata in grado di assumere e di svolgere in pochi anni un importante ruolo all’interno della Unione Europea! Ed un grande merito va ad Angela Merkel, Cancelliera federale dal 22 novembre 2005 ai giorni nostri.

dal mio Balilla Moschettiere

dal mio Balilla Moschettiere

di Maurizio Tiriticco

Nel tardo pomeriggio del 2 ottobre del 1935 Benito Mussolini dal balcone di Palazzo Venezia pronuncia uno dei suoi discorsi più importanti: annuncia all’Italia e al mondo la dichiarazione di guerra all’Etiopia. “Camicie nere della rivoluzione! Uomini e donne di tutta Italia! Italiani sparsi nel mondo, oltre i monti e oltre i mari! Ascoltate! Un’ora solenne sta per scoccare nella storia della patria. Venti milioni di uomini occupano in questo momento le piazze di tutta Italia. Mai si vide nella storia del genere umano, spettacolo più gigantesco. Venti milioni di uomini: un cuore solo, una volontà sola, una decisione sola. La loro manifestazione deve dimostrare e dimostra al mondo che Italia e fascismo costituiscono una identità perfetta, assoluta, inalterabile. Possono credere il contrario soltanto i cervelli avvolti nella più crassa ignoranza su uomini e cose d’Italia, di questa Italia 1935, anno XIII dell’era fascista. Da molti mesi la ruota del destino, sotto l’impulso della nostra calma determinazione, si muove verso la mèta: in queste ore il suo ritmo è più veloce e inarrestabile ormai!”

Ed il 3 ottobre le nostre truppe varcarono il confine eritreo. Che gioia per me! Avremmo liberato i poveri negri dalla schiavitù e avremmo portato loro la civiltà romana e fascista! Era ora! Finalmente si cominciava a menar le mani! “Faccetta nera, bella abissina, aspetta e spera che già l’ora si avvicina! Quando saremo vicino a te, noi ti daremo un altro Duce e un altro Re”! Ed ancora! “Io ti saluto e vado in Abissinia, cara Virginia, ti scriverò”. Ma un altro nome di donna per far rima con Abissinia proprio non c’era? Mah! Insomma “Fischia il sasso e il nome squilla” passò in secondo ordine nelle nostre ricreazioni scolastiche e nelle adunate del sabato. E pian piano mi abituai al fatto che le canzoni del fascismo e della sua balda gioventù proliferavano giorno dopo giorno. E le mandavamo tutte a memoria.

Ma poi, il 18 novembre, le sanzioni economiche! Nessun Paese avrebbe più potuto commerciare con noi! Fu la decisione della Società delle Nazioni! Contro di noi, gente semplice e frugale, così mi dicevano, si scatenava l’odio dei Paesi ricchi: gli inglesi, che mangiavano cinque volte al giorno!!! Loro avevano le colonie e sfruttavano i poveri negri, mentre noi, invece, li avremmo liberati! Quel 18 novembre dell’anno XIV dell’Era fascista sarebbe passato alla storia. A noi le sanzioni non mettevano alcuna paura! Forse avremmo stretto la cinghia, ma comunque avremmo dato la nostra fiera risposta ai Paesi ricchi… plutocratici… così ci dicevano, nulla a che fare con Pluto il cane di Topolino. Potevamo fare a meno di commerciare con l’estero! Ce l’avremmo fatta, da soli! E, se la Patria chiama, noi dobbiamo rispondere! E la Regina Elena al Vittoriano fece il suo primo dono! Con le sue stesse mani depose all’interno di un tripode la fede sua e quella del marito. Poi venne Donna Rachele, la moglie del Duce! Fu la “Giornata della fede”! Quante foto sui giornali! E le spose italiane tutte donarono le loro fedi alla Patria! E la mamma mi fece vedere la sua nuova fede di ferro con incisa all’interno la scritta: oro alla Patria!

Ma poi, l’anno successivo, la vittoria! Dal balcone di Palazzo Venezia il Duce annunciò: “Il maresciallo Badoglio mi telegrafa: Oggi 5 maggio alle ore 16 alla testa delle truppe vittoriose sono entrato in Addis Abeba”! Finalmente avevamo ricostituito l’impero! Sapevo benissimo che con gli imperatori Traiano e Adriano avevamo occupato quasi tutto il mondo allora conosciuto… solo perché Colombo, un Italiano con la I maiuscola, non aveva ancora scoperto l’America! Altrimenti… E il 9 maggio ci fu la solenne celebrazione! Il nostro Re era anche Imperatore! Da non credere! E nel nostro calendario, oltre all’indicazione dell’Era Fascista – oltre quella dell’Era Cristiana, aggiungemmo un nuovo numero romano: anno I° dell’Impero. Così Somalia, Eritrea ed Etiopia costituirono l’AOI, o meglio l’Africa Orientale Italiana! Io impazzivo letteralmente, anche i miei compagni…ma a casa… sul fronte famigliare… nulla di nuovo… nessuna emozione! Non capivo le ragioni di quel silenzio! Eppure la mamma aveva anche lei donato la sua fede! Mio padre un giorno tornò a casa con un librone grosso così, un dono dell’ufficio: Giacomo Vaccaro, Africa Orientale Italiana, tante pagine, tante fotografie e tante negrette…e a seni nudi… per me fu una scoperta! Comunque l’Impero in casa mia non suscitava molto entusiasmo…

La scuola degli anni ‘30

La scuola degli anni ‘30

di Maurizio Tiriticco

Negli anni trenta – sono nato nel 1928 – le scuole elementari aprivano il primo ottobre! Noi bambini con il grembiule blu e le bambine con il grembiule bianco: le differenze di classe sociale erano così… “ricoperte”…letteralmente! Al collo fiocchi bianchi. Classi maschili e classi femminili: la classi miste verranno più tardi. Maestra unica; i maestri c’erano, ma non “abbondavano”. Sui banchi biposto, spesso scomodissimi – e tante ore seduti!!! – su appositi buchi erano collocati due calamai con inchiostro nero; riempiti ogni tanto dal bidello, sempre con rigoroso camice grigio. Avevamo le penne, quelle con il pennino, che poi spesso si spuntava… e, se non avevi quello di ricambio nell’astuccio di legno, non scrivevi più! Matite e pastelli portati da casa. Idem per i quaderni. I libri di testo erano solo nazionali, tutti eguali e approvati dal Ministero dell’Educazione Nazionale. Con molte pagine inneggianti all’era fascista e alle opere del regime!!! Ci ritenevamo fortunatissimi! Orgogliosi di essere Balilla e Piccole Italiane!

Prime classi elementari: disegni di castagne, perchéerano di stagione, e di caravelle, anch’esse a loro modo di stagione: tutti eseguiti con i pastelli “rigorosamente” Fila, conservati in numero di dieci in bustine di cartone con il disegno di Cimabue che osserva il piccolo Giotto disegnare un cerchio perfetto su di una roccia. In genere gli argomenti trattati nonché disegnati era due:

A) il primo; la spedizione di Cristoforo Colombo. Il grande navigatore genovese partì il 3 agosto del 1492 dal porto di Palos de la Frontera, in Andalusia, con le tre caravelle, la Nina, la Pinta e la Santa Maria; ovviamente con la benedizione dei regnanti di Spagna, Ferdinando di Aragona ed Isabella di Castiglia. Le caravelle toccarono il suolo americano – ma Colombo pensava di avere toccato le coste asiatiche – il successivo 12 ottobre: una navigazione di poco più di due mesi! E con i marinai che, un giorno sì e un giorno no, stanchi della navigazione e spaventati dall’ignoto – che ignoranti! – provavano a ribellarsi per tornare indietro. Ma Colombo li rassicurava, ed anche con qualche minaccia (il comandante sono io!!!). Perché sapeva bene che la terra era rotonda e che, prima o poi, sarebbero finalmente sbarcati sulle coste del continente asiatico!!! Così pensava, ma poi… dovette ricredersi: si trattava solo di un’isoletta! Furono tutti salvi! L’isola venne chiamata San Salvador! Perché erano arrivati sani e salvi! E non a caso l’isola fu denominata San Salvador! Che oggi con tutta probabilità appartiene all’arcipelago delle Bahamas. Il 12 ottobre un italiano scopre un continente! Quale modo migliore per dare inizio ad un anno scolastico? E il Duce ci teneva! E come! Colombo è Colombo, un genovese di ferro! Un italiano!

B) il secondo argomento: la castagna! Un frutto di stagione! Tipico allora – ma penso anche oggi – di tante nostre montagne! Buonissima arrosto o lessa! E poi c’era il castagnaccio! Fuori delle scuole in quegli anni all’uscita c’erano spesso carretti in cui si vendevano due prelibatezze… almeno per i gusti di noi studentelli stanchi e affamati: castagne arrosto e pere cotte! L’uscita di scuola di noi bambini era sempre chiassosa e ridente! E si correva! Rischi di finire sotto un’auto non ce n’erano! Le automobili erano molto rare. Felici anni trenta! Ma poi vennero i quaranta e le follie del “nostro amato Duce”. Che aveva fondato una nuova era, dopo quella cristiana, l’”era fascista”. E noi alunni sui compiti indicavamo sempre le due ere, d’obbligo. Ricordo anche benissimo che, in periodo di guerra, con tanta penuria di pasticcini (lo zucchero razionato, il caffè una rarità, sostituito da strane bevande, ricavate da ogni sorta di ingredienti, piselli, fagioli, segale…) le pasticcerie erano una tristezza! Dolci poco o nulla! E vendevano soprattutto fette di castagnaccio. Per noi bambini buonissimo…

Ma gli anni correvano! E la pace, anno dopo anno,cominciò ad essere… aggredita! Forse perché la prima guerra mondiale non aveva insegnato nulla! E così vennero nuove guerre! La guerra d’Etiopia (dal 3 ottobre 1935 al 5 maggio 1936), con cui conquistammo l’Etiopia; ed il nostro Re Vittorio Emanuele III, che era diventato anche Re di Albania (conquistata il 7 aprile 1939), ne divenne Imperatore. Epoi la guerra di Spagna (dal 17 luglio 1936 al primoaprile 1939). E poi e poi… la seconda guerra mondiale! Che interessò e sconvolse il nostro Paese dal 10 giugno 1940 all’8 settembre 1943. Ma finiamola qui! E la mia infanzia? E i miei sogni? Nulla di nulla!Dovetti attendere fino a un radioso 25 aprile!

Ricorrenza settembrina

Ricorrenza settembrina

di Maurizio Tiriticco

Estate del 1938. Avevo appena 10 anni e, superati, dopo la scuola elementare, gli esami di ammissione al primo ginnasio, ero in attesa di frequentare quel nuovo corso di studi che a quei tempi era scarsamente gettonato. In quegli anni non tutte le famiglie avevano i mezzi per avviare i figli a studi allora molto impegnativi: cinque anni di ginnasio a cui seguivano ovviamente tre anni di liceo; e successivamente era pressoché obbligatorio accedere all’Università. La scuola media che oggi conosciamo era al di là da venire. Si sarebbe realizzata in un suo primo nucleo con la cosiddetta “riforma Bottai”: dal nome del Ministro dell’Educazione Nazionale Giuseppe Bottai (Roma,1895-1959), che ne fu l’ispiratore. Si trattò di una riforma che fu approvata dal Gran Consiglio del Fascismo il 15 febbraio 1939, XVII° dell’Era Fascista e varata con la cosiddetta “Carta della Scuola”. Di fatto la riforma si coniugava con un altro documento del regime, la “Carta del Lavoro”: un disposto legislativo redatto da Carlo Costamagna, poi riveduto e corretto da Alfredo Rocco, ed infine approvato dal Gran Consiglio del Fascismo il 21 aprile, anniversario del Natale di Roma, del 1927. Nonostante non avesse valore di legge o di decreto, non essendo allora il Gran consiglio organo di Stato ma di partito, esso fu comunque pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 100 del 30 aprile 1927. La dittatura è dittatura!

Ma torniamo a quella tarda estate del 1938! La politica europea era in gran fibrillazione! E la preoccupazione era molto alta – in primo luogo presso le cancellerie europee – per la politica espansionista ed aggressiva avviata dalla Germania di Hitler! L’11 marzo del 1938 l’esercito tedesco aveva invaso l’Austria. Ma Hitler rivendicava anche la regione dei Monti Sudeti, la parte occidentale dell’allora Cecoslovacchia, abitata prevalentemente da popolazione di etnia tedesca. In tale infuocata situazione politica, tutte le cancellerie europee erano in grande allarme. E si giunge così alla Conferenza di Monaco, che si tenne dal 29 al 30 settembre fra i capi di governo di Regno Unito (Arthur Neville Chamberlain), Francia (Eduard Daladier), Germania (Adolph Hitler) e Italia (Benito Mussolini). La conferenza si concluse con un accordo che portò all’annessione di vasti territori della Cecoslovacchia da parte dello Stato tedesco. Ma fu cosa grave che i rappresentanti cechi e slovacchi non vennero fatti partecipare alle trattative, per cui quel trattato venne da loro etichettato come “diktat di Monaco”. Di ritorno da Monaco, Mussolini venne pressoché incensato da tutta la stampa nazionale – eravamo in piena dittatura – come lo stratega politico che, con il suo equilibrio e la sua abilità diplomatica, aveva salvato l’Europa dalla guerra. Tutto questo nella tarda estate del 1938!

Ma l’anno successivo, esattamente il primo settembre 1939, le truppe di Hitler invadono la Polonia. Fu un fatto gravissimo! Ed in risposta all’aggressione nazista, Gran Bretagna e Francia dichiararono guerra alla Germania di Hitler. Ma la prepotenza hitleriana non sarebbe finita lì. Due anni dopo, esattamente il 22 giugno del 1941, con la cosiddetta Operazione Barbarossa, ebbe inizio l’invasione tedesca dell’Unione Sovietica. E l’Italia fascista? Il Duce, Benito Mussolini, non poteva stare a guardare! Con qualche migliaio di morti – fu una sua espressione – l’Italia fascista si sarebbe seduta al tavolo della pace! Così il 10 giugno del 1940 il Duce, dallo “storico balcone” di Palazzo Venezia, annunciò agli Italiani e al mondo di aver comunicato agli ambasciatori di Francia e Inghilterra la dichiarazione di guerra.

Ecco l’incipit: “Combattenti di terra, di mare e dell’aria! Camicie nere della rivoluzione e delle legioni! Uomini e donne d’Italia, dell’Impero e del Regno d’Albania! Ascoltate! Un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria. L’ora delle decisioni irrevocabili. La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia. Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’Occidente, che, in ogni tempo, hanno ostacolato la marcia, e spesso insidiato l’esistenza medesima del popolo italiano. Alcuni lustri della storia più recente si possono riassumere in queste frasi: promesse, minacce, ricatti e, alla fine, quale coronamento dell’edificio, l’ignobile assedio societario di cinquantadue Stati. La nostra coscienza è assolutamente tranquilla. Con voi il mondo intero è testimone che l’Italia del Littorio ha fatto quanto era umanamente possibile per evitare la tormenta che sconvolge l’Europa; ma tutto fu vano…”.

Qualche giorno prima Mussolini aveva confidato a voce a Badoglio, allora capo di Stato Maggiore Generale, quanto segue: «Ho bisogno di un migliaio di morti per sedermi al tavolo della pace». Ma le cose poi andarono molto diversamente!

Le quattro giornate di Napoli

Le quattro giornate di Napoli

di Maurizio Tiriticco

Napoli, 27 settembre 1943 — La sera dell’8 settembre, la radio, con la voce di Corrado Mantoni – in seguito più semplicemente Corrado, noto conduttore televisivo – aveva dato comunicazione che tra l’Italia e gli angloamericani era stato finalmente firmato l’armistizio. La gioia di tutti gli Italiani fu enorme, ma le rappresaglie dei soldati tedeschi che, dopo l’arresto di Mussolini del 25 luglio, erano discesi numerosi nella penisola, furono immediate e feroci, in tutto il Paese. Ma Napoli resistette! Con grande forza e determinazione.

Ecco i fatti più eclatanti. Nel quartiere Materdei una pattuglia tedesca, rifugiatasi in un’abitazione civile, fu circondata e tenuta sotto assedio per ore, sino all’arrivo dei rinforzi: alla fine i napoletani vinsero, ma tre di loro persero la vita. A Porta Capuana un gruppo di 40 uomini si insediò, con fucili e mitragliatori, uccise sei soldati tedeschi e ne catturò quattro. Altri combattimenti si svilupparono in altre zone della città, al Maschio Angioino, al Vasto e a Monteoliveto. I tedeschi, comunque, procedettero ad altre retate eammassarono numerosi cittadini all’interno del Campo Sportivo del Littorio. Ciò scatenò la reazione degli uomini di Enzo Stimolo, un soldato scelto; i qualidiedero l’assalto al campo sportivo e il giorno seguente, dopo un breve combattimento, riuscirono a liberare i prigionieri.

Al terzo giorno di feroci scontri per le vie della città, l’organizzazione dell’insurrezione rimaneva ancora lasciata ai singoli capipopolo di quartiere, mancando del tutto i contatti con le ancora embrionali forze strutturate dell’antifascismo, come il Fronte Nazionale di diretta emanazione del Comitato di Liberazione Nazionale, costituitosi a Roma solo 15 giorni prima e ancora privo di qualsiasi contatto significativo.Andavano intanto emergendo figure locali che si distinsero nelle operazioni nei vari quartieri della città. Tra le donne (le prime ad insorgere già dal 23 settembre) ci fu Maddalena Cerasuolo. Nel quartiere San Giovanni invece diedero coraggiosamente battaglia i cosiddetti “femminielli”. Da ricordare, tra coloro che presero il comando, il professore Antonio Tarsia in Curia (Vomero), il tenente colonnello Ermete Bonomi (Materdei), in collaborazione con il comandante di distaccamento Carlo Cerasuolo, padre di Maddalena, il capitano Carmine Musella (Avvocata), Carlo Bianco, il medico Aurelio Spoto(Capodimonte), il capitano Stefano Fadda (Chiaia), il capitano Francesco Cibarelli, Amedeo Manzo, Francesco Bilardo (Duomo), Gennaro Zenga (Corso Garibaldi), il maggiore Francesco Amicarelli (piazza Mazzini), il capitano Mario Orbitello (Montecalvario), il maggiore Salvatore Amato (Museo), il tenente Alberto Agresti (via Caracciolo, Posillipo), Raffaele Viglione (via Sant’Anastasio) e l’impiegato Tito Murolo (Vasto); mentre tra i giovani si distinse Adolfo Pansini, studente del liceo vomerese Sannazaro.

Nella piazza Giuseppe Mazzini, presso l’edificio Scolastico “Vincenzo Cuoco”, i tedeschi attaccarono in forze con i carri armati Tiger e non più di 50 ribelli tentarono strenuamente di opporsi, ma dovettero subire il pesante bilancio di 12 morti e più di 15 feriti.Anche il quartiere operaio di Ponticelli subì un pesante cannoneggiamento, in seguito al quale le truppe tedesche procedettero a eccidi indiscriminati della popolazione penetrando sin dentro le abitazioni civili. Altri combattimenti si ebbero nei pressi dell’aeroporto di Capodichino e di Piazza Ottocalli, dove morirono tre avieri italiani. Nelle stesse ore, presso il quartier generale tedesco in corso Vittorio Emanuele – tra l’altro ripetutamente attaccato dagli insorti – si avviò una trattativa tra il colonnello Walter Scholl ed Enzo Stimolo, finalizzata alla riconsegna dei prigionieri del Campo Sportivo del Littorio. Walter Scholl ottenne di aver libero il passaggio per uscire da Napoli, in cambio del rilascio degli ostaggi che ancora erano prigionieri al campo sportivo. Grande vittoria! Per la prima volta in Europa i tedeschi trattavano alla pari con degli insorti.

Il 30 settembre, mentre le truppe tedesche avevano già iniziato lo sgombero della città per il sopraggiungere delle forze anglo-americane provenienti da Nocera Inferiore, il professor Antonio Tarsia in Curia si autoproclamò, presso il Liceo “Jacopo Sannazaro”, capo dei ribelli, e assunse pieni poteri civili e militari. Comunque i combattimenti non tendevano a diminuire e i cannoni tedeschi che presidiavano le alture di Capodimonte, per tutta la giornata martellarono la zona tra Port’Alba e Materdei. Altri combattimenti si ebbero ancora nella zona di Porta Capuana. I tedeschi ormai in rotta lasciarono dietro di loro incendi e stragi. Clamoroso fu il caso dei fondi dell’Archivio di Stato di Napoli, che furono dati alle fiamme per ritorsione nella villa Montesano di San Paolo Belsito, dove erano stati nascosti. Il che comportò incalcolabili danni al patrimonio storico e artistico, e la perdita delle pergamene originali dellaCancelleria Angioina.

Ed infine, il 1º ottobre alle 9:30 i primi carri armati Alleati entrarono in città, mentre alla fine della stessa giornata, il comando tedesco in Italia, per bocca del feldmaresciallo Albert Kesselring, considerò conclusa la ritirata con successo!!! E ciò in perfetto stile dei bollettini di guerra fascisti!!! Quando le ritirate avvenivano tutte “secondo i piani prestabiliti”! Per concludere, mi sembra opportuno ricordare che su quelle vicende Nanni Loy nel 1962 girò un bellissimo film: “Le quattro giornate di Napoli”.

L’eccidio di Cefalonia

L’eccidio di Cefalonia

di Maurizio Tiriticco

28 SETTEMBRE 1943, Cefalonia, Seconda Guerra Mondiale —- L’8 settembre del 1943 in Italia, dopo una lunga e disastrosa guerra che durava dal 10 giugno 1940, viene finalmente comunicato l’armistizio, firmato a Cassibile, in Sicilia, il giorno 3. Com’è noto, nessuna informazione venne data ai nostri combattenti sui diversi fronti di guerra circa i comportamenti da assumere nei confronti sia delle forze tedesche, diventate il nuovo nemico, che delle forze angloamericane, diventate il nuovo alleato!

Ecco il testo estremamente sibillino con cui venne proclamata per radio la cessazione delle ostilità e la fine – si fa per dire! – della guerra: «Attenzione! Attenzione! Sua Eccellenza il Capo del governo e Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio rivolgerà un proclama alla nazione!» Era la voce di Arnoldo Foà, come sapemmo a guerra finita. Seguirono le parole di Badoglio, sì, proprio del Maresciallo Badoglio in persona! Pertanto la notizia doveva essere più che importante! Eravamo tutto sospesi! E poi seguirono delle parole secche, stentoree, scandite, anche con una voce un po’ chioccia… non era uno speaker: «Il governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza».

Altri ordini, mirati, articolati e motivati, e soprattutto precisi, non vennero assolutamente impartiti alle diverse formazioni militari dislocate sui diversi fronti di guerra! Le quali così furono letteralmente abbandonate a loro stesse. Si trattò di un vero e proprio tradimento. E con i suoi soldati fu tradito l’intero popolo italiano! I “fedeli sudditi” – come si soleva dire – furono letteralmente piantati tutti in asso! Com’è noto, nella stessa notte dell’8 settembre, dopo l’annuncio dell’armistizio, il Re, la sua Corte e tutto lo Stato Maggiore fuggirono letteralmente da Roma, con un corteo di automobili lungo tutta la Via Salaria. Raggiunsero Pescara e di lì si imbarcarono sull’incrociatore Baionetta per riparare a Brindisi, che era già stata liberata dalle truppe alleate. Il terzo tradimento! Il primo, quando il 28 ottobre 1922 diede a Mussolini l’incarico di formare un nuovo governo, aprendo così la strada alla dittatura che seguirà dopo il delitto Matteotti! Il secondo, quando il 25 luglio 1943 tradì Mussolini, facendolo arrestare da suoi carabinieri, “l’arma da secoli fedele”!

Ed in quell’8 settembre 1943 venne pubblicato l’ultimo bollettino di guerra! Risibileee!!! Se non fosse drammaticooo!!! Eccolo: BOLLETTINO n. 1201: “Sul fronte calabro reparti italiani e germanici ritardano, in combattimenti locali, l’avanzata delle truppe britanniche. L’aviazione italo-tedesca ha gravemente danneggiato nel porto di Biserta 5 navi da trasporto per complessive 28 mila tonnellate; nei pressi dell’isola di Favignana un piroscafo da 15 mila tonnellate è stato colpito con siluro da un nostro aereo. Formazioni avversarie hanno bombardato Salerno, Benevento e alcune località delle provincie di Salerno e di Bari perdendo complessivamente 10 velivoli: 3 abbattuti dalla caccia italo-germanica e 7 dall’artiglieria contraerea”.Che dire? Una mastodontica presa per i fondelli di milioni e milioni di “fedeli sudditi”!

Ma torniamo a quelle drammatiche giornate! I tedeschi – dato che i nostri generali e i nostri soldati erano stati lasciati senza più alcun ordine, abbandonati a loro stessi – ebbero ovunque la meglio su tutte le nostre formazioni militari! Che in effetti si dissolsero come la nebbia al sole! Perché in quello stato di assoluta assenza di ordini, soldati e graduati pensarono solo ad abbandonare le loro posizioni e afuggire, tentando un difficile ritorno in Patria ed alle loro case. Ma non per tutti fu un’impresa facile! E ciò che avvenne nell’isola greca di Cefalonia fu semplicemente terribile! Un vero e proprio eccidio! Ecco i fatti.

Il generale Gandin, che aveva il comando dei soldati italiani, dopo esitazioni e consulti con gli alti ufficiali, in seguito ad un vero e proprio ultimo “consiglio di guerra”, decise di arrendersi ai tedeschi. Così la tovaglia bianca,sulla quale i comandanti mangiavano tutte le sere, venne issata sul balcone della casa che era sede del comando in segno di resa. A questo punto Hitler in persona ordinò che i soldati italiani fossero considerati come traditori e fucilati.Così i soldati che erano stati fatti prigionieri furono immediatamente e sommariamente giustiziati. E queii pochi soldati tedeschi che cercarono di opporsi, furono dissuasi con la minaccia di essere a loro volta fucilati.

Ed ebbe così inizio un vero e proprio massacro! I rastrellamenti e le fucilazioni andarono avanti per più giorni,ed ebbero fine solo il 28 settembre. Venti giorni di massacri! Che non risparmiando neanche Gandin, morto la mattina del 24. In particolare, 129 ufficiali furono fucilati presso una villa chiamata Casa Rossa e sette subirono la stessa sorte il 25 settembre perché, nell’ospedale dove erano ricoverati, il giorno prima si era verificata la fuga di due ufficiali. Compiuto l’eccidio, i tedeschi cercarono di farne scomparire le tracce. Così quasi tutte le salme – fatta eccezione di alcune lasciate insepolte o gettate in cisterne – furono bruciate e i resti gettati in mare. I superstiti furono caricati su navi destinate ai porti greci e dai porti greci ai treni con destinazione Polonia (Auschwitz, Treblinka e Ghetto di Minsk). Purtroppo due di esse (Motonavi Sinfra e Ardena) incapparono in campi minati, esplosero e affondarono, e la Mario Roselli fu colata a picco da aerei alleati, che non conoscevano il suo carico umano. Tra i pochissimi scampati all’eccidio e alla successiva prigionia ci furono il cappellano militare Romualdo Formato, autore negli anni cinquanta di un libro intitolato appunto “L’eccidio di Cefalonia”, e lo scrittore e conduttore televisivo Luigi Silori.

Ostia, 24 settembre 1943

Ostia, 24 settembre 1943

di Maurizio Tiriticco

In quella calda estate del 1943 – calda non solo per il sole, ma per il terribile andamento della guerra per noi poveri Italiani – su tutto il lungomare di Ostia (ma il Duce voleva che si chiamasse Lido di Roma, perché “Roma avrebbe finalmente avuto il suo mare”) erano stati collocati dei blocchi in cemento armato, alti circa un metro, ciascuno a distanza dell’altro di circa un paio di metri, per impedire un eventuale sbarco degli angloamericani! Semplicemente ridicolo! Un anno più tardi – esattamente il 6 giugno del 1944 – ci rendemmo conto di come “sbarcavano” gli angloamericani! Alludo alla cosiddetta “operazione Neptune”! Quando, all’alba del 6 giugno 1944 (il famoso D-Day in inglese e Jour-J in francese), migliaia di soldati inglesi, americani, francesi et al sbarcarono in gran forze, preceduti da pesanti bombardamenti aerei e navali, sulle coste francesi: esattamente sulla penisola del Cotentin. Su una costa dove i tedeschi avevano costruito potenti barriere difensive in cemento armato, il cosiddetto Vallo Atlantico, ancora visibili oggi! Perché rimuoverle costituirebbe, in danaro e lavoro, l’iradiddio! E – guarda caso – nello stesso 6 giugno del 1944 Roma fu liberata dall’occupazione nazista,

In quella calda estate del 1943, esattamente il 4 luglio,Ostia fu dichiarata ufficialmente “zona di guerra”. In effetti tutte le nostre coste erano diventate ormai zone di guerra. Per non dire dell’entroterra del Paese! Dove le grandi città industriali e portuali, come Milano, Genova, Napoli, erano sistematicamente bombardate! E Roma non fu da meno.Infatti nella mattinata del 19 luglio noi romani toccammo tutti con mano la potenza del nemico! Suono delle sirene, in una splendida mattinata di sole! In genere le sirene suonavano di notte! Era una cosa insolita! Che sarebbe successo? Lo sapemmo qualche tempo dopo. Rumore di motori, fortissimo e poi dal Mare Tirreno stormi di centinaia di aerei, molto in alto, ma si potevano contare, uno due tre… ma quanti sono? Solo dopo, molto dopo, sapemmo! Erano ben 362 bombardieri pesanti B17 e B24 e 300 bombardieri medi (146 B26 e 154 B25), scortati da 268 caccia Lighting.

Dalle 11 alle 15 – più o meno – di quel 19 luglio noiragazzi toccammo con mano, o meglio con vista e udito,che cosa significasse la guerra! Altro che i moschetti 91! In dotazione, pur in formato ridotto, a noi balilla moschettieri E i nostri aerei… in gran parte dei caccia… i Savoia Marchetti, piccoli e veloci… e i nostri bombardieri? Quanti ne avevamo? Sapevamo ben pochi, in confronto con quelle centinaia che contammo in una sola mattinata. Capimmo tutti in quella mattina che non ce l’avremmo fatta, che la guerra… era… assolutamente… impossibile… vincerla!!!Comunque ancora non volevamo dirci che l’avremmo perduta, soprattutto noi, ragazzi educati dalla scuola fascista!

Però cominciammo a pensarlo. Non sarebbe stato il caso di uscire da quell’incubo, di chiedere la fine delle ostilità? Non ce l’avremmo mai fatta a vincere! Quegli aerei, quella potenza, così superbamente dispiegata nel cielo, forse ci avevano convinto! Ma il bollettino di guerra n. 1150 fu assai laconico: “Nel tardo mattino di oggi formazioni di apparecchi avversari hanno sganciato numerose bombe su Roma, causando danni in corso di accertamento”. E quello successivo, n. 1151, del 20 luglio fu più esauriente, a suo modo: “I danni arrecati dalle formazioni americane, che con alcune centinaia di quadrimotori hanno ieri, durante tre ore, attaccato Roma, sono ingenti; risultano, tra gli altri, gravemente colpiti e in parte distrutti, edifici sacri al culto e alla scienza e quartieri di abitazioni operaie: in particolare la basilica di S. Lorenzo, il cimitero del Verano, la Città Universitaria, il complesso ospedaliero del Policlinico, i caseggiati popolari delle zone Prenestina e Latina. Il numero delle vittime civili finora accertate ascende a 166 morti e a 1659 feriti. Durante e dopo l’incursione la popolazione ha dato esempio di disciplina e di calma. Sette velivoli sono stati abbattuti dalle artiglierie contraeree e uno dalla caccia”. Esempio di disciplina? O di disperazione? E fece molta notizia il fatto che il Papa Pio XII visitasse le zone colpite! La candida veste macchiata di sangue!

Ma torniamo ad Ostia, dove vivevo. Perché Ostia fu sfollata? L’allontanamento dalla città, per ordine del comando tedesco, avvenne il 25 settembre del 1943. La sera prima i tedeschi avevano affisso manifesti, non tanti veramente, solo quanto bastava per lanciare la notizia! La fama avrebbe fatto il resto! Fama, malum qua non aliudvelocius ullum, mobilitate viget, viresque adquirit eundo! Virgilio, Eneide, canto IV! CHEMMEMORIAAA, quando si fanno gli studi classici!!! E la notizia volò rapidamente! I tedeschi ci davano 24 ore di tempo per lasciare la città. Le ragioni? Nessuna! Ma lo sapevamo tutti! Il fatto è che temevano uno sbarco sulla costa tirrenica antistante la capitale e dovevano organizzare le opportune difese! Quindi senza intralci di sorta!

Fu una vera tragedia! La vita sonnacchiosa di una cittadina che, bene o male, tentava di sopravvivere ad una situazione veramente difficile… la fame in primo luogo, l’assenza di un’amministrazione, l’incertezza per il futuro, venne nel giro di pochi minuti stravolta, sconvolta! Una città intera, migliaia di persone dovevano sgombrare! E dove? E come? Protestare? Neanche a pensarci! Ormai da vent’anni avevamo imparato solo a credere, obbedire e combattere! E poi i tedeschi non scherzavano! Non avevamo mai fraternizzato con i soldati, sempre arroganti e pieni di sé, anche quando eravamo alleati! E ora, più arcigni e più brutti che mai, con il fucile sempre imbracciato! Non ci fu alcuna protesta, alcun atto di ribellione! Solo una disperazione nera, di tutti! E poi, tutti contro tutti! Nessuno di noi possedeva l’automobile! Molti di noi possedevano una bicicletta, ma… poca cosa per una fuga con masserizie presso!

Fu una corsa a camioncini e a carretti, ma soprattutto al treno! Fortunatamente i treni cominciarono a funzionare uno dopo l’altro… niente biglietti, ovviamente, e facevano tutti su e giù, Roma Ostia, carichi come non mai! Persone e valige, tante valige, scatoloni, tanti scatoloni, e materassi soprattutto, tanti materassi. Vecchi e bambini! Sani e malati! E qualche animale, cani, gatti e galline… molti ormai avevano galline nei cortili, sui balconi… le uova erano una cosa preziosa e allevar polli non costava poi molto…

Quell’evento segnò la mia definitiva maturazione! Mi trovai da un giorno all’altro capofamiglia! Mia madre a letto con una gamba impedita! Mio padre a L’Aquila per servizio! Mia sorella di appena sette anni! Che, poverina, in quella tragedia stringeva con forza due oggetti: la bambola prediletta e la bicicletta! E quanti pianti, quando dovette lasciarli! E fummo fortunati, perché avevamo parenti a Roma! Ma i miei amici? Tutti dispersi, senza neanche un abbraccio di addio! La fretta e la paura avevano distrutto anche gli affetti!