Ostia, 24 settembre 1943

Ostia, 24 settembre 1943

di Maurizio Tiriticco

In quella calda estate del 1943 – calda non solo per il sole, ma per il terribile andamento della guerra per noi poveri Italiani – su tutto il lungomare di Ostia (ma il Duce voleva che si chiamasse Lido di Roma, perché “Roma avrebbe finalmente avuto il suo mare”) erano stati collocati dei blocchi in cemento armato, alti circa un metro, ciascuno a distanza dell’altro di circa un paio di metri, per impedire un eventuale sbarco degli angloamericani! Semplicemente ridicolo! Un anno più tardi – esattamente il 6 giugno del 1944 – ci rendemmo conto di come “sbarcavano” gli angloamericani! Alludo alla cosiddetta “operazione Neptune”! Quando, all’alba del 6 giugno 1944 (il famoso D-Day in inglese e Jour-J in francese), migliaia di soldati inglesi, americani, francesi et al sbarcarono in gran forze, preceduti da pesanti bombardamenti aerei e navali, sulle coste francesi: esattamente sulla penisola del Cotentin. Su una costa dove i tedeschi avevano costruito potenti barriere difensive in cemento armato, il cosiddetto Vallo Atlantico, ancora visibili oggi! Perché rimuoverle costituirebbe, in danaro e lavoro, l’iradiddio! E – guarda caso – nello stesso 6 giugno del 1944 Roma fu liberata dall’occupazione nazista,

In quella calda estate del 1943, esattamente il 4 luglio,Ostia fu dichiarata ufficialmente “zona di guerra”. In effetti tutte le nostre coste erano diventate ormai zone di guerra. Per non dire dell’entroterra del Paese! Dove le grandi città industriali e portuali, come Milano, Genova, Napoli, erano sistematicamente bombardate! E Roma non fu da meno.Infatti nella mattinata del 19 luglio noi romani toccammo tutti con mano la potenza del nemico! Suono delle sirene, in una splendida mattinata di sole! In genere le sirene suonavano di notte! Era una cosa insolita! Che sarebbe successo? Lo sapemmo qualche tempo dopo. Rumore di motori, fortissimo e poi dal Mare Tirreno stormi di centinaia di aerei, molto in alto, ma si potevano contare, uno due tre… ma quanti sono? Solo dopo, molto dopo, sapemmo! Erano ben 362 bombardieri pesanti B17 e B24 e 300 bombardieri medi (146 B26 e 154 B25), scortati da 268 caccia Lighting.

Dalle 11 alle 15 – più o meno – di quel 19 luglio noiragazzi toccammo con mano, o meglio con vista e udito,che cosa significasse la guerra! Altro che i moschetti 91! In dotazione, pur in formato ridotto, a noi balilla moschettieri E i nostri aerei… in gran parte dei caccia… i Savoia Marchetti, piccoli e veloci… e i nostri bombardieri? Quanti ne avevamo? Sapevamo ben pochi, in confronto con quelle centinaia che contammo in una sola mattinata. Capimmo tutti in quella mattina che non ce l’avremmo fatta, che la guerra… era… assolutamente… impossibile… vincerla!!!Comunque ancora non volevamo dirci che l’avremmo perduta, soprattutto noi, ragazzi educati dalla scuola fascista!

Però cominciammo a pensarlo. Non sarebbe stato il caso di uscire da quell’incubo, di chiedere la fine delle ostilità? Non ce l’avremmo mai fatta a vincere! Quegli aerei, quella potenza, così superbamente dispiegata nel cielo, forse ci avevano convinto! Ma il bollettino di guerra n. 1150 fu assai laconico: “Nel tardo mattino di oggi formazioni di apparecchi avversari hanno sganciato numerose bombe su Roma, causando danni in corso di accertamento”. E quello successivo, n. 1151, del 20 luglio fu più esauriente, a suo modo: “I danni arrecati dalle formazioni americane, che con alcune centinaia di quadrimotori hanno ieri, durante tre ore, attaccato Roma, sono ingenti; risultano, tra gli altri, gravemente colpiti e in parte distrutti, edifici sacri al culto e alla scienza e quartieri di abitazioni operaie: in particolare la basilica di S. Lorenzo, il cimitero del Verano, la Città Universitaria, il complesso ospedaliero del Policlinico, i caseggiati popolari delle zone Prenestina e Latina. Il numero delle vittime civili finora accertate ascende a 166 morti e a 1659 feriti. Durante e dopo l’incursione la popolazione ha dato esempio di disciplina e di calma. Sette velivoli sono stati abbattuti dalle artiglierie contraeree e uno dalla caccia”. Esempio di disciplina? O di disperazione? E fece molta notizia il fatto che il Papa Pio XII visitasse le zone colpite! La candida veste macchiata di sangue!

Ma torniamo ad Ostia, dove vivevo. Perché Ostia fu sfollata? L’allontanamento dalla città, per ordine del comando tedesco, avvenne il 25 settembre del 1943. La sera prima i tedeschi avevano affisso manifesti, non tanti veramente, solo quanto bastava per lanciare la notizia! La fama avrebbe fatto il resto! Fama, malum qua non aliudvelocius ullum, mobilitate viget, viresque adquirit eundo! Virgilio, Eneide, canto IV! CHEMMEMORIAAA, quando si fanno gli studi classici!!! E la notizia volò rapidamente! I tedeschi ci davano 24 ore di tempo per lasciare la città. Le ragioni? Nessuna! Ma lo sapevamo tutti! Il fatto è che temevano uno sbarco sulla costa tirrenica antistante la capitale e dovevano organizzare le opportune difese! Quindi senza intralci di sorta!

Fu una vera tragedia! La vita sonnacchiosa di una cittadina che, bene o male, tentava di sopravvivere ad una situazione veramente difficile… la fame in primo luogo, l’assenza di un’amministrazione, l’incertezza per il futuro, venne nel giro di pochi minuti stravolta, sconvolta! Una città intera, migliaia di persone dovevano sgombrare! E dove? E come? Protestare? Neanche a pensarci! Ormai da vent’anni avevamo imparato solo a credere, obbedire e combattere! E poi i tedeschi non scherzavano! Non avevamo mai fraternizzato con i soldati, sempre arroganti e pieni di sé, anche quando eravamo alleati! E ora, più arcigni e più brutti che mai, con il fucile sempre imbracciato! Non ci fu alcuna protesta, alcun atto di ribellione! Solo una disperazione nera, di tutti! E poi, tutti contro tutti! Nessuno di noi possedeva l’automobile! Molti di noi possedevano una bicicletta, ma… poca cosa per una fuga con masserizie presso!

Fu una corsa a camioncini e a carretti, ma soprattutto al treno! Fortunatamente i treni cominciarono a funzionare uno dopo l’altro… niente biglietti, ovviamente, e facevano tutti su e giù, Roma Ostia, carichi come non mai! Persone e valige, tante valige, scatoloni, tanti scatoloni, e materassi soprattutto, tanti materassi. Vecchi e bambini! Sani e malati! E qualche animale, cani, gatti e galline… molti ormai avevano galline nei cortili, sui balconi… le uova erano una cosa preziosa e allevar polli non costava poi molto…

Quell’evento segnò la mia definitiva maturazione! Mi trovai da un giorno all’altro capofamiglia! Mia madre a letto con una gamba impedita! Mio padre a L’Aquila per servizio! Mia sorella di appena sette anni! Che, poverina, in quella tragedia stringeva con forza due oggetti: la bambola prediletta e la bicicletta! E quanti pianti, quando dovette lasciarli! E fummo fortunati, perché avevamo parenti a Roma! Ma i miei amici? Tutti dispersi, senza neanche un abbraccio di addio! La fretta e la paura avevano distrutto anche gli affetti!