Mamma, devo fare i compiti di coding

da La Stampa

Mamma, devo fare i compiti di coding

Tra piani digitali e buone scuole, cresce la domanda di lezioni di programmazione: ma le iniziative sono ancora per pochi e a macchia di leopardo
carola frediani

 Un piano da un miliardo per la scuola digitale. Lo ha presentato ieri il governo, illustrando una serie di azioni che andranno dal portare la fibra in tutte le scuole alla creazione di laboratori digitali per l’insegnamento fino alla ridefinizione di nuovi moduli didattici. Da qui al 2020, sia chiaro.

Così, in attesa di capire come si tradurrà in pratica il piano appena annunciato e se riuscirà a colmare il divario digitale della scuola italiana, facciamo intanto il punto su quello che diventerà (o dovrebbe diventare) uno dei pilastri della didattica del futuro: il coding.

Già, perché da qualche anno non si parla d’altro, nelle scuole, su internet, nelle app per tablet. Ma che cosa è? Non si tratta semplicemente di corsi di informatica, di come usare il pc, o alcuni dei suoi software, bensì di vere lezioni di programmazione e pensiero computazionale. Un approccio proattivo e creativo che può partire da giochi e linguaggi molto semplici e adatti anche a bambini di 6 anni – come la programmazione a blocchi, in cui si costruisce un insieme di istruzioni mettendo in sequenza dei mattoncini in cui ogni blocco rappresenta un’azione – per aumentare in complessità fino ad arrivare ai più noti linguaggi che stanno alla base di siti, software, app che usiamo tutti i giorni.

L’ALFABETIZZAZIONE DEL FUTURO

Su due punti concordano infatti quasi tutti gli addetti ai lavori: primo, avere competenze informatiche e di vera e propria programmazione sarà sempre più importante (anche in Europa, dove da qui al 2020 ci sarà un deficit di 800mila professionisti del ramo); secondo, chi oggi fa il programmatore si è avvicinato al computer da piccolo. Non solo: c’è chi ritiene che il coding, la conoscenza delle basi della programmazione, sia proprio una nuova forma di alfabetizzazione. E che quindi le nuove generazioni debbano conoscerne le fondamenta anche se poi nella vita non lavoreranno in quel campo.

 

PROGRAMMA IL FUTURO, IL PROGETTO DE LA BUONA SCUOLA

Diversi Paesi europei hanno iniziato a integrare nel curriculum scolastico – in alcuni casi fin dalle scuole primarie (elementari) – lezioni di coding. In Italia il Ministero dell’istruzione, insieme al Consorzio Interuniversitario Nazionale per l’Informatica, ha lanciato un progetto dedicato, Programma il futuro, attualmente al secondo anno di vita (e a sua volta parte del più noto programma governativo #labuonascuola). E il cui obiettivo è avviare al coding una parte degli alunni delle scuole portandoli a laboratori e lezioni, a partire dalla partecipazione a eventi come l’Ora del codice (la prossima, a livello mondiale, si svolgerà nella settimana dal 7 al 13 dicembre 2015).

 

QUANTI HANNO PARTECIPATO?

Lo scorso settembre il ministro Giannini ha presentato i dati del primo anno e gli obiettivi del secondo. Nell’anno scolastico appena passato alle attività di avviamento al coding incluse nel progetto del Ministero hanno partecipato oltre 16.000 classi, quasi 310.000 studenti e 5.000 insegnanti.

Complessivamente – dicono i dati del Ministero – lo scorso anno nelle nostre scuole sono state raggiunte 1 milione 650 mila ore di attività che avvicinano al pensiero computazionale. Non solo: l’obiettivo per l’anno scolastico in corso sarebbe di raggiungere 1 milione di studenti – e nell’arco di cinque anni arrivare a 3 milioni.

 

QUALCHE ORA DI CODING NON CI SALVERÀ

Stiamo dunque educando una generazione di piccoli programmatori? L’Italia è davvero all’avanguardia su questo tema? No, la strada è ancora lunga. E i dati vanno visti in relazione ai numeri complessivi (di persone e di ore svolte).

 

Dei circa 310mila studenti coinvolti nel progetto – spiega il ministero a La Stampa – il 56,6 per cento sono della scuola primaria e costituiscono quindi poco meno del 7 per cento di tutti gli alunni della scuola primaria italiana.

La percentuale si abbassa ancora di più se si considera la platea complessiva degli studenti delle scuole statali – primarie, secondarie e secondarie di secondo grado – che nell’anno scolastico 2014/2015 era di circa 7milioni e 800mila alunni. In questo caso quindi le lezioni di coding avrebbero raggiunto intorno al 4 per cento degli studenti.

 

Mentre il dato di 1 milione 650 mila ore di pensiero computazionale si traduce in una media di 5 ore di esposizione alla materia per partecipante. In un mese scolastico, in una primaria, si fanno più ore di religione.

 

LE ESPERIENZE IN EUROPA

Questo perché ancora il coding non è diventata materia di studio del curriculum scolastico. In Europa (e dintorni), come abbiamo già accennato, c’è chi sta provando a fare sul serio. Estonia, Francia, Spagna, Slovacchia e Gran Bretagna hanno integrato il coding nella scuola primaria. Belgio, Finlandia, Polonia e Portogallo hanno in programma di farlo (dati: Euractiv; European Schoolnet)

Tra i Paesi che hanno introdotto il coding nel curriculum scolastico nazionale fin dal settembre 2014 c’è la Gran Bretagna, dove si fanno lezioni già a bambini di 5-6 anni, che imparano cosa sono gli algoritmi e iniziano a creare semplici programmi. A 10 anni, secondo il curriculum nazionale, dovrebbero sviluppare applicazioni per il mobile.

 

TANTE INIZIATIVE SPOT

In attesa che la programmazione entri di diritto nel nostro curriculum fioriscono, nelle scuole e fuori, tante iniziative a macchia di leopardo. A volte promosse da aziende, come il progetto Smart coding di Samsung; a volte lanciate da startup come Codemotion Kids, che offre dei veri e propri corsi (a pagamento però). A volte su base volontaria e spontaneistica come i laboratori gratuiti di CoderDojo, ormai diffusi da anni nelle principali città (qui una mappa). Dove però, come spiega a La Stampa Francesco Gigante di CoderDojo Bologna, non esiste un percorso strutturato.

 

Quindi tante suggestioni di coding per i bambini italiani, che però rischiano di restare tali se non sono sostenute da una rete scolastica o famigliare. E non tutte le famiglie hanno le risorse o sono in grado di fornire gli stimoli necessari. Secondo una ricerca della stessa Samsung, il 74 per cento dei genitori intervistati nell’ambito del suo progetto Smart Code non ha mai sentito parlare di coding.

Per ora, a prezzi abbordabili, si trovano soprattutto tante app e giochi per avvicinare i bambini (e in fondo anche molti genitori) all’argomento. In attesa che il coding rientri effettivamente nella alfabetizzazione delle nuove generazioni.