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Il mondo adulto questo sconosciuto

Il mondo adulto questo sconosciuto

 di Vincenzo Andraous

Ogni giorno siamo inondati di comunicazioni a dir poco preoccupanti che ci sbattono spalle al muro.

Da informazioni nude e crude, non c’è tregua a fare da ponte tra un agguato, un colpo secco, una ferita profonda, una violenza gratuita, una sofferenza imposta, una assenza priva di una spiegazione consapevole.

Non c’è spazio per la propria coscienza quando è perduta in maniera disperata e disperante.

Adolescenti cresciuti troppo in fretta, giovani adulti che guardano ma non vedono, padri di famiglia in preda al delirio di onnipotenza del possesso che non è amore.

Il tempo non veste più i panni dell’educatore, il tempo rimane una linea sonnolenta e banale su cui si ripetono le stesse logiche, le identiche pratiche, i copia incolla irresponsabili eletti a misura, esempi inamovibili di una indifferenza che alla fatica del fare preferisce sbraitare, urlare per ottenere poco più di nulla. 

C’è in giro tanto piedistallo virtuale, tanta filmografia dell’uso e abuso della violenza, dove il rispetto delle regole quali uniche vere salvavita, sono ampiamente soppiantate dall’assenza di un sano senso di colpa, da una vergogna che denuda ogni possibile maschera. 

Durante un incontro con il mondo genitoriale, un papà mi ha detto che lui non si sente tirato in ballo, che a casa sua non ci sono bulli, delinquenti, tossici, violenti.

Si, ci possono essere accadimenti tragici, ma tutto questo accade nella tua casa, nella casa di fronte alla mia, dall’altra parte della strada, non certamente a casa mia.

Eppure accade che una sera suona il campanello o squilla il telefono, e va già bene che ci dicono che nostro figlio è stato fermato ed è in caserma, oppure è in carcere, perché c’è di peggio, è all’ospedale o non c’è proprio più.

Mi convinco che non bisogna mai cadere nel ridicolo di fare di tutta l’erba un fascio, ma altrettanto mi viene da dire che per evitare i rischi di derive devianti o criminali, c’è urgenza di riflettere adeguatamente sulle risposte, occorre abbandonare l’idea che ogni volta che accade qualcosa sono soltanto ragazzate, oppure di contro controllare, reprimere, punire, senza perdere un solo prezioso minuto per ascoltare, comprendere, spiegare.

Le strade sono piene di buche come le carenze educative, come quel padre di cui parlavo prima che concede molto e assai ai propri figli, perchè desidera che abbiano tutto quello che non ha avuto lui, lavora 14 ore al giorno, si fa un mazzo così,  ma mai una sola volta si è accertato a che ora  il ragazzo è rientrato nella sua stanza, in che condizioni, peggio, se magari neppure è rientrato.

Questa pratica di vita per quanto debordante nel veicolare i propri sentimenti mi fa pensare a quel boscaiolo che sta segando il ramo dell’ albero su cui sta seduto.

Minori imbizzarriti

Maranza – Bulli – Minori imbizzarriti

 di Vincenzo Andraous

Nel mirino sociale c’è il mondo dei maranza, come se fossero il vero e unico male di questa arena dove sfogare istinti e miserabilità sub-umane.

Come se debellare questo fenomeno per quanto insopportabile risolvesse la violenza che sta dilagando nelle città come nelle periferie.

Non è così, tutt’altro.

Ci sono per le strade bulli travestiti da eroi per forza, minori imbizzarriti e ragazzine completamente deprivate del sentimento della vergogna, della compassione, impregnate di storie rubate ai film, dagli slang che non sono e non saranno mai farina del loro sacco.

Quando agli occhi irrompono le immagini di più ragazzine che colpiscono con scientificità per fare più male a un’altra ragazzina indifesa, così giovane e fragile, anche per un adulto formato rimane una ferita che non si chiuderà presto, occorrerà tempo affinchè la lacerazione del cuore possa rimarginarsi.

C’è un gioco al massacro nell’uso della violenza, diventato strumento di potere per dimostrare il proprio valore.

Il mondo adulto che fa per sbarazzarsi del problema?

Lo attribuisce a una città a una regione particolare, dove per uno sguardo di troppo a una ragazza, si passa senza tanti convenevoli ai cazzotti, al serramanico, alla pistola.

Omettendo di dire la verità, perchè questa sottocultura dell’omertà e del potere territoriale è realtà al sud come al nord, in città e in periferia, l’uso dei pugni e delle lame sono miseria economica e culturale che accomuna i giovanissimi, ne acuisce l’uso sgangherato e sgrammaticato delle parole che discriminano e fanno aumentare la rabbia e l’ira.

Lo ricordo bene quel ragazzino a condividere alcol e droghe, a circondare con il filo spinato il territorio ove tutto può essere condiviso, in quel tutto ci stanno in bella mostra le azioni più infamanti, più inaccettabili, più incomprensibili.

Mentre osservo la tanta inutile violenza, senza scopo e utilità, mi ritrovo a fare i conti con quel ragazzino, lo rammento malamente nella postura, negli atteggiamenti, nell’inquietudine che lo accompagnava passo dopo passo verso il plotone di esecuzione.

Troppo semplice e fuorviante puntare il dito sul solo migrante maranza diverso e incarognito, sulla bulla manesca e feroce che recide ogni speranza a una coetanea che non sa difendersi.

Per quanto importante e giusto perseguire comportamenti così vigliacchi, c’è necessità di riempire il grande vuoto di senso che li attanaglia, che li rende insensibili alla sofferenza altrui, anzi ne aumenta la ferocia nei riguardi del diverso, del debole,  del fragile.

A quando il tempo della relazione vera perché basata sulla fiducia e la solidarietà, a quando apprendere il valore del rispetto per se stessi e per gli altri, a quando stringere forte la mano alla propria umanità, avendone finalmente cura e attenzione.

 

Pasqua cura e attenzione

Pasqua cura e attenzione

di Vincenzo Andraous

Agli occhi appare quella sovrapposizione di due legni, quella Croce sgangherata ma appesa con metodo, a mezz’aria, le braccia allargate, la testa reclinata, la ferita, il sangue degli innocenti, di quanti gridano giustizia, ma spesso, sempre più spesso, rimangono senza giustizia.

E’ festa di Pasqua, è vero, eppure il dolore non è solo un’emozione, il dolore di una ingiustizia perpetrata in origine, somiglia a un sofferenza che annienta e poi cancella qualcosa che non c’è più,  eppure lì risiede l’amore.

E allora ecco quell’urlo così disperato, quell’urlo di chi non ha più speranza. C’è nell’aria un sapore strano, del ferro battuto, del chiodo infisso, della spada senza altra lucentezza, eppure la gioia resiste alle intemperie delle miserevolezze umane, rende meno oppressiva e incomprensibile quella morte, quel figlio Santo e Dio abbandonato, dentro l’ingiustizia umana più grande.

E’ Pasqua, è festa, è riconciliazione con la vita che non si spegne, non s’arrende, quell’Uomo muore e già domani è ritornato a essere quanto era, sembra inverosimile almeno quanto in ognuno di noi la caduta uccide la ragione del cuore, sopraffatta dalla nostra lucida follia.

La croce scelta, passo dopo passo, non risulterà mai segno di sconfitta, ma  resilienza della radice profonda aggrappata profondamente alla terra, cosicché nessuna tempesta o bestemmia ne possa sdradicare la passione della fede che ognuna professa.

Si è festa di tutti nessuno escluso, nasce poco più indietro dove c’è la sofferenza, il dolore, che richiama a raccolta ogni energia interiore,  affinché la prossimità dell’altro abbia la nostra attenzione, perché la Pasqua è tutta dentro la nostra umanità che dovrebbe significare avere cura, averne cura, di chi come quel Cristo in croce spesso sta davanti al nostro naso e non lo vediamo, peggio, non intendiamo proprio vederlo. Mi piace pensare che questa Pasqua non sia soltanto la ricorrenza da onorare in automatico, ma consegni a chi crede nel valore irrinunciabile della libertà, quella libertà scritta a chiare lettere su quei legni e quei chiodi, con quella assenza diventata presenza costante, quella libertà come responsabilità insegnata attraverso l’esempio di  questa possibile rinascita.

Bullismo rosa shocking

Bullismo rosa shocking

di Vincenzo Andraous

Stavo scrivendo un pezzo sulla violenza giovanile, sui soliti maschietti dalle gambe larghe e le mani in tasca, i soliti boys dai bicipiti in bella mostra, in gruppo a menare ragazzetti inermi, adolescenti che non sanno difendersi, il solito bullismo disarcionato dalla trasgressione, scaraventato tra coltelli e tirapugni in una dimensione di devianza conclamata.

Reati commessi e atteggiamenti non più adolescenziali, affascinati dal pericolo del vicolo cieco che invece moltiplica i comportamenti criminali.

Mentre da città e periferie venivo inondato di racconti e  video ben orchestrati per fare vedere la violenza elargita senza il minimo rigurgito di compassione, mi sono accorto che c’è un bullismo altrettanto violento e crudele all’ennesima potenza,  perpetrato da tante e troppe protagoniste in rosa, da tante e troppe vigliacche che in gruppo, riducono a meno di niente coetanee più giovani, vere e proprie bambine.

Con l’inganno, l’agguato,  l’accerchiamento, la sequenza  inaccettabile degli schiaffi, dei pugni, dei calci in pieno viso, le tirate di capelli.

Ragazzine che fanno carne da macello di bambine più piccole, indifese, zittite dalla ferocia della paura, piccole Madonne con le mani sugli occhi, colpite, offese, umiliate.

Colpisce lo slang in uso nel gruppo dei pari, parole e simboli provenienti da ambienti lontani, che non sono i loro né lo saranno mai, ma intanto ne fanno corazza e modalità di onnipotenza, di sottomissione dell’altra che non può reagire, con l’acquisizione di un fare imparentato con le grandi organizzazioni criminali, con la messa in pratica di una omertà come strumento per marcare il territorio in cui le regole sono annientate, permangono i messaggi, le condivisioni, il pensiero unico che sottomette, che consegna intatto il potere del dominio, del sopruso e della  prevaricazione. Ragazzine che conoscono  la strategia della prepotenza, dell’angolo in cui ridurre a oggetto l’essere umano più innocente.

“Le forze dell’ordine non sottovalutano il problema oramai dilagante, tanto da assumere i contorni di vera piaga sociale.”

Il rinculo di un colpo di fucile è il fare i conti con questa realtà non più ascrivibile a quei soliti nuclei familiari ben noti, qui la piaga sociale ha contorni ben definiti, l’indifferenza del mondo genitoriale, professorale, adulto, la disattenzione che discrimina,  giustifica, peggio, assolve, tutto ciò finchè il sangue e la sofferenza non s’accanisce su tua figlia.

Mentre osservo le immagini dei video in cui più ragazze insieme picchiano ferocemente una loro coetanea più giovane, rimango di stucco per quanta cattiveria e cecità del cuore, sento un male profondo avvolgermi, la ragione vacilla, non mi capacito per la tanta violenza espressa, per un bacio rubato, una parola di troppo, un compito premiato e l’altro non ritenuto sufficiente, nel mezzo la meccanica del maledetto per forza, che lascia a terra giovanissime con le labbra rotte, lascia dietro di sé l’annientamento dell’innocente, di chi negli occhi ha disegnato il dolore che mette di lato l’amore.

Non c’è più molto tempo per tentare un argine, questo di oggi non è bullismo di ieri, non è vero che i giovani hanno sempre fatto queste cose, il problema che nel frattempo siamo cambiati noi, gli educanti, gli esempi, gli indifferenti.

Di tutta l’erba un fascio

Di tutta l’erba un fascio

 di Vincenzo Andraous

Qualche giorno addietro ho partecipato a un incontro dove c’erano parecchi genitori preoccupati per il moltiplicarsi di accadimenti tragici che hanno come protagonisti giovanissimi.

Quando si parla di bulli, baby gang, bande, si corre sempre il rischio di usare le parole attraverso slogan o sottolineature altisonanti, ma poco aderenti al terreno impervio che si sta percorrendo.

Un genitore quasi urlando, ha detto che ai suoi tempi i giovani erano assai meglio di quelli di oggi, dimenticando che nel frattempo siamo cambiati noi.

Usare impropriamente le parole significa fare di tutta l’erba un fascio, equiparare un atto bullistico a una azione prettamente deviante è ben altra cosa, ci sono gruppi di pari per niente emarginati, per nulla additati a criminali, che in gruppo fanno e disfano le regole, le libertà altrui, compresa la propria, commettendo anche reati, senza per questo esser ancora criminali.

Fare parte di una baby gang, di una gang, significa esser laureati a pieni voti ai disvalori della strada, dell’angolo buio, alle regole non scritte che però contano quanto una lama di coltello.

Maranza e adolescenti imbizzarriti non sono la stessa cosa, spingere e urtare non è la stessa cosa di colpire sui denti, di rompere le ossa, di mandare al creatore qualcuno per imporre la propria leadership.

Non è una azione educativa gridare che a casa mia non ci sono bulli, violenti, delinquenti, tossici, dall’altra parte della strada ci sono figli che fanno queste cose, accade a casa tua, non nella mia. Poi improvvisamente qualcuno bussa alla nostra porta per dirci che nostro figlio se tutto va bene è all’ospedale, anche in carcere, peggio, non c’è più.

A quel genitore capace senza se e senza di ipotecare il futuro vorrei dire che i giovanissimi fanno uso di droga, di beveroni coloratissimi, alcuni usano il bicipite per aggredire, per non sentirsi inadeguati, ma non significa che lo strumento della violenza connota la propria identità, marcando il proprio spazio, la propria dimensione, il proprio territorio.

A quel padre direi sottovoce e in punta di piedi di andare a vedere a che ora ha fatto ritorno nella sua stanzetta e in che condizioni suo figlio, peggio, se neppure è rientrato.

Non c’è sempre la baby gang come narrazione, perché è assai diversa la realtà dei più giovani, spesso inebetiti dall’uso e abuso dell’agio, sempre più spesso impattano nel  vuoto di senso che li circonda, nelle violenze di gruppo, verso i più deboli, i “diversi”.

Forse di questo sarebbe bene relazionarsi intorno alla tavola imbandita di casa propria.

Negli angoli più bui

Negli angoli più bui

di Vincenzo Andraous

Ascoltare le bugie, le giustificazioni, le solite inutili correzioni, nuovamente negli angoli più bui dove non è dato vedere, altri morti ammazzati, sempre più giovani, sempre meno delinquenti incalliti, avvolti e definitivamente strozzati dall’indifferenza.

Nel rinculo delle coscienze sopite, c’è come un canto che sale,  la verità con tutta la forza possibile, il  messaggio, profondamente, colpito alle spalle.

Ci sono esseri umani incaricati di custodire, altri di condannare, altri ancora di stabilire un equilibrio, altri di edificare attraverso le Leggi, le Riforme, la Costituzione, una strada, un percorso in cui conquistare  o riconquistare la propria dignità personale.

Mai  cancellarla, annientarla, ridurla a poco più di niente. Il carcere, la cella, il luogo della pena, della riparazione, della ricerca di un perdono così antico e troppo giovane per esser messo da parte dai giudizi senza appello.

Cittadini detenuti colpevoli, cittadini detenuti innocenti, addomesticati dalla disperazione creata a tavolino, fragili a tal punto da non esser più capaci di mostrare la mano alzata per chiedere aiuto, il timore feroce di esser nuovamente additato a bersaglio.

Dunque la persona è dietro, innanzi ci sono le cose, gli oggetti, i numeri, sono quelli a fare la differenza oramai. In carcere si muore, si continua a morire, luogo del rieducare, trasformato in dimensione di morte, paiono candele che tremolano, lentamente si spengono, i corpi privi di vita penzoloni alle sbarre, alla leva del letto a castello, il respiro che non esce dai polmoni, il sapore della resa che per qualcuno appare medaglietta appuntata sul petto.

Quest’anno  siamo già a 12 uomini che hanno mollato gli ormeggi, mentre qualcuno con un po’ di coerenza ha detto “se questo stillicidio non viene interrotto, saremo tutti complici”.

Ma forse lo siamo già tutti, perchè quando il carcere non risponde ad alcuno dei requisiti e delle finalità previste dalla Costituzione,  non ci si ammazza  per caso, per qualche non meglio identificato evento critico.

Colpevoli e innocenti scelgono di morire ancora giovanissimi per mancanza di speranza, nella privazione di una accoglienza e di un accompagnamento che possegga una parvenza di umanità. 

Quando una persona privata della libertà affronta con la propria forza di volontà il cambiamento, il diritto e dovere di cambiare, se non sarà accompagnato in questo lungo e lento viaggio di ritorno, non potrà mai farcela, perché subirà vere e proprie scosse telluriche.

Come ha detto Papa Francesco nessuno si salva da solo.

Fino a quest’ultimo impiccato, l’unica risposta permane il silenzio.

Maranza de noantri

Maranza de noantri

di Vincenzo Andraous

Questi sono tempi duri, così duri che al primo impatto c’è l’inciampo inaspettato, la caduta rovinosa, il botto a perdere, e non è mica vero, che il maranza di turno, è residuato o new entry di immigrazione clandestina, di colorato residente, maranza è bianco sfavillante, è colorato candeggina profumata, fa parte del lato scuro della strada, della periferia scazzata e dimenticata, del gruppo dei pari che avanza come un plotone di esecuzione, mani in tasca e gambe larghe.

Maranza è più sbrigativo relegarlo allo straniero smargiasso e  prepotente, a quelli che hanno scoperto che con la  violenza si possono ottenere benefit inaspettati, perfino raggiungere traguardi altrimenti inarrivabili, come il tuo sangue, colare sul tuo viso, soprattutto come il sangue degli altri, degli innocenti, di quelli che non c’entrano niente.

Non  sei maranza per il modo di vestire che pare un cazzotto in un occhio, per lo slang che usi, che non è tuo, te ne sei indebitamente appropriato  senza averne cognizione.

In questo tempo si parla assai di spranghe, di ferri, di coltelli, di pistole nelle mani di giovanissimi, maranza si dice, alti dicono tamarri in libera uscita, altri ancora ragazzotti con le spalle al muro dalle regole della strada, che non fanno sconti nè prigionieri. 

In gruppo i maranza ci danno di gomito, di nocche infrante, di lame di coltelli conficcate nelle carni.

La strada, la piazza, il quartiere, le città,  diventano jungla meglio conosciuta per mettersi in mostra, dove le regole sono scaracchi da sputare lontano, deserto e terreno interpretato come un campo minato, un campo di battaglia, dove la sfida mal sopporta le limitazioni, dove la scommessa non è disposta a rinunciare alla propria rivincita. 

Eccoli i maranza, sono sparpagliati intorno, sotto i cappucci, le sciarpe, occupano il marciapiede, il transito e non solo il passaggio, perché quello è considerato un privilegio. 

Un terribile caos creato ad arte i maranza, invece è quanto sdoganato dalle messaggistiche istantanee, anche ieri ci stavano e apparivano patetici, oggi ci sono con tutta l’irresponsabile follia, ci sono nei messaggi per lo più fraintesi, invece chiari e diretti come una coltellata. 

Mio caro maranza qui non si tratta di fare i ribelli inconcludenti, questo non è il palco di un teatro dove a tuo piacimento puoi scendere e ritornare a casa, non è il gioco della playstation, non è possibile resettare e tornare indietro.

Farai bene a ricordare che in galera non ci sono eroi, soltanto uomini sconfitti.

Natale dal cuore tumefatto

Natale dal cuore tumefatto

di Vincenzo Andraous

La bambina a piedi scalzi con la neve tra le dita, bruciata la pelle dal colore di sangue.

I bambini avvolti nei sudari di odio e pietà tra gli scaracchi lasciati di traverso.

Donne ferite e scaraventate indietro a morire con il respiro che non esce dai polmoni. Vecchi depredati di memoria umiliati e ammazzati senza fare rumore.

Le orme diventano tracce da cancellare, da mimetizzare dalle verità contrapposte nei silenzi imposti.

Il tempo dei raccolti non è più avanti di una folata di vento, rimangono i crateri scavati dalle bombe, dalle parole quelle più ingiuste, inumane quanto una scrollata di spalle.

Le parole dette in fretta per non dire niente, le parole quelle scritte dai potenti ben allineati in fila per tre, con il sudore sulla fronte, non della fatica, ma della paura. 

Quel Bimbo nasce con gli occhi aperti al mondo della fede che ognuno professa, nasce con il resto già dietro, come la vita umana che diventa proprietà da indicare di volta in volta in qualche dimora privata, dentro una preghiera sgangherata, in una caramella donata a chi ha bisogno, una sorta di sacrale eredità che ci illude di potere ipotecare un pezzo di futuro. 

Bambini nelle pozzanghere ghiacciate, denudati di ogni orpello, di qualunque commiserazione, a ogni piè sospinto il passato ricompone diabolicamente la sua trama, il maneggio delle onestà e delle in-giustizie hanno cambiato di abito, hanno rubato nuovamente le calze a quei piedini scarnificati di cura e di attenzione.

Si è Natale per le genti e per le greggi, è Natale di deliri di onnipotenza, di potere che non consegna servizio, ma pretende stive piene di dobloni e di sesterzi, mentre i corpi dei piegati e dei piagati arrancano tra luci e grida di vittoria per sopportare il carico di ignoto che abbiamo favorito senza vergogna né dignità. 

E’ Natale è Natale, gli echi di lontano, così vicino da infrangere la quiete vigile del Bimbo che nasce,  degradati i rapporti umani, nelle differenze in tuttele sue rappresentazioni, sempre più assenti le indicazioni valoriali, nello sgretolamento di punti fermi, quali il rispetto e la solidarietà umana. Natale è quella bambina a piedi scalzi al gelo di quel campo circondato di filo spinato, ignominia dell’indifferenza per un piatto di minestra, poco più in là,  i nuovi predoni pregano un Dio già morto e sepolto non dalla terra madre, ma dalla polvere di parole, di significati da assegnare  a qualcosa o a  qualcuno per riappropriarsi di un potere oramai scarnificato digiustizia sociale, la società una sorta di malattia terminale.

Natale è Natale.

America

AMERICA EDUCANDA DELLA LEGALITA’

di Vincenzo Andraous

C’è sempre parsimonia di rumori molesti quando l’incoerenza appartiene a chi fino a ieri teneva in capo la corona di fiori freschi dell’inossidabile onestà intellettuale. 

Significanza rispettosa delle regole nella vita sociale, i valori della democrazia, l’esercizio dei diritti di cittadinanza.

Educare tirare fuori il meglio per la residenza quotidiana alla legalità significa 

elaborare e diffondere la cultura dei valori civili, consente l’acquisizione di una nozione più profonda dei diritti di cittadinanza, partendo dalla consapevolezza della reciprocità fra soggetti dotati della stessa dignità. Essa aiuta a comprendere come l’organizzazione della vita personale e sociale si fondi su un sistema di relazioni giuridiche, sviluppa la consapevolezza che condizioni quali dignità, libertà, solidarietà, sicurezza non possano considerarsi come acquisite per sempre, ma vanno perseguite, volute e, una volta conquistate, protette”. 

Ecco, il punto sta proprio qui, tra il dire e il fare come sempre c’è di mezzo il mare, il più delle volte quel mare è solamente una cartolina illustrata venduta al miglior offerente. 

La politica è un punto dolente per sua esplicita ammissione, gli uomini al vertice, quelli a metà, gli altri alla base della piramide, sono a disagio nell’agire comune per programmare minimi obiettivi, per cui diventa miraggio la pratica condivisanell’impegno di una buona vita.

Il Presidente fino a ieri integerrimo alfiere della legalità e della giustizia, improvvisamente deraglia dai propri convincimenti.

Poco tempo è trascorso quando senza alcuna esitazione puntava il dito sul suo rivale, definendolo inqualificabile, inaccettabile, improponibile.

Oggi invece che c’è sulla graticola il proprio figlio, ci sono le attenuanti generiche prevalenti alle aggravanti a farla da padrone, nella più grande democrazia del mondo ecco la grazia a mettere a posto il diverbio politico, la conciliabilità con le leggi dello Stato, la stessa autorevolezza degli uomini e della loro storia. 

Una sorta di democratico rinculare soprassedendo alle sacralità ridotte a comparsate maleodoranti. Non se ne parla molto di questo potere pesato malamente al kilo, un passo indietro dall’assuefazione a giudicare chi vince e chi perde, chi starà ai piani alti e chi invece nei sottoscala. 

Forse c’è ancora spazio sufficiente per credere in qualcosa di autentico, non mercificabile, un valore che dia ancora senso alle persone, alle cose, persino alle Istituzioni: il rispetto come prima forma educativa dell’umanità.

La vita se ne va

La vita se ne va

di Vincenzo Andraous

Un’altra giovanissima ha mollato gli ormeggima non per avventurarsi in mare aperto alla ricerca di nuove emozioni, bensì per dichiarare la propria impossibilità a vivere, il proprio diniego a sopravvivere, la propria resa di fronte all’ingiustizia del male, alla sopraffazione e alla prepotenza. 

Qualcuno se la caverà affermando che questi gesti estremi, sottoscrivono una fragilità altrettanto estrema di ragazzi deprivati di tatto e olfatto.

Una incapacità a fare fronte agli sbalzi di temperatura, a reagire dove occorre farlo.Sarà anche così, ma quando una ragazzina si vede costretta a lasciare tutto dietro di sé, speranze, passioni, desideri per farla finita, credo proprio che il mondo adulto, genitoriale, professorale, debba trovare il coraggio di fare un passo avanti, di mettersi di traverso, afferrando il tempo per mettersi a mezzo di questa indifferenza assassina.

Un altro giovanissimo è morto per aver incontrato lo spavaldo di turno, quello dalle mani in tasca e le gambe larghe, quello del coltello che fa figo, oppure l’altro dalla pistola nascosta dietro la schiena, quello che scarrella e non pensa, preme il grilletto e un’altra vita viene cancellata.

Un’altra esistenza appena iniziata fatta fuori senza alcuna utilità e scopo, solamente per un bisogno sfrenato di apparire per quello che non si è, per una imitazione sbiadita di qualcosa, di qualcuno che non si conosce, che non è reale, per cui il rischio, senza alcun ascolto, fa si che non si conoscano le conseguenze. 

Adolescenti griffati e sbomballati dalla roba, dai beveroni, stanno in posa con le spalle appoggiate al muro, stanno in attesa di cosa, di chi, la postura parla, inquieta, stanno in cerchio a giocare con il revolver, come fosse una protuberanza del proprio bicipite, una parentela acquisita dal mito della forza, della violenza come strumento per una nuova identità, ben più appagante e purtroppo annichilente. 

In quegli angoli di strada si guadagna denaro e rispetto in un battibaleno, si ottiene però anche il dazio da pagare per chi pensa di essere il più furbo che non lo pagherà mai, o illusoriamente pensa di farlo pagare agli altri, agli innocenti. 

Giovanissime spinte alla resa, giovanissimi rincorsi e abbattuti senza un fremito di pietà, la vita è una scommessa, il domani è oggi, una sfida alla morte, disconoscendo che al tavolo da gioco, la morte vince sempre.

E’ un fenomeno culturale giovanile come si ostina a dire qualcuno?

No, è piuttosto il risultato della nostra perduta credibilità.

Il ragazzo dai pantaloni rosa

Il ragazzo dai pantaloni rosa

di Vincenzo Andraous

In una sala cinema stanno proiettando un film che tratta la storia di un adolescente spinto senza troppi complimenti in braccio alla morte. 

Bulli di cartone supiedistalli ricolmi di parole, ieri, lo hanno costretto in un angolo buio fino a cancellarlo dalle coscienze. Difficile da credere, ma oggi, nuovamente, senza alcun ritegno e brandello di dignità, altri prepotenti prevaricatori, accattoni miserabili di un pezzo di palcoscenico indegno al punto da rasentare una lucida follia, ritornano sui luoghi del misfatto con il ghigno dell’idiota inconcludente. 

La pellicola doveva servire come ariete per sfondare l’indifferenza e la mancanza di empatia di tanti e troppi ragazzi nei riguardi di chi è diverso da noi,

Ciò che è accaduto in quella sala, tra insulti omofobi, parolacce e sorrisi da ebeti copia incolla, è il risultato di una non volontà a fare faticare la testa e il cuore, dentro un percorso di conquista e riconquista della propria libertà personale, proprio perché la libertà è responsabilità.

Ma quegli sfigati in ordine sparso, stravaccati sulle poltroncine del cinema, non lo sanno, non lo possono sapere, essendo privi del benché minimo rispetto per se stessi e per gli altri. 

Qualcuno dice che ministri e politici vogliono incontrare questi maledetti per vocazione, per rappresentare loro la mancanza di rispetto per il messaggio del film, la vergogna profonda per tanta pochezza di spirito.

Vorrebbero incontrarli per caricare di significato un’azione educativa più incisiva e capillare contro il bullismo a partire dalle scuole. 

A ben pensarci messa così, è come dire che la famosa sfida educativa non è mai stata portata a termine, soltanto accompagnata tra una canzone e l’altra per indicare sbrigativamente valori quali l’inclusione e l’accoglienza. 

Dentro questa sala, nelle strade, in tante occasioni sociali, ho l’impressione che sia veramente complicato parlare a degli analfabeti della relazione, che fanno fatica a vedere l’altro, che sopravvivono cavalcando le messaggistiche istantanee, così ben irriggimentate da scansare la vergogna che gli cammina a fianco.

E’ davvero avvilente questa miserabilità che avvolge larga parte del mondo giovanile, anche ai miei tempi c’era il bullismo, si declinava con altri nomi, ma quello era, soltanto che oggi fare il bullo annovera accezioni di  nuovo conio, slang provenienti da spazi sub-urbani ben definiti,  i comportamenti violenti e le aggressioni più o meno istintuali si sono acuite in maniera esponenziale, il propellente sono i social un giorno si e l’altro pure. 

Continuare a ripetere di non minimizzare questi episodi di intolleranza, non rimanendo in disparte a guardare, è il minimo sindacale, ma occorre ben altro dalla solita filippica, è necessario fare leva su strategie di prevenzione, con  parole mai travestite di docenze inappellabili, che posseggano la forza del dolore e delle assenze che ne derivano. Bulli che non riescono a vedere il domani, figuriamoci appropriarsi di un pezzettino di vista prospettica, non hanno più fiducia in nessuno e fanno da sè con la convinzione di fare per tre.

Per troppi ragazzotti il futuro è oggi, quello che arriva domani è un pugno nello stomaco. 

Volenti o non volenti per questa drammatica eredità siamo tutti chiamati in causa.

Adolescenza armata

Adolescenza armata

di Vincenzo Andraous

Mi ricordo qualche anno addietro, un incontro con una classe di scuola superiore, ragazze soprattutto, il tema la violenza, il bullismo, la prevaricazione.

Rammento bene che allora come nel presente lo strumento della violenza era inteso allo stesso modo: mi difendo da sola, se accade che mi vogliono fare del male mi trovano.

Quando l’incontro terminò ricordo alcune ragazze che mi sono venute incontro per stringermi la mano, una in particolare ha aperto la borsa e mi ha fatto vedere che deteneva un coltello.

Ero esterrefatto nonostante il pelo sullo stomaco, mi sono tranquillizzato quando mi ha detto che forse era meglio se lo dava a me.

Insomma il tempo passa, noi cambiamo, la violenza rimane lo strumento di offesa e difesa a nostro piacimento intercambiabili a seconda delle nostre attitudini comportamentali, improntate a rimanere un passo avanti agli altri costi quel che costi.

Ieri la maschera da indossare stava nello spray al peperoncino, il tirapugni, la sedia scagliata dalla finestra, oggi non è più nascosto il freddo di quella lama al fondo della tasca, esibita come una canna tra le labbra, un segno tangibile del non conoscere e appropriarsi del valore della relazione, ascoltarsi e ascoltare l’altro, ma proprio in quel coltello impugnato in fretta, senza riconoscere alcuna scossa tellurica della propria coscienza perchè azzoppata dalle banalità virtuali rispetto alle responsabilità reali che non consentono rappresentazioni teatrali prive di un qualsiasi copione. Infatti l’altro c’è, esiste, e come, ma se la vita è un campo minato, di battaglia, di sfida e di scommessa, persino la morte diventa un nemico accessibile, che è possibile illusoriamente battere e vincere.

Non può più essere attenuante prevalente alle aggravanti sostenere che una lama in tasca, è una sorta di rito di passaggio all’età adulta. 

Il covid, la solitudine imposta dalle conseguenti restrizioni, oppure è colpa dei migranti.

Mi pare più comprensibile un disagio sociale che sta sovvertendo la nostra capacità di analisi, di educare al bello e al bene senza fare ricorso alle filippiche nazional popolari, alle ammende, alle pene più aspre e certe, facendo finta di non sapere che in galera non esci migliore di quando sei entrato ma assai peggiore.

Per esperienza caro il mio adolescente imbizzarrito posso dirti che il serramanico, il coltello a scatto, la lama, non fa di te un duro, non farà di te un eroe di cartone, più semplicemente uno dei tanti grissini che si spezzano al primo imbocco, uno dei tanti perdenti che sopravvivono in una galera.

Pensaci.

Un drammatico scempio

Un drammatico scempio

di Vincenzo Andraous

Da quanto questo drammatico scempio sia insopportabile per esorcizzarlo lo stiamo banalizzando a tal punto da farlo scemare in una sequela di eventi critici di serie b, infattichi ha davvero a cuore la dignità dei detenuti?Di giustizia stiamo parlando, siamo arrivati a 73 morti ammazzati in carcere, persone a cui non è stato concesso di scontare la propria pena con dignità e nel rispetto dei diritti e dei doveri tanto decantatati ma ipocritamente messi da parte. 73 garrotati dall’indifferenza, 73 appesi alla corda, oppure asfissiati, fin’anche bruciati. Insieme ad altri morti ammazzati per niente detenuti, per niente contenuti, per niente imputati, altri uomini appartenenti alla Polizia Penitenziaria, arresi alla sofferenza e alla solitudine imposta, in ogni caso tutti morti ammazzati. Lo slogan in uso è che questa ecatombe certifica il fallimento del sistema penitenziario, direi di più, un vero e proprio epitaffio. Ognuno a indicare i salva vita occorrenti, gli interventi urgenti per vincere il sovraffollamento, per riorganizzare l’organico, per dare conto dell’assenza di una sanità psichiatrica davvero mortificata, e tanto altro ancora. In questo compendio di rivendicazioni, di richieste, di accuse incrociate, non c’è mai presente al tavolo degli smemorati il soggetto e complemento oggetto, l’uomo e la sua umanità, l’uomo e la sua professionalità, l’uomo e la pena giusta da scontare, gli uomini della condanna dalle persone della pena. Si ovvia a questo silenzio assordante, con qualche altro pagliericcio buttato per terra, con una girata di chiave in aggiunta, con qualche altro rivoltoso da dare in pasto all’opinione pubblica. In questa sequenza di suicididavvero scomposti, l’esposizione in bella mostra di qualche fiore all’occhiello non reggepiù la malparata, si disquisisce sulla possibilità di reinventare spazi e personale qualificato per la prevenzione del rischio suicidario e per porre termine alla inumanità imperante in spazi così ristretti e impossibili. Dove però le persone detenute sono obbligate a sopravvivere 22-23 ore al giorno. Scrivere di questa ingiustizia della giustizia anche in un carcere, significa dare senso e contenuto al rispetto delle regole del vivere sociale, perché il carcere è società, legalità sottende fare leva sulla cultura dei valori civili, sottolineando che pagare il proprio debito con la collettività, ci consapevolizza dentro e fuori del carcere a tutelare valori quali la dignità, la libertà, il rispetto per se stessi e per gli altri.

Adolescenti tra inadeguatezza e devianza

Adolescenti tra inadeguatezza e devianza

 di Vincenzo Andraous

Sarà il caldo, forse la noia, peggio, l’inquietudine che scaturisce dal sentirsi inadeguati, ma con frequenza certosina si succedono fatti e accadimenti che non sono parenti stretti di qualche spaccone di periferia in cerca di notorietà, di qualche bullo di città privato durante l’estate della sua jungla prediletta la scuola. Ci sono le parole che offendono e scavano a fondo, le botte date con le nocche infrante, le lame che appaiono d’improvviso e feriscono a morte. Giovanissimi che non sono delinquenti, ma lo stanno per diventare, giovanissimi che non sanno decodificare un messaggio strampalato, giovanissimi prigionieri di una messaggistica istantanea che non fa sconti a nessuno. Stavo parlando in centro con un ragazzino, perché di ragazzino si trattava, ogni volta che gli dicevo perché quella canna che ti rincoglionisce, perché per te è meglio abbattere cheaccogliere, perché lo strumento della violenza ti fa pensare che puoi risolvere ogni cosa, mentre invece te lo assicuro, traccia la linea di una discesa all’inferno senza tappe intermedie. Una scrollata di spalle licenziava il fastidio di una risposta, di una spiegazione, il suo sguardo era già oltre ogni possibile uso del condizionale. E’ chiaro che tentare di dare chiarimenti a metà  non fa altro che tinteggiare di irrequietezza una analisi incompiuta, ci rendono la vita difficile le percezioni più delle realtà con cui fare i conti, invece dovremmo dare più importanza al valore della famiglia, della scuola, della possibilità di incontrare il valore della relazione, senza cui la stessa vita diventa una sopravvivenza priva di incontri emozionanti, deprivata soprattutto dell’esistenza dell’altro. No, non tutti gli adolescenti sono guerrieri in erba, la maggioranza dei giovani non è violenta nè irresponsabile, ma allo stesso tempo è necessario mettersi a mezzo, di traverso a quegli altri ragazzi che liquidano il problema dell’impegno e del rispetto per se stessi e per gli altri con una scrollala di spalle,così facendo eludono la realtà fatta di regole e codici normativi, affidandosi a quel mondo virtuale privo di esempi che non retrocedono davanti alla violenza più insostenibile. Infatti il rispetto lo si apprende solo e unicamente attraverso l’esempio di chi autorevole lo è non sulla carta ma sulla fatica della presenza e dell’accompagnamento. In quel ragazzino spavaldo e un pò guascone c’è tutta la necessarietà di  non lasciare scappare la speranza di trovare soluzioni prima che la violenza si concretizzi nel suo dramma e abbia il sopravvento. Ogni volta che la devianza minorile si manifesta nelle sue diverse forme, come il bullismo, la delinquenza, l’uso e abuso di sostanze, la violenza come comportamento antisociale, tutto ciò può deteriorare profondamente quel senso di inadeguatezza di cui parlavo all’inizio, procurando vere e proprie tragedie a se stessi, ai propri cari, all’altro a un palmo dal tuo naso, alle vittime innocenti, all’intera società.

La riparazione come via rieducativa

La riparazione come via rieducativa

di Vincenzo Andraous

Decreto carceri, bello che fatto, lanciato oltre le linee, nel bel mezzo della contesa, ma non delle leggi giuste che fanno del bene, bensì addosso a chi già è morto penzoloni in qualche letto  a castello arrugginito, a chi domani o dopo morirà un’altra volta ancora, in barba alle leggi appunto, quelle leggi varate per fare giustizia dell’ingiustizia. Perché questo decreto carceri? Le sintomatologie che ne hanno richiesto l’urgenza sono differenti, da una parte i morti ammazzati a raffica che non suscitano vergogna, neppure casi di ansia in chi nasconde la verità sotto la bandiera sdrucita della pena certa, quando morire in questo modo è sicuro ben di più della pena certa, quella che comunque dovrebbe consistere in un inizio e in una fine, quindi di certo allo stato attuale c’è soltanto l’uso improprio delle parole o meglio delle ideologie inconcludenti in questi tempi di poca umana compassione. Più la galera assume i connotati di una bolgia indegna di un paese civile, più sorgono anfratti politico gestionali causati dall’intorpidimento ad affrontare con cognizione di causa le sfide quotidiane di quella pena si da scontare ma nella umanità  e rispetto della dignità di tutte le persone, anche quelle ristrette che intendono scontare la propria pena nel tentativo di riparare al male fatto. I decreti si varano inarcando le sopracciglia per poi  richiedere ulteriori sedute all’insegna  di una riflessione che possa correggere gli interrogativi rimasti a metà del guado. Nel frattempo si muore, ci si ferisce, si protesta, ci si rivolta, innocenti e colpevoli si scambiano di posto tra lividi e disperazione, dimenticando che chi è disperato è colui che non ha più sentore della più remota speranza. Il carcere è ormai ridotto a un lazzaretto disidratato, sappiamo fin troppo bene che non può esserci salute senza salute mentale e non è più accettabile che nelle diverse situazioni di bisogno occorra ogni volta ricorrere alla protesta, alla violenza, a pagare prezzi inusitati per diritti palesemente negati, una gravissima e persistente violazione dell’articolo 32 della nostra Costituzione.Dell’articolo 27 della stessa carta magna mi sembra davvero una bestemmia a questo punto continuare a parlarne.