Archivi categoria: Famiglie

DDL 2037 servizio di refezione e pasto da casa

DDL 2037 servizio di refezione e pasto da casa:
sarà davvero no al “panino”?

di Cinzia Olivieri

 

È notizia recente che un emendamento all’art. 5 del DDL 2037, in discussione in IX^ Commissione Senato, avrebbe risolto la questione del “panino da casa” (come riduttivamente si definisce la scelta per il pasto domestico).

Il Disegno di Legge 2037Disposizioni in materia di servizi di ristorazione collettiva”, come può evincersi dalle informazioni relative al suo iter, è stato presentato il 4 agosto 2015 ed assegnato alla 9ª Commissione permanente (Agricoltura e produzione agroalimentare) in sede referente (con il compito quindi di preparare i documenti che saranno poi trasmessi in assemblea per il voto) il 3 febbraio 2016.

Il DDL disciplina i servizi di ristorazione collettiva e cioè: “l’attività di approvvigionamento, preparazione, conservazione, distribuzione e somministrazione di pasti, definita da un contratto stipulato tra il fornitore del servizio e un soggetto privato o una pubblica amministrazione in qualità di committenti” (art. 2)

In particolare l’articolo 5 definisce le caratteristiche della Ristorazione ospedaliera, assistenziale e scolastica, considerata servizio pubblico essenziale, ai sensi dell’articolo 1, comma 1, della legge n. 146/1990. Prevede inoltre che le procedure di selezione avvengano sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (articolo 83 codice degli appalti) con esclusione dell’applicazione di quello del prezzo più basso (articolo 82), assumendo maggiore rilievo parametri di qualità.

Il testo normativo presentato non interviene quindi in merito ai rapporti con le famiglie ed in particolare all’esercizio del diritto di scelta alimentare con il pasto domestico.

Peraltro la nota sentenza della Corte d’Appello di Torino è stata pubblicata il 21 giugno 2016, proprio allorquando cominciava la trattazione in sede referente in 9a Commissione Senato.

Ma era inevitabile che la discussione portasse sull’argomento.

Così, si legge nei documenti che nella Seduta del 10 maggio 2017 la 10ª Commissione Industria, Commercio, Turismo ha sollecitato “altresì a valutare l’opportunità di intraprendere iniziative volte a ridefinire il cosiddetto «pasto da casa», ossia i cibi portati da casa a scuola in sostituzione della refezione organizzata”.

Alcune memorie presentate in sede di audizione, pur non contestando il diritto di un genitore di iscrivere i figli alla refezione in quanto servizio a domanda individuale (ANGEM , Legacoop Servizi), rilevano l’impossibilità di consumare il pasto domestico nello stesso locale dove viene distribuito quello della refezione, sia perchè quest’ultimo costituirebbe maggiore garanzia di corretta nutrizione, favorendo l’apprendimento di adeguate scelte alimentari, sia per le difficoltà nell’effettuare una congrua analisi dei rischi, in applicazione dell’HACCP.

Secondo l’ANCI, poi, la sentenza della Corte di Appello di Torino metterebbe in discussione la mensa scolastica quale conquista del “diritto al pasto uguale per tutti”.

Pertanto il predetto emendamento all’art. 5 introdurrebbe il seguente periodo: “I servizi di ristorazione scolastica sono parte integrante delle attività formative ed educative erogate dalle istituzioni scolastiche”.

Premesso l’antico brocardo latino per il quale “quod lex voluit, dixit”, da tanto tuttavia non pare potersi desumersi con certezza una obbligatorietà di adesione ad un servizio a domanda, come riconosciuto innanzi e confermato anche dall’art. 6 del recente Dlgs 63/2017 che recita: “laddove il tempo scuola lo renda necessario, alle alunne e agli alunni delle scuole pubbliche dell’infanzia, primarie e secondarie di primo grado sono erogati, … servizi di mensa, attivabili a richiesta degli interessati.”

Inoltre non è chiaro come un “servizio” (peraltro a pagamento, per quanto in proporzione al reddito, nella scuola dell’obbligo) identificato all’art. 2 quale “attività di approvvigionamento, preparazione, conservazione, distribuzione e somministrazione di pasti, definita da un contrattopossa finire per integrare attività di tipo formativo ed educativo.

Peraltro il tempo scuola non prevede sempre e necessariamente il tempo mensa ma (solo) nelle scuole dell’infanzia, primaria e (limitatamente) nella secondaria di primo grado il servizio è attivabile “a richiesta degli interessati”.

Ci si chiede quindi se si voglia giungere a condizionare la possibilità di scegliere un tempo scuola che preveda la mensa (pieno o prolungato) all’adesione al servizio.

Occorre poi aggiungere che l’art. 3 della Costituzione parla di uguaglianza “davanti alla legge”, elencando una serie di ragioni che ci rendono diversi: sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali al fine di garantire in condizioni di diversità le stesse opportunità. Perciò appare più corretto affermare che il servizio mensa ha garantito il “diritto di un pasto per tutti” e non “lo stesso” pasto

La corresponsabilità educativa, poi, implica la condivisione e non l’adesione forzata ad un modello.

Intanto per 18 luglio è previsto il seguito dell’esame in Commissione. Ma per i rappresentanti dei genitori della scuola ancora mancano organismi territoriali adeguati in grado di portare le istanze dalle periferie a livello centrale

Anche a Trento la consulta provinciale dei genitori

Anche a Trento si istituisce la consulta provinciale dei genitori mentre gli omnicomprensivi restano commissariati

di Cinzia Olivieri

 

La riforma partecipata di Trento

Mentre anche a Bolzano si parla di riforma degli organi collegiali, a Trento nonostante una legge provinciale sulla scuola abbastanza recente (LP 5/06), si è concluso in tempi piuttosto rapidi un processo di riforma partecipato che, anche sulla base dell’esperienza maturata, ha portato alle modifiche introdotte con la LP 10/2016.

Analizzando l’ambito partecipativo provinciale si segnala l’abrogazione dell’art. 38 che disciplinava il Consiglio delle autonomie scolastiche e formative, il quale, composto da tutti i presidenti dei consigli ed i dirigenti delle istituzioni scolastiche e formative della Provincia, operava sostanzialmente attraverso il comitato dei delegati.

È stato innovato e potenziato invece il Consiglio del sistema educativo provinciale (art. 39) di cui la Giunta Provinciale ha poi approvato, con deliberazione n. 2467 del 29 dicembre 2016,  la disciplina delle modalità di costituzione, di elezione e di funzionamento.

Particolarmente innovativo è il procedimento elettorale, organizzato e svolto utilizzando strumenti informatici. Infatti sono messi a disposizione (Art. 14) “specifici strumenti tecnologici a supporto del processo di partecipazione che consentano ai candidati di presentare i propri programmi elettorali e a chiunque ne abbia interesse di commentarne il contenuto”. Inoltre tutte le operazioni sono svolte tramite un sistema informativo (Art. 19) a cui possono accedere gli elettori previa autenticazione.

Sono state quindi indette le elezioni del Consiglio ed il 31 maggio 2017 la Commissione elettorale centrale ha deliberato la proclamazione degli eletti

A livello di istituto appare interessante, nell’ottica di favorire la partecipazione di studenti e genitori anche alla programmazione didattica, la prevista possibilità per le consulte di studenti e genitori (art. 28 e 29 LP 5/06) di presentare direttamente “proposte formali riguardo alle attività didattiche attraverso documenti scritti indirizzati al collegio dei docenti, che entro e non oltre sessanta giorni fornisce risposta scritta”.

Entrano poi a far parte del Consiglio del sistema educativo provinciale (art. 39), sostituendo i rappresentanti delle associazioni dei genitori riconosciute, 5 rappresentanti dei genitori designati dalla consulta provinciale dei genitori.

Ed infatti con la  l.p. 20 giugno 2016, n. 10 è stato aggiunto alla  LP 5/06 l’art. 40 bis che ha disciplinato la Consulta provinciale dei genitori, costituita dai presidenti delle consulte di ogni istituzione scolastica e formativa provinciale e paritaria, con il compito di “formulare proposte agli organi del governo provinciale dell’istruzione sulla gestione del sistema educativo provinciale, con particolare riferimento all’offerta formativa, all’organizzazione didattica, all’erogazione dei servizi scolastici ed extrascolastici e di promuovere, anche a livello locale, iniziative di sensibilizzazione sui temi dell’inclusione sociale, dell’educazione alla cittadinanza responsabile e dell’integrazione culturale”.

Sono stati eletti il suo presidente e vicepresidente ed a breve saranno designati dalla stessa i cinque rappresentanti che parteciperanno al Consiglio del sistema educativo provinciale.

Anche Trento così, dopo Bolzano, supera lo sbilanciamento partecipativo che non riconosceva ai genitori un organismo territoriale previsto per gli studenti.

 

Storie di ordinaria partecipazione sul piano nazionale

La tempestività, il coinvolgimento e la sostanza delle modifiche realizzate dimostrano attenzione per la partecipazione ed ascolto delle componenti, giacché appaiono soddisfatte le richieste dei genitori coinvolti nel maggio scorso nell’ambito della consultazione. Pertanto non si può evitare di contrapporvi il disinteresse che pare ravvisarsi a livello nazionale.

Basti pensare alla paradossale situazione degli organi collegiali territoriali, previsti dal Dlgs 297/94, modificati dal Dlgs 233/99 e mai istituiti né rinnovati nella loro composizione, con la sola eccezione del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione per effetto della sentenza del Consiglio di Stato del 2014 che, confermando  la sentenza del Tar Lazio, ha obbligato il Ministero ad adottare l’ordinanza prevista dall’art. 2 comma 9 del Dlgs 233/99 per regolarne le elezioni (svoltesi per la prima volta il 28 aprile 2015 a seguito dell’OM 7/15). Restano invece del tutto ignorati i consigli scolastici locali e regionali, nei primi dei quali era prevista la presenza dei genitori (e degli studenti).

Soprassedendo sulle incongruenze determinate dal passaggio all’autonomia, di recente i genitori degli istituti omnicomprensivi si sono finalmente uniti per reclamare nelle loro scuole la mancanza del consiglio di istituto, sostituito da un commissario straordinario (che in quanto straordinario palesemente non dovrebbe essere ordinario), a causa di un vuoto normativo che dura ormai 19 anni semplicemente perché l’art. 8 del Dlgs 297/94 stabilisce la composizione del consiglio delle scuole nel primo e secondo grado e non degli istituti che comprendono scuole di ogni ordine e grado.

La circostanza è ben nota al Ministero, tanto che nella circolare ministeriale con cui sono indette le elezioni del consiglio di istituto si fa espressa esclusione degli omnicomprensivi che restano commissariati, né si intravede una modifica in tempi brevi.

Le consulte provinciali degli studenti, sul piano nazionale, non sono state introdotte attraverso una modifica del Testo Unico (che non è certo impossibile, come dimostra l’introduzione del nuovo articolo 11 relativo al Comitato per la valutazione dei docenti ad opera della L 107/2015) ma con il DPR 567/96, il quale ha previsto altresì l’istituzione del Forum Nazionale delle Associazioni maggiormente rappresentative di studenti e genitori ma non delle consulte provinciali dei genitori, creando così un sistema illogicamente disorganico, anche nelle successive modifiche, che invece hanno strutturato su tutto il territorio le consulte degli studenti (in particolare Dpr 301/05).

Attualmente dunque l’unico organismo riconosciuto quale interlocutore per rappresentare le esigenze dei genitori della scuola presso il Ministero e gli Uffici periferici è il Forum delle Associazioni dei Genitori (FoNAGS e FoRAGS), tanto che anche il recente Decreto Legislativo 13 aprile 2017, n. 65 (Istituzione del sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita sino a sei anni) all’art. 10 stabilisce che la Commissione per il Sistema integrato di educazione e di istruzione possa avvalersi “della consulenza del Forum nazionale delle associazioni dei genitori di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 ottobre 1996, n. 567”.

Dopo che la Nota 21 settembre 2015, AOODGSIP 5714 e la successiva Nota 29 settembre 2015, AOODGSIP 5898 avevano previsto l’istituzione, presso gli Uffici Scolastici di competenza, dei “Gruppi di coordinamento regionale per la Partecipazione”, composti da un dirigente tecnico, dal Referente regionale per le Consulte ed ulteriori figure professionali ritenute opportune anche con il compito di “verificare il corretto funzionamento degli Organi collegiali e la partecipazione dei genitori alla vita scolastica” nonché “il corretto insediamento e funzionamento dei FORAGS, Forum regionali delle associazioni dei genitori della Scuola”, questi, da oggetto di indagine, hanno finito per diventare parte integrante di detti gruppi e sono stati definiti “nuovi organismi partecipativi territoriali” (FoNAGS REPORT della riunione 17 novembre 2015).

Inoltre la Nota 27 aprile 2016, AOODGSlP 3554, “Rappresentanza e Partecipazione. Implementazione FORAGS”, ha poi precisato che “Le designazioni dei rappresentanti in seno ai FoRAGS non sono soggette ad alcun vincolo e/o criterio di esclusione legato all’avere figli frequentanti ed inseriti nel sistema scolastico”.

Insomma i rappresentanti designati dalle associazioni a partecipare ai Forum (regionali e nazionale) ed a rappresentare le esigenze dei genitori della scuola non devono necessariamente essere genitori con figli a scuola (come invece aveva esplicitato la nota del 28 marzo 2006), giacché questo requisito, “connotante ed imprescindibile rispetto alle finalità statutarie delle Associazioni”, non sarebbe attribuibile ai loro legali rappresentanti.

Una recente interrogazione a risposta in commissione (5-10139) si è occupata dei Forum chiedendosi “quali siano i FoRAGS attivi ed istituiti; quali siano i referenti dei Forum regolarmente attivi; quali Forum abbiano un sito internet che pubblicizzi l’attività svolta; di quali elementi disponga, per quanto di competenza, circa gli organi di garanzia regionale attivi ed istituiti ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 325 del 1997 e in merito a quali siano le modalità di designazione della componente genitori”.

Nella risposta, si è precisato tra l’altro che in tutte le regioni (eccetto Basilicata e Molise) i FoRAGS sarebbero stati costituiti e sarebbero regolarmente funzionanti mentre le attività dei Forum risulterebbero “adeguatamente pubblicizzate” nei siti internet del corrispondente U.S.R. ovvero sullo spazio dedicato del portale ministeriale.

Non si dubita certamente in merito, tuttavia quanto emerge dai siti degli uffici parrebbe contraddire questo dato. La sezione dedicata al Fonags nel nuovo portale ministeriale, poi, non reca ancora i verbali tra i documenti allegati mentre la pagina web storica “Il Fonags Informa” risulta aggiornata al 31 marzo 2016.

Peraltro lo spazio dedicato invece agli Organi Collegiali nel sito rinnovato si apre con l’Assemblea dei genitori che per la verità non è inclusa tra questi. Infatti tanto il Titolo I che il capo I del Dlgs 297/94 sono dedicati a “Organi collegiali a livello di circolo e di istituto e assemblee degli studenti e dei genitori”, con evidente distinzione La Sezione I è dedicata agli Organi collegiali a livello di circolo e di istituto e cioè: Consiglio di intersezione, di interclasse e di classe; Collegio dei docenti; Consiglio di circolo o di istituto e giunta esecutiva; Comitato per la valutazione dei docenti e la Sezione II alle Assemblee degli studenti e dei genitori, a conferma della sostanziale differenza.

Sebbene poi nel testo della summenzionata risposta si faccia espresso riferimento ai comitati quale strumento di partecipazione, essi non sono menzionati nella pagina del nuovo portale e neanche contemplati nelle recenti proposte di riforma degli organi collegiali (da ultimo atto camera 2259).

Insomma, è tempo che si dedichi maggiore attenzione al tema della partecipazione, mortificata a livello di istituto da una normativa poco aderente all’assetto normativo post autonomia e non aggiornata ed a livello territoriale dall’assoluta mancanza di organi collegiali, con maggiore considerazione di criteri di rappresentatività (autocertificati) rispetto a quelli di rappresentanza.

Si auspica che le province autonome possano costituire un utile modello per una auspicata ed auspicabile modifica normativa.

DIRITTI E DOVERI IN AMBITO SCOLASTICO

Si è concluso l’11 maggio, presso l’Istituto Omnicomprensivo «Fanfani – Camaiti» di Pieve Santo Stefano (Ar), il previsto ciclo di incontri sui diritti e doveri in ambito scolastico per orientarsi tra compiti, competenze e ruoli, rivolto a tutte le componenti scolastiche.

In una realtà complessa, articolata e sotto alcuni aspetti unica di un istituto che comprende oltre alle Sezioni Primavera – Scuola dell’infanzia – Primaria – Secondaria I grado – Secondaria II grado nonché Convitto maschile e femminile può accadere che gli ingranaggi nel sistema dei rapporti Scuola-Famiglia possano incepparsi. Gli incontri hanno costituito occasione di confronto con docenti, amministrativi, educatori ed anche studenti su tematiche di interesse come il sistema delle responsabilità, la partecipazione, la valutazione, l’inclusione.

In allegato le locandine dei tre incontri

Spese scolastiche: detrazione e documentazione

Spese scolastiche: detrazione e documentazione
Certificazione della scuola e pubblicazione delle delibere

di Cinzia Olivieri

 

La Circolare Agenzia Entrate 4 aprile 2017, N. 7/E ha specificato con maggior dettaglio le spese di istruzione non universitaria, detraibili nella misura del 19 per cento calcolata su un importo massimo di euro 564 per l’anno 2016 per alunno o studente (Art. 15, comma 1, lettera e-bis, del TUIR, non cumulabili con le erogazioni liberali a favore degli istituti scolastici di ogni ordine e grado dell’Art. 15, comma 1, lettera i-octies, del TUIR).

I pagamenti vanno ovviamente documentati ed il contribuente deve esibire e conservare le ricevute o quietanze di pagamento recanti gli importi sostenuti nel corso del 2016 e i dati dell’alunno o studente.

Nessun problema quindi per le tasse (di iscrizione e di frequenza) in quanto versate a mezzo conto corrente postale ed in genere per tutti i pagamenti effettuati a mezzo bollettino postale o bonifico bancario intestato alla scuola.

Per la mensa la Circolare precisa che la spesa può essere documentata mediante la ricevuta del bollettino o del bonifico intestata al soggetto destinatario del pagamento – scuola, Comune o altro fornitore del servizio – e deve riportare nella causale l’indicazione del servizio mensa, nonché sin dall’origine la scuola di frequenza e il nome e cognome dell’alunno, giacché tali dati non saranno integrabili successivamente.

In caso di pagamento in contanti o con altre modalità (ad esempio, bancomat) o acquisto di buoni mensa in formato cartaceo o elettronico, occorrerà attestazione (esente dall’imposta di bollo come la relativa istanza, purché indichi l’uso cui è destinata), rilasciata dal soggetto che ha ricevuto il pagamento o dalla scuola che certifichi l’ammontare della spesa sostenuta nell’anno e i dati dell’alunno o studente.

Riguardo poi le spese per gite scolastiche, assicurazione della scuola e altri contributi scolastici finalizzati all’ampliamento dell’offerta formativa (ad esempio corsi di lingua, teatro) deliberati, qualora il pagamento sia stato effettuato nei confronti di soggetti terzi (ad es.: all’agenzia di viaggio) occorre l’attestazione dell’istituto scolastico dalla quale si rilevi la delibera di approvazione e i dati dell’alunno o studente. Se le spese sono pagate alla scuola non è richiesta la copia della delibera scolastica che ha disposto tali versamenti.

Tanto comporta evidentemente una attività di documentazione dell’istituzione scolastica.

Si rafforza quindi la necessità di pubblicazione delle delibere del consiglio di istituto sul sito web.

A tal proposito è da ritenere ormai anacronistico e superato il termine di 10 giorni della durata della pubblicazione previsto dall’art. 13 comma 2 della CM 105/75 (da intendersi come spazio temporale minimo). Sarebbe opportuno che restassero pubblicate quanto meno per tutta la durata dell’anno scolastico.

Occorrerà peraltro a maggior ragione superare talune prassi che vedono i rappresentanti, specie laddove si tratta importi individuali di non rilevante entità per attività della classe, impegnati a raccogliere le somme per poi eseguire un unico versamento alla scuola. In tal caso, il pagamento è effettuato all’istituto ma solo una attestazione della scuola può ricondurlo al singolo studente, giacché il genitore è sprovvisto di ricevuta o quietanza propria.

Le consulte dei genitori di Bolzano

Le consulte dei genitori di Bolzano, modello unico di partecipazione da tutelare

di Cinzia Olivieri

 

Sarà davvero una riforma condivisa?

Sin dall’annunzio della imminente riforma degli organi collegiali a Bolzano si è parlato di un processo ampiamente condiviso, anche con la costituzione di gruppi di lavoro.

Ed in effetti la circostanza che sia stata per ora resa nota solo una “bozza” di disegno di legge riguardante le Norme per la Partecipazione nelle scuole dell’infanzia e nelle scuole e per il consiglio del sistema educativo di istruzione e formazione provinciale lascia sperare in una modifica del testo, che per la verità impoverisce la rappresentanza, dopo che la LP 20/95 aveva decisamente perfezionato ed integrato l’impianto partecipativo del Dlgs 297/94.

Nella L.P. 20/95 infatti i rappresentanti di classe costituiscono il comitato (art. 10) che elegge nel suo seno il presidente ed il rappresentante nel comitato (consulta) provinciale e concorre nell’organizzazione dell’elezione dei rappresentanti nel consiglio di circolo o di istituto i quali a loro volta partecipano all’attività del comitato.

A prescindere dagli specifici compiti riconosciuti dalla legge a tali organi, (art. 6) i presidenti dei comitati dei genitori e degli studenti ed i rappresentanti della scuola nelle consulte dei genitori e degli studenti partecipano a titolo consultivo alle sedute del consiglio di circolo o d’istituto. Inoltre il presidente del consiglio di circolo o di istituto e il presidente del comitato dei genitori e degli studenti possono essere invitati a partecipare alle sedute del collegio dei docenti, senza diritto di voto (art. 4).

Le consulte, disciplinate al Capo V della L.P. 20/95 (art. 26), collegano poi la rappresentanza dei genitori e degli studenti delle scuole al consiglio scolastico provinciale della LP 24/1996

Praticamente però nulla resta di tutto questo nella bozza di disegno di legge , che abroga tanto la L.P. 20/95 quanto gli articoli da 1 a 8 della LP 24/1996, che disciplinano il consiglio scolastico provinciale.

Non solo non vi è più il comitato genitori ma in realtà neanche il rappresentante di classe.

Le consulte (trasversali ai gruppi linguistici) non sono più comprese tra gli organi collegiali a livello di istituzione scolastica ma, all’interno del solo sistema partecipativo a livello provinciale, sono semplicemente formate dalle rappresentanze dei genitori nonché delle alunne e degli alunni nel consiglio del sistema educativo di istruzione e formazione provinciale (cui è dedicato un unico articolo) con funzioni propositive.

 

Perché tutelare comitati e consulte

Le consulte provinciali dei genitori di Bolzano vanno tutelate e protette perché sono uniche e tale è anche l’attuale sistema partecipativo di questa provincia autonoma.

Infatti la LP Trento 5/06 prevede (artt. 28 e 29), solo a livello di istituzione scolastica, le consulte dei genitori e degli studenti (non incluse negli organi collegiali della scuola elencati dall’art. 21), che possono essere assimilate ai comitati del Dlgs 297/94 con la differenza che esse sono normalmente istituite presso ogni scuola e sono composte oltre che dai rappresentanti di classe anche da quelli nel consiglio della istituzione e delle associazioni riconosciute che ne facciano richiesta.

Tuttavia, come disposto in ambito nazionale dal DPR 567/96 (e poi dal DPR 301/05), a livello territoriale sono contemplate le sole consulte provinciali degli studenti (con il coordinamento regionale ed il consiglio nazionale).

La rappresentanza dei genitori della scuola quindi non è territorialmente collegata (specie dopo che non sono più stati istituiti i consigli scolastici locali e regionali del Dlgs 233/99 e gli organi collegiali territoriali del Dlgs 297/94 non sono più stati rinnovati).

Il ruolo di interlocuzione, sia a livello ministeriale che presso gli uffici regionali, è riconosciuto solo ai Forum (nazionale e regionali ove istituiti e funzionanti) delle associazioni riconosciute, nell’ambito del sistema di partecipazione creato con il DPR 567/96 modificato dal DPR 301/05.

Sebbene la nota del 20 marzo del 2006 abbia ben chiarito che possono essere designati nei Forum “genitori di alunni frequentanti istituti statali o paritari”, dal momento che solo un genitore con figli a scuola può adeguatamente rappresentare le esigenze di tale realtà dinamica, la successiva Nota 27 aprile 2016, AOODGSlP 3554, avente ad oggetto: “Rappresentanza e Partecipazione. Implementazione FORAGS”, ha precisato che “Le designazioni dei rappresentanti in seno ai FoRAGS non sono soggette ad alcun vincolo e/o criterio di esclusione legato all’avere figli frequentanti ed inseriti nel sistema scolastico, in quanto non previsto dal comma 2 dell’art.3 della sopra citata norma (DPR 301/05) che precisa: Il Forum è composto dai rappresentanti di associazioni o di confederazioni di associazioni di genitori di alunni di istituto statale o paritario, non legate statutariamente ad alcun partito politico od organizzazione sindacale, in possesso di uno statuto o documento costitutivo che espliciti la volontà di operare per l’interesse della scuola attraverso un programma generale, nonché gli obiettivi della loro attività nel rispetto delle regole di democrazia interna e dei principi della Costituzione. Il suddetto requisito, quindi, è connotante ed imprescindibile rispetto alle finalità statutarie delle Associazioni ma non è attribuibile ai legali rappresentanti delle Associazioni medesime”.

Il DPR 301/05, salvo che per l’espressione “genitori di alunni” (che pure non lascia margini di dubbio come ha esplicato la nota del 20 marzo del 2006), ha stabilito poi per l’accreditamento al Forum Nazionale delle Associazioni dei Genitori della Scuola (FoNAGS) l’accertamento del possesso di almeno tre dei seguenti criteri che però prescindono dal requisito della frequenza dei figli:

  1. presenza nel territorio nazionale in non meno di quattro regioni, con una media di cinquecento associati per regione;
  2. costituzione da almeno due anni alla data della domanda di ammissione;
  3. numero di associati non inferiore a cinquemila genitori;
  4. adesione all’Associazione europea dei genitori (EPA).

Pertanto, mancando le consulte dei genitori, come previsto invece per gli studenti, la rappresentanza di tale componente si ferma alla singola scuola e non è collegata.

Ecco perché un sistema tanto integrato e partecipato a tutti i livelli come quello di Bolzano (di cui forse neanche i genitori sono consapevoli) deve essere assolutamente salvaguardato e costituire un modello.

Si spera quindi che tale risultato possa essere raggiunto attraverso l’ascolto ed il dialogo con i gruppi di lavoro coinvolti nella discussione della riforma.

C’è maggiore chiarezza su cosa e quanto detrarre

C’è maggiore chiarezza su cosa e quanto detrarre

di Cinzia Olivieri

 

Riguardo le nuove ipotesi di detraibilità delle spese scolastiche, previste dalla recente circolare N. 7/E dell’Agenzia delle Entrate, occorrono alcune precisazioni.

La legge n. 40/2007 all’art. 13 comma e lettera a), modificando il testo unico delle imposte sui redditi (DPR 917/86), ha aggiunto all’articolo 15, comma 1 la lettera i-octies) che ha previsto la detraibilità delle “erogazioni liberali a favore degli istituti scolastici di ogni ordine e grado, statali e paritari senza scopo di lucro appartenenti al sistema nazionale di istruzione di cui alla legge 10 marzo 2000, n. 62, e successive modificazioni, finalizzate all’innovazione tecnologica, all’edilizia scolastica e all’ampliamento dell’offerta formativa”, purché il versamento sia eseguito tramite banca o ufficio postale ovvero mediante gli altri sistemi di pagamento previsti dall’articolo 23 del Dlgs 241/1997.

A proposito del “contributo volontario” la nota 20 marzo 2012, Prot. n. 0000312 ha quindi disposto che: “Le risorse raccolte con contributi volontari delle famiglie devono essere indirizzate esclusivamente ad interventi di ampliamento dell’offerta culturale e formativa e non ad attività di funzionamento ordinario e amministrativo che hanno una ricaduta soltanto indiretta sull’azione educativa rivolta agli studenti. All’atto del versamento, poi, le famiglie vanno sempre informate in ordine alla possibilità di avvalersi della detrazione fiscale di cui all’ art. 13 della legge n. 40/2007”.

Si è perciò desunto che tale contributo dovesse essere destinato all’innovazione tecnologica, all’ampliamento dell’offerta ed all’edilizia scolastica e per l’effetto detratto quale erogazione liberale alle condizioni sopra previste, tanto che la disposizione ministeriale ha invitato le scuole a darne adeguata informazione alle famiglie.

La legge n. 107/2015 ha poi ulteriormente modificato l’art. 15, comma 1, lettera e) del TUIR, che riguardava tutte le spese di istruzione detraibili, aggiungendo la nuova lettera e-bis), che disciplina ora la detrazione delle spese per la frequenza delle scuole di ogni ordine e grado, statali e paritarie (lo scorso anno prevista per un importo annuo non superiore a 400 euro annui per alunno), non cumulabile con quella della suddetta lettera i-octies), mentre la lettera e) contempla solo quella delle spese di istruzione universitaria.

Pertanto, lo scorso anno, a seguito della circolare 3/E in materia di istruzione risultavano detraibili:

  • spese di istruzione universitaria (Art. 15 lettera e));
  • spese per la frequenza delle scuole di ogni ordine e grado, statali e paritarie (Art. 15 lettera e-bis)) entro i 400 euro non cumulabili con la lettera i-octies, tra le quali: le tasse (di iscrizione e frequenza), i contributi obbligatori, i contributi volontari e le altre erogazioni liberali, deliberati dagli istituti scolastici o dai loro organi e sostenuti per la frequenza scolastica ma non per le finalità di cui alla lettera i-octies) comprese le spese per la mensa scolastica;
  • contributi volontari consistenti in erogazioni liberali finalizzate all’innovazione tecnologica (es. acquisto di cartucce stampanti), all’edilizia scolastica (es. pagamento piccoli e urgenti lavori di manutenzione o di riparazione), all’ampliamento dell’offerta formativa (es. acquisto di fotocopie per verifiche o approfondimenti)” (Art. 15 lettera i-octies)), senza limiti di importo.

Se poteva restare ancora qualche dubbio in merito alla detrazione dei contributi volontari ed al senso del participio “deliberati”, quest’anno l’Agenzia delle entrate con la circolare N. 7/E, ha fornito ulteriori precisazioni, elencando tra le Spese di istruzione non universitarie di pagina 84 (Rigo E8/E10, cod. 12 – Art. 15, comma 1, lettera e-bis, del TUIR), detraibili nei limiti stavolta di € 564,00 per studente, sempre non cumulabili con quelle della lettera i-octies, oltre le tasse (a titolo di iscrizione e di frequenza) e i contributi obbligatori, i contributi volontari e le erogazioni liberali deliberati tra cui:

  • la mensa scolastica (già individuata dalla circolare 3/E)
  • i servizi scolastici integrativi, quali l’assistenza al pasto e il pre e post scuola;
  • le gite scolastiche, l’assicurazione della scuola e ogni altro contributo scolastico finalizzato all’ampliamento dell’offerta formativa deliberato dagli organi d’istituto (corsi di lingua, teatro, ecc., svolti anche al di fuori dell’orario scolastico e senza obbligo di frequenza), con allegazione della delibera nel caso in cui il pagamento sia effettuato a soggetti terzi (ad es.: all’agenzia di viaggio).

Pertanto, se la sfera di detraibilità si è ampliata ed è aumentato anche il relativo importo, praticamente ogni spesa scolastica: mensa, gite, ampliamento dell’offerta, assicurazione, quest’ultima spesso versata in uno al contributo volontario, può essere detratta nei limiti di € 564,00 annui per studente. Infatti, come specificato, sebbene si tratti di somme corrisposte volontariamente, sono sempre deliberate dagli organi scolastici e perciò non possono essere assimilate ad una erogazione compiuta per mero spirito di liberalità.

A prescindere dalla necessità di un aggiornamento della circolare sul contributo, si deve evidenziare tuttavia che, specie nel secondo grado di istruzione, la somma delle spese supera anche in misura considerevole l’importo detraibile. Ma comunque si è fatta maggiore chiarezza sul punto.

Riforma degli organi collegiali a Bolzano

Riforma degli organi collegiali a Bolzano: autonomia statutaria e tutela del fondamentale ruolo delle consulte

di Cinzia Olivieri

 

Le proposte di riforma da Trento a livello nazionale

Sul finire del 2016 è stata annunziata nella provincia autonoma di Bolzano la possibile riforma degli organi collegiali della scuola, disciplinati storicamente dapprima dalla LP 5 settembre 1975 n. 49, successiva al DPR 416/74, e quindi dalla L.P. 28 ottobre 1995 n. 20, successiva al Dlgs 297/94, che sul piano nazionale ha riordinato in un Testo Unico non solo le norme relative agli organi collegiali ma le disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado.

All’inizio del 2017 si è aperto il confronto sul tema ed ora si è appreso dell’elaborazione di una bozza del disegno di legge provinciale riguardante le Norme per la Partecipazione nelle scuole dell’infanzia e nelle scuole e per il consiglio del sistema educativo di istruzione e formazione provinciale.

Il testo ricalca, con gli opportuni adattamenti, quello che sul piano nazionale si ripropone da quando la famosa proposta di legge Aprea e concorrenti (PDL 953) è stata approvata in testo unificato (DDL S3542) nel corso della XVI^ legislatura. Durante la XVII^ legislatura risulta assegnato alla VII^ Commissione Cultura Senato il DDL S933, di iniziativa dell’On. Giannini, ed alla corrispondente commissione della Camera la PDL A.C. 2259 di iniziativa della On. Centemero.

Anche a Bolzano la riforma appare incentrata sull’autonomia statutaria. Apparentemente in entrambi i casi essa si ispira al modello trentino, ma in realtà vi sono differenze rilevanti.

Occorre premettere che a Trento la LP 5/06 interviene a disciplinare l’intero Sistema educativo di istruzione e formazione erogato (art.8) da: scuole dell’infanzia provinciali ed equiparate; istituzioni scolastiche e formative provinciali; istituzioni scolastiche e formative paritarie. Il Titolo II individua i Soggetti del sistema educativo provinciale ed il Capo I quelli costituenti la Comunità scolastica, tra cui: gli studenti (Art. 9); gli operatori delle istituzioni scolastiche e formative (Art. 10); le famiglie (Art. 11); le Associazioni professionali (Art. 12); infine i soggetti rappresentativi del territorio (Art. 13). Il Capo II è dedicato poi alle Istituzioni scolastiche e formative provinciali, organizzate secondo principi di Autonomia didattica, organizzativa, di ricerca, sperimentazione e sviluppo (Art. 15) e nella Sezione III sono appunto individuati i suoi Organi, normati dagli artt. 21 e seguenti.

La LP Trento 5/06 dedica l’art. 17 allo Statuto delle istituzioni scolastiche e formative, documento fondamentale che stabilisce, nel rispetto della legge: a) i principi e i criteri di organizzazione dell’istituzione scolastica e formativa; b) i contenuti vincolanti e le modalità di approvazione del progetto d’istituto (ovvero PTOF); c) le funzioni, la composizione e le modalità di nomina degli organi collegiali dell’istituzione, nel rispetto di quanto previsto da questa legge e in coerenza con le norme generali dell’istruzione; d) i contenuti e le modalità di approvazione del regolamento interno che, in attuazione dello statuto, definisce, tra l’altro, gli aspetti organizzativi attinenti il funzionamento dell’istituzione e dei relativi organi, nonché del regolamento che definisce i doveri degli studenti e i comportamenti che configurano mancanze disciplinari; e) le modalità di formazione e di approvazione del bilancio e del conto consuntivo; f) la partecipazione degli studenti e dei genitori alle attività della classe e dell’istituzione, garantendo il diritto di riunione e di assemblea e favorendo le attività delle associazioni di studenti e di genitori, anche attraverso la messa a disposizione di spazi adeguati; g) la partecipazione dell’istituzione e della comunità scolastica a progetti o iniziative d’integrazione, collaborazione e scambio con altri soggetti in ambito nazionale, europeo e internazionale; h) le modalità, definite su eventuale proposta e previo parere della consulta dei genitori, del collegio dei docenti e della consulta degli studenti, con le quali le istituzioni instaurano con altri soggetti pubblici o privati operanti sul territorio forme di cooperazione e collaborazione rivolte alla migliore definizione dei contenuti e degli indirizzi da esprimere nel progetto d’istituto.

Tale Statuto (comma 2) è adottato (e modificato) dal consiglio dell’istituzione scolastica e formativa a maggioranza dei due terzi, inviato quindi alla Provincia ed è approvato definitivamente salvo che entro quarantacinque giorni questa non lo rinvii per motivi di legittimità all’istituzione per il conseguente adeguamenti, ovvero esprima osservazioni in relazione alla sua conformità agli atti provinciali di programmazione e d’indirizzo.

Tuttavia, come previsto (comma 3), a garanzia di uniformità e per l’opportuno supporto, la Provincia ha elaborato (Del. n. 1075 del 25/05/2007) uno schema tipo di statuto a disposizione delle istituzioni scolastiche e formative.

Sul piano nazionale, premesso che la L 107/15, stralciata la riforma degli organi collegiali, aveva peraltro previsto (comma 180 e 181) la delega al Governo, entro 18 mesi (termine decorso), per il riordino delle disposizioni normative in materia di sistema nazionale di istruzione e formazione attraverso la redazione di un nuovo testo unico, esaminando la più recente proposta di legge n. 2259, intitolata Norme per il governo delle istituzioni scolastiche, non vi è una specifica norma dedicata allo Statuto ma all’art. 1 comma 4 si limita a prevedere che “Gli statuti e i regolamenti delle istituzioni scolastiche disciplinano l’istituzione, la composizione e il funzionamento degli organi interni, nonché le forme e le modalità di partecipazione della comunità scolastica”.

L’uso del verbo “istituire” desta qualche perplessità. Dal momento che i nuovi organi collegiali dovrebbero essere di fatto istituiti dalla legge ed eletti/nominati dalle istituzioni, affidarne la costituzione agli statuti sembra renderla potenziale ed incerta. La restante disciplina relativa allo Statuto è desunta dal contesto dei successivi articoli.

Così (Art. 3) sappiamo che il Consiglio dell’istituzione scolastica, con la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti, redige, approva e modifica lo statuto, che comprende anche le modalità di elezione, sostituzione e designazione dei propri membri.

Non solo non è previsto uno Statuto tipo ma esso (comma 4) non è soggetto ad approvazione o a convalida da parte di nessuna autorità esterna. Quindi nessun controllo né garanzia di uniformità. Fermi i criteri previsti normativamente, ogni scuola resta libera di organizzarsi a suo modo. Nel rispetto dell’autonomia organizzativa vi sono però prerogative partecipative che dovrebbero essere assicurate a tutti in egual modo.

Lo statuto disciplina la composizione del consiglio dell’istituzione scolastica, per il quale la legge (Art. 4) prevede un numero di membri compreso fra sette e undici, secondo i seguenti criteri: 1) DS e DSGA sono membri di diritto senza diritto di voto; 2) la rappresentanza dei genitori e dei docenti è paritetica; 3) nelle scuole secondarie di secondo grado è assicurata la rappresentanza degli studenti; 4) possono esservi non più di due membri esterni.

Ad esso è rimessa altresì l’attività del consiglio dei docenti e delle sue articolazioni (art. 6), anche a livello di classe (senza menzionare espressamente un consiglio di classe), individuando le modalità della partecipazione degli alunni e dei genitori alla definizione degli obiettivi didattici di ogni singola classe o di gruppi di alunni (comma 6). Dunque la già debole figura del rappresentante di classe diventa del tutto residuale e non vi è cenno dei comitati genitori.

 

La proposta riforma di Bolzano

Analogamente la bozza di disegno di legge di Bolzano prevede che lo Statuto disciplini “l‘istituzione, la composizione e il funzionamento degli organi del circolo di scuola dell’infanzia o della scuola, nonché le forme e le modalità di partecipazione della comunità della scuola dell’infanzia o scolastica” (Art. 3).

Il consiglio della direzione di circolo o di istituto (art. 6) ovvero il consiglio di istituto (art. 12) – la cui composizione è fissata dallo Statuto, nel rispetto dei seguenti criteri: a) la direttrice o il direttore del circolo della scuola dell’infanzia ovvero il/la dirigente della scuola è membro di diritto; b) i genitori eletti e il personale docente eletto ovvero o genitori ed i docenti nelle scuole del primo ciclo di istruzione sono rappresentati in modo paritetico mentre nelle scuole del secondo ciclo di istruzione e formazione la rappresentanza eletta dai genitori e dalle alunne e dagli alunni è paritetica a quella eletta dal personale docente; c) la segretaria o il segretario del circolo di scuola dell’infanzia ovvero della scuola è membro di diritto; d) può essere integrato da ulteriori componenti che non hanno diritto di voto – redige, approva e modifica lo statuto, comprese le modalità di elezione nonché la sostituzione dei propri componenti, con la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti.

Per quanto riguarda il previsto consiglio di classe (art. 15) “Per ulteriori attività non oggetto di valutazione delle alunne o degli alunni lo statuto definisce la composizione del consiglio di classe e il diritto di voto dei componenti” (comma 4).

L’analogia è palese. Anche in tal caso non è contemplata alcuna verifica preventiva o successiva degli Statuti né uno statuto tipo, né si fa menzione dei comitati genitori/studenti e la figura del rappresentante di classe è potenziale e/o comunque totalmente svilita.

Senza entrare nel merito in questa sede di competenze specifiche degli organi, occorre però evidenziare che mentre la PDL C.2259 lascia la presidenza del consiglio ad un genitore, a Bolzano è previsto semplicemente sia presieduto da un componente, eletto nel suo seno.

 

La peculiarità del sistema partecipativo di Bolzano

Se sul piano nazionale il ruolo del rappresentante ha sempre stentato a definirsi mentre il comitato genitori resta una figura potenziale e la sua disciplina è ridotta al solo comma 2 dell’art. 15 del Dlgs 297/94, tanto che di solito finisce per trasformarsi in associazione, per Bolzano una siffatta riforma finirebbe per cancellare invece un sistema partecipativo organico e completo.

Infatti la LP 20/95 istituisce i seguenti organi collegiali:

a) il consiglio di classe;

b) il collegio dei docenti;

c) il comitato per la valutazione del servizio dei docenti;

d) il consiglio di circolo o di istituto;

e) il comitato dei genitori;

f) il comitato degli studenti, limitatamente alle scuole secondarie di secondo grado.

Il CAPO III è dedicato alle Assemblee degli studenti e dei genitori ed il CAPO V ai Comitati (ovvero Consulte) provinciali degli studenti e dei genitori.

Nel sistema nazionale, gli organi collegiali restano sostanzialmente scollegati, salvo la “possibilità” di costituire un comitato per collegare i rappresentanti di classe.

Il Dlgs 297/94 non ha previsto le consulte ma nel 1996 il DPR 567/96 ha istituito le sole consulte provinciali degli studenti, successivamente organizzate anche a livello nazionale, creando quindi un sistema partecipativo parallelo e disomogeneo, immutato a seguito del DPR 301/05.

La L.P. 20/95 invece mette al centro la figura del rappresentante. Ed invero i rappresentati eletti a livello di classe costituiscono il comitato genitori (art. 10) a cui partecipano anche i rappresentanti in consiglio di istituto e nella consulta provinciale. Il comitato poi non solo elegge nel suo seno il presidente ed il rappresentante nel comitato (consulta) provinciale dei genitori e concorre nell’organizzazione dell’elezione dei rappresentanti dei genitori nel consiglio di circolo o di istituto ma altresì formula proposte e pareri in merito alla programmazione ed all’organizzazione dell’attività della scuola, poi sottoposti all’organo competente, nonché in merito alla collaborazione scuola-genitori e all’aggiornamento dei genitori ed ha la facoltà di esprimersi in merito a tutte le questioni iscritte all’ordine del giorno delle sedute del consiglio di circolo o di istituto. Elabora inoltre il proprio programma di lavoro relativo ai contatti tra scuola e famiglia e all’aggiornamento dei genitori e sottopone le relative proposte al consiglio di circolo o di istituto, che delibera in merito e provvede al finanziamento.

Inoltre (art. 6) i presidenti dei comitati dei genitori e degli studenti ed i rappresentanti della scuola nelle consulte dei genitori e degli studenti partecipano a titolo consultivo alle sedute del consiglio di circolo o d’istituto e il Presidente del consiglio di circolo o di istituto, il presidente del comitato dei genitori e degli studenti possono essere invitati a partecipare alle sedute del collegio dei docenti, senza diritto di voto (art. 4).

Nulla di questo resterebbe con la riforma.

Le consulte provinciali degli studenti e dei genitori poi, che fungevano da raccordo tra la scuola (ed il sistema partecipativo a livello di istituto) ed il consiglio scolastico provinciale della LP 24/1996, sono considerate ora dall’art. 19 della bozza di disegno di legge solo quale espressione della rappresentanza di genitori e studenti nell’ambito del consiglio scolastico provinciale con il compito di “inoltrare alle assessore e agli assessori provinciali all’istruzione e formazione proposte ritenute utili per migliorare i vari aspetti riguardanti la scuola”.

Tanto non può che essere interpretato nel senso di un sostanziale svilimento della partecipazione.

L’auspicio è che resti aperto un dialogo costruttivo affinché, attraverso emendamenti del testo, si ripensi il sistema partecipativo secondo tali indicazioni rafforzando la rappresentanza, giacché dal dialogo delle componenti la scuola non può che trarne giovamento.

Detrazione delle gite scolastiche e del contributo volontario

Detrazione delle gite scolastiche e del contributo volontario deliberato e non

di Cinzia Olivieri

L’Agenzia delle Entrate, con la circolare N. 7/E del 04/04/2017, ha fornito ulteriori chiarimenti ampliando le ipotesi di detraibilità delle spese per la frequenza scolastica.

Già con la circolare 3/E, a seguito della legge n. 107/2015, era stato modificato l’art. 15, comma 1, lettera e) del TUIR.

A questo, che precedentemente riguardava tutte le spese di istruzione detraibili, è stata aggiunta la successiva nuova lettera e-bis). Per l’effetto, la lettera e) disciplina ora la sola detrazione delle spese di istruzione universitaria e la e bis) quella delle spese per la frequenza delle scuole di ogni ordine e grado, statali e paritarie, lo scorso anno prevista per un importo annuo non superiore a 400 euro per alunno, non cumulabile con quella della successiva lettera i-octies), per le erogazioni liberali a favore degli istituti scolastici di ogni ordine e grado, statali e paritari, finalizzate all’innovazione tecnologica, all’edilizia scolastica e all’ampliamento dell’offerta formativa.

Queste in sintesi le ipotesi considerate:

  • 15 lettera e) spese di istruzione universitaria;
  • 15 lettera e-bis) spese di istruzione nel limite massimo di 400 euro per alunno o studente tra cui si annoverano: le tasse (di iscrizione e frequenza), i contributi obbligatori, i contributi volontari e le altre erogazioni liberali, deliberati dagli istituti scolastici o dai loro organi e sostenuti per la frequenza scolastica ma non per le finalità di cui alla lettera i-octies) comprese le spese per la mensa scolastica.
  • 15 lettera i-octies), “contributi volontari consistenti in erogazioni liberali finalizzate all’innovazione tecnologica (es. acquisto di cartucce stampanti), all’edilizia scolastica (es. pagamento piccoli e urgenti lavori di manutenzione o di riparazione), all’ampliamento dell’offerta formativa (es. acquisto di fotocopie per verifiche o approfondimenti)”, senza limiti di spesa.

Occorre precisare che, in materia di contributi scolastici delle famiglie, con la Nota ministeriale del 7 marzo 2013 n. 593, preceduta da quella del 20 marzo 2012, Prot. n. 0000312 si è chiarito che, premesso il principio costituzionale di gratuità dell’istruzione (Art. 34) fino al terzo anno della scuola secondaria di secondo grado, ribadito dalla legge finanziaria 2007, con il solo obbligo di pagamento delle tasse erariali negli ultimi due anni successivi, la scuola non ha capacità impositiva (art. 23 Cost.) e quindi può deliberare la richiesta di contributi alle famiglie ma in forma assolutamente volontaria con la sola ulteriore eccezione delle “spese sostenute per conto delle famiglie”. Con riferimento a queste, la Nota del 20 marzo 2012 prevede “l’obbligo di rimborsare alla scuola alcune spese sostenute per conto delle famiglie stesse, come, ad esempio, quelle per la stipula del contratto di assicurazione individuale per gli infortuni e la responsabilità civile degli alunni, o quelle per i libretti delle assenze o per le gite scolastiche”.

Si dovrebbe desumere, non senza perplessità, che assicurazione, libretti delle assenze e gite scolastiche debbano rientrare nel “contributo obbligatorio” di cui alla predetta circolare, sebbene si tratti comunque di spese assolutamente facoltative, né è chiaro quali siano i casi in cui la scuola sia chiamata a sostenerle “per conto”, cioè in nome o per incarico, delle famiglie.

Inoltre, sempre la nota del 2012 afferma: “Le risorse raccolte con contributi volontari delle famiglie devono essere indirizzate esclusivamente ad interventi di ampliamento dell’offerta culturale e formativa e non ad attività di funzionamento ordinario e amministrativo che hanno una ricaduta soltanto indiretta sull’azione educativa rivolta agli studenti.

All’atto del versamento, poi, le famiglie vanno sempre informate in ordine alla possibilità di avvalersi della detrazione fiscale di cui all’ art. 13 della legge n. 40/2007” (che ha inserito la lettera i-octies) all’art. 15 del TUIR) e cioè che il contributo volontario può essere detratto fiscalmente (quale erogazione liberale finalizzata all’innovazione tecnologica, all’ampliamento dell’offerta ed all’edilizia scolastica). Pertanto il contributo volontario è stato assimilato a tali erogazioni liberali.

Esso, secondo la nota ministeriale, non può essere destinato al funzionamento, mentre la circolare 3/E distingue il contributo volontario della lettera e-bis), detraibile nei limiti di 400 euro, dalle erogazioni liberali (non deliberate) finalizzate all’innovazione tecnologica, all’ampliamento dell’offerta ed all’edilizia scolastica della lettera i-octies), detraibili senza limiti, che invece possono essere destinate, secondo quanto suindicato, anche al funzionamento (es: acquisto cartucce e fotocopie).

Le due quindi disposizioni non appaiono coerenti se, come sembra affermare la nota, quanto meno sotto il profilo della detraibilità, il contributo volontario ed erogazioni liberali praticamente si identificano.

La circolare N. 7/E, confermando l’esclusione dalla detrazione per l’acquisto di materiale di cancelleria e di testi scolastici per la scuola secondaria di primo e secondo grado nonché per il servizio di trasporto scolastico, in quanto alternativo al trasporto pubblico per il quale non è prevista agevolazione (Risoluzione 4.08.2016, n. 68/E), elenca, poi, tra le Spese di istruzione non universitarie di pagina 84 (Rigo E8/E10, cod. 12 – Art. 15, comma 1, lettera e-bis, del TUIR), detraibili nei limiti di € 564 per studente:

  • le tasse (a titolo di iscrizione e di frequenza) e i contributi obbligatori.
  • i contributi volontari e le erogazioni liberali sostenuti per la frequenza scolastica, che, in quanto deliberati, non rientrano tra le Erogazioni liberali a favore degli istituti scolastici di ogni ordine e grado di pagina 133 (Rigo E8/E10, cod. 31- Art. 15, comma 1, lett. i–octies), del TUIR) finalizzate all’innovazione tecnologica, all’edilizia scolastica ed all’ampliamento dell’offerta formativa, non cumulabili, che danno diritto alla detrazione senza limiti ai sensi dell’art. 15, comma 1, lett. i-octies) del TUIR.

Tra i contributi/erogazioni deliberati di cui alla lettera e bis) si annoverano:

  • la mensa scolastica (già individuata dalla circolare 3/E)
  • i servizi scolastici integrativi, quali l’assistenza al pasto e il pre e post scuola, anche resi per il tramite del Comune o di altri soggetti terzi e non deliberati, essendo istituzionalmente previsti dall’ordinamento scolastico (come anche precisato dalla Circolare 06.05.2016 n. 18/E risposta 2.1 e dalla Risoluzione 4.08.2016, n. 68/E);
  • le gite scolastiche, l’assicurazione della scuola e ogni altro contributo scolastico finalizzato all’ampliamento dell’offerta formativa deliberato dagli organi d’istituto (corsi di lingua, teatro, ecc., svolti anche al di fuori dell’orario scolastico e senza obbligo di frequenza), con allegazione della delibera nel caso in cui il pagamento sia effettuato a soggetti terzi (ad es.: all’agenzia di viaggio).

Pertanto le gite e l’assicurazione rientrano tra i contributi volontari detraibili nei limiti di € 564 (e quindi non appaiono più obbligatoriamente dovuti in quanto spesi “per conto delle famiglie”), mentre per le spese destinate all’ampliamento dell’offerta occorre a questo punto distinguere, ai fini della detraibilità, tra quelle deliberate e quelle invece versate per puro spirito di liberalità.

Restano da definire con maggiore chiarezza i contributi obbligatori.

Insomma sarebbe opportuno un aggiornamento ed un chiarimento anche in materia di contributi scolastici per coordinare meglio i due testi.

Il dirigente può assegnare qualunque docente alle ore di potenziamento

Il dirigente può assegnare qualunque docente alle ore di potenziamento

di Cinzia Olivieri

 

Sussiste, a seguito della riforma attuata con la legge 107/2015, il potere del Dirigente Scolastico di assegnare, nell’ambito dell’organico dell’autonomia, un insegnante già “curriculare” a cattedra di potenziamento, in coerenza con il PTOF, definito anche in base alle priorità delineate nel RAV ed agli obiettivi indicati nel piano di Miglioramento.

È quanto sostanzialmente ha riconosciuto il Tribunale di Napoli Sezione Lavoro con decreto emesso nell’ambito di un procedimento cautelare, promosso avverso la decisione del dirigente di un istituto di affidare le 18 ore della cattedra di potenziamento ad un unico docente che aveva iniziato a prestare servizio in qualità, nel caso di specie, di titolare della cattedra di educazione artistica a settembre 2013, per effetto di trasferimento disposto dall’USR Campania su una cattedra oraria esterna (cd. COE), prima di 10 ore e poi di 12 con completamento presso altra scuola.

Quanto ai fatti di causa, nell’anno scolastico 2016-2017 l’Ufficio Scolastico ha stabilito che nell’organico dell’autonomia della scuola interessata fossero incluse per la classe di concorso in questione, oltre le preesistenti tre cattedre di 18 ore e la Cattedra Oraria Esterna (COE) di dodici con completamento, anche una cattedra di potenziamento di 18 ore. Per effetto della conseguente riorganizzazione, essendosi resa disponibile la cattedra interna, in seguito ad assegnazione del potenziamento, la ricorrente ha avuto la possibilità di completare il suo insegnamento presso l’istituto.

Il Dirigente, che ai sensi del comma 18 dell’art. 1 della legge 107/2015,”individua il personale da assegnare ai posti dell’organico dell’autonomia”, in coerenza con il raggiungimento degli obiettivi previsti nel Piano Triennale dell’Offerta Formativa, ha deciso quindi, nell’ambito delle sue competenze, come utilizzare i docenti sui posti comuni, di sostegno e di potenziamento e di non frazionare le ore di potenziamento tra due o più docenti, ritenendo tale scelta più funzionale al migliore risultato, assegnando la ricorrente interamente su tale cattedra.

Sono state ritenute significative dal Tribunale di Napoli le norme contenute nei commi 5, 64, 68 dell’art. 1 della legge 107/2015, che disciplinano il cd. “Organico dell’autonomia”.

In particolare il comma 5 prevede: “Al fine di dare piena attuazione al processo di realizzazione dell’autonomia e di riorganizzazione dell’intero sistema di istruzione, è istituito per l’intera istituzione scolastica, o istituto comprensivo, e per tutti gli indirizzi degli istituti secondari di secondo grado afferenti alla medesima istituzione scolastica l’organico dell’autonomia, funzionale alle esigenze didattiche, organizzative e progettuali delle istituzioni scolastiche come emergenti dal piano triennale dell’offerta formativa predisposto ai sensi del comma 14. I docenti dell’organico dell’autonomia concorrono alla realizzazione del piano triennale dell’offerta formativa con attività di insegnamento, di potenziamento, di sostegno, di organizzazione, di progettazione e di coordinamento”.

Ha rilevato pertanto il Giudicante: “Risulta già dalla lettura delle norme che l’organico dell’autonomia è concepito come un corpus unitario nel quale confluiscono senza distinzione alcuna tutti i docenti, oltre a quelli curriculari di sostegno e di potenziamento anche quelli a cui vengono affidati compiti di coordinamento e progettazione. Nella prospettiva delineata dal comma 5 per cui l’organico dell’autonomia è funzionale a realizzare in modo effettivo l’offerta formativa, tutti i docenti devono contribuire alla sua piena attuazione e dunque possono essere destinati – fermo il possesso dei titoli abilitanti e/o delle necessarie competenze – ad attività varie di insegnamento, potenziamento o, se docenti di staff, ad attività di coordinamento e organizzazione. Quanto previsto dal legislatore è stato oggetto di ulteriore specificazione nelle circolari emanate dal MIUR in fase di prima applicazione della normativa di riforma, richiamate dalla difesa della scuola. In particolare la circolare n. 2582 del 5.09.2016 ha ribadito che “tutti i docenti dell’organico dell’autonomia contribuiscono alla realizzazione dell’offerta formativa” e che “non esiste distinzione contrattuale tra docenti curricolari e docenti di potenziamento, ma che, in coerenza con quanto previsto dal comma 63, art. 1, legge 107/2015, nell’organico dell’autonomia confluiscono posti comuni, posti per il sostegno e posti per il potenziamento dell’offerta formativa”. Dunque l’organico dell’autonomia, nell’inglobare unitariamente tutti i docenti dovrebbe consentire, per un verso, il definitivo superamento della distinzione tra organico di diritto e organico di fatto che per molti anni ha improntato la gestione del personale docente e, per altro verso, rappresentare un precipuo strumento di flessibilità didattica e organizzativa, per consentire alla scuola di ideare ed attuare obiettivi di lungo periodo ed azioni virtuose di miglioramento (cf su questo la circolare n. 2805 dell’11.12.2015)”.

Per l’effetto il Tribunale di Napoli, rigettando il ricorso, ha ritenuto pienamente legittima l’assegnazione operata dal dirigente, in grado di “garantire agli studenti il potenziamento delle conoscenze” anche in quanto coerente “con le esigenze didattiche della scuola, scaturite dalle priorità delineate nel RAV e dagli obiettivi indicati nel piano di Miglioramento”.

Se ne desume quindi che non esiste una minore autorevolezza del docente di potenziamento ovvero una sorta di “debolezza” della cattedra relativa né appare assumere rilievo il consenso del docente nella decisione del dirigente.

Anche il MIUR riconosce (per ora) il pasto da casa

Anche il MIUR riconosce (per ora) il pasto da casa

di Cinzia Olivieri

 

Con nota n.348 del 3.03.2017 il Ministero è intervenuto infine a fornire indicazioni in merito alla “Consumazione del pasto domestico a scuola” e, rimettendo alle istituzioni scolastiche la valutazione, nei limiti della propria autonomia, discrezionalità e competenza, delle “soluzioni idonee a garantire la fruizione del cd. pasto domestico e l’erogazione del servizio mensa assicurando la tutela delle condizioni igienico-sanitarie e il diritto alla salute”, conferma, nell’attesa della pronuncia della Cassazione, che, a prescindere dalle modalità pratiche di attuazione, il pasto domestico deve essere quindi garantito e per l’effetto non può essere negato.

Appare superata pure la questione dell’efficacia della sentenza tra le parti. Infatti la suddetta nota precisa che da giugno 2016, a seguito di “alcune pronunce giurisprudenziali”, è stato riconosciuto alle famiglie (indicate genericamente a prescindere dalla posizione di appellante/ricorrente) “il diritto di usufruire in modo parziale del tempo attraverso la consumazione, negli stessi locali destinati alla refezione scolastica del pasto preparato in ambito domestico in alternativa al servizio mensa erogato dalla scuola

È opportuno tuttavia evidenziare che tanto la Sentenza n. 1049/2016 della Corte di Appello di Torino quanto le successive numerose ordinanze cautelari (anche in sede di reclamo) hanno riconosciuto precisamente il diritto degli istanti di scegliere per i propri figlitra la refezione scolastica e il pasto preparato a casa da consumare presso la scuola nell’orario destinato alla refezione” sul presupposto che il “tempo mensa” sia un momento educativo unico ed identico a prescindere da tale scelta, giacché non può implicare l’adesione obbligatoria ad un servizio a pagamento. Dunque chi consuma il pasto da casa o quello erogato dal servizio lo fa utilizzando lo stesso tempo mensa.

Invero, anche tra i decreti attuativi della L 107/15, l’atto 381 ribadisce che i servizi di mensa (art. 2) rientrano tra gli interventi per il sostegno al diritto allo studio che programmano gli Enti locali, nell’esercizio della propria autonomia di programmazione annuale e nei limiti delle effettive disponibilità finanziarie, umane e strumentali disponibili. Tali servizi (art. 6) possono essere assicurati agli alunni delle scuole primarie, laddove il tempo scuola lo necessiti, e sono “attivabili su istanza di parte”, gratuitamente o previo pagamento di una quota, “nei limiti dell’organico disponibile e senza nuovi o maggiori oneri per gli enti pubblici interessati”. Dunque sono assolutamente facoltativi.

All’autonomia dell’amministrazione scolastica è comunque rimessa l’organizzazione pratica del “tempo mensa” anche con riferimento ai locali da destinare al consumo dei diversi pasti.

Insomma tale disposizione si muove in linea con le precedenti indicazioni dell’USR Piemonte di ottobre 2016 e la successiva dell’USR Lombardia del 2.11.2016.

La nota ministeriale precisa poi che “insieme alle iniziative necessarie a proporre ricorso avverso le suddette sentenze” il Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione “ha avviato un confronto tra i soggetti istituzionali coinvolti, al fine di individuare, nelle more della definizione dei relativi giudizi possibili linee di condotta uniformi su tutto il territorio nazionale”.

Ebbene, premesso che la sentenza per la quale è stato depositato ricorso in Cassazione è quella della Corte di Appello di Torino n. 1049/2016, si conosce la composizione ed il lavoro dell’Osservatorio per la corretta fruizione dei pasti nelle scuole del primo ciclo costituito presso l’USR Piemonte, ma non quello presso l’ufficio ministeriale, per il quale si auspica un ampio coinvolgimento della componente (ed in particolare della rappresentanza) genitoriale, giacché per studiare linee di condotta uniformi sull’intero territorio nazionale è necessario accertare le diverse necessità territoriali attraverso chi è direttamente coinvolto nella questione.

Si comunica inoltre la costituzione di un tavolo tecnico presso il Ministero della Salute per l’aggiornamento delle Linee Guida sulla ristorazione scolastica per supportare scuole ed enti locali per scelte organizzative e gestionali del servizio. Peraltro, a tal proposito, foodinsider.it ha appena presentato la classifica dei menu scolastici italiani 2016/17 che premia i menu più equilibrati in base proprio ai parametri delle Linee Guida della ristorazione scolastica e delle raccomandazioni dell’OMS, considerando qualità, frequenza e varietà degli alimenti proposti nei menu scolastici. Il punteggio ottenuto è il risultato del questionario Menu a punti: sotto ai 50 punti è considerato non sufficiente.

Insomma a quanto sembra appare necessario pervenire ad un ripensamento della mensa sia dal punto di vista organizzativo che nutrizionale.

Ad ogni buon conto tra le indicazioni che vengono per evitare situazioni di criticità c’è quella di attivare procedure atte ad evitare possibilità di scambio di alimenti e conseguenti contaminazioni, adottando nei confronti di studenti ammessi al pasto domestico precauzioni analoghe a quelle previste nell’ipotesi di somministrazione dei cd pasti speciali, anche chiedendo il supporto del Servizio di Igiene degli Alimenti e della Nutrizione presso l’Asl territoriale. L’assimilazione del pasto domestico al pasto speciale (in caso ad esempio di celiachia e/o di intolleranze alimentari) di fatto risolve in senso positivo la questione sollevata in merito alla possibilità del consumo del pasto domestico nel refettorio o comunque insieme a chi utilizza il servizio di refezione, dal momento che non è contestato che gli alunni con pasti speciali – per i quali pure sussiste un rischio di contaminazione – pranzino insieme agli altri.

Inoltre si raccomanda gli Uffici Regionali di mantenere un confronto costante con le istituzioni scolastiche affinché “nella gestione dell’erogazione del servizio … non si discostino dalle pronunce della Magistratura, così da escludere ogni responsabilità individuale” e sia favorita l’interlocuzione con le famiglie, raccogliendone “segnalazioni e richieste al fine di contemperare le opposte esigenze di tutte le alunne e gli alunni”.

Insomma pare legittimo concludere che l’indicazione fornita dagli uffici ministeriali sia di concedere il pasto domestico evitando ulteriore contenzioso.

Doppio punteggio in scuole di montagna

Doppio punteggio in scuole di montagna e legittimazione dell’istituto

di Cinzia Olivieri

La sentenza n. 472/2016, emessa dal Tribunale Ordinario di Lucca Sezione Lavoro, pronuncia in merito all’attribuzione del doppio punteggio per il servizio prestato in scuole situate in zone di montagna ed interviene anche in merito alla legittimazione dell’istituto scolastico nel giudizio.

Oggetto della controversia è la richiesta di riconoscimento del doppio punteggio ai fini della graduatoria di II fascia per il triennio 2014/2017, per il servizio prestato dall’a.a. 2006/2007 all’a.a. 2013/2014, secondo parte ricorrente dovuto in caso di servizio prestato in una pluriclasse in scuole situate in zone di montagna.

A tal proposito, la nota dell’UST Brescia AOO USPBS R.U. 8391 del 29 maggio 2014 avente ad oggetto: Scuole di montagna ha precisato che la L. 90/1957 aveva previsto benefici a favore dei docenti in servizio nelle sedi di montagna in presenza dei seguenti requisiti:

– plessi scolastici ubicati in comuni considerati montani ai sensi della Legge 657/1957

scuole pluriclassi con non più di due insegnanti.

Ai sensi dell’art. 2 della L. 90/1957 spettava ai consigli scolastici provinciali stilare un elenco (rivedibile ogni tre anni) delle scuole pluriclassi con uno o due insegnanti poste nei comuni considerati sedi disagiate di montagna.

Ma con l’avvento dell’autonomia gli organi collegiali territoriali (ed i consigli scolastici) hanno finito per essere esautorati dei propri poteri, tanto che la nota citata evidenzia come l’ultimo elenco di riferimento risalga al triennio 1996/1999 mentre dall’anno scolastico 1999/2000 nella scuola primaria è in vigore l’organico funzionale e l’assegnazione al plesso di servizio compete al Dirigente Scolastico.

Inoltre, rileva sempre l’UST Brescia, con l’introduzione dei docenti specialisti di lingua inglese e di religione cattolica, difficilmente in un plesso possono risultare in servizio solo due insegnanti, anche nel caso di pluriclasse unica. Per l’effetto l’Ufficio rende noto, invitando i dirigenti ad attenersi alle indicazioni, che, “in mancanza di dichiarazioni da parte dei Dirigenti scolastici relative alla presenza di soli due docenti nelle sedi disagiate di cui sopra, a partire dalle operazioni di mobilità relative all’a.s. 2013/2014” non avrebbe più valutato “il doppio punteggio per il servizio ivi prestato a partire dall’a.s. 1999/20002.

La sentenza in questione invece analizza la questione da altra prospettiva ed evidenzia che la L. 90/1957 è comunque stata abrogata dal Dlgs 13 dicembre 2010, n. 212 (allegato 1 parte 52).

Con riferimento al periodo precedente, il Tribunale di Lucca ha rilevato che la tabella allegata al d.l. 97/04 (conv. in l. 143/04) al punto B.3, lett. h) aveva previsto la valutazione in misura doppia per il servizio prestato nelle scuole di montagna con le caratteristiche di cui alla L. 90/1957. La Corte Costituzionale, con sentenza n.11/2007 (giudizio promosso con ordinanza n. 2 del 10 gennaio 2006 del Tar Sicilia) ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della summenzionata disposizione “nella parte in cui, con riferimento ai comuni di montagna, non limita l’attribuzione del doppio punteggio alle scuole pluriclasse“. Tuttavia, già prima di tale pronuncia la l. 296/06 il cui art. 1, comma 605, oltre a trasformare le graduatorie permanenti in graduatorie ad esaurimento, aveva abrogato con decorrenza 1° settembre 2007 la disposizione citata. Pertanto il doppio punteggio non è attribuibile già a partire dall’anno scolastico 2007/2008, in quanto non previsto da alcuna disposizione di legge.

Né ha valore (a seguito dell’abrogazione, nel 2010, della L. 90/1957) il disposto dell’art. 9 co. 17 l. 70/11 (conv. in l. 106/11) che ricalca la dizione dell’ art. 3 della L. 90/1957 circa il riconoscimento di una speciale valutazione per il servizio prestato in zone disagiate giacché si tratta di una prescrizione generale necessitante di specifica attuazione (come per il d.l. 97/04) non potendosi ritenere che, per il solo fatto che sia stata prevista una speciale valutazione, la stessa debba essere quantificata nel doppio del punteggio ordinariamente attribuito, posto che ciò determinerebbe un’inammissibile automatica reviviscenza di una disposizione espressamente abrogata. Quanto al servizio prestato nell’a.a. 2006/2007, in vigenza della L. 90/1957, cui la citata lettera h) (anch’essa vigente) fa espresso rinvio, i benefici sono collegati alla docenza in scuole pluriclassi, situate in comuni di montagna, con uno o due insegnanti (ma nel caso di specie è emerso che gli insegnanti erano più di due, con conseguente rigetto).

Il Tribunale di Lucca ha poi contestato l’irritualità della costituzione dell’Istituto in quanto soggetto non dotato di legittimazione passiva e dichiarandone il difetto, essendo “mera articolazione periferica dell’amministrazione centrale (MIUR), esclusiva titolare della qualità di datore di lavoro”.

Occorre premettere a tal proposito che, ai sensi dell’art. 417 bis c.p.c. comma 1 “Nelle controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui al quinto comma dell’articolo 413, limitatamente al giudizio di primo grado le amministrazioni stesse possono stare in giudizio avvalendosi direttamente di propri dipendenti”, salvo che l’Avvocatura territorialmente competente, in considerazione dell’oggetto o del valore della controversia non decida di assumere direttamente la trattazione della causa dandone comunicazione ai competenti uffici dell’amministrazione interessata.

Pertanto, in genere l’Avvocatura dello Stato trasmette gli atti agli uffici (Ufficio scolastico Regionale, Provinciale e Scuola dove il rapporto di lavoro di lavoro si svolge) affinché provvedano a conferire formale incarico scritto al funzionario (sovente lo stesso dirigente scolastico) il quale provvede ad eleggere domicilio presso il proprio ufficio e presenzia all’udienza. Per l’effetto occorre che il dirigente, laddove appunto funzionario delegato, si costituisca anche per gli Uffici territoriali competenti.

E’ necessario quindi questa doppio passaggio: 1) invito formale dell’Avvocatura rivolto agli Uffici affinché provvedano a designare il funzionario ai sensi dell’art. 417 bis c.p.c.; 2) conferimento di incarico dall’Ufficio territorialmente competente

Il difetto di legittimazione passiva riguarda la chiamata in causa operata dall’istante (vocatio in ius) che si ha allorquando essa venga erroneamente rivolta ad una persona estranea al giudizio.

Nel caso di specie il Tribunale di Lucca ha ritenuto la costituzione dell’Istituto – chiamato in giudizio per aver respinto appunto l’istanza di parte ricorrente al fine del riconoscimento del doppio punteggio – irrituale, trattandosi di soggetto non dotato di legittimazione passiva (…), in quanto mera articolazione periferica dell’amministrazione centrale (MIUR), esclusiva titolare della qualità di datore di lavoro.

La famiglia tra definizioni e descrizioni

La famiglia tra definizioni e descrizioni

di Margherita Marzario

Abstract: L’Autrice ci offre una pagina di sociologia giuridica con l’intento di riaffermare la vitalità della famiglia

 

“Nonostante la famiglia sia un’istituzione sociale pressoché universale, non è facile identificare quali siano le proprietà che universalmente caratterizzano la famiglia e soltanto essa. Le varie definizioni che sono state proposte sono insoddisfacenti per una ragione o per l’altra”: quello che scriveva il sociologo Alessandro Cavalli negli anni ’70 vale ancor di più nel XXI secolo.

Lo psicologo Pasquale Borsellino, ai giorni nostri, risponde alle perplessità passate e presenti sulla famiglia: “Eppure, nonostante le sue fragilità, la famiglia rimane l’unica ancora di salvezza, l’unica strada attraverso la quale sprigionare buone pratiche, perché è il luogo degli affetti, delle relazioni, della crescita e dell’integrazione del maschile e del femminile, nonché il luogo in cui si esprimono responsabilità riconosciute e condivise e in cui le generazioni possono stabilire rapporti di reciprocità. La famiglia può essere un sistema auto generativo, ovvero capace di mettere a disposizione la propria energia e le proprie competenze per la crescita dei figli, per la loro educazione e per la crescita della coppia genitoriale (generatività familiare), per la cura e l’investimento nei legami e nei rapporti sociali (generatività sociale) e infine per la comunità all’interno della quale è inserita (generatività comunitaria)”. La famiglia, “cellula fondamentale della società” (Parte I n. 16 Carta sociale europea riveduta nel 1996): “cellula” (diminutivo di “cella”), etimologicamente significa “stanza, nido, luogo dove si nasconde”. È questa la natura che contraddistingue la famiglia e che la famiglia dovrebbe recuperare.

Il sociologo Francesco Belletti[1] aggiunge: “In effetti la famiglia è oggettivamente una risorsa insostituibile per la società, ma la società non se ne accorge e forse non vuole nemmeno farlo. […] Si parla troppo di famiglia tradizionale come se fosse un residuo del passato e il futuro fosse nelle famiglie “allargate”, ricomposte, divise e rimesse insieme, ma oggi la vera rivoluzione è quella di chi ancora crede che fare famiglia sia un progetto stabile di dono reciproco. I veri rivoluzionari sono quelli che resistono. […] È un’urgenza l’idea stessa di persona che oggi viene strumentalizzata per i desideri dell’individuo. Mi preoccupa la prospettiva dei bambini costruiti in provetta, la dimenticanza del diritto dei figli ad avere un papà e una mamma, l’idea stessa che il maschile e il femminile siano una scelta della persona e non la differenza che genera l’umanità. […] Un’altra sfida radicale è che la società sostenga la famiglia anziché spremerla come un limone. Troppe volte si dice che la famiglia è il potente ammortizzatore sociale del Paese, ma così le famiglie, anziché sostenute, vengono sfruttate e schiacciate dai propri bisogni. Un’altra urgenza riguarda invece l’educazione delle famiglie a diventare soggetto sociale […]. Accogliere i percorsi accidentati significa riaffermare la bellezza della famiglia e richiamare tutti all’ideale alto. Non si tratta della famiglia del Mulino Bianco, ma di riconoscere che anche le storie famigliari più solide possono attraversare crisi, fatiche e difficoltà”. Nell’art. 16 par. 3 Dichiarazione Universale dei Diritti Umani si legge: “La famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto a essere protetta dalla società e dallo Stato”.

Etimologicamente “nucleo” deriva da “noce”, “tenere, tenere insieme, aggruppare”: la famiglia è dove nasce e si crea quello che e sarà la persona. “Ogni nato è a suo modo speciale – dice il bioeticista Paolo Marino Cattorini –, è «indaco», ha un colore miracoloso e un potenziale di sviluppo creativo che vanno difesi dalle contaminazioni di una società omologante e di un’ecologia intossicata”. Nel paragrafo “Creare ambienti favorevoli” della Carta di Ottawa per la promozione della salute del 1986 vi è scritto: “Gli inestricabili legami che esistono tra le persone e il loro ambiente costituiscono la base per un approccio socio-ecologico alla salute”. Il primo ambiente socio-ecologico è la famiglia, tanto che si parla sempre più frequentemente di “ecologia familiare”. Ricordando che “eco-“ deriva dal greco “oikia, oikos” che significa casa, come l’ebraico “baith” (che diventa “beth” in unione con un’altra parola): entrambi i termini, quello greco e quello ebraico, possono essere usati per indicare la famiglia o il gruppo familiare, proprio perché casa e famiglia s’identificano come punto di riferimento nella vita di ognuno, in cui ritrovare sicurezza e riservatezza.

Il teologo e scrittore gesuita Antonio Spadaro afferma: “La famiglia è un viaggio impegnativo, come lo è tutta la vita, del resto. E sono incalcolabili la forza, la carica di umanità in essa contenute: l’aiuto reciproco, le relazioni che crescono con il crescere delle persone, la generatività, l’accompagnamento educativo, la condivisione delle gioie e delle difficoltà. La famiglia è il luogo in cui si vive la «gioia dell’amore»”. Come recita il Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia: “Convinti che la famiglia, quale nucleo fondamentale della società e quale ambiente naturale per la crescita ed il benessere di tutti i suoi membri ed in particolare dei fanciulli debba ricevere l’assistenza e la protezione necessarie per assumere pienamente le sue responsabilità all’interno della comunità”.

Lo psicologo e psicoterapeuta Fabrizio Fantoni precisa: “È incomprensibile la cieca intensità di un sentimento, che è difficile chiamare amore. Un legame inquieto e combattuto che non trova pace e serenità. […] La molla di questo sentimento è l’onnipotenza, cioè l’idea di poter modificare un’altra persona attraverso la dedizione costante e il sacrificio di sé. Un pensiero illusorio, perché nessuno può cambiare nessuno: né il genitore cambia il figlio, né il marito la moglie, o viceversa, né il maestro l’allievo o il terapeuta il paziente. Anche perché nessuno può arrogarsi questo diritto. Semmai nelle relazioni ci si modifica reciprocamente imparando ad ascoltarsi, rispettarsi e camminare sulla stessa strada. Ma questa è una scoperta che si fa crescendo”. Quel “crescere” (letteralmente “andare formandosi”) che è stato aggiunto nell’art. 315 bis comma 2 cod. civ., dove si dispone: “Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti”. In famiglia si cresce, o si dovrebbe crescere, nell’amore e con amore, in famiglia si pratica, si apprende, si esperisce l’amore, non solo all’inizio ma ad ogni inizio. L’amore, scaturigine di salute e ben-essere, come descritto anche nel paragrafo “Entrare nel futuro” della Carta di Ottawa: “La salute è creata e vissuta dalle persone all’interno degli ambienti organizzativi della vita quotidiana: dove si studia, si lavora, si gioca e si ama. La salute è creata prendendosi cura di se stessi e degli altri, essendo capaci di prendere decisioni e di avere il controllo sulle diverse circostanze della vita, garantendo che la società in cui uno vive sia in grado di creare le condizioni che permettono a tutti i suoi membri di raggiungere la salute”. Formulazione che si addice alla famiglia, al processo di crescita della famiglia e in famiglia.

“[…] si può apprendere un’arte solo nelle botteghe di coloro che con quella si guadagnano la vita” (lo scrittore inglese Samuel Butler). La famiglia è (o dovrebbe tornare ad essere) bottega (etimologicamente da “porre in disparte”) dell’arte di amare, di comunicare, di vivere, senza demandare o domandare continuamente ad altre figure (dallo psicologo all’animatore per le feste): anche questo è il senso della locuzione “società naturale” espressa nell’art. 29 della Costituzione. La famiglia è una società, è società, per cui è inutile lamentarsi e deresponsabilizzarsi addossando tutto ad un’astratta o fantomatica società. La famiglia non deve essere né raccoglitore né inceneritore del mondo circostante, ma motore e propulsore.

Il giornalista Paolo Perazzolo analizza: “Essere genitori non è mai stato facile, ma la sensazione è che, oggi, la sfida di essere padri e madri capaci di crescere i propri figli sia ancora più difficile, ancora più impegnativa. Se non altro per il convergere di due fattori: la rivoluzione tecnologica con l’invasione di telefonini, tablet e Facebook vari da una parte e, dall’altra, il trovarsi immersi in un’epoca nella quale i riferimenti consolidati del passato sono venuti meno (i sociologi la chiamano “società liquida”, a indicare l’infrangersi delle certezze e l’incessante mutamento dei modelli)”. Già nella prima metà del ‘900, Cesare Pavese annotava: “Tutto il problema della vita è questo: come rompere la propria solitudine, come comunicare con l’altro”. La famiglia: dove si rompe la propria solitudine e si comunica con l’altro e non dove ci si chiude nella propria solitudine e si rompe la comunicazione con l’altro. La famiglia di oggi, esasperata da crisi e altri problemi, recuperi questa dimensione che è la sua vera identità e che rimane l’unica risorsa incorruttibile per se stessa e per la società intera. Anche la scrittrice Mariapia Veladiano lancia il suo appello: “L’essenza della paura è la solitudine. Da soli tutto spaventa, quando si è insieme anche le esperienze più tremende possono essere affrontate. “Insieme è nulla la paura”: è un’iperbole, un’esagerazione, che vale solo nel rapporto d’amore più profondo. Ma in misura diversa è sempre un po’ così”. Se si riscoprisse che la famiglia è mettersi a servizio (dal latino “famul, famulus”, servo, servitore; colui che conosce e custodisce tutto in casa), ci sarebbe meno “paura di vivere”, tra l’altro meno casi di depressione, in particolare meno casi di depressione infantile o altre patologie, “riconosciuto che il fanciullo per il pieno ed armonioso sviluppo della sua personalità deve crescere in un ambiente familiare, in un’atmosfera di felicità, amore e comprensione” (dal Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia).

Famiglia: ritrovarsi tutti in quei pochi che contano, raccogliersi attorno allo stesso centro, raccontarsi storie nella stessa intima lingua, vivere i momenti che restano impressi nella ferialità e nelle feste. Come descrive lo scrittore Erri De Luca: «“La doppia vita dei numeri” proviene dalle feste nella mia piccola famiglia d’origine, quando quei pochi c’erano tutti… La sera di capodanno si allestiva la tombola e accadeva il prodigio di estrarre dal canestro dei numeri una folla di storie in una lingua nostra»[2]. Parole che riecheggiano quelle dello scrittore Fulvio Ervas: “[…] una perfetta sintonia, non c’è bisogno di altro, come quando senti l’amore che si diffonde e ha il sapore di un liquido dolce”.

La famiglia nasce da una scelta d’amore e dovrebbe continuare ad essere fonte di amore nella quotidianità, nonostante le difficoltà e proprio nelle difficoltà. Come le crescenti difficoltà relazionali, soprattutto tra affini, tra suocere e nuore, o tra cognati/e. Per esempio “cognato/a”, deriva etimologicamente da “nato insieme”: per cui non sia solo un’etichetta da appiccicare, ma una relazione da edificare e vivificare ricordando che vanno rispettati i diritti relazionali di tutti e in particolare dei bambini.

La famiglia, però, oltre ad essere culla d’amore, è anche stata ed è patologica e patogena, l’ambiente in cui, talvolta più di ogni altro, vengono a mancare il rispetto, lo “sguardo attento”, e l’ascolto, il “silenzio accogliente”. Il filosofo Immanuel Kant metteva in guardia: “La mancanza della vista ti isola dagli oggetti, la mancanza dell’udito ti isola dalle persone”. La mancanza dello sguardo e dell’udito isola nella famiglia, dalla famiglia. La con-divisione familiare da umili “servitori” (secondo l’etimo di famiglia) sia fondamentalmente “pane” (etimologicamente dal verbo “pascere”, “nutrire, dar da mangiare, far crescere, sostenere, proteggere”, come la stessa radice della parola “padre”) da spezzare, perché si mette l’impegno nello spezzarlo e si disperdono le briciole da raccogliere, come briciole d’amore per chi dovesse averne bisogno, perché piccolo o invisibile agli occhi o inudibile alle orecchie, per trascuratezza o stanchezza. La famiglia non può non essere sorgente e scuola di vita.

[1] F. Belletti in “La famiglia costruisce la società. Un valore “aggiunto” per tutti”, San Paolo Edizioni 2015

[2] E. De Luca in “La doppia vita dei numeri”, Feltrinelli 2012

Guide Genitori Studenti e Scuola

a cura di Cinzia Olivieri