Giovani d’Italia
di Antonio Stanca
A Gennaio di quest’anno dalla Feltrinelli di Milano, nella “Serie Bianca”, è stato pubblicato il volume La congiura contro i giovani (Crisi degli adulti e riscatto delle nuove generazioni), pp. 174, € 14,00. L’autore è Stefano Laffi, nato a Milano nel 1965 e diventato, a quarantanove anni, un noto ricercatore e osservatore nell’ambito dei fenomeni sociali. Svolge la sua attività presso l’agenzia Codici di Milano dopo aver a lungo collaborato con la Televisione, la Radio popolare e le riviste “Lo straniero” e “Gli asini”. Suoi campi di ricerca sono le trasformazioni della società, i fenomeni di emarginazione, di consumo e quelli legati alla condizione giovanile dei nostri tempi. Intere opere ha dedicato a tali argomenti e il successo ottenuto con le precedenti è stato confermato da quest’ultima poiché diversa è risultata la posizione in essa assunta dall’autore rispetto a quanto generalmente si pensa, si dice, si scrive oggi riguardo ai giovani, in particolare ai giovani italiani, alle loro condizioni, alla loro vita. Ovunque li si accusa di vizi, di colpe che vanno dal privato al pubblico, dalla famiglia alla scuola, alla società, dalla formazione all’applicazione. Ovunque li si mostra deviati, alterati nei costumi. Si attribuiscono loro disordine, negligenza, irresponsabilità e nessun motivo sembra poter essere addotto a favore, a difesa. In nessun modo sembra possibile giustificare il loro comportamento poiché ogni regola, ogni misura è vista da essi infranta.
Non si pensa però, nota il Laffi nella sua opera, che vi possono essere dei motivi nascosti dietro tali comportamenti, che questi possono derivare dalla situazione, dall’atmosfera che in particolar modo in Italia si sono venute a creare negli ultimi tempi. La modernità dagli italiani come dagli altri popoli europei reduci da due guerre mondiali e per questo ansiosi di rifarsi di quanto sofferto, subito, perduto, è stata accolta con entusiasmo, con fervore. Inarrestabile, senza sosta è stato il modo col quale essa si è manifestata, è stata vissuta. Ogni ambiente di vita, privato e pubblico, si è arricchito dei mezzi, degli strumenti nuovi che la scienza e le sue applicazioni tecniche mettevano a disposizione di tutti. Moderni facevano sentire il possesso, l’uso dell’automobile, della televisione e di tutto quanto, all’interno o all’esterno della casa, era divenuto possibile e poteva rendere facile, comoda la vita. Anche il tipo di lavoro cambiava, a quello irregolare, precario subentrava quello ordinato, d’ufficio. Anche le istituzioni partecipavano di tale processo di cambiamento, rinnovamento, ampliamento. Aumentavano gli uffici, miglioravano l’economia, la politica, crescevano le città, le case, le scuole, le strade, le piazze, i mercati diventavano super, migliorava la vita, arrivava a quella di oggi, del computer, di Internet e dei suoi molteplici connessi. Il progresso si estendeva oltre ogni previsione, assorbiva tutto, coinvolgeva tutti. Tanto movimento, però, rimaneva all’esterno delle persone, procurava quanto serviva loro ma riduceva l’attività del loro pensiero, l’impegno del loro spirito, annullava la loro volontà. Le trasformava nella massa necessaria al consumo richiesto da tanta produzione. Le disponeva ad accettare quanto altrove veniva pensato, prodotto per loro, le rendeva passive e, ancor più grave, le legava a quella condizione. La faceva ritenere buona, la migliore e allontanava ogni intenzione di cambiarla.
I giovani, però, potevano comportare tale intenzione fossero essi figli, alunni o in cerca di occupazione. Per i bambini il padre, la madre, presi dalle loro occupazioni, non avevano tempo né modo di parlare o di ascoltare, per gli alunni il docente ripeteva modelli d’insegnamento vecchissimi che escludevano i ragazzi da ogni partecipazione, da ogni contributo personale e relegavano la maggior parte ad una condizione di perpetua ignoranza, per i giovani il sistema non lasciava intravedere spazi, possibilità d’inserimento poiché si era tanto cristallizzato nelle proprie posizioni da fargli evitare tutto ciò che avrebbe potuto modificarle. Ognuno, famiglia, scuola, società, difendeva le sue cose, ognuno lo fa ancora oggi. Non sono i giovani quindi, osserva il Laffi, a voler essere strani, privi di regole ma è la situazione a disorientarli, confonderli visto che niente di ciò che è loro, del loro pensiero, del loro spirito, della loro volontà, della loro vita, ha possibilità di essere espresso e accolto. Nessuno spazio è ad essi consentito fin dalla nascita, solo rifiuti incontrano e questo li rende inquieti, intolleranti, li porta ad assumere atteggiamenti strani, a compiere azioni che fanno preoccupare.
Il passaggio, lo scambio tra vecchia e nuova generazione in Italia non è ancora avvenuto, viene evitato quasi fosse temuto. Sembra “una congiura contro i giovani”, dice Laffi, quella in atto nel nostro Paese. Chi è dalla parte adulta non vuole vederla cambiata, ridotta e nessuna soluzione lascia intravedere una simile situazione. Soltanto l’esempio offerto da alcune compagnie di giovani, osserva lo studioso, che oggi si sono formate per condurre una vita in comune, per svolgere insieme attività di vario genere, per scambiare, collaborare, potrebbe tornare utile. Coinvolti dovrebbero sentirsi gli adulti in questi modelli di vita, dovrebbero disporsi verso di essi, avvicinarli, inserirsi, capire che le distanze, le differenze possono essere colmate. Con questa speranza il Laffi conclude il libro dopo un percorso lungo e molto articolato anche se sempre facile, scorrevole, sempre animato, ricco di riferimenti, di citazioni di opere di autori di chiara fama. L’abilità espositiva, la vivacità delle immagini e la vasta cultura del Laffi fanno dell’opera un documento essenziale, indispensabile, un documento dal quale non si dovrebbe prescindere in nessun ambiente di studio della nostra nazione dal momento che i costumi di questa è impegnato ad analizzare.
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