Un altro a un palmo dal nostro naso
di Vincenzo Andraous
Un altro ragazzo impiccato alle sbarre dell’indifferenza, un altro, un altro ancora.
L’impressione che se ne ricava da questa inesauribile macelleria silente, è che qualcuno voglia combattere il mostro del sovraffollamento con un suicidio oggi e domani pure. Incredibile?
Quando parliamo del pianeta sconosciuto, della sua esplosiva condizione di violenza e illegalità imposta, a molti viene in mente di indicare la cima di un iceberg, invece a ben pensarci è l’opposto e il suo contrario.
Alla luce c’è proprio la teatralità di un avamposto della legalità costretto a una torsione così innaturale e quindi a una drammaticità che aggrava la ricerca di sicurezza e umanità nel recupero della persona detenuta, perché comunque di persone stiamo parlando.
Proprio oggi il pallottoliere mortifero che traccia le somme a discapito delle detrazioni e naturalmente delle responsabilità, ci ha sbattuto in faccia per l’ennesima volta l’indifferenza alla pietà, siamo arrivati a metà del guado, ma giunti a 63 morti ammazzati dentro una cella, dentro una galera, dentro una solitudine imposta, travestita di compassione che non c’è, come non c’è alcuna verità, soltanto giustificazioni, attenuanti generiche per chiunque ci faccia i conti, o peggio non li faccia per niente con questa mattanza de noantri.
Sui detriti ove poggia il carcere, c’è una sorta di mercanzia che va alla grande, ognuno degli attori coinvolti in questa rieducazione ortopedica dei corpi penzolanti dai letti a castello, dai finestroni delle celle, dagli angoli bui dove scomposti se ne stanno coloro che non hanno retto all’ingiustizia di una pena aggiuntiva non contemplata da alcun Codice, Ordinamento, Costituzione.
Ebbene, lì, in quella angusta sottomissione al nulla, proprio lì, nessuno osa guardare alla corretta applicazione degli ordinamenti. Ogni volta, e sono proprio tante queste volte in cui donne e uomini si strozzano fino a morire dentro la prigione, qualcuno parla avvedutamente di “evento sentinella” in quanto sono dipartite che con più attenzione e accompagnamento potrebbero significativamente essere ridimensionate, sottraendo ai residui spazi colmi di cose, oggetti e numeri, le persone, le persone, le persone.
Riconsegnando umanità alla funzione della pena e alla sua rieducazione, dunque non soltanto del detenuto che giustamente sconta la propria pena. Un altro l’hanno trovato appeso con il capo reclinato, con gli occhi all’indietro, come a volere rimarcare la perdita di speranza per il futuro, la disperazione che non tollera più il dolore mentale insopportabile, quel disagio che nessuno vede, che nessuno s’accorge sta per esplodere in comportamenti estremi, così profondamente insopportabili perché ingiusti, dove non c’è più possibilità di un ascolto, neppure il tentativo di accorciare le distanze con quella pietà derelitta e sconfitta.
Un altro ammazzato, a un palmo dal nostro naso, nell’unica via di uscita rimasta e concessa. La morte.