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4 giugno Commissione Riforme costituzionali

Il presidente del consiglio presenta l’elenco dei componenti della commissione per le riforme costituzionali che il 6 giugno saranno ricevuti al Quirinale:

  • Michele Ainis – Università Roma 3
  • Augusto Barbera – Università di Bologna
  • Beniamino Caravita di Toritto – Università la Sapienza Roma
  • Lorenza Carlassare – Università di Padova
  • Elisabetta Catelani – Università di Pisa
  • Stefano Ceccanti – Università La Sapienza Roma
  • Ginevra Cerrina Feroni – Università di Firenze
  • Enzo Cheli – Presidente Emerito Corte Costituzionale
  • Mario Chiti – Università di Firenze
  • Pietro Ciarlo – Università di Cagliari
  • Francesco Clementi – Università di Perugia
  • Francesco D’Onofrio – Università La Sapienza Roma
  • Giuseppe de Vergottini – Università di Bologna
  • Giuseppe Di Federico – Università di Bologna
  • Mario Dogliani – Università di Torino
  • Giandomenico Falcon – Università di Trento
  • Franco Frattini – Presidente Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale
  • Maria Cristina Grisolia – Università di Firenze
  • Massimo Luciani – Università La Sapienza Roma
  • Stefano Mannoni – Università di Firenze
  • Cesare Mirabelli – Presidente Emerito Corte Costituzionale
  • Anna Moscarini – Università della Tuscia
  • Ida Nicotra – Università di Catania
  • Marco Olivetti – Università di Foggia
  • Valerio Onida – Presidente Emerito Corte Costituzionale
  • Angelo Panebianco – Università di Bologna
  • Giovanni Pitruzzella – Università di Palermo
  • Anna Maria Poggi – Università di Torino
  • Carmela Salazar –Università di Reggio Calabria
  • Guido Tabellini – Università Bocconi di Milano
  • Nadia Urbinati – Columbia University
  • Luciano Vandelli – Università di Bologna
  • Luciano Violante – Università di Camerino
  • Lorenza Violini – Università di Milano
  • Nicolò Zanon – Università di Milano

7 maggio Inizio della XVII Legislatura

Il 7 maggio si sono riunite le Commissioni permanenti per l’elezione dei rispettivi Uffici di Presidenza. Nelle settime Commissioni sono eletti presidenti Andrea Marcucci al Senato, e Giancarlo Galan alla Camera.
Questa la composizione:

7a Commissione Senato (Istruzione pubblica, beni culturali, ricerca scientifica, spettacolo e sport)
ANITORI Fabiola, BOCCHINO Fabrizio, BONAIUTI Paolo, CENTINAIO Gian Marco, DI GIORGI Rosa Maria, FERRARA Elena (in sostituzione del Ministro IDEM Josefa), GIANNINI Stefania, GIRO Francesco Maria, LIUZZI Pietro, MARCUCCI Andrea, MARIN Marco, MARTINI Claudio, MAZZONI Riccardo, MINEO Corradino, MONTEVECCHI Michela, NENCINI Riccardo, PETRAGLIA Alessia, PUGLISI Francesca, SCAVONE Antonio Fabio Maria, SERRA Manuela, SIBILIA Cosimo, TOCCI Walter, VILLARI Riccardo, ZAVOLI Sergio

7a Commissione Camera (Cultura, Scienza, Istruzione)
ASCANI Anna, BATTELLI Sergio, BLAZINA Tamara, BONAFE’ Simona, BOSSA Luisa, BRESCIA Giuseppe, BUONANNO Gianluca, CAPUA Ilaria, CAROCCI Mara, CENTEMERO Elena, COCCIA Laura, COSCIA Maria, COSTANTINO Celeste, DI BENEDETTO Chiara, DI LELLO Marco, D’OTTAVIO Umberto, D’UVA Francesco, FRATOIANNI Nicola, GALAN Giancarlo, GALLO Luigi, GHIZZONI Manuela, GIORDANO Giancarlo, LA MARCA Francesca, LAINATI Giorgio, LONGO Piero, MALISANI Gianna, MALPEZZI Simona Flavia, MANZI Irene, MARZANA Maria, MOLEA Bruno, NARDUOLO Giulia, ORFINI Matteo, PALMIERI Antonio, PES Caterina, PETRENGA Giovanna, PICCOLI NARDELLI Flavia, RACITI Fausto, RAMPI Roberto, ROCCHI Maria Grazia, SANTERINI Milena, VACCA Gianluca, VALENTE Simone, VEZZALI Maria Valentina, ZAMPA Sandra

Il 4 maggio il presidente del consiglio comunica che al sottosegretario alla presidenza del consiglio Michaela Biancofiore non verranno assegnati compiti nell’ambito delle deleghe per le Pari opportunità, lo sport e le politiche giovanili, bensì compiti nell’ambito delle deleghe per la Pubblica amministrazione e la semplificazione.

Il 3 maggio il presidente del Consiglio nomina Roberto Garofoli nuovo segretario generale della presidenza del Consiglio in sostituzione di Manlio Strano.

Il 2 maggio il Consiglio dei Ministri ha nominato 40 Sottosegretari, dieci dei quali assumono le funzioni di Viceministro.

Di seguito l’elenco dei nuovi Viceministri e Sottosegretari.

Presidenza del Consiglio

  • Giovanni Legnini (Editoria e Attuazione Programma)
  • Sesa Amici (Rapporti con il Parlamento e coordinamento attività di Governo)
  • Sabrina De Camillis (Rapporti con il Parlamento e coord. attività Governo)
  • Walter Ferrazza (Affari Regionali e Autonomie)
  • Micaela Biancofiore (Pari Opportunità)
  • Gianfranco Miccichè (Pubblica Amministrazione e Semplificazione)

Interno

  • Filippo Bubbico (Viceministro)
  • Domenico Manzione
  • Giampiero Bocci

Affari Esteri

  • Lapo Pistelli (Viceministro)
  • Bruno Archi (Viceministro)
  • Marta Dassù (Viceministro)
  • Mario Giro

Giustizia

  • Giuseppe Beretta
  • Cosimo Ferri

Difesa

  • Roberta Pinotti
  • Gioacchino Alfano

Economia e Finanze

  • Stefano Fassina (Viceministro)
  • Luigi Casero (Viceministro)
  • Pierpaolo Baretta
  • Alberto Giorgetti

Sviluppo Economico

  • Carlo Calenda (Viceministro)
  • Antonio Catricalà (Viceministro)
  • Simona Vicari
  • Claudio De Vincenti

Infrastrutture e Trasporti

  • Vincenzo De Luca (Viceministro)
  • Erasmo De Angelis
  • Rocco Girlanda

Politiche Agricole Forestali e Alimentari

  • Maurizio Martina
  • Giuseppe Castiglione

Ambiente, Tutela del territorio e del mare

  • Marco Flavio Cirillo

Lavoro e Politiche Sociali

  • Cecilia Guerra (Viceministro)
  • Jole Santelli
  • Carlo Dell’Aringa

Beni, Attività culturali e turismo

  • Simonetta Giordani
  • Ilaria Borletti Buitoni

Salute

  • Paolo Fadda

Istruzione, Università e Ricerca

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  • Gabriele Toccafondi
  • Marco Rossi Doria
  • Gianluca Galletti

Completata la “squadra” del MIUR

Il Consiglio dei ministri di giovedì 2 maggio ha completato la formazione del nuovo Governo nominando 40 nuovi Viceministri e Sottosegretari.
Al MIUR arrivano i Sottosegretari Gabriele Toccafondi, Marco Rossi Doria e Gianluca Galletti.
Toccafondi (Firenze, 15 aprile 1972), laureato in scienze politiche, è un dirigente di cooperativa. Eletto deputato con il Popolo delle Libertà nel 2008.
Rossi Doria (Napoli, 19 marzo 1954), già sottosegretario all’istruzione nel precedente Esecutivo, è laureato in Scienze dell’educazione ed è insegnante, maestro di strada e cofondatore del progetto Chance.
Galletti (Bologna, 15 luglio 1961), laurea in Economia e Commercio, è un politico dell’Udc, di cui è capogruppo presso la Camera dei Deputati.
A loro il ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Maria Chiara Carrozza dà il più sincero benvenuto, augurando a tutti buon lavoro.

Il 30 aprile il Senato esprime il voto di fiducia al Governo con 233 voti favorevoli, 59 contrari e 18 astenuti.

Il 29 aprile il nuovo esecutivo ottiene la fiducia dalla Camera con 453 voti a favore, 153 contrari e 17 astenuti.
Di seguito il discorso del Presidente del Consiglio dei Ministri:

(Camera, 29 aprile 2013) Signora Presidente,  Onorevoli Deputati,
appena una settimana fa il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, pronunciava il suo discorso di insediamento alla Presidenza della Repubblica. A lui consentitemi di rivolgere nuovamente un sincero ringraziamento per lo straordinario spirito di dedizione alla nostra comunità nazionale con il quale ha accettato la rielezione per il secondo mandato.

Voglio inoltre ringraziare i Presidente del Senato, Pietro  Grasso, e della Camera, Laura Boldrini, per la collaborazione offerta nella fase di consultazione in questo primissimo avvio dell’esperienza di governo.

Quella del presidente Napolitano è stata – lo sappiamo – una «scelta eccezionale». Eccezionale perché tale è il momento che l’Italia e l’Europa si trovano a vivere oggi. Di fronte all’emergenza il presidente della Repubblica ci ha invitato a parlare il linguaggio della verità. Ci ha chiesto di offrire in extremis, al Paese e al mondo, una testimonianza di volontà di servizio e senso di responsabilità. Ci ha concesso un’ultima opportunità. L’opportunità di dimostrarci degni del ruolo che la Costituzione ci riconosce come rappresentanti della nazione. Degni di servire il Paese – attraverso l’esempio, il rigore, le competenze – in una delle stagioni più complesse e dolorose della storia unitaria.

Accogliendo il suo appello  intendo rivolgermi a voi proprio con il linguaggio “sovversivo” della verità. Confessandovi che avverto, fortissimi in questo momento la consapevolezza dei miei limiti e il peso della mia personale responsabilità, ma impegnandomi a fare di tutto affinché le mie spalle siano larghe e solide al punto da reggere, nelle vesti di presidente del Consiglio di un Governo che richiede, qui e oggi, la fiducia del Parlamento.

Infine, non potrei iniziare questo discorso, in un passaggio cosi impegnativo, senza un accenno personale ed esprimere un senso di gratitudine profonda verso chi con generosità e senso antico della parola “lealtà” mi sostiene anche in questo difficile passaggio: Pierluigi Bersani.

UN GOVERNO AL SERVIZIO DELL’ITALIA E DELL’EUROPA
La prima verità è che la situazione economica dell’Italia è ancora grave. Abbiamo accumulato in passato un debito pubblico che grava come una macina sulle generazioni presenti e future, e che rischia di schiacciare per sempre le prospettive economiche del Paese. Il grande sforzo di risanamento compiuto dal precedente Governo, guidato dal senatore Mario Monti, è stato premessa della crescita in quanto la disciplina della finanza pubblica era e resta indispensabile per contenere i tassi di interesse e sventare possibili attacchi finanziari. Il mantenimento degli impegni presi con il Documento di Economia e Finanza è necessario ad uscire, quanto prima, dalla procedura di disavanzo eccessivo e per recuperare margini di manovra all’interno dei vincoli europei. Nelle sedi europee e internazionali l’Italia si impegnerà poi per individuare strategie per ravvivare la crescita senza compromettere il processo di risanamento della finanza pubblica.

L’ Europa è in crisi di legittimità ed efficacia proprio quando tutti i Paesi membri e tutti i cittadini ne hanno più bisogno. L’Europa può tornare ad essere motore di sviluppo sostenibile – e quindi di speranza e di costruzione di futuro – solo se finalmente si apre. Il destino di tutto il continente è strettamente legato. Non ci possono essere vincitori e vinti se l’Europa fallisce questa prova. Saremmo tutti perdenti: sia nel Sud che nel Nord del continente.

E’ per questo che se otterrò la vostra fiducia, immediatamente visiterò in un unico viaggio Bruxelles, Berlino e Parigi per dare subito il segno che il nostro è un governo europeo ed europeista.

La risposta, dunque, è una maggiore integrazione verso un’Europa Federale. Altrimenti il costo della non-Europa, il peso della mancata integrazione, il rischio di un’unione monetaria senza unione politica e unione bancaria diventeranno insostenibili: come la crisi di questi cinque anni ci ha mostrato. Questo Parlamento ha già dimostrato di poter trovare intese per dare all’Europa un contributo italiano innovativo. Questo è avvenuto nel sostegno all’azione europea del governo Monti e nell’elaborazione di posizioni comuni come quella elaborata dai colleghi Baretta, Brunetta e Occhiuto in vista del Consiglio Europeo del Giugno scorso. Da quelle premesse politiche ripartiremo.

Le premesse macroeconomiche sono quelle dell’Euro e della Banca Centrale Europea guidata da Mario Draghi.

LE RISORSE PER LA CRESCITA: GIOVANI E TERRITORIO

Di solo risanamento l’Italia muore. Dopo più di un decennio senza crescita le politiche per la ripresa non possono più attendere. Semplicemente: non c’è più tempo. Tanti cittadini e troppe famiglie sono in preda alla disperazione e allo scoramento. Pensiamo alla vulnerabilità individuale che nel disagio e nel vuoto di speranze rischia, di tramutarsi in rabbia e in conflitto, come ci ricorda lo sconcertante fatto avvenuto ieri stesso dinanzi a Palazzo Chigi. Ieri andando a visitare in ospedale il Brgadiere Giangrande ferito gravemente insieme al Carabiniere Scelto Negri, sono stato impressionato dalla forza e dalla fermezza della figlia Martina. Il Parlamento deve stringersi a lei in questo momento. E il Parlamento deve stringersi anche all’Arma dei Carabinieri e a tutte le forze dell’ordine per il servizio continuo, silenzioso, encomiabile, spesso in condizioni disagiate, svolto nell’interesse della nazione in Italia e all’este3ro.

Senza crescita e coesione l’Italia è perduta. Il Paese, invece, può farcela. Ma per farcela deve ripartire. E per ripartire tutti devono essere motori di questa nuova energia positiva. L’architrave dell’esecutivo sarà l’impegno a essere seri e credibili sul risanamento e la tenuta dei conti pubblici. Basta coi debiti che troppe volte il nostro Paese ha scaricato sulle spalle e la vita delle generazioni successive. Quelle nuove, di generazioni, hanno imparato sulla propria pelle e non faranno lo stesso con i propri figli.

Ecco perché la riduzione fiscale senza indebitamento sarà un obiettivo continuo e a tutto campo. Anzitutto, quindi, ridurre le tasse sul lavoro, in particolare su quello stabile e quello per i giovani neo assunti. Poi una politica fiscale della casa che limiti gli effetti recessivi in un settore strategico come quello dell’edilizia, con includere incentivi per ristrutturazioni ecologiche e affitti e mutui agevolati per giovani coppie. E poi bisogna superare l’attuale sistema di tassazione della prima casa: intanto con lo stop ai pagamenti di giugno per dare il tempo a Governo e Parlamento di elaborare insieme e applicare rapidamente una riforma complessiva che dia ossigeno alle famiglie, soprattutto quelle meno abbienti.

Misure ulteriori dovrebbero essere il pagamento di parte dei debiti delle Amministrazioni pubbliche; l’allentamento del Patto di stabilità interno; la rinuncia all’inasprimento dell’IVA; l’aumento delle dotazioni del Fondo Centrale di Garanzie per le piccole e medie imprese e del Fondo di Solidarietà per i mutui. Ma questi provvedimenti – sebbene necessari nel breve termine – non sono sufficienti.

La crescita economica di un paese richiede una strategia complessa, che eviti dispersione a pioggia delle poche risorse e che possa innescare meccanismi virtuosi. Per questo è necessario una sintonia tra le azioni del Governo e quelle delle banche e delle imprese, che debbono essere mirate ad una crescita di lungo periodo degli attori economici per superare gli annosi ritardi dell’Italia in termini di crescita della produttività e della competitività. Il Governo deve accompagnare questa crescita e rimanere a fianco delle imprese anche e soprattutto quando queste si impegnano all’estero nell’arena globale.

Un importante argomento di contesto concerne la giustizia, in quanto solo con la certezza del diritto gli investimenti possono prosperare. Questo riguarda la moralizzazione della vita pubblica e la lotta alla corruzione, che distorce regole e incentivi. Questo riguarda anche la giustizia nel suo complesso. La giustizia deve essere giustizia innanzitutto per i cittadini. La ripresa ritornerà anche se i cittadini e gli imprenditori italiani e stranieri  saranno convinti di potersi rimettere con fiducia ai tempi e al merito delle decisioni della giustizia italiana. E tutto questo funzionerà se la smetteremo di avere una situazione carceraria intollerabile ed eccessi di condanne da parte della Corte dei diritti dell’uomo. Ricordiamoci sempre che siamo il paese di Cesare Beccaria!

Dobbiamo liberare le energie migliori del Paese. Non partiamo da zero, ma da due grandi risorse. Prima di tutto, i giovani. “Scommettete su cose grandi” ha detto proprio ieri Papa Francesco rivolto a loro. E noi abbiamo gli strumenti per aiutarli. Quello generazionale non è certo solo un tema attinente al rinnovamento della classe dirigente, come troppo spesso emerge nel dibattito pubblico. È una questione drammatica che scontano sulla propria pelle milioni di giovani. Segnala bassi tassi di istruzione e di occupazione, porta con sé lo sconforto, e anche la rabbia, di chi non studia né lavora. Chiediamoci quanti bambini non nascono ogni anno, in Italia, per la precarietà che limita le scelte delle famiglie giovani. Non è solo demografia, è una ferita morale. Perché non devono esistere generazioni perdute, perché solo i giovani possono ricostruire questo Paese: le loro nuove esperienze e competenze ci raccontano un mondo che cambia, il loro mondo. Rinunciare ad investire su di loro è un suicidio economico. Ed è la certezza di decrescita, la più infelice.

Semplificheremo e rafforzeremo l’apprendistato, che ha dato buoni risultati in paesi vicini. Un aiuto può venire da modifiche alla legge 92/2012, quali suggerite dalla Commissione dei saggi istituita dal presidente della Repubblica, che riducano le restrizioni al contratto a termine, finché dura l’emergenza economica. Aiuteremo le imprese ad assumere giovani a tempo indeterminato, con defiscalizzazioni o con sostegni ai lavoratori con bassi salari, condizionati all’occupazione, in una politica generale di riduzione del costo del lavoro e del peso fiscale. Non bastano incentivi monetari. Occorre prendersi cura dei giovani, volgendo il disagio in speranza, puntando su orientamento e stimolo all’imprenditorialità. E occorre percorrere la strada europea tracciata dal programma Youth guarantee, per garantire effettivi sbocchi occupazionali.

Bisogna fare tesoro della voglia di fare dei nuovi italiani, così come bisogna valorizzare gli italiani all’estero. La nomina di Cecile Kyenge significa una nuova concezione di confine, da barriera a speranza, da limite invalicabile a ponte tra comunità diverse.

La società della conoscenza e dell’integrazione si costruisce sui banchi di scuola e nelle università. Dobbiamo ridare entusiasmo e mezzi idonei agli educatori che in tante classi volgono il disagio in speranza e dobbiamo ridurre il ritardo rispetto all’Europa nelle percentuali di laureati e nella dispersione scolastica. In Italia c’è una nuova questione sociale, segnata dall’aumento delle disuguaglianze. Solo il 10% dei giovani italiani con il padre non diplomato riesce a laurearsi, mentre sono il 40% in Gran Bretagna, il 35% in Francia, il 33% in Spagna. Bisogna finalmente dare piena attuazione all’art. 34 della Costituzione, per il quale «i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi». L’uguaglianza più piena e destinata a durare nelle generazioni è oggi più che mai l’uguaglianza delle opportunità.

Per rilanciare il futuro industriale del Paese, bisogna scommettere sullo spirito imprenditoriale e innovare e investire in ricerca e sviluppo. Per questo intendiamo lanciare un grande piano pluriennale per l’innovazione e la ricerca, finanziato tramite project bonds. La ricerca italiana può e deve rinascere nei nuovi settori di sviluppo, come ad esempio l’agenda digitale, lo sviluppo verde, le nanotecnologie, l’aerospaziale, il biomedicale. Si tratta di fare una politica industriale moderna, che valorizzi i grandi attori ma anche e soprattutto le piccole e medie imprese che sono e rimarranno il vero motore dello sviluppo italiano. Oltre all’alta tecnologia bisogna investire su ambiente ed energia. Le nuove tecnologie – fonti rinnovabili ed efficienza energetica – vanno maggiormente integrate nel contesto esistente, migliorando la selettività degli strumenti esistenti di incentivazione, in un’ottica organica con visione di medio e lungo periodo. Sempre con riguardo ai settori energetici, va completato il processo di integrazione con i mercati geografici dei Paesi europei confinanti. Questo implica, per l’energia elettrica, il completamento del cosiddetto market coupling e, per il gas, il completo riallineamento dei nostri prezzi con quelli europei e la trasformazione del nostro Paese in un hub.E’ chiaro che episodi come quello dell’ILVA di Taranto non sono più tollerabili.

Tutta l’impresa italiana, per crescere, ha bisogno di più semplicità, di un’alleanza tra la pubblica amministrazione e la società, senza tollerare le sacche di privilegio. La burocrazia non deve opprimere la voglia creativa degli italiani ed è per questo che bisognerà rivedere l’intero sistema delle autorizzazioni. Bisogna snellire le procedure e avere fiducia in chi ha voglia di investire, creare, offrire posti di lavoro.

Non si possono più chiedere sacrifici sempre e soltanto ai «soliti noti». I sacrifici sono socialmente sostenibili solo se sono ispirati ad un principio di equità. Questo significa coniugare una ferrea lotta all’evasione con un fisco amico dei cittadini, senza che la parola Equitalia debba provocare dei brividi quando viene evocata.

L’altra grande risorsa è l’Italia stessa. Bellezza senza navigatore. La nostra tendenza all’autocommiserazione è pari solo all’ammirazione che l’Italia suscita all’estero. Molti stranieri vogliono bagnarsi nei nostri mari, visitare le nostre città, mangiare e vestire italiano. L’Italia e il made in Italy sono le nostre migliori ricchezze. E’ per questo che uno dei primi atti del Governo sarà quello di nominare il Commissario unico per l’Expo, una grande occasione che non dobbiamo mancare. A questo fine nei prossimi giorni sarò a Milano a presentare il decreto per partire per  l’ultimo miglio di questo evento strategico.

Per questo dobbiamo rilanciare il turismo e, soprattutto, attrarre investimenti. Rimuoviamo quegli ostacoli che fanno sì che l’Italia per molti non sia una scelta di vita. Questo significa puntare sulla cultura, motore e moltiplicatore dello sviluppo, o sulle straordinarie realtà dell’agro-alimentare. Questo significa valorizzare e custodire l’ambiente, il paesaggio, l’arte, l’architettura, le eccellenze enogastronomiche, le infrastrutture stradali, ferroviarie, portuali e aeroportuali.

Questo vuol dire anche valorizzare il nostro grande patrimonio sportivo. La pratica dello sport significa prevenzione dalle malattie, lotta contro l’obesità, formazione a stili di vita sani, lealtà e rispetto delle regole. Dobbiamo impegnarci per diffondere la pratica sportiva sin dalle scuole elementari con un piano di edilizia scolastica su tutto il territorio nazionale.

L’intraprendenza dei giovani e la bellezza dei territori sono d’altra parte due risorse cruciali per il Mezzogiorno. In entrambi i casi un patrimonio dissipato, un giacimento inutilizzato di potenzialità. Dobbiamo mettere in condizione il Sud di crescere da solo, annullando i divari infrastrutturali e di ordine pubblico che l’hanno frenato, puntando sulle nuove imprese, in particolare le industrie culturali e creative, e sulla buona gestione dei fondi europei, come quella che ha caratterizzato l’operato del governo Monti.
Dobbiamo, soprattutto, evitare di continuare a mettere la testa sotto la sabbia come struzzi e riconoscere che il divario tra Nord e Sud del Paese è non un accidente storico o una condanna, ma il prodotto di decenni di inadempienze da parte delle classi dirigenti, a livello nazionale come a livello locale. E’ il risultato dell’azione della criminalità organizzata che, certo presente anche nel resto del Paese – in larghe parti del Mezzogiorno ha i connotati del controllo arrogante e quasi militare del territorio. E questo nonostante lo spirito di servizio e il sacrificio di tanti servitori dello Stato – magistrati ed esponenti delle forze dell’ordine anzitutto – che troppo spesso abbiamo avuto la responsabilità di lasciare soli. Anche per questo dobbiamo dare effettiva concretezza al valore della specificità della professione svolta dal personale in divisa delle Forze Armate e della Polizia.

PRIORITA’ LAVORO

Ma permettetemi di soffermarmi un attimo sulla grande tragedia di questi tempi che d’altronde al Sud tocca punte di desolazione e allarme sociale: la questione del lavoro. È e sarà la prima priorità del mio governo. Solo col lavoro si può uscire da quest’incubo di impoverimento e imboccare la via di una crescita non fine a se stessa, ma volta a superare le ingiustizie e riportare dignità e benessere. Senza crescita, anche gli interventi di urgenza su cui ci siamo impegnati e che qui ribadisco – rifinanziamento delle casse integrazioni in deroga, superamento del precariato anche nella pubblica amministrazione – sarebbero insufficienti. In particolare, con i lavoratori esodati la comunità nazionale ha rotto un patto, e la soluzione strutturale di questo tema è un impegno prioritario di questo Governo.

Mai come oggi occorre fiducia reciproca: imprese e lavoratori devono agire insieme e superare le contrapposizioni che in passato ci hanno frenato. Sono sicuro che come in tanti momenti critici della vita della Repubblica i sindacati saranno protagonisti. Il governo vuole aprire la strada con proposte che approfondiremo insieme: ampliare gli incentivi fiscali a chi investe in innovazione, sostenere l’aggregazione e internazionalizzazione delle PMI, dare più credito a chi lo merita, garantire il pagamento dei debiti alle imprese, semplificare e rimuovere gli ostacoli burocratici che frenano lo spirito d’impresa.

Dobbiamo anche valorizzare il lavoro autonomo e le libere professioni, che in una società postindustriale rappresentano la spina dorsale della nostra economia. Le misure di liberalizzazione orami sono state adottate. Ora bisogna lavorare tutti insieme per formare e dare opportunità ai giovani, innalzare la qualità, servire al meglio i clienti.

Anche sull’occupazione femminile occorre fare molto di più. La maggiore presenza delle donne nella vita economica, sociale e politica dà già straordinari contributi alla crescita del paese, ma siamo lontani dagli obiettivi europei. Non siamo ancora un paese delle pari opportunità. La carenza di servizi scarica sulle donne compiti insostenibili, aggravati in alcuni casi da una crescita insopportabile delle violenze contro le donne.

La riforma del nostro welfare richiede azioni di ampio respiro per rilanciare il modello sociale europeo. Il welfare tradizionale, schiacciato sul maschio adulto e su pensioni e sanità, non funziona più. Non stimola la crescita della persona e non basta a correggere le disuguaglianze. Non occorrono isterismi. Occorre un cambiamento radicale: un welfare più universalistico e meno corporativo, che sostenga tutti i bisognosi, aiutandoli a  rialzarsi e a riattivarsi. Per un welfare attivo, più giovane e al femminile, andranno migliorati gli ammortizzatori sociali, estendendoli a chi ne è privo, a partire dai precari; e si potranno studiare forme di reddito minimo, soprattutto per famiglie bisognose con figli.

Hanno trovato largo consenso parlamentare nei mesi passati le proposte su incentivi al pensionamento graduale con part time misto a pensione, con una «staffetta generazionale» per la parallela assunzione di giovani. Inoltre, per evitare il formarsi di bacini estesi di lavoratori anziani di difficile ricollocazione, studieremo forme circoscritte di gradualizzazione del pensionamento, come l’accesso con 3-4 anni di anticipo al pensionamento con una penalizzazione proporzionale.

Dobbiamo poi ricordarci che l’Italia migliore è un’Italia solidale. E’ per questo che il governo non può che valorizzare la rete di protezione dei cittadini e dei loro diritti, con misure tese al miglioramento dei servizi, da quelli sanitari a quelli del trasporto pubblico, locale e pendolare, con una particolare attenzione per i disabili e i non autosufficienti.

Vorrei a questo proposito rendere omaggio alle donne e agli uomini che ogni giorno consentono al nostro paese di godere di questa solidarietà e che mantengono unito il nostro tessuto sociale: i servitori dello Stato – quelli che rischiano la vita per proteggere le istituzioni, quelli che lavorano nella sanità per salvare delle vite, quelli che aiutano i nostri figli a crescere – ma anche gli operatori del volontariato, della cooperazione, del terzo settore e della galassia del 5 per 1000. E’ l’esempio che giornalmente viene dato da queste persone che ci fa riscoprire il valore del servizio pubblico.

Una speciale menzione merita la protezione civile, che ha dato una straordinaria prova nei terremoti in Abbruzzo e in Emilia e che ci ricorda che abbiamo un impegno alla prevenzione, con un piano di manutenzione contro il dissesto idrogeologico e la lotta all’abusivismo.

LA RIFORMA DELLA POLITICA

Vorrei che questo governo inaugurasse una fase nuova nella vita della Repubblica. Non il canto del cigno di un sistema imploso sulle sue troppe degenerazioni, ma un primo impegno per la ricostruzione della politica e del nostro modo di percepirci come comunità.

La ricostruzione però può partire solo da un esercizio autentico, non simulato, di autocritica. La verità è che la politica ha commesso troppi errori. Si è erosa, giorno dopo giorno, la credibilità della politica e delle istituzioni, vittime di un presentismo – vale a dire dell’ossessione del consenso immediato – che bloccato  il Paese.

Ancora: non abbiamo compreso quanto le legittime istanze di innovazione, partecipazione, trasparenza, sottese alla rivoluzione del web, potessero tradursi in un oggettivo miglioramento della qualità della nostra democrazia rappresentativa anziché sfociare nel mito o nell’illusione della democrazia diretta.

Oggi abbiamo dinanzi un’altra sfida, ancora più complessa: quella dell’autorevolezza. L’autorevolezza del potere che non ha più, come in passato, il monopolio delle informazioni, ma deve avere il profilo e le competenze per discernere il vero dal falso nel flusso enorme di informazioni presenti nella Rete. L’autorevolezza di chi non si accontenta della verosimiglianza e del sentito dire, ma sceglie sempre e solo la verità e ha il coraggio e la pazienza di raccontarla ai cittadini, anche se dolorosa o brutale.

Per cominciare, bisogna recuperare decenza, sobrietà, scrupolo, senso dell’onore e del servizio e, infine, la banalità della gestione di un buon padre di famiglia. Ognuno deve fare la sua parte. A questo fine, per dare l’esempio, il primo atto del Governo sarà quello di eliminare con una norma d’urgenza lo stipendio dei ministri parlamentari che esiste da sempre in aggiunta alla loro indennità.

Nessuno, ripeto nessuno, può sentirsi esentato dal dovere dell’autorevolezza. Nessuno può considerarsi fino in fondo assolto dall’accusa di aver contaminato il confronto pubblico con gesti, parole, opere o omissioni.Con 11 milioni e mezzo di cittadini che hanno deciso di non votare, alle elezioni dello scorso febbraio, quello dell’astensione è risultato essere il primo partito. Non era mai accaduto prima: due milioni in più rispetto al 2008, quattro rispetto al 2006. Su questo sfondo la riduzione dei costi della politica diventa un dovere di credibilità. Pensate ai rimborsi elettorali: tutte le leggi introdotte dal 1994 ad oggi sono state ipocrite e fallimentari. Non rimborsi ma finanziamento mascherato. Per di più di ammontare decisamente troppo elevato, come la Corte dei Conti ha recentemente confermato: 2 miliardi e mezzo di euro dal 1994 al 2012, a fronte di spese certificate di circa mezzo miliardo.E’, questa , solo una delle conferme del fatto che il sistema va rivoluzionato. Partiamo dunque dal finanziamento pubblico ai partiti, abolendo la legge troppo timida approvata l’anno scorso e introducendo misure di controllo e di sanzione anche sui gruppi parlamentari e regionali. Occorre poi avviare percorsi che finalmente consegnino alla libera scelta dei cittadini, con opportuni interventi sul versante fiscale, la contribuzione all’attività politica dei partiti.
E’ però anche importante collegare il tema del finanziamento a quello della democrazia interna ai partiti, attuando finalmente i principi sulla democrazia interna incorporati nell’art. 49 della Costituzione, stimolando la partecipazione dei militanti e garantendo la trasparenza delle decisioni e delle procedure.Rivendico con forza l’importanza di un temporaneo «governo di servizio al paese» tra forze sicuramente lontane e diverse tra loro. Credo che non sia facile votare insieme da posizioni così eterogenee, ma proprio per questo credo che questa sia una scelta che meriti rispetto anche da chi non la condivide perché non è motivata dall’interesse particolare ma da principi più alti di coesione nazionale. Questo è il senso del messaggio del Presidente della Repubblica alle Camere. Non dobbiamo avere paura di fare il nostro dovere per l’Italia. Noi dobbiamo dare il nostro contributo a ricostruire un patto di fiducia, a ritrovare il senso di una missione comune. Come italiani, si vince o si perde tutti insieme.

Sicuramente è e deve essere un’eccezione la convergenza di forze politiche che si sono presentate come alternative alle elezioni. Ma è eccezionale che dalle urne, anche a causa della legge elettorale, non sia uscita alcuna maggioranza; è eccezionale l’emergenza economica che il governo dovrà affrontare; è eccezionale il fatto che sia necessario riscrivere alcune regole costituzionali. Credo quindi che le forze politiche che sostengono il governo stiano dimostrando un grande senso di responsabilità e di attaccamento alle istituzioni. Vent’anni di attacchi e delegittimazioni reciproche hanno eroso ogni capitale di fiducia nei rapporti tra i partiti e l’opinione pubblica, che è esausta, sempre più esausta, delle risse inconcludenti.Ho imparato da Nino Andreatta la fondamentale distinzione tra politica, intesa come dialettica tra diverse fazioni, e politiche, intese come soluzioni concrete ai problemi comuni. Se in questo momento ci concentriamo sulla politica, le nostre differenze ci immobilizzeranno. Se invece ci concentriamo sulle politiche, allora potremo svolgere un servizio al paese migliorando la vita dei cittadini.

E‘ per questo che intendo appellarmi alla responsabilità dei partiti e dei movimenti perché ritengo centrale il ruolo del Parlamento, con una continua interlocuzione con le forze politiche che non sostengono il Governo e con la creazione di luoghi permanenti di codecisione, ai quali parteciperò personalmente, tra il governo e le forze politiche che lo sostengono.

LA RIFORMA DELLE ISTITUZIONI
L’appello alla responsabilità e alla capacità di trovare terreni di convergenza è ancora più pressante nel nostro compito di riformare le istituzioni, anche perché auspico che per la scrittura delle regole che riguardano la vita democratica di tutti il fronte si allarghi anche alle forze che non hanno intenzione di sostenere il governo in modo organico, che devono partecipare pienamente al processo costituente.Vedo oggi una via stretta, ma possibile, per una riforma anche radicale del sistema istituzionale e del sistema politico.Un imperativo deve essere chiaro a tutti noi fin dal primo momento: in questa materia negli ultimi decenni abbiamo assistito troppe volte all’avvio di percorsi riformatori che si presentavano come risolutori, che nelle intenzioni anche sincere di chi li proponeva, promettevano di regalarci istituzioni più efficienti e capaci di decidere, oltre che maggiormente vicine ai cittadini, e che invece si sono infranti contro veti reciproci, chiusure partigiane, prese di posizione strumentali e contrapposizioni dannose nonostante i reiterati richiami del Presidente della Repubblica.
Al fine di sottrarre la discussione sulla riforma della Carta fondamentale alle fisiologiche contrapposizioni del dibattito contingente, sarebbe bene che il Parlamento adottasse le sue decisioni sulla base delle proposte formulate da una Convenzione, aperta alla partecipazione anche di autorevoli esperti non parlamentari e che parta dai risultati della attività parlamentare della scorsa legislatura e dalle conclusioni del Comitato di saggi istituito dal Presidente della Repubblica. La Convenzione deve poter avviare subito i propri lavori sulla base degli atti di indirizzo del Parlamento, in attesa che le procedure per un provvedimento Costituzionale possano compiersi.

Dal momento che questa volta l’unico sbocco possibile per questo tema è il successo nell’approvazione delle riforme che il paese aspetta da troppo tempo, fra 18 mesi verificherò se il progetto sarà avviato verso un porto sicuro. Se avrò una ragionevole certezza che il processo di revisione della Costituzione potrà avere successo, allora il nostro lavoro potrà continuare. In caso contrario, se veti e incertezze dovessero minacciare di impantanare tutto per l’ennesima volta, non avrei esitazioni a trarne immediatamente le conseguenze.

La moralità della politica è quella di prendere le decisioni che i cittadini si attendono, e di rispettare gli impegni presi di fronte al paese e alle istituzioni.

L’obiettivo complessivo è quello di una riforma che riavvicini i cittadini alle istituzioni, rafforzando l’investitura popolare dell’esecutivo e migliorando efficienza ed efficacia del processo legislativo. I principi che devono guidarci sono quelli di una democrazia governante: la capacità degli elettori di scegliersi i propri rappresentanti e di decidere alle elezioni sui governi e le maggioranze che li sostengono.
Dobbiamo superare il bicameralismo paritario, per snellire il processo decisionale ed evitare ingorghi istituzionali come quello che abbiamo appena sperimentato, affidando ad una sola Camera il compito di conferire o revocare la fiducia al Governo. Nessuna legge elettorale è infatti in grado di garantire il formarsi di una maggioranza identica in due diversi rami del Parlamento.Dobbiamo quindi istituire una seconda Camera – il Senato delle Regioni e delle Autonomie – con competenze differenziate e con l’obiettivo di realizzare compiutamente l’integrazione dello Stato centrale con le autonomie, anche sulla base di una più chiara ripartizione delle competenze tra i livelli di governo con il perfezionamento della riforma del Titolo V. Bisogna riordinare i livelli amministrativi e abolire le provincie. Semplificazione e sussidiarietà devono guidarci al fine di promuovere l’efficienza di tutti i livelli amministrativi e di ridurre i costi di funzionamento dello Stato. Questo non significa perseguire una politica di tagli indifferenziati, ma al contrario valorizzare comuni e regioni per rafforzare le loro responsabilità, in un’ottica di alleanza tra il governo e i territori e le autonomie, ordinarie e speciali. Bisogna altresì chiudere rapidamente la partita del Federalismo fiscale, rivedendo il rapporto fiscale tra centro e periferia salvaguardando la centralità dei territori e delle Regioni. Si può anche esplorare il suggerimento del Comitato di Saggi istituito dal Presidente della Repubblica per la eventuale riorganizzazione delle Regioni e dei rapporti tra loro.
Occorre poi riformare la forma di governo, e su questo punto bisogna anche prendere in considerazione scelte coraggiose, rifiutando piccole misure cosmetiche e respingendo i pregiudizi del passato.
La legge elettorale è naturalmente legata alla forma di governo, ma si possono sin da ora delineare gli obiettivi fondamentali. Innanzitutto, dobbiamo qui solennemente assumere l’impegno che quella dello scorso febbraio sia l’ultima consultazione elettorale che si svolge sulla base della legge elettorale vigente. Cambiarla serve non solamente per assicurare la formazione di maggioranze sufficientemente ampie e coese, in grado di garantire governi stabili; ma prima ancora per restituire legittimità al Parlamento ed ai singoli parlamentari. Non possiamo più accettare l’idea di parlamentari di fatto imposti con la stessa presentazione delle candidature, senza che i cittadini abbiano la possibilità di individuare il candidato più meritevole.

Sono certo che le forze politiche siano in grado di trovare delle ottime soluzioni. Permettetemi di esprimere a livello personale che certamente migliore della legge attuale sarebbe almeno il ripristino della legge elettorale precedente.

LA NUOVA EUROPA

Rappresentare l’intera nazione oggi significa prima di tutto sapere e ribadire che le sorti dell’Italia sono intimamente correlate a quelle dell’Unione europea. Due destini che si uniscono.

Nel 2012 tutti noi abbiamo vinto il premio Nobel anche se forse non ce ne siamo pienamente accorti. L’Unione Europea è stata premiata per un’alchimia politica senza precedenti: la trasformazione delle macerie di un continente di guerra in uno spazio di pace. Allora i nemici decisero di vivere insieme. Dopo insieme abbiamo promosso la democrazia e riunificato il continente dalle ferite della cortina di ferro. Insieme abbiamo dato vita al mercato unico. Insieme abbiamo concepito la cooperazione allo sviluppo, di cui siamo leader al mondo. Insieme ai ragazzi partiti nel 1987 per il primo Erasmus, abbiamo scoperto di avere nuove case e nuove famiglie. E insieme, nella crisi, dobbiamo ripartire da alcune verità, perché della verità non bisogna mai avere paura.

Primo: il Nobel non è alla memoria. L’Europa non è il passato, è il viaggio nel quale ci siamo imbarcati per arrivare nel futuro. L’Europa è lo spazio politico con cui rilanciare la speranza che ha animato la nostra società nella ricostruzione del dopoguerra. È lo spazio politico con cui mettere fine a questa guerra di stereotipi, di sfiducia e di timidezza, mentre la tragedia della disoccupazione giovanile mette un’intera generazione in trincea. L’Europa esiste solo al presente e al futuro, solo se alla storia scritta dai nonni e dai padri si affiancano le azioni dei figli e dei nipoti.

Secondo: l’Europa è il nostro viaggio. La sua storia non è scritta malgrado noi. È scritta da noi. L’orizzonte è europeo, con le università che devono diplomare laureati in grado di lavorare ovunque in Europa, e le imprese che devono inventare prodotti che siano competitivi a livello continentale se non globale. Pensare l’Italia senza l’Europa è la vera limitazione della nostra sovranità, perché porta alla svalutazione più pericolosa, quella di noi stessi. Vivere in questo secolo vuol dire non separare le domande italiane e le risposte europee, nella lotta alla disoccupazione e alla disuguaglianza, nella difesa e nella promozione di tutti i diritti. E soprattutto, l’abbattimento dei muri tra il Nord e il Sud del continente, così come tra il Nord e il Sud dell’Italia.

Terzo: il porto a cui il nostro viaggio è rivolto sono gli Stati Uniti d’Europa e la nostra nave si chiama democrazia. Guardiamo con ammirazione lo sviluppo delle altre nazioni, in particolare in Asia e in Africa, ma non vogliamo sognare i sogni degli altri. Abbiamo il diritto a sogno che si chiama Unione Politica e abbiamo il dovere di renderlo più chiaro. Possiamo avere «più Europa» soltanto con «più democrazia»: con partiti europei, con l’elezione diretta del Presidente della Commissione, con un bilancio coraggioso e concreto come devono essere i sogni che vogliono diventare realtà.

L’Italia vive in un mondo sempre più grande, caratterizzato dall’arrivo sulla scena di nuove potenze emergenti che stanno modificando gli equilibri mondiali. Di fronte a giganti come Cina, India e Brasile, i singoli Stati europei non possono che sviluppare una politica comune per raggiungere la massa critica necessaria ad interagire con questi nuovi attori e influire sui processi globali.

Questo significa un rinnovato impegno per una politica estera e di difesa comuni, tese a rinnovare l’impegno per il consolidamento dell’ordine internazionale, un impegno che vede le nostre Forze Armate in prima linea, con una professionalità e un’abnegazione seconda a nessuno. Lavoreremo per trovare una soluzione equa e rapida alla dolorosa vicenda dei due Fucilieri di Marina trattenuti in India, che ne consenta il legittimo rientro in Italia nel più breve tempo possibile.

L’Italia è saldamente collocata nel campo occidentale, ma la sua posizione geopolitica proiettata verso altre civiltà, la sua cultura abituata al dialogo e la sua economia vocata all’esportazione possono consegnarle un ruolo di ponte tra l’Occidente e le nuove potenze emergenti.

Questo è importante soprattutto nel Mediterraneo, dove il consolidamento delle primavere arabe, la risoluzione politica della crisi in Siria e la prosecuzione del processo di pace in Medio Oriente sono le questioni più urgenti.

CONCLUSIONE

In questi giorni ho pensato al personaggio biblico di Davide.
Come lui, con lui, siamo nella valle di Elah, in attesa di affrontare Golia.
Nella valle delle nostre paure di fronte a sfide che appaiono gigantesche. Anche la sfida di metterci insieme per affrontarle. Come Davide in quella valle, dobbiamo spogliarci della spada e dell’armatura che in questi anni abbiamo indossato e che ora ci appesantirebbero.

Davide “prese in mano il suo bastone, si scelse cinque ciottoli lisci dal torrente e li pose nella sua sacca da pastore, nella bisaccia; prese in mano la fionda e si avvicinò a Golia”. Noi, dal “torrente” delle idee sulle quali ci siamo confrontati abbiamo scelto i nostri “ciottoli”, le nostre proposte di programma. La “fionda” l’abbiamo in mano insieme, governo e Parlamento. Ma di Davide ci servono il coraggio e la fiducia. Il coraggio di mettere da parte quella “prudenza politica” che spinge a evitare il confronto con le nostre paure, a rimanere nella valle e, se proprio decidiamo di muoverci, a farlo con indosso l’armatura. Il coraggio di affrontare la sfida liberandoci dell’armatura, forse  lo abbiamo trovato. La fiducia è quella che chiediamo al Parlamento e agli italiani.

Il 28 aprile, alle ore 11.30 al Palazzo del Quirinale, nel Salone delle Feste, si svolge la cerimonia del giuramento dei componenti il nuovo Governo e, subito dopo, a Palazzo Chigi, la tradizionale cerimonia del campanello con il passaggio di consegne tra il presidente Monti e il nuovo premier Letta; segue il primo Consiglio dei Ministri.

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Il 27 aprile il Presidente della Repubblica riceve al Palazzo del Quirinale, l’onorevole Enrico Letta, il quale, sciogliendo la riserva formulata il 24 aprile, accetta di formare il nuovo Governo.

Questi i componenti:

  • Presidente Enrico Letta
  • Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Filippo Patroni Griffi
  • Interno e vicepremier Angelino Alfano
  • Economia Fabrizio Saccomanni
  • Esteri Emma Bonino
  • Difesa Mario Mauro
  • Giustizia Annamaria Cancellieri
  • Affari europei Enzo Moavero
  • Affari regionali Graziano Delrio
  • Infrastrutture Maurizio Lupi
  • Lavoro Enrico Giovannini
  • Coesione territoriale Carlo Trigilia
  • Rapporti con il Parlamento Dario Franceschini
  • Pari opportunità Iosefa Idem
  • Semplificazione Giampiero D’Alia
  • Sviluppo economico Flavio Zanonato
  • Politiche agricole Nunzia De Girolamo
  • Istruzione Università e Ricerca Mariachiara Carrozza
    carrozza
  • Salute Beatrice Lorenzin
  • Affari costituzionali Gaetano Quagliariello
  • Ambiente Andrea Orlando
  • Integrazione Cecile Kyenge
  • Beni culturali Massimo Bray

Dichiarazione del Presidente Napolitano al termine dell’incontro con il Presidente incaricato Enrico Letta

(Palazzo del Quirinale, 27/04/2013) Vorrei dire solo semplicissime parole a commento della presentazione del governo fatta dal Presidente Enrico Letta. Innanzitutto non c’è bisogno di alcuna formula speciale per definire la natura di questo governo : è un governo politico, formato nella cornice istituzionale e secondo la prassi della nostra democrazia parlamentare; è un governo nato dall’intesa politica fra le forze parlamentari che insieme potevano garantire e garantiranno al governo la fiducia nelle due Camere, come prescrive la nostra Costituzione ; era ed è l’unico governo possibile, un governo la cui costituzione non poteva tardare oltre nell’interesse del nostro paese e nell’interesse dell’Europa; infine è il frutto di uno sforzo paziente e tenace del Presidente incaricato e dei leader delle forze politiche che hanno scelto la strada della collaborazione, nonostante tutte le difficoltà incontrate e prevedibili, e nonostante l’indispensabile supplemento di volontà di seria collaborazione da tutte le parti.
Le caratteristiche di novità, di freschezza, di competenza che questo governo offre vi sono state già rappresentate dall’Onorevole Letta. Voglio ringraziarlo vivamente, perché è stato il Presidente incaricato l’artefice della nascita di questo governo, e ho assecondato il suo tentativo, il suo impegno, dopo averne dato le motivazioni nel mio discorso dinanzi alle Camere riunite lunedì scorso.
Concludo con un auspicio che è anche una certezza, non soltanto un atto di fiducia: l’auspicio che questo governo si metta a lavorare rapidamente in spirito di fervida coesione. Credo che tutte le persone chiamate a farne parte diano a noi tutti la garanzia di voler lavorare insieme, senza conflittualità pregiudiziali e con il massimo impegno a trovare le soluzioni giuste ai problemi, rispondenti all’interesse generale. A ciascuno spetterà dare il contributo dal proprio punto di vista, ma – ripeto – in uno spirito di assoluta indispensabile coesione e reciproco rispetto.
Grazie, buon lavoro a tutti, e buon lavoro soprattutto al Presidente del Consiglio, Onorevole Enrico Letta.

Il 26 aprile il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha ricevuto questa mattina al Quirinale il Presidente del Consiglio incaricato, Enrico Letta, che lo ha informato sullo svolgimento dell’incarico ricevuto.

Il 25 aprile si svolgono le consultazioni delle forze politiche da parte dell’on. Enrico Letta, incaricato per la formazione del nuovo esecutivo.

Il 24 aprile il Presidente della Repubblica ha conferito all’on. Enrico Letta l’incarico di formare il nuovo governo. L’on. Letta si è riservato di accettare.

Dichiarazione del Presidente Napolitano in occasione del conferimento dell’incarico all’on. Enrico Letta

(Palazzo del Quirinale, 24/04/2013) Avete ascoltato le notizie e anche la voce del Presidente incaricato.
Mi limiterò a esprimere solo brevi parole di soddisfazione e di serenità : di soddisfazione perché si è aperta la strada alla formazione del governo di cui ha urgente bisogno il paese, di un governo già troppo lungamente atteso, e si è aperta la sola prospettiva possibile, quella cioè di una larga convergenza tra le forze politiche che possono assicurare al governo la maggioranza in entrambe le camere.
La scelta che mi toccava fare l’ho compiuta tenendo conto delle consultazioni di ieri con tutti i gruppi, con tutte le forze politiche rappresentate in Parlamento. Nel corso delle consultazioni, in modo particolare da parte delle forze politiche già predisposte a collaborare alla formazione del nuovo governo, non sono state poste pregiudiziali circa il nome della persona a cui dare l’incarico : è stata data a me la più assoluta libertà e autonomia – come è d’altronde nella nostra prassi costituzionale per l’affidamento dell’incarico – e sono stati anche espressi apertamente apprezzamenti per la persona dell’onorevole Enrico Letta. E la mia scelta è caduta su di lui tenendo conto del fatto che, pur appartenendo egli a una generazione giovane (anzi, secondo i precedenti e gli standard italiani, molto giovane), ha già accumulato importanti esperienze nell’attività parlamentare a contatto con le nuove leve delle ultime legislature, nell’attività di governo, nel campo culturale : voglio ricordare l’Associazione di cultura politica molto significativa, Arel, che l’onorevole Letta ha seguito e ha guidato in questi anni e che fu fondata dal nostro grande amico scomparso Nino Andreatta. E infine egli è stato molto presente anche in numerosi fori europei e internazionali.
Credo che queste siano caratteristiche eccellenti per l’assunzione di un compito così delicato come quello di formare, e domani di guidare, un governo per il nostro paese in una situazione complessa difficile, sulle cui connotazioni non starò a tornare perché ne ho già parlato ampiamente.
Ho piena fiducia nel tentativo, nello sforzo a cui si accinge l’onorevole Letta e confido nel successo che è indispensabile perché la prospettiva che si è aperta non ha alternative. Credo che questo sia risultato, come mio convincimento, molto chiaramente dal messaggio che ho rivolto al Parlamento in seduta comune con i delegati delle Regioni lunedì scorso.
Desidero anche aggiungere che è essenziale si affermi in questa fase, nella quale ci sono ancora ricadute polemiche di stagioni immediatamente precedenti, un clima di massimo rispetto reciproco tra le forze politiche; soprattutto tra le forze politiche impegnate a collaborare per la formazione di questo governo, riconoscendo il ruolo che ciascuna di esse deve avere in un governo di così larga convergenza. E’ stato molto importante che ieri la direzione del Partito Democratico abbia assunto la decisione che l’onorevole Letta poco fa ha ricordato. Sappiamo anche quale sia l’impegno del partito del Popolo della Libertà che nell’incontro di ieri è stato ribadito a me nel modo più categorico dal Presidente Berlusconi.
Confido che tutti cooperino – e quando dico tutti mi riferisco anche, in particolare, ai mezzi di informazione – a favorire il massimo di distensione piuttosto che il rinfocolare vecchie tensioni. Penso che questo potrebbe davvero fare bene al paese e ve ne ringrazio fin d’ora.

Il 23 aprile il Presidente della Repubblica svolge un rapido giro di consultazioni con le rappresentanze parlamentari per verificare ogni eventuale aggiornamento delle posizioni già illustrate nelle precedenti consultazioni per la formazione del nuovo Governo.

Calendario consultazioni per la formazione del nuovo governo

10,30 Presidente del Senato della Repubblica: Pietro Grasso

11,00 Presidente della Camera dei Deputati: Laura Boldrini

11,30 Presidente del Gruppo parlamentare Misto del Senato della Repubblica: Loredana De Petris

11,40 Presidente del Gruppo parlamentare Misto della Camera dei Deputati: Pino Pisicchio

11,50 Rappresentanza parlamentare della Südtiroler Volkspartei

12,10 Gruppo parlamentare della Camera dei Deputati “Fratelli d’Italia”

12,20 Presidente del Gruppo parlamentare del Senato della Repubblica “Grandi Autonomie e Libertà”: Mario Ferrara

12,30 Gruppo parlamentare del Senato della Repubblica “Per le Autonomie (SVP, UV, PATT, UPT) – PSI”

12,50 Gruppo parlamentare della Camera dei Deputati “Sinistra Ecologia Libertà”

16,30 Gruppi parlamentari del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati “Lega Nord e Autonomie”

17,00 Presidenti dei Gruppi parlamentari del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati “Scelta Civica per l’Italia”: Mario Mauro e Lorenzo Dellai

17,30 Presidenti dei Gruppi parlamentari del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati “MoVimento 5 Stelle”: Vito Claudio Crimi e Roberta Lombardi

18,00 Presidenti dei Gruppi parlamentari del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati “Il Popolo della Libertà”: Renato Schifani e Renato Brunetta

18,30 Presidenti dei Gruppi parlamentari del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati “Partito Democratico”: Luigi Zanda e Roberto Speranza

Il Presidente Napolitano consulterà nel corso della giornata il Presidente Emerito della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi

La Camera dei deputati e il Senato della Repubblica sono convocati, in seduta comune, lunedì 22 aprile 2013, alle ore 17, con il seguente ordine del giorno: Giuramento e messaggio del Presidente della Repubblica.

Messaggio e giuramento davanti alle Camere del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

(Aula della Camera dei Deputati, 22/04/2013) Signora Presidente, onorevoli deputati, onorevoli senatori, signori delegati delle Regioni,
lasciatemi innanzitutto esprimere – insieme con un omaggio che in me viene da molto lontano alle istituzioni che voi rappresentate – la gratitudine che vi debbo per avermi con così largo suffragio eletto Presidente della Repubblica. E’ un segno di rinnovata fiducia che raccolgo comprendendone il senso, anche se sottopone a seria prova le mie forze : e apprezzo in modo particolare che mi sia venuto da tante e tanti nuovi eletti in Parlamento, che appartengono a una generazione così distante, e non solo anagraficamente, dalla mia.
So che in tutto ciò si è riflesso qualcosa che mi tocca ancora più profondamente : e cioè la fiducia e l’affetto che ho visto in questi anni crescere verso di me e verso l’istituzione che rappresentavo tra grandi masse di cittadini, di italiani – uomini e donne di ogni età e di ogni regione – a cominciare da quanti ho incontrato nelle strade, nelle piazze, nei più diversi ambiti sociali e culturali, per rivivere insieme il farsi della nostra unità nazionale.
Come voi tutti sapete, non prevedevo di tornare in quest’aula per pronunciare un nuovo giuramento e messaggio da Presidente della Repubblica.
Avevo già nello scorso dicembre pubblicamente dichiarato di condividere l’autorevole convinzione che la non rielezione, al termine del settennato, è “l’alternativa che meglio si conforma al nostro modello costituzionale di Presidente della Repubblica”. Avevo egualmente messo l’accento sull’esigenza di dare un segno di normalità e continuità istituzionale con una naturale successione nell’incarico di Capo dello Stato.
A queste ragioni e a quelle più strettamente personali, legate all’ovvio dato dell’età, se ne sono infine sovrapposte altre, rappresentatemi – dopo l’esito nullo di cinque votazioni in quest’aula di Montecitorio, in un clima sempre più teso – dagli esponenti di un ampio arco di forze parlamentari e dalla quasi totalità dei Presidenti delle Regioni. Ed è vero che questi mi sono apparsi particolarmente sensibili alle incognite che possono percepirsi al livello delle istituzioni locali, maggiormente vicine ai cittadini, benché ora alle prese con pesanti ombre di corruzione e di lassismo. Istituzioni che ascolto e rispetto, Signori delegati delle Regioni, in quanto portatrici di una visione non accentratrice dello Stato, già presente nel Risorgimento e da perseguire finalmente con serietà e coerenza.
E’ emerso da tali incontri, nella mattinata di sabato, un drammatico allarme per il rischio ormai incombente di un avvitarsi del Parlamento in seduta comune nell’inconcludenza, nella impotenza ad adempiere al supremo compito costituzionale dell’elezione del Capo dello Stato. Di qui l’appello che ho ritenuto di non poter declinare – per quanto potesse costarmi l’accoglierlo – mosso da un senso antico e radicato di identificazione con le sorti del paese.
La rielezione, per un secondo mandato, del Presidente uscente, non si era mai verificata nella storia della Repubblica, pur non essendo esclusa dal dettato costituzionale, che in questo senso aveva lasciato – come si è significativamente notato – “schiusa una finestra per tempi eccezionali”. Ci siamo dunque ritrovati insieme in una scelta pienamente legittima, ma eccezionale. Perché senza precedenti è apparso il rischio che ho appena richiamato : senza precedenti e tanto più grave nella condizione di acuta difficoltà e perfino di emergenza che l’Italia sta vivendo in un contesto europeo e internazionale assai critico e per noi sempre più stringente.
Bisognava dunque offrire, al paese e al mondo, una testimonianza di consapevolezza e di coesione nazionale, di vitalità istituzionale, di volontà di dare risposte ai nostri problemi : passando di qui una ritrovata fiducia in noi stessi e una rinnovata apertura di fiducia internazionale verso l’Italia.
E’ a questa prova che non mi sono sottratto. Ma sapendo che quanto è accaduto qui nei giorni scorsi ha rappresentato il punto di arrivo di una lunga serie di omissioni e di guasti, di chiusure e di irresponsabilità. Ne propongo una rapida sintesi, una sommaria rassegna. Negli ultimi anni, a esigenze fondate e domande pressanti di riforma delle istituzioni e di rinnovamento della politica e dei partiti – che si sono intrecciate con un’acuta crisi finanziaria, con una pesante recessione, con un crescente malessere sociale – non si sono date soluzioni soddisfacenti : hanno finito per prevalere contrapposizioni, lentezze, esitazioni circa le scelte da compiere, calcoli di convenienza, tatticismi e strumentalismi. Ecco che cosa ha condannato alla sterilità o ad esiti minimalistici i confronti tra le forze politiche e i dibattiti in Parlamento.
Quel tanto di correttivo e innovativo che si riusciva a fare nel senso della riduzione dei costi della politica, della trasparenza e della moralità nella vita pubblica è stato dunque facilmente ignorato o svalutato : e l’insoddisfazione e la protesta verso la politica, i partiti, il Parlamento, sono state con facilità (ma anche con molta leggerezza) alimentate e ingigantite da campagne di opinione demolitorie, da rappresentazioni unilaterali e indiscriminate in senso distruttivo del mondo dei politici, delle organizzazioni e delle istituzioni in cui essi si muovono. Attenzione : quest’ultimo richiamo che ho sentito di dover esprimere non induca ad alcuna autoindulgenza, non dico solo i corresponsabili del diffondersi della corruzione nelle diverse sfere della politica e dell’amministrazione, ma nemmeno i responsabili di tanti nulla di fatto nel campo delle riforme.
Imperdonabile resta la mancata riforma della legge elettorale del 2005. Ancora pochi giorni fa, il Presidente Gallo ha dovuto ricordare come sia rimasta ignorata la raccomandazione della Corte Costituzionale a rivedere in particolare la norma relativa all’attribuzione di un premio di maggioranza senza che sia raggiunta una soglia minima di voti o di seggi.
La mancata revisione di quella legge ha prodotto una gara accanita per la conquista, sul filo del rasoio, di quell’abnorme premio, il cui vincitore ha finito per non riuscire a governare una simile sovra-rappresentanza in Parlamento. Ed è un fatto, non certo imprevedibile, che quella legge ha provocato un risultato elettorale di difficile governabilità, e suscitato nuovamente frustrazione tra i cittadini per non aver potuto scegliere gli eletti.
Non meno imperdonabile resta il nulla di fatto in materia di sia pur limitate e mirate riforme della seconda parte della Costituzione, faticosamente concordate e poi affossate, e peraltro mai giunte a infrangere il tabù del bicameralismo paritario.
Molto si potrebbe aggiungere, ma mi fermo qui, perché su quei temi specifici ho speso tutti i possibili sforzi di persuasione, vanificati dalla sordità di forze politiche che pure mi hanno ora chiamato ad assumere un ulteriore carico di responsabilità per far uscire le istituzioni da uno stallo fatale. Ma ho il dovere di essere franco : se mi troverò di nuovo dinanzi a sordità come quelle contro cui ho cozzato nel passato, non esiterò a trarne le conseguenze dinanzi al paese.
Non si può più, in nessun campo, sottrarsi al dovere della proposta, alla ricerca della soluzione praticabile, alla decisione netta e tempestiva per le riforme di cui hanno bisogno improrogabile per sopravvivere e progredire la democrazia e la società italiana.
Parlando a Rimini a una grande assemblea di giovani nell’agosto 2011, volli rendere esplicito il filo ispiratore delle celebrazioni del 150° della nascita del nostro Stato unitario : l’impegno a trasmettere piena coscienza di “quel che l’Italia e gli italiani hanno mostrato di essere in periodi cruciali del loro passato”, e delle “grandi riserve di risorse umane e morali, d’intelligenza e di lavoro di cui disponiamo”. E aggiunsi di aver voluto così suscitare orgoglio e fiducia “perché le sfide e le prove che abbiamo davanti sono più che mai ardue, profonde e di esito incerto. Questo ci dice la crisi che stiamo attraversando. Crisi mondiale, crisi europea, e dentro questo quadro l’Italia, con i suoi punti di forza e con le sue debolezze, con il suo bagaglio di problemi antichi e recenti, di ordine istituzionale e politico, di ordine strutturale, sociale e civile.”
Ecco, posso ripetere quelle parole di un anno e mezzo fa, sia per sollecitare tutti a parlare il linguaggio della verità – fuori di ogni banale distinzione e disputa tra pessimisti e ottimisti – sia per introdurre il discorso su un insieme di obbiettivi in materia di riforme istituzionali e di proposte per l’avvio di un nuovo sviluppo economico, più equo e sostenibile.
E’ un discorso che – anche per ovvie ragioni di misura di questo mio messaggio – posso solo rinviare ai documenti dei due gruppi di lavoro da me istituiti il 30 marzo scorso. Documenti di cui non si può negare – se non per gusto di polemica intellettuale – la serietà e concretezza. Anche perché essi hanno alle spalle elaborazioni sistematiche non solo delle istituzioni in cui operano i componenti dei due gruppi, ma anche di altre istituzioni e associazioni qualificate. Se poi si ritiene che molte delle indicazioni contenute in quei testi fossero già acquisite, vuol dire che è tempo di passare, in sede politica, ai fatti; se si nota che, specie in materia istituzionale, sono state lasciate aperte diverse opzioni su varii temi, vuol dire che è tempo di fare delle scelte conclusive. E si può, naturalmente, andare anche oltre, se si vuole, con il contributo di tutti.
Vorrei solo formulare, a commento, due osservazioni. La prima riguarda la necessità che al perseguimento di obbiettivi essenziali di riforma dei canali di partecipazione democratica e dei partiti politici, e di riforma delle istituzioni rappresentative, dei rapporti tra Parlamento e governo, tra Stato e Regioni, si associ una forte attenzione per il rafforzamento e rinnovamento degli organi e dei poteri dello Stato. A questi sono stato molto vicino negli ultimi sette anni, e non occorre perciò che rinnovi oggi un formale omaggio, si tratti di forze armate o di forze dell’ordine, della magistratura o di quella Corte che è suprema garanzia di costituzionalità delle leggi. Occorre grande attenzione di fronte a esigenze di tutela della libertà e della sicurezza da nuove articolazioni criminali e da nuove pulsioni eversive, e anche di fronte a fenomeni di tensione e disordine nei rapporti tra diversi poteri dello Stato e diverse istituzioni costituzionalmente rilevanti.
Né si trascuri di reagire a disinformazioni e polemiche che colpiscono lo strumento militare, giustamente avviato a una seria riforma, ma sempre posto, nello spirito della Costituzione, a presidio della partecipazione italiana – anche col generoso sacrificio di non pochi nostri ragazzi – alle missioni di stabilizzazione e di pace della comunità internazionale.
La seconda osservazione riguarda il valore delle proposte ampiamente sviluppate nel documento da me già citato, per “affrontare la recessione e cogliere le opportunità” che ci si presentano, per “influire sulle prossime opzioni dell’Unione Europea”, “per creare e sostenere il lavoro”, “per potenziare l’istruzione e il capitale umano, per favorire la ricerca, l’innovazione e la crescita delle imprese”.
Nel sottolineare questi ultimi punti, osservo che su di essi mi sono fortemente impegnato in ogni sede istituzionale e occasione di confronto, e continuerò a farlo. Essi sono nodi essenziali al fine di qualificare il nostro rinnovato e irrinunciabile impegno a far progredire l’Europa unita, contribuendo a definirne e rispettarne i vincoli di sostenibilità finanziaria e stabilità monetaria, e insieme a rilanciarne il dinamismo e lo spirito di solidarietà, a coglierne al meglio gli insostituibili stimoli e benefici.
E sono anche i nodi – innanzitutto, di fronte a un angoscioso crescere della disoccupazione, quelli della creazione di lavoro e della qualità delle occasioni di lavoro – attorno a cui ruota la grande questione sociale che ormai si impone all’ordine del giorno in Italia e in Europa. E’ la questione della prospettiva di futuro per un’intera generazione, è la questione di un’effettiva e piena valorizzazione delle risorse e delle energie femminili. Non possiamo restare indifferenti dinanzi a costruttori di impresa e lavoratori che giungono a gesti disperati, a giovani che si perdono, a donne che vivono come inaccettabile la loro emarginazione o subalternità.
Volere il cambiamento, ciascuno interpretando a suo modo i consensi espressi dagli elettori, dice poco e non porta lontano se non ci si misura su problemi come quelli che ho citato e che sono stati di recente puntualizzati in modo obbiettivo, in modo non partigiano. Misurarsi su quei problemi perché diventino programma di azione del governo che deve nascere e oggetti di deliberazione del Parlamento che sta avviando la sua attività. E perché diventino fulcro di nuovi comportamenti collettivi, da parte di forze – in primo luogo nel mondo del lavoro e dell’impresa – che “appaiono bloccate, impaurite, arroccate in difesa e a disagio di fronte all’innovazione che è invece il motore dello sviluppo”. Occorre un’apertura nuova, un nuovo slancio nella società ; occorre un colpo di reni, nel Mezzogiorno stesso, per sollevare il Mezzogiorno da una spirale di arretramento e impoverimento.
Il Parlamento ha di recente deliberato addirittura all’unanimità il suo contributo su provvedimenti urgenti che al governo Monti ancora in carica toccava adottare, e che esso ha adottato, nel solco di uno sforzo di politica economico-finanziaria ed europea che meriterà certamente un giudizio più equanime, quanto più si allontanerà il clima dello scontro elettorale e si trarrà il bilancio del ruolo acquisito nel corso del 2012 in seno all’Unione europea.
Apprezzo l’impegno con cui il movimento largamente premiato dal corpo elettorale come nuovo attore politico-parlamentare ha mostrato di volersi impegnare alla Camera e al Senato, guadagnandovi il peso e l’influenza che gli spetta : quella è la strada di una feconda, anche se aspra, dialettica democratica e non quella, avventurosa e deviante, della contrapposizione tra piazza e Parlamento. Non può, d’altronde, reggere e dare frutti neppure una contrapposizione tra Rete e forme di organizzazione politica quali storicamente sono da ben più di un secolo e ovunque i partiti.
La Rete fornisce accessi preziosi alla politica, inedite possibilità individuali di espressione e di intervento politico e anche stimoli all’aggregazione e manifestazione di consensi e di dissensi. Ma non c’è partecipazione realmente democratica, rappresentativa ed efficace alla formazione delle decisioni pubbliche senza il tramite di partiti capaci di rinnovarsi o di movimenti politici organizzati, tutti comunque da vincolare all’imperativo costituzionale del “metodo democratico”.
Le forze rappresentate in Parlamento, senza alcuna eccezione, debbono comunque dare ora – nella fase cruciale che l’Italia e l’Europa attraversano – il loro apporto alle decisioni da prendere per il rinnovamento del paese. Senza temere di convergere su delle soluzioni, dal momento che di recente nelle due Camere non si è temuto di votare all’unanimità. Sentendo voi tutti – onorevoli deputati e senatori – di far parte dell’istituzione parlamentare non come esponenti di una fazione ma come depositari della volontà popolare. C’è da lavorare concretamente, con pazienza e spirito costruttivo, spendendo e acquisendo competenze, innanzitutto nelle Commissioni di Camera e Senato. Permettete che ve lo dica uno che entrò qui da deputato all’età di 28 anni e portò giorno per giorno la sua pietra allo sviluppo della vita politica democratica.
Lavorare in Parlamento sui problemi scottanti del paese non è possibile se non nel confronto con un governo come interlocutore essenziale sia della maggioranza sia dell’opposizione. A 56 giorni dalle elezioni del 24-25 febbraio – dopo che ci si è dovuti dedicare all’elezione del Capo dello Stato – si deve senza indugio procedere alla formazione dell’Esecutivo. Non corriamo dietro alle formule o alle definizioni di cui si chiacchiera. Al Presidente non tocca dare mandati, per la formazione del governo, che siano vincolati a qualsiasi prescrizione se non quella voluta dall’art. 94 della Costituzione : un governo che abbia la fiducia delle due Camere. Ad esso spetta darsi un programma, secondo le priorità e la prospettiva temporale che riterrà opportune.
E la condizione è dunque una sola : fare i conti con la realtà delle forze in campo nel Parlamento da poco eletto, sapendo quali prove aspettino il governo e quali siano le esigenze e l’interesse generale del paese. Sulla base dei risultati elettorali – di cui non si può non prendere atto, piacciano oppur no – non c’è partito o coalizione (omogenea o presunta tale) che abbia chiesto voti per governare e ne abbia avuti a sufficienza per poterlo fare con le sole sue forze. Qualunque prospettiva si sia presentata agli elettori, o qualunque patto – se si preferisce questa espressione – si sia stretto con i propri elettori, non si possono non fare i conti con i risultati complessivi delle elezioni. Essi indicano tassativamente la necessità di intese tra forze diverse per far nascere e per far vivere un governo oggi in Italia, non trascurando, su un altro piano, la esigenza di intese più ampie, e cioè anche tra maggioranza e opposizione, per dare soluzioni condivise a problemi di comune responsabilità istituzionale.
D’altronde, non c’è oggi in Europa nessun paese di consolidata tradizione democratica governato da un solo partito – nemmeno più il Regno Unito – operando dovunque governi formati o almeno sostenuti da più partiti, tra loro affini o abitualmente distanti e perfino aspramente concorrenti.
Il fatto che in Italia si sia diffusa una sorta di orrore per ogni ipotesi di intese, alleanze, mediazioni, convergenze tra forze politiche diverse, è segno di una regressione, di un diffondersi dell’idea che si possa fare politica senza conoscere o riconoscere le complesse problematiche del governare la cosa pubblica e le implicazioni che ne discendono in termini, appunto, di mediazioni, intese, alleanze politiche. O forse tutto questo è più concretamente il riflesso di un paio di decenni di contrapposizione – fino allo smarrimento dell’idea stessa di convivenza civile – come non mai faziosa e aggressiva, di totale incomunicabilità tra schieramenti politici concorrenti.
Lo dicevo già sette anni fa in quest’aula, nella medesima occasione di oggi, auspicando che fosse finalmente vicino “il tempo della maturità per la democrazia dell’alternanza” : che significa anche il tempo della maturità per la ricerca di soluzioni di governo condivise quando se ne imponga la necessità. Altrimenti, si dovrebbe prendere atto dell’ingovernabilità, almeno nella legislatura appena iniziata.
Ma non è per prendere atto di questo che ho accolto l’invito a prestare di nuovo giuramento come Presidente della Repubblica. L’ho accolto anche perché l’Italia si desse nei prossimi giorni il governo di cui ha bisogno. E farò a tal fine ciò che mi compete : non andando oltre i limiti del mio ruolo costituzionale, fungendo tutt’al più, per usare un’espressione di scuola, “da fattore di coagulazione”. Ma tutte le forze politiche si prendano con realismo le loro responsabilità : era questa la posta implicita dell’appello rivoltomi due giorni or sono.
Mi accingo al mio secondo mandato, senza illusioni e tanto meno pretese di amplificazione “salvifica” delle mie funzioni ; eserciterò piuttosto con accresciuto senso del limite, oltre che con immutata imparzialità, quelle che la Costituzione mi attribuisce. E lo farò fino a quando la situazione del paese e delle istituzioni me lo suggerirà e comunque le forze me lo consentiranno. Inizia oggi per me questo non previsto ulteriore impegno pubblico in una fase di vita già molto avanzata ; inizia per voi un lungo cammino da percorrere, con passione, con rigore, con umiltà. Non vi mancherà il mio incitamento e il mio augurio.
Viva il Parlamento! Viva la Repubblica! Viva l’Italia!

Il 20 aprile, al sesto scrutinio, Giorgio Napolitano è eletto al suo secondo mandato come Presidente della Repubblica con 738 voti.

Dichiarazione del Presidente Napolitano dopo la comunicazione dell’esito del voto

(Palazzo del Quirinale, 20/04/2013) Desidero innanzitutto rivolgere il mio saluto e il mio omaggio alla Presidente della Camera e, con lei, al Presidente del Senato che hanno sperimentato la fatica e la tensione del presiedere una seduta comune insieme con i delegati regionali: una seduta comune che già di per sé, per la sua stessa natura, è altamente impegnativa e che è risultata particolarmente tormentosa. Li ringrazio, quindi, di questa loro dedizione.
Potete immaginare come io abbia accolto, con animo grato, la fiducia espressa liberamente sul mio nome dalla grande maggioranza degli appartenenti dei componenti l’Assemblea dei Parlamentari e dei delegati regionali. E come abbia egualmente accolto la fiducia con cui tanti cittadini hanno ansiosamente atteso una positiva conclusione della prova cruciale e difficile dell’elezione del Presidente della Repubblica.
Ringrazio la stampa per come ha seguito e per come è chiamata a raccontare con obiettività i fatti di questa speciale giornata.
Lunedì dinanzi alle Camere, concordando in questo senso la convocazione della seduta comune, avrò modo di dire quali sono i termini entro i quali ho ritenuto di potere accogliere in assoluta limpidezza l’appello rivoltomi ad assumere ancora l’incarico di Presidente. E preciserò come intenda attenermi rigorosamente all’esercizio delle mie funzioni istituzionali.
Auspico fortemente che tutti sapranno nelle prossime settimane, a partire dai prossimi giorni, onorare i loro doveri concorrendo al rafforzamento delle istituzioni repubblicane.
Dobbiamo guardare tutti, come io ho cercato di fare in queste ore, alla situazione difficile del Paese, ai problemi dell’Italia e degli italiani, all’immagine e al ruolo internazionale del nostro Paese.

Il 18 ed il 19 aprile nei primi quattro scrutini nessuno ottiene il quorum richiesto.

La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica sono convocati, in seduta comune, con la partecipazione dei delegati regionali giovedì 18 aprile 2013, alle ore 10, per l’elezione del Presidente della Repubblica. – Convocazione del Parlamento in seduta comune (13A03426) (GU n.88 del 15-4-2013) –

L’elezione ha luogo per scrutinio segreto. Nei primi tre scrutini è necessaria la maggioranza dei due terzi, pari a 672 voti, dei 1007 elettori, dal quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza semplice, pari a 504 voti.

Il 12 aprile i due gruppi di lavoro individuati dal Presidente della Repubblica presentano l’esito delle loro riflessioni.

Intervento del Presidente Napolitano
alla Riunione per la consegna delle relazioni conclusive dei Gruppi di lavoro

(Palazzo del Quirinale, 12/04/2013) Mi si lasci innanzitutto ringraziare grandemente le personalità politiche e istituzionali che hanno accettato di far parte dei due gruppi di lavoro da me chiamati il 30 marzo a mettere a fuoco temi di estrema attualità e importanza in campo istituzionale e in campo economico-sociale ed europeo. Vi ringrazio per la pronta disponibilità, e per l’impegno intenso e disinteressato con cui avete assolto il mandato ricevuto in un tempo così ristretto.
Nelle premesse alle due relazioni si richiama con assoluta correttezza il senso e il limite del compito da assolvere, con la giusta attenzione a non interferire né con l’attività del Parlamento né con le decisioni che spettano alle forze politiche. Una selezione delle questioni di maggior rilievo da affrontare nell’uno e nell’altro campo, un elenco ragionato di possibili linee di azione, lasciando alle forze politiche l’apprezzamento dei margini di convergenza e di divergenza su proposte da considerare ai fini di un impegno di governo.
Le relazioni che mi sono state presentate questa mattina faranno parte delle mie consegne al nuovo Presidente della Repubblica, oltre che essere oggetto, in questi giorni, della mia personale, ulteriore riflessione. Esse saranno rese subito disponibili sul sito del Quirinale e potranno essere dunque valutate obbiettivamente da tutti. Mi auguro che al di là di dubbi e riserve che hanno accompagnato lo stesso annuncio della istituzione dei due gruppi, si riconosca la serietà del lavoro compiuto, pur nella piena libertà, com’è ovvio, di giudizio critico da parte di chiunque.
Insieme con la serietà dell’impegno esplicato dai componenti dei due gruppi, la cui esperienza – anche in posizioni di vertice – in prestigiose istituzioni indipendenti e in Parlamento, costituivano già in partenza un’indubbia garanzia, vorrei mettere in rilievo la prova di attitudine al dialogo, al confronto, alla condivisione che ci è stata fornita. Sono state largamente espresse posizioni comuni a conclusione del lavoro, pur non trascurando diversità di opinione rimaste tali su taluni punti. Un metodo e un clima, insomma, che ci incoraggiano nell’auspicio di analoghi sforzi di buona volontà e d’intesa anche nei luoghi della politica e nelle assemblee rappresentative.
L’iniziativa di istituire questi gruppi di lavoro, il mandato ad essi affidato, le relazioni che ne sono scaturite, rappresentano il contributo conclusivo – alla vigilia del compimento del mio mandato e della scelta del nuovo Presidente – che sono stato in grado di dare alla soluzione del problema del governo dopo le elezioni del 24 febbraio. Le due relazioni valgono a porre più che mai al centro dell’attenzione delle forze politiche i problemi essenziali cui sono legati sia il soddisfacimento delle attese e dei bisogni più urgenti dei cittadini e del paese e lo sviluppo futuro dell’Italia, e della società e della democrazia italiana. E sviluppo futuro significa prospettiva per un’intera giovane generazione, oggi fortemente inquieta. Una seria considerazione – anche con l’ausilio delle analisi e delle indicazioni fornite dai due gruppi di lavoro – dei problemi da affrontare, delle situazioni critiche da superare, delle potenzialità da cogliere e mettere a frutto, può stimolare la ricerca di convergenze tra le forze politiche, può favorire un clima costruttivo nel nuovo Parlamento, suggerire forme praticabili – nel quadro segnato dai risultati elettorali – di condivisione delle responsabilità di governo e dei percorsi di riforma necessari. Quel che trasmetto è dunque, credo, un testimone concreto e significativo.
Dai due cicli di consultazioni da me tenuti – senza perdere nemmeno un giorno dopo l’insediamento delle nuove Camere – tra il 20 e il 30 marzo, è risultato chiaramente che solo da scelte di collaborazione che spetta alle forze politiche compiere, segnandone i termini e i confini, può scaturire la formazione del nuovo governo di cui il paese ha urgente bisogno. Tale soluzione non poteva dunque nascere per impulso del Presidente della Repubblica uscente ripercorrendo un sentiero analogo a quello battuto con successo nel novembre del 2011. La parola e le decisioni toccano alle forze politiche, e starà al mio successore trarne le conclusioni.

Il 3 aprile viene reso noto che la seduta del Parlamento per l’elezione del nuovo Capo dello Stato potrà aver luogo a partire dal 18 aprile 2013

La seduta comune del Parlamento, integrato dai delegati regionali, per l’elezione del nuovo Capo dello Stato, potrà aver luogo già a partire da giovedì 18 aprile. Il Presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini, nella sua qualità di Presidente del Parlamento, nel comunicare che provvederà lunedì 15 aprile a diramare le convocazioni previste dal secondo comma dell’art. 85 della Costituzione, ha precisato che “su invito” del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e “sentito” il Presidente del Senato, Pietro Grasso, la seduta potrà aver luogo appunto già a partire da giovedì 18 aprile, “confidando che gli adempimenti relativi alla designazione da parte delle Regioni dei propri delegati si svolgano con la massima tempestività”.
Nella stessa comunicazione del Presidente della Camera si ricorda che, per quanto concerne il Friuli Venezia Giulia il cui Consiglio regionale è in corso di rinnovo, come avvenuto in altre analoghe occasioni, il Consiglio uscente ha già provveduto alle designazioni.

Il 2 aprile 2013 si è svolto un incontro tra il Presidente della Repubblica ed i componenti dei gruppi di lavoro in materia economico-finanziaria ed europea e sulle materie istituzionali.

“Il tempo giusto per i due gruppi di lavoro è tra otto e dieci giorni”

“Sabato ho proceduto in condizioni di particolare urgenza e difficoltà, data anche la coincidenza festiva, alla ricerca di persone che per funzioni di vertice in varie istituzioni e per esperienze concrete compiute in rapporto ad alcuni temi essenziali potessero dare il contributo richiesto. L’indubbio valore dei nomi da me subito resi noti, non mi ha messo al riparo da equivoci e dubbi circa i criteri della scelta o la non presenza di altri nomi certamente validi”. Così il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, si è rivolto prima al gruppo di lavoro in materia economico-sociale ed europea – composto dal presidente dell’Istat, Enrico Giovannini, dal presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, Giovanni Pitruzzella, dal membro del Direttorio della Banca d’Italia, Salvatore Rossi, dall’on. Giancarlo Giorgetti e dal sen. Filippo Bubbico, presidenti delle Commissioni speciali operanti alla Camera e al Senato, e dal ministro Enzo Moavero Milanesi – e poi a quello in materia istituzionale – di cui fanno parte il presidente emerito della Corte costituzionale Valerio Onida, il sen. Mario Mauro, il sen. Gaetano Quagliariello e il prof. Luciano Violante – nelle rispettive riunioni odierne al Quirinale.
“Comprendo – ha continuato il Presidente Napolitano – il disappunto che con accenti polemici si è espresso per non aver inserito in quella rosa delle personalità femminili, anche individuandole al di fuori di vertici istituzionali cui non abbiano avuto finora accesso. Mi dispiace e me ne scuso, pur trattandosi di organismi non formalizzati e di breve durata cui ho dato vita con obbligata estrema rapidità. Per nomine più sostanziali e di lungo periodo, come quelle che mi è spettato fare per la Corte Costituzionale e per il CNEL, ho dato il giusto peso alla componente femminile. E ai gruppi di lavoro ora istituiti saranno certamente ben presenti gli apporti venuti su molteplici temi da personalità femminili”.
“Vorrei però – ha affermato a questo punto il Capo dello Stato – soprattutto cogliere l’occasione, visto che questa modesta decisione – perché si tratta di una decisione di portata assai limitata – ha dato luogo anche a reazioni di sospetto e interpretazioni francamente sconcertanti, per osservare che è del tutto ovvio che qui non si crea nulla che possa interferire né nell’attività del Parlamento, anche in questa fase in cui lavora nei limiti noti, né nelle decisioni che spettano alle forze politiche. Io mi sono trovato in una condizione di impossibilità a proseguire nella ricerca di una soluzione alla crisi di governo, data la rigidità delle posizioni delle principali forze politiche. E ho detto chiaramente che attraverso questi gruppi si può concorrere almeno a creare condizioni più favorevoli allo scopo di sbloccare una situazione politica irrigidita in posizioni inconciliabili. Questo non significa, se mi permettete, che questi gruppi di lavoro indicheranno un tipo o un altro di soluzioni di governo. Indicheranno quali sono, rimettendo un po’ al centro dell’attenzione problemi seri, urgenti e di fondo del paese, questioni da affrontare – sia di carattere istituzionale sia di carattere economico-sociale nel contesto europeo – anche permettendo una misurazione delle divergenze e convergenze in proposito”.
Nell’incontro con i componenti del gruppo di lavoro sulle materie istituzionali, svoltosi dopo la riunione del gruppo in materia economico-finanziario ed europeo, il presidente Napolitano ha affermato di aver “molto apprezzato il contributo che già questa mattina hanno cominciato a dare i Presidenti delle Commissioni speciali del Senato e della Camera per l’esame di atti di governo che sono strumenti previsti dai regolamenti quando ci sia una situazione di crisi di governo in atto e il Parlamento debba comunque pronunciarsi anche su provvedimenti legittimi del governo dimissionario in carica. Perché anche attraverso quello che ci hanno detto i due presidenti – l’on. Giorgetti e il sen. Bubbico – e come ho potuto vedere dai resoconti delle due Commissioni, si è lavorato in modo molto dialogante e costruttivo. Quindi, spero di aver chiarito così anche la questione della durata temporale dei gruppi di lavoro. Essa è segnata intanto dal fatto che sono gruppi che ho preso l’iniziativa di creare avendo io stesso un tempo segnato, come tutti sanno, e non pensando che siano gruppi di lavoro che scavalchino il tempo della mia presidenza”.
E il Presidente Napolitano ha precisato: “Per essere utili, il tempo giusto è tra otto e dieci giorni”.

Il 30 marzo 2013 il Presidente della Repubblica conferma lo ‘stallo’ delle posizioni politiche ed il suo impegno a trovare una soluzione per il prossimo esecutivo.
Vengono definiti i due gruppi di lavoro che, su invito del Presidente della Repubblica, si riuniranno nel corso della prossima settimana, stabilendo contatti con i presidenti di tutti i gruppi parlamentari, su temi di carattere
– istituzionale
(prof. Valerio Onida, sen. Mario Mauro, sen. Gaetano Quagliariello, prof. Luciano Violante)
– economico-sociale ed europeo
(prof. Enrico Giovannini, presidente dell’Istat, prof. Giovanni Pitruzzella, presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, dottor Salvatore Rossi, membro del Direttorio della Banca d’Italia, on. Giancarlo Giorgetti e sen. Filippo Bubbico, presidenti delle Commissioni speciali operanti alla Camera e al Senato, e il ministro Enzo Moavero Milanesi).

Dichiarazione del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano

(Palazzo del Quirinale, 30/03/2013) Gli incontri svoltisi in Quirinale nella giornata di ieri con i rappresentanti delle forze politiche presenti in Parlamento mi hanno permesso di accertare la persistenza di posizioni nettamente diverse rispetto alle possibili soluzioni da dare al problema della formazione del nuovo governo. Ciò è d’altronde risultato chiaro pubblicamente attraverso le dichiarazioni rese al termine da ciascun gruppo.
Ritengo di dover ancora una volta sottolineare l’esigenza che da parte di tutti i soggetti politici si esprima piena consapevolezza della gravità e urgenza dei problemi del paese e quindi un accentuato senso di responsabilità al fine di rendere possibile la costituzione di un valido governo in tempi che non si prolunghino insostenibilmente, essendo ormai trascorso un mese dalle elezioni del nuovo Parlamento.
Tuttavia, non può sfuggire agli italiani e all’opinione internazionale che un elemento di concreta certezza nell’attuale situazione del nostro paese è rappresentato dalla operatività del governo tuttora in carica, benché dimissionario e peraltro non sfiduciato dal Parlamento : esso ha annunciato e sta per adottare provvedimenti urgenti per l’economia, d’intesa con le istituzioni europee e con l’essenziale contributo del nuovo Parlamento attraverso i lavori della Commissione speciale presieduta dall’on. Giorgetti.
Nella prospettiva ormai ravvicinata dell’elezione del nuovo Capo dello Stato – che mi auguro veda un’ampia intesa tra le forze politiche – sono giunto alla conclusione che, pur essendo ormai assai limitate le mie possibilità di ulteriore iniziativa sul tema della formazione del governo, posso fino all’ultimo giorno concorrere almeno a creare condizioni più favorevoli allo scopo di sbloccare una situazione politica irrigidita tra posizioni inconciliabili.
In questo senso mi accingo a chiedere a due gruppi ristretti di personalità tra loro diverse per collocazione e per competenze di formulare – su essenziali temi di carattere istituzionale e di carattere economico-sociale ed europeo – precise proposte programmatiche che possano divenire in varie forme oggetto di condivisione da parte delle forze politiche. Ciò potrà costituire comunque materiale utile : voglio dire anche per i compiti che spetteranno al nuovo Presidente della Repubblica nella pienezza dei suoi poteri.
Continuo dunque a esercitare fino all’ultimo giorno il mio mandato, come il senso dell’interesse nazionale mi suggerisce: non nascondendo al paese le difficoltà che sto ancora incontrando e ribadendo operosamente la mia fiducia nella possibilità di responsabile superamento del momento cruciale che l’Italia attraversa.

Il 29 marzo 2013 si svolgono nuove consultazioni del Presidente della Repubblica con i Gruppi parlamentari secondo il calendario di seguito riportato:

– Ore 11.00 Gruppi parlamentari del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati Il Popolo della Libertà
Gruppi parlamentari del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati Lega Nord e Autonomie
– Ore 16.00 Gruppi parlamentari del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati MoVimento 5 Stelle
– Ore 17.00 Gruppi parlamentari del Senato della Repubblica Scelta Civica per l’Italia e della Camera dei Deputati Lista Civica per l’Italia
– Ore 18.00 Gruppo parlamentare della Camera dei Deputati Sinistra Ecologia e Libertà
-Ore 18.30 Gruppi parlamentari del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati Partito Democratico

Riflessione del Presidente dopo l’accertamento personale degli sviluppi possibili del quadro politico-istituzionale

Il Presidente della Repubblica ha avuto una serie di incontri nel quadro delle iniziative che senza indugio aveva deciso di svolgere per “accertare personalmente gli sviluppi possibili del quadro politico-istituzionale” dopo che l’on. Pier Luigi Bersani gli aveva riferito dell’esito non risolutivo delle consultazioni svolte a seguito dell’incarico conferitogli lo scorso 22 marzo.
Le consultazioni al Quirinale sono iniziate in mattinata con la delegazione del Popolo della Libertà e della Lega, sono proseguite nel pomeriggio con gli incontri con i rappresentanti del MoVimento 5 Stelle, di Scelta Civica per l’Italia e di Sinistra Ecologia e Libertà, e si sono concluse con il Partito Democratico.
Al termine degli incontri, il Presidente Napolitano si è riservato una riflessione su quanto emerso.

Il 28 marzo 2013 l’onorevole Bersani riferisce al Capo dello Stato che le consultazioni da lui effettuate con le forze politiche non hanno dato esito risolutivo.

Iniziative senza indugio del Presidente per accertare personalmente gli sviluppi possibili del quadro politico-istituzionale

Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha ricevuto al palazzo del Quirinale l’on. Pier Luigi Bersani, che gli ha riferito l’esito delle consultazioni svolte a seguito dell’incarico conferitogli lo scorso 22 marzo, consultazioni il cui esito non è stato risolutivo.
Il Presidente della Repubblica si è riservato di prendere senza indugio iniziative che gli consentano di accertare personalmente gli sviluppi possibili del quadro politico-istituzionale.

Il 22 marzo 2013 il Presidente della Repubblica conferisce madato all’onorevole Pier Luigi Bersani per la formazione del Governo.

Conferito l’incarico per la formazione del governo all’onorevole Bersani

Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha ricevuto questo pomeriggio, al Palazzo del Quirinale, l’onorevole dottor Pier Luigi Bersani, al quale ha conferito l’incarico di verificare l’esistenza di un sostegno parlamentare certo, che consenta la formazione del Governo. Il Capo dello Stato ha invitato l’onorevole Bersani a riferire appena possibile.

“L’Italia deve darsi un governo operante nella pienezza dei suoi poteri; occorre assicurare la vitalità della nuova legislatura”

“Si apre oggi una fase decisiva per dare all’Italia un nuovo governo sulla base dei risultati elettorali : l’incarico che sto per dare costituisce il primo passo del cammino che dovrà condurci al più presto al raggiungimento dell’obbiettivo”. Lo ha affermato il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, incontrando i giornalisti prima di affidare all’on. Pierluigi Bersani l’incarico.

“Dico ‘al più presto’ – ha aggiunto il Capo dello Stato – perché il paese è premuto da problemi che esigono la nascita di un esecutivo e l’avvio di una normale e piena attività legislativa, al di là dei provvedimenti urgenti che il governo dimissionario riterrà di adottare ed è in grado di adottare”.

“Ma reagisco – ha sostenuto il Presidente Napolitano – a certe affermazioni che si ascoltano nel dibattito pubblico, infondatamente polemiche per il tempo che stanno prendendo gli adempimenti post-elettorali : non è ancora trascorso un mese dalle elezioni del 24 febbraio, da una settimana si sono insediate le nuove Camere, e mi complimento per il fatto che da ieri si sono definiti i rispettivi Uffici di Presidenza, significativamente rappresentativi di tutte le componenti politiche. Nella fase che ora si apre occorre procedere senza sterili lungaggini ma con grande ponderazione ed equilibrio. A chi se la prende con le presunte lentezze italiane, segnalo che nei due paesi di democrazia parlamentare in cui si sono svolte delicate consultazioni elettorali tra l’autunno scorso e l’inizio di quest’anno, sono occorsi, per la formazione dei nuovi governi, circa due mesi, in Olanda 54 giorni e in Israele 55 giorni”.

“L’essenziale è mostrare a noi stessi, all’Europa e alla comunità internazionale – ha sottolineato il Capo dello Stato – quanto apprezziamo e coltiviamo il valore della stabilità istituzionale, non minore di quello della stabilità finanziaria : da entrambi dipende il grado di affidabilità del nostro paese. L’Italia deve darsi un governo operante nella pienezza dei suoi poteri ; occorre assicurare la vitalità e fecondità della nuova legislatura, del nuovo Parlamento. E’ così che possiamo contribuire anche al consolidamento delle istituzioni europee, del loro impegno e del loro ruolo in un periodo così difficile e decisivo per il nostro comune futuro : ci assumeremmo altrimenti una grave responsabilità, tradiremmo le attese che ci sono state manifestate anche nei giorni scorsi dai rappresentanti di paesi amici, in primo luogo ma non solo europei, convenuti a Roma per rendere omaggio al nuovo Pontefice”.

Dalle consultazioni condotte al Quirinale con esponenti di tutte le forze politiche rappresentate in Parlamento, già nel passato scese in campo o di nuova formazione – partiti, movimenti, liste – il Capo dello Stato ha tratto “il senso di una larga condivisione della necessità istituzionale di fondo che ho ricordato. Diverse sono state naturalmente le indicazioni che mi sono state prospettate circa il modo di risolvere la crisi di governo e di aprire senza indugio il confronto in Parlamento sulle questioni che sono state al centro delle preoccupazioni e delle scelte dei cittadini elettori. Non si può ignorare la vastità e acutezza del malessere sociale che si è manifestato nel voto, insieme con l’asprezza dell’insoddisfazione e della polemica nei confronti del sistema dei partiti e dei vigenti meccanismi politico-istituzionali. Di qui istanze di radicale cambiamento che mi sono state manifestate dal ‘Movimento 5 Stelle’, confortato da un rilevante successo elettorale. Altre, importanti forze politiche hanno, nel corso delle consultazioni, espresso a loro volta una volontà di deciso cambiamento da perseguire attraverso riforme solo avviate o da tempo invano attese. Ma non tocca certo a me – ha sostenuto il Presidente Napolitano – vagliare piattaforme programmatiche, su cui dovranno pronunciarsi partiti e gruppi parlamentari nelle prossime discussioni finalizzate alla formazione del governo. A tutti, credo di poter dire, è apparsa chiara la portata delle sfide da affrontare. In considerazione di ciò, si è ricavata – da parte della coalizione guidata dall’on. Berlusconi ma anche da parte di altri – l’esigenza di un governo di vasta unione, che conti innanzitutto sulle due maggiori forze parlamentari, ovvero – come si dice in linguaggio europeo – di grande coalizione. Ma le difficoltà a procedere in questo senso sono apparse rilevanti : per effetto di antiche e profonde divergenze e contrapposizioni, che si erano attenuate nel corso del 2012 in funzione del sostegno al governo Monti ma sono riesplose con la rottura di fine anno. E’ un fatto che, se si erano realizzate importanti convergenze, ad esempio con la riforma dell’art. 81 della Costituzione, sono rimaste bloccate proposte pur concordate di modifica di vari punti della seconda parte della Carta e intenzioni dichiarate di riforma della legge elettorale. Peraltro, anche negli scorsi anni, caratterizzati da una dialettica bipolare tra coalizioni di governo e di opposizione, avevo sempre messo in luce l’esigenza di larghe intese tra gli opposti schieramenti su scelte di interesse generale, da quelle relative a garanzie di equilibrio istituzionale alle riforme del sistema politico-costituzionale, agli impegni di politica europea, internazionale e di sicurezza. Insisto – ha detto il Capo dello Stato – sulla necessità di larghe intese di quella natura, a complemento del processo di formazione del governo che potrebbe concludersi anche entro ambiti più caratterizzati e ristretti. Occorrerà comunque – per salvaguardare la posizione dell’Italia e anche per rafforzarne l’assertività e capacità di spinta innovativa nel concerto europeo – forte spirito di coesione nazionale. Al di là di quelle che potranno essere normali dialettiche maggioranza di governo/opposizione. Anche quella parte della popolazione che più soffre per la crisi economica e sociale e che più sollecita cambiamenti effettivi è interessata allo sviluppo di confronti concreti e costruttivi, piuttosto che a scontri totali e paralizzanti”.

“Si parta intanto – ha rilevato il Presidente Napolitano – con l’impegno a far nascere un nuovo governo. Ho ripercorso la prassi costituzionale quale si è venuta consolidando ed evolvendo per ciò che concerne il procedimento volto alla formazione del governo. Come ha scritto un autorevole studioso e interprete della nostra Legge fondamentale (Enzo Cheli), ‘particolare stringatezza’ presenta in essa ‘la disciplina relativa alla nomina del Presidente del Consiglio, che la Costituzione subordina soltanto al fine della formazione di un governo in grado di ottenere la fiducia delle Camere’, consentendo quindi al Capo dello Stato – specie in assenza di risolutivi risultati elettorali – la necessaria discrezionalità anche attraverso la creazione di diverse figure di incarico. Dinanzi alla complessa articolazione delle posizioni emerse nelle consultazioni, sono giunto alla conclusione che il destinatario dell’incarico, nei termini che preciserò, vada individuato nel capo della coalizione di centro-sinistra, da essa designato anche con una procedura di partecipazione democratica nella persona dell’on. Bersani. Tale coalizione, avendo ottenuto – sia pure grazie a un margine di vantaggio assai ristretto sulla coalizione di centro-destra – la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera e una posizione di maggioranza relativa al Senato, è obbiettivamente in condizioni più favorevoli per ricercare una pur difficile soluzione al problema del governo, attraverso tutti gli opportuni contatti con le altre forze politiche rappresentate in Parlamento, e non solo con esse”.

“Ho pertanto conferito – ha concluso il Presidente della Repubblica – in continuità con eloquenti, appropriati e non lontani precedenti – all’on. Pierluigi Bersani l’incarico di verificare l’esistenza di un sostegno parlamentare certo, tale da consentire la formazione di un governo che ai sensi del 1° comma dell’art. 94 della Costituzione abbia la fiducia delle due Camere. Egli mi riferirà, sull’esito della verifica compiuta, appena possibile”.

Le consultazioni al Quirinale per il nuovo esecutivo si svolgono il 20 e 21 marzo 2013.

Si riporta di seguito il calendario:

Giornata di mercoledì 20 marzo 2013

ORE 10.00 Presidente del Senato della Repubblica: Pietro Grasso
ORE 10.45 Presidente della Camera dei Deputati: Laura Boldrini
ORE 11.30 Gruppo Parlamentare Misto del Senato della Repubblica
ORE 12.00 Gruppo Parlamentare Misto della Camera dei Deputati
ORE 12.30 Rappresentanza della Südtiroler Volkspartei
ORE 12.50 Rappresentanza parlamentare della minoranza linguistica della Valle d’Aosta
ORE 16.30 Gruppo parlamentare del Senato della Repubblica Per le Autonomie-PSI
ORE 17.00 Gruppo parlamentare della Camera dei Deputati Sinistra Ecologia Libertà
ORE 18.00 Gruppi parlamentari del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati Scelta Civica per l’Italia

Giornata di giovedì 21 marzo 2013

ORE 9.30 Gruppi parlamentari del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati Movimento 5 Stelle
ORE 10.30 Gruppi parlamentari del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati Il Popolo delle Libertà
Gruppi parlamentari del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati Lega Nord e Autonomie
ORE 12.15 Presidente Emerito della Repubblica, Senatore Carlo Azeglio Ciampi
ORE 18.00 Gruppi parlamentari del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati Partito Democratico

Le Camere il 21 marzo 2013 eleggono il proprio Consiglio di Presidenza (quattro Vicepresidenti, tre Questori e otto Segretari).

Sabato 16 marzo 2013 sono eletti alla quarta votazione i presidenti della Camera dei Deputati, Laura Boldrini, e del Senato della Repubblica, Piero Grasso.

 PRESIDENTE. (Pronunzia, stando in piedi, il seguente discorso). Care deputate e cari deputati, permettetemi di esprimere il mio più sentito ringraziamento per l’alto onore e la responsabilità che comporta il compito di presiedere i lavori di questa Assemblea.
Vorrei, innanzitutto, rivolgere il saluto rispettoso e riconoscente di tutta l’Assemblea e mio personale al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (Applausi – I deputati si levano in piedi), che è custode rigoroso dell’unità del Paese e dei valori della Costituzione repubblicana.
Vorrei, inoltre, inviare un saluto cordiale al Presidente della Corte costituzionale e al Presidente del Consiglio. Faccio a tutti voi i miei auguri di buon lavoro, soprattutto ai più giovani, a chi siede per la prima volta in quest’Aula (Applausi).
Sono sicura che, in un momento così difficile per il nostro Paese, insieme riusciremo ad affrontare l’impegno straordinario di rappresentare nel migliore dei modi le istituzioni repubblicane.
Vorrei rivolgere, inoltre, un cordiale saluto a chi mi ha preceduto, al Presidente Gianfranco Fini, che ha svolto con responsabilità la sua funzione istituzionale (Applausi).
Arrivo a questo incarico dopo avere trascorso tanti anni a difendere e a rappresentare i diritti degli ultimi, in Italia come in molte periferie del mondo. È un’esperienza che mi accompagnerà sempre e che da oggi metto al servizio di questa Camera. Farò in modo che questa istituzione sia anche il luogo di cittadinanza di chi ha più bisogno (Applausi).
Il mio pensiero va a chi ha perduto certezze e speranze. Dovremo impegnarci tutti a restituire piena dignità a ogni diritto. Dovremo ingaggiare una battaglia vera contro la povertà, e non contro i poveri. In questa Aula sono stati scritti i diritti universali della nostra Costituzione, la più bella del mondo. La responsabilità di questa istituzione si misura anche nella capacità di saperli rappresentare e garantire uno a uno. Questa Aula dovrà ascoltare la sofferenza sociale di una generazione che ha smarrito se stessa, prigioniera della precarietà, costretta spesso a portare i propri talenti lontano dall’Italia (Applausi).
Dovremo farci carico dell’umiliazione delle donne che subiscono violenza travestita da amore (Prolungati applausi), ed è un impegno che fin dal primo giorno affidiamo alla responsabilità della politica e del Parlamento.
Dovremo stare accanto a chi è caduto senza trovare la forza o l’aiuto per rialzarsi, ai tanti detenuti che oggi vivono in una condizione disumana e degradante (Applausi), come ha autorevolmente denunziato la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo.
Dovremo dare strumenti a chi ha perso il lavoro o non lo ha mai trovato, a chi rischia di smarrire perfino l’ultimo sollievo della cassa integrazione, ai cosiddetti esodati, che nessuno di noi ha dimenticato (Applausi), ai tanti imprenditori che costituiscono una risorsa essenziale per l’economia italiana (Applausi) e che oggi sono schiacciati dal peso della crisi, alle vittime del terremoto e a chi subisce ogni giorno gli effetti della scarsa cura del nostro territorio (Applausi).
Dovremo impegnarci per restituire fiducia a quei pensionati che hanno lavorato tutta la vita e che oggi non riescono ad andare avanti (Applausi).
Dovremo imparare a capire il mondo con lo sguardo aperto di chi arriva da lontano, con l’intensità e lo stupore di un bambino, con la ricchezza interiore e inesplorata di un disabile.
In Parlamento sono stati scritti questi diritti, ma sono stati costruiti fuori da qui, liberando l’Italia e gli italiani dal fascismo (Prolungati applausi).
Ricordiamo il sacrificio di chi è morto per le istituzioni e per questa democrazia. Anche con questo spirito siamo idealmente vicini a chi oggi, a Firenze, assieme a Luigi Ciotti, ricorda tutti i morti per mano mafiosa (Prolungati applausi). Al loro sacrificio ciascuno di noi e questo Paese devono molto. E molto, molto, dobbiamo anche al sacrificio di Aldo Moro e degli uomini della sua scorta (Applausi), che ricordiamo con commozione oggi, nel giorno in cui cade l’anniversario del loro assassinio.
Questo è un Parlamento largamente rinnovato. Scrolliamoci di dosso ogni indugio nel dare piena dignità alla nostra istituzione, che saprà riprendersi la centralità e la responsabilità del proprio ruolo. Facciamo di questa Camera la casa della buona politica (Applausi), rendiamo il Parlamento e il nostro lavoro trasparenti, anche in una scelta di sobrietà che dobbiamo agli italiani (Prolungati applausi).
Sarò la Presidente di tutti, a partire da chi non mi ha votato. Mi impegnerò perché la mia funzione sia luogo di garanzia per ciascuno di voi e per tutto il Paese. L’Italia fa parte del nucleo dei fondatori del processo di integrazione europea. Dovremo impegnarci ad avvicinare i cittadini italiani a questa sfida, a un progetto che sappia recuperare per intero la visione e la missione che furono pensate con lungimiranza da Altiero Spinelli (Applausi). Lavoriamo perché l’Europa torni ad essere un grande sogno, un crocevia di popoli e di culture, un approdo certo per i diritti delle persone, appunto un luogo della libertà, della fraternità e della pace.
Anche i protagonisti della vita spirituale e religiosa ci spronano ad osare di più. Per questo abbiamo accolto con gioia i gesti e le parole del nuovo pontefice (Generali applausi), venuto emblematicamente dalla fine del mondo.
A Papa Francesco il saluto carico di speranza di tutti noi.
Consentitemi un saluto anche alle istituzioni internazionali, alle associazioni e alle organizzazioni delle Nazioni Unite, in cui ho lavorato per 24 anni, e permettetemi, visto che questo è stato fino ad oggi il mio impegno, un pensiero per i molti, troppi morti senza nome che il nostro Mediterraneo custodisce (Applausi). Un mare che dovrà sempre più diventare un ponte verso altri luoghi, altre culture, altre religioni.
Sento forte l’alto richiamo del Presidente della Repubblica all’unità del Paese. Un richiamo che quest’Aula è chiamata a raccogliere con pienezza e convinzione. La politica deve tornare ad essere una speranza, un servizio, una passione (Prolungati applausi).
Stiamo iniziando un viaggio, oggi iniziamo un viaggio: cercherò di portare, assieme a ciascuno di voi, con cura e umiltà, la richiesta di cambiamento che alla politica oggi rivolgono tutti gli italiani, soprattutto i nostri figli. Grazie (Vivi, prolungati applausi).

 

 

PRESIDENTE. (Si leva in piedi). Care senatrici, cari senatori, mi scuserete ma voglio rivolgere questo primo discorso soprattutto a quei cittadini che stanno seguendo i lavori di quest’Aula con apprensione e con speranza per il futuro di questo Paese.

Il Paese mai come oggi ha bisogno di risposte rapide ed efficaci, all’altezza della crisi economica, sociale e politica che sta vivendo. Mai come ora, la storia italiana si intreccia con quella europea, e i destini sono comuni. Mai come oggi il compito della politica è quello di restituire ai cittadini la coscienza di questa sfida.

Quando ieri sono entrato per la prima volta da senatore in quest’Aula mi ha colpito l’affresco sul soffitto, che vi invito a guardare. Riporta quattro parole, che sono state sempre di grande ispirazione per la mia vita e che spero lo saranno ogni giorno per ciascuno di noi nei lavori che andremo ad affrontare: giustizia, diritto, fortezza e concordia. Quella concordia, quella pace sociale di cui il Paese ha ora disperatamente bisogno.

Domani è l’anniversario dell’Unità d’Italia, quel 17 marzo di 152 anni fa in cui è cominciata la nostra storia come comunità nazionale dopo un lungo e difficile cammino di unificazione. Nei 152 anni della nostra storia, soprattutto nei momenti più difficili, abbiamo saputo unirci, superare le differenze, affermare con fermezza i nostri valori comuni e trovare insieme un sentiero condiviso.

Il primo pensiero va sicuramente alla fase costituente della nostra Repubblica, quando uomini e donne di diversa cultura hanno saputo darci quella che ancora oggi è considerata una delle Carte costituzionali più belle e più moderne del mondo. (Applausi).

Lasciatemi in questo momento ricordare Teresa Mattei. (L’Assemblea si leva in piedi. Vivi, prolungati applausi). Teresa Mattei, che ci ha lasciato pochi giorni fa e che dell’Assemblea costituente fu la più giovane donna eletta, per tutta la vita è stata attiva per affermare e difendere i diritti delle donne, troppo spesso calpestati anche nel nostro Paese.

Siamo davanti a un passaggio storico straordinario: abbiamo il dovere di esserne consapevoli, il diritto e la responsabilità di indicare un cambiamento possibile, perché è in gioco la qualità della democrazia che stiamo vivendo. Allo stesso tempo dobbiamo avviare un cammino a lungo termine, dobbiamo davvero iniziare una nuova fase costituente che sappia stupire e stupirci.

Oggi è il 16 marzo, e non posso che ringraziare il presidente Colombo che stamattina ci ha commosso con il ricordo dell’anniversario del rapimento di Aldo Moro (L’Assemblea si leva in piedi. Vivi, prolungati applausi) e della strage di via Fani dove trovarono la morte – come lui stesso ha ricordato – i cinque agenti di scorta Raffaele Jozzino, Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera e Francesco Zizzi. Al loro sacrificio di servitori dello Stato va il nostro omaggio deferente e commosso.(Generali applausi).

Oggi bisogna ridare dignità e risorse alle forze dell’ordine e alla magistratura. Sono trascorsi 35 anni da quel tragico giorno, che non fu solo il dramma di un uomo e di una famiglia, ma dell’intero Paese. In Aldo Moro il terrorismo brigatista individuò il nemico più consapevole di un progetto davvero riformatore: l’uomo e il dirigente politico che aveva compreso il bisogno e le speranze di rigenerazione che animavano dal profondo e tormentavano la società italiana.

Come Moro scrisse in un suo saggio giovanile, «Forse il destino dell’uomo non è di realizzare pienamente la giustizia, ma di avere perpetuamente della giustizia fame e sete. Ma è sempre un grande destino».

Oggi, inoltre, migliaia di giovani a Firenze hanno partecipato alla Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime della mafia. (Applausi). Vi confesso che mi è molto dispiaciuto non poter essere con loro, come ogni anno. Hanno pronunciato e ascoltato gli oltre 900 nomi di vittime della criminalità organizzata: nomi di cittadini, appartenenti alle forze dell’ordine, sindacalisti, politici, amministratori locali, giornalisti, sacerdoti, imprenditori, magistrati, persone innocenti uccise nel pieno della loro vita. Il loro impegno, il loro sacrificio, il loro esempio dovrà essere il nostro faro.

Ho dedicato la mia vita alla lotta alla mafia in qualità di magistrato e devo dirvi che, dopo essermi dimesso dalla magistratura, pensavo di poter essere utile al Paese in forza della mia esperienza professionale nel mondo della giustizia. Ma la vita riserva sempre delle sorprese.

Oggi interpreto questo mio nuovo e imprevisto impegno con spirito di servizio, per contribuire alla soluzione dei problemi di questo Paese.

Ho sempre cercato verità e giustizia e continuerò a cercarle da questo scranno, auspicando che venga istituita una nuova Commissione d’inchiesta su tutte le stragi irrisolte del nostro Paese. (Applausi).

Se oggi, davanti a voi, dovessi scegliere un momento in cui raccogliere la storia della mia vita professionale precedente non vorrei limitarmi a menzionare gli amici e i colleghi caduti in difesa della democrazia e dello Stato di diritto, che io ho conosciuto: non c’è, infatti, un solo nome, un volto, che può racchiuderli tutti e purtroppo, se dovessi citarli tutti, la lista sarebbe – ahimè! – troppo lunga.

Mi viene, piuttosto, in mente e nel cuore un momento che li abbraccia a uno a uno: è il ricordo della voce e delle parole di una giovane donna. Mi riferisco al dolore straziato di Rosaria Costa, la moglie dell’agente Vito Schifani, morto insieme ai colleghi Rocco Dicillo e Antonino Montinaro nella strage di Capaci del 22 maggio 1992, in cui persero la vita anche Giovanni Falcone e Francesca Morvillo. Non ho dimenticato le sue parole il giorno dei funerali del marito, quel microfono strappato ai riti e alle convenzioni delle cerimonie. (I senatori eletti nelle liste «Movimento 5 Stelle Grillo» si levano in piedi). «Chiedo innanzitutto che venga fatta giustizia, adesso. Rivolgendomi agli uomini della mafia, perché ci sono qua dentro (e non), ma certamente non cristiani, sappiate che anche per voi c’è possibilità di perdono: io vi perdono, però vi dovete mettere in ginocchio, se avete il coraggio di cambiare. (…) loro non cambiano (…) loro non vogliono cambiare. (…) Vi chiediamo (…) di operare anche voi per la pace, la giustizia, la speranza e l’amore per tutti (…)». (L’Assemblea si leva in piedi. Vivi, prolungati applausi).

Giustizia e cambiamento: questa è la sfida che abbiamo davanti. Ci attende un intenso lavoro comune, per rispondere con i fatti alle attese dei cittadini che chiedono anzitutto più giustizia sociale, più etica, nella consapevolezza che il lavoro è uno dei principali problemi di questo Paese. Penso alle risposte che al più presto – ed è già tardi – dovremo dare ai disoccupati, ai cassaintegrati, agli esodati, alle imprese, a tutti quei giovani che vivono una vita a metà, hanno prospettive incerte, lavori (chi ce l’ha) poco retribuiti. Quando riescono a uscire dalla casa dei genitori, vivono in appartamenti che non possono comprare, cercando di costruire una famiglia che non sanno come sostenere.

Penso all’insostenibile situazione delle carceri del nostro Paese, che hanno bisogno di interventi prioritari. (Applausi). Penso a una giustizia che oggi va riformata in modo organico, agli immigrati che cercano qui da noi una speranza di futuro, ai diritti in quanto tali che non possono essere elargiti col ricatto del dovere e che non possono conoscere limiti, altrimenti diventano privilegi. (Applausi).

Penso alle istituzioni sul territorio, ai sindaci dei Comuni che stanno soffrendo e faticano per garantire i servizi essenziali ai loro cittadini. (Applausi). Sappiano che lo Stato è dalla loro parte e che il nostro impegno sarà di fare il massimo sforzo per garantire loro l’ossigeno di cui hanno bisogno.

Penso al mondo della scuola, nelle cui aule ogni giorno si affaccia il futuro del nostro Paese, e agli insegnanti che fra mille difficoltà si impegnano a formare cittadini attivi e responsabili.

Penso alla nostra posizione sullo scenario europeo. Siamo tra i Paesi fondatori dell’Unione e il nostro compito è portare nelle istituzioni comunitarie le esigenze e i bisogni dei cittadini. L’Europa non è solo moneta ed economia: deve essere anche l’incontro di popoli e di culture. (Applausi dei senatori eletti nelle liste «Partito Democratico»).

Penso a questa politica, alla quale mi sono appena avvicinato, che ha bisogno di essere cambiata e ripensata dal profondo nei suoi costi, nelle sue regole, nei suoi riti, nelle sue consuetudini, nella sua immagine, rispondendo ai segnali che i cittadini ci hanno mandato, ci mandano e ci continuano a mandare in ogni occasione. Sogno che quest’Aula diventi una casa di vetro e che questa scelta possa contagiare tutte quante le altre istituzioni. (Applausi).

Quanto radicale e urgente sia il tempo del cambiamento lo dimostra la scelta del nuovo Pontefice, Papa Francesco (L’Assemblea si leva in piedi. Prolungati applausi), i cui primi atti hanno evidenziato un’attenzione prioritaria verso i bisogni reali delle persone.

Voglio, in conclusione, rivolgere a nome dell’Assemblea dei senatori e mio personale un deferente saluto al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (L’Assemblea si leva in piedi ed applaude, ad eccezione dei senatori eletti nelle liste «Movimento 5 Stelle Grillo»), supremo garante della Costituzione e dell’unità italiana, che con saggezza e salda cultura istituzionale esercita il suo mandato di Capo dello Stato.

Desidero anche ringraziare il mio predecessore, il senatore Renato Schifani, per l’impegno profuso al servizio di questa Assemblea. (L’Assemblea si leva in piedi, ad eccezione dei senatori eletti nelle liste «Movimento 5 Stelle Grillo». Applausi all’indirizzo del senatore Schifani).

Un omaggio speciale e un indirizzo di saluto al Presidente emerito della Repubblica, agli altri senatori a vita, fra cui Emilio Colombo (L’Assemblea si leva in piedi. Applausi all’indirizzo del senatore Colombo), che ha presieduto con inesauribile energia la fase iniziale di questa XVII legislatura: lui, che ha visto nascere la Repubblica partecipando ai lavori dell’Assemblea costituente.

Concludo ricordando cosa mi disse il capo dell’ufficio istruzione del tribunale di Palermo, Antonino Caponnetto (Applausi), poco prima di entrare nell’aula del maxiprocesso contro la mafia: «Fatti forza, ragazzo, vai avanti a schiena diritta e testa alta e segui soltanto la voce della tua coscienza». Sono certo che in questo momento e in quest’Aula l’avrebbe ripetuto anche a tutti noi. (L’Assemblea si leva in piedi. Vivi, prolungati applausi).

Venerdì 15 marzo 2013, con la prima riunione delle Camere, ha inizio la XVII Legislatura.

Al via la XVII Legislatura: la prima riunione dell’Assemblea il 15 marzo

(Camera, 27.2.13) Venerdì 15 marzo è fissata la prima riunione delle nuove Camere. Con la proclamazione dei deputati, che entrano così nel pieno esercizio delle loro funzioni, avrà inizio la XVII Legislatura. L’Assemblea procederà quindi all’elezione del proprio Presidente che avrà luogo per scrutinio segreto a maggioranza dei due terzi dei componenti la Camera. Dal secondo scrutinio è richiesta la maggioranza dei due terzi dei voti computando tra i voti anche le schede bianche. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta dei voti. L’articolo 61 della Costituzione stabilisce che fino a quando non saranno riunite le nuove Camere sono prorogati i poteri delle precedenti.

L’elezione del Presidente del Senato e gli altri adempimenti parlamentari di inizio legislatura

(Senato, 27.2.13) L’Assemblea si riunirà per la prima seduta della XVII legislatura il 15 marzo 2013.

1° adempimento: costituzione dell’Ufficio di Presidenza provvisorio
«Nella prima seduta dopo le elezioni il Senato è presieduto provvisoriamente dal più anziano di età. I sei senatori più giovani presenti alla seduta sono chiamati ad esercitare le funzioni di Segretari» (art. 2 del Regolamento del Senato).

2° adempimento: convocazione della Giunta provvisoria per la verifica dei poteri
Il Presidente provvisorio proclama eletti senatori i candidati che subentrano agli optanti eletti in più circoscrizioni del Senato. Per i relativi accertamenti, il Presidente convoca immediatamente una Giunta provvisoria per la verifica dei poteri.

3: elezione del Presidente
Il Senato procede alla elezione del Presidente con votazione a scrutinio segreto. Secondo la procedura, i senatori passano davanti al banco della Presidenza dove viene approntata una cabina che garantisce la segretezza del voto. Prima di entrare nella cabina, i senatori ricevono dagli assistenti parlamentari una scheda. All’interno della cabina, il senatore scrive il nome del candidato sulla scheda. All’uscita dalla cabina la scheda viene depositata nell’apposita urna. Nell’appello sono chiamati per primi i senatori a vita. La chiama prosegue quindi con gli altri senatori in ordine alfabetico.
Per quanto riguarda il numero dei voti richiesto, ecco cosa prescrive il Regolamento: «E’ eletto chi raggiunge la maggioranza assoluta dei voti dei componenti del Senato. Qualora non si raggiunga questa maggioranza neanche con un secondo scrutinio, si procede, nel giorno successivo, ad una terza votazione nella quale è sufficiente la maggioranza assoluta dei voti dei presenti, computando tra i voti anche le schede bianche. Qualora nella terza votazione nessuno abbia riportato detta maggioranza, il Senato procede nello stesso giorno al ballottaggio fra i due candidati che hanno ottenuto nel precedente scrutinio il maggior numero di voti e viene proclamato eletto quello che consegue la maggioranza, anche se relativa. A parità di voti è eletto o entra in ballottaggio il più anziano di età» (art. 4).

4: costituzione dei Gruppi Parlamentari
L’adempimento successivo, dopo la prima seduta, riguarda la costituzione dei Gruppi parlamentari.
Infatti «entro tre giorni dalla prima seduta, ogni senatore è tenuto ad indicare alla Presidenza del Senato il Gruppo del quale intende far parte» (art. 14, comma 2, Regolamento).
«Ciascun Gruppo dev’essere composto da almeno dieci senatori. I senatori che non abbiano dichiarato di voler appartenere ad un Gruppo formano il Gruppo misto» (art. 14).
«Entro sette giorni dalla prima seduta, il Presidente del Senato indìce, per ogni Gruppo da costituire, la convocazione dei senatori che hanno dichiarato di volerne far parte e la convocazione dei senatori da iscrivere nel Gruppo misto» (art. 15, comma 1).

5: elezione del Consiglio di Presidenza
La costituzione dei Gruppi parlamentari è necessaria ad un altro adempimento: «Eletto il Presidente, nella seduta successiva si procede alla elezione di quattro Vice Presidenti, di tre Questori e di otto Segretari (…). Ciascun Senatore scrive sulla propria scheda due nomi per i Vice Presidenti, due per i Questori, quattro per i Segretari. Sono eletti coloro che ottengono il maggior numero di voti». (art. 5).

6: formazione delle Commissioni
L’ultimo adempimento di inizio legislatura riguarda la formazione delle Commissioni permanenti.
«Ciascun Gruppo, entro cinque giorni dalla propria costituzione, procede, dandone comunicazione alla Presidenza del Senato, alla designazione dei propri rappresentanti nelle singole Commissioni permanenti di cui all’articolo 22, in ragione di uno ogni tredici iscritti». (art. 21).

L’inizio della XVI Legislatura
Può essere utile, a questo punto, un confronto con le fasi iniziali della XVI Legislatura:
– Il 29 aprile 2008 ebbe luogo la prima seduta con l’elezione del Presidente Renato Schifani (alla prima votazione).
– Dopo aver pronunciato il discorso di insediamento, il Presidente invitò i senatori a indicare entro le ore 13 di venerdì 2 maggio il Gruppo parlamentare di appartenenza e convocò i Gruppi parlamentari per lunedì 5 maggio alle ore 18, per procedere, ove non lo avessero fatto in precedenza, alla propria costituzione.
– Infine, nel corso della stessa prima seduta, il Presidente convocò la Conferenza dei Presidenti dei Gruppi parlamentari per la giornata di martedì 6 maggio alle ore 9,30.
– L’Assemblea tornò a riunirsi martedì 6 maggio alle ore 10,30; in quella sede fu comunicata l’avvenuta costituzione dei Gruppi parlamentari e la composizione dei relativi Uffici di Presidenza; subito dopo si procedette all’elezione dei Vice Presidenti, dei Questori e dei Segretari. Nel corso della stessa seduta, il Presidente ricordò ai Gruppi l’obbligo di procedere, entro cinque giorni, alla designazione dei propri rappresentanti nelle Commissioni permanenti, dandone comunicazione alla Presidenza entro le ore 17 di lunedì 12 maggio.
– La terza seduta, martedì 13 maggio, fu dedicata all’accettazione delle dimissioni del II Governo Prodi e alle dichiarazioni programmatiche del IV Governo Berlusconi.
– Nel corso della seduta del 13 maggio, venne decisa la nomina di una Commissione speciale, composta di ventisette membri in rappresentanza proporzionale di tutti i Gruppi, per l’esame dei disegni di legge di conversione dei decreti-legge.
– Nel corso della sesta seduta di mercoledì 21 maggio, fu annunciata per l’indomani, ovvero giovedì 22 maggio, la convocazione delle Commissioni per la loro costituzione, cioè per l’elezione di Presidente, Vice Presidenti e Segretari.

 

Governi italiani

XVII Legislatura (dal 15 marzo 2013)

  • Governo Letta (dal 28 aprile 2013)

XVI Legislatura (dal 29 aprile 2008 al 14 marzo 2013) elezioni politiche 13 e 14 aprile 2008

  • Governo Monti (dal 16 novembre 2011 al 27 aprile 2013)
  • Governo Berlusconi IV (dall’8 maggio 2008 al 16 novembre 2011)

XV Legislatura (28 aprile 2006 – 6 febbraio 2008) elezioni politiche 9 e 10 aprile 2006

  • Governo Prodi II (dal 17 maggio 2006 al 6 maggio 2008)

XIV Legislatura (30 maggio 2001 – 27 aprile 2006) elezioni politiche il 13 maggio 2001

  • Governo Berlusconi III (dal 23 aprile 2005 al 17 maggio 2006)
  • Governo Berlusconi II (dall’11 giugno 2001 al 23 aprile 2005)

XIII Legislatura (9 maggio 1996 – 9 marzo 2001) elezioni politiche il 21 aprile 1996

  • Governo Amato II
  • Governo D’Alema II
  • Governo D’Alema
  • Governo Prodi

XII Legislatura (15 aprile 1994 – 16 febbraio 1996) elezioni politiche il 27 marzo 1994

  • Governo Dini
  • Governo Berlusconi

XI Legislatura (23 aprile 1992 – 16 gennaio 1994) elezioni politiche il 4 aprile 1992

  • Governo Ciampi
  • Governo Amato

X Legislatura (2 luglio 1987 – 2 febbraio 1992) elezioni politiche il 14 giugno 1987

  • Governo Andreotti VII
  • Governo Andreotti VI
  • Governo De Mita
  • Governo Goria

IX Legislatura (12 luglio 1983 – 28 aprile 1987) elezioni politiche il 26 giugno 1983

  • Governo Fanfani VI
  • Governo Craxi II
  • Governo Craxi

VIII Legislatura (20 giugno 1979 – 4 maggio 1983) elezioni politiche il 3 giugno 1979

  • Governo Fanfani V
  • Governo Spadolini II
  • Governo Spadolini
  • Governo Forlani
  • Governo Cossiga II
  • Governo Cossiga

VII Legislatura (5 luglio 1976 – 2 aprile 1979) elezioni politiche il 20-21 giugno 1976

  • Governo Andreotti V
  • Governo Andreotti IV
  • Governo Andreotti III

VI Legislatura (25 maggio 1972 – 1 maggio 1976) elezioni politiche il 7-8 maggio 1972

  • Governo Moro V
  • Governo Moro IV
  • Governo Rumor V
  • Governo Rumor IV
  • Governo Andreotti II

V Legislatura (5 giugno 1968 – 28 febbraio 1972) elezioni politiche il 19 maggio 1968

  • Governo Andreotti
  • Governo Colombo
  • Governo Rumor III
  • Governo Rumor II
  • Governo Rumor
  • Governo Leone II

IV Legislatura (16 maggio 1963 – 11 marzo 1968) elezioni politiche il 28 aprile 1963

  • Governo Moro III
  • Governo Moro II
  • Governo Moro I
  • Governo Leone

III Legislatura (12 giugno 1958 – 18 febbraio 1963) elezioni politiche il 25 maggio 1958

  • Governo Fanfani IV
  • Governo Fanfani III
  • Governo Tambroni
  • Governo Segni II
  • Governo Fanfani II

II Legislatura (25 giugno 1953 – 14 marzo 1958) elezioni politiche il 7 giugno 1953

  • Governo Zoli
  • Governo Segni
  • Governo Scelba
  • Governo Fanfani
  • Governo Pella
  • Governo De Gasperi VIII

I Legislatura (8 maggio 1948 – 4 aprile 1953) elezioni politiche il 18 aprile 1948

  • Governo De Gasperi VII
  • Governo De Gasperi VI
  • Governo De Gasperi V

Ordinamento provvisorio (25 luglio 1943 – 23 maggio 1948)
Assemblea costituente (25 giugno 1946 – 31 gennaio 1948)
Proclamazione della Repubblica: 2 giugno 1946

  • Governo De Gasperi IV
  • Governo De Gasperi III
  • Governo De Gasperi II (primo governo della Repubblica)
  • Governo De Gasperi
  • Governo Parri
  • Governo Bonomi II
  • Governo Bonomi
  • Governo Badoglio II
  • Governo Badoglio

24 marzo Firmato il Decreto sul TFA speciale

Il Ministro firma il decreto contenete modifiche al regolamento di cui al decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca 10 settembre 2010, n. 249, concernente definizione della disciplina dei requisiti e delle modalità della formazione iniziale degli insegnanti della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo e di secondo grado.

Di seguito il comunicato del MIUR:

Firmato dal Ministro Profumo il Decreto sul Tfa speciale

E’ stato firmato dal Ministro dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca Francesco Profumo il Decreto rettificativo e integrativo del D.M. N.249/2010 che, oltre a prevedere nuovi criteri di programmazione del numero dei posti dei docenti abilitati necessari per il funzionamento del sistema formativo nazionale, ha affiancato al Tfa ordinario, percorsi abilitanti riservati (il cosiddetto TFA speciale), come misura transitoria limitata a tre annualità (2012-13, 2013-14 e 2014-15).
Il provvedimento, tanto atteso da numerosissimi docenti precari non abilitati ed in servizio da almeno 3 anni entro il periodo degli anni scolastici 1999-2000 e 2011-12 e il cui numero stimato e’ di circa 75.000, è stato completato.
Per diventare efficace deve ora solamente essere registrato alla Corte dei Conti e pubblicato in Gazzetta Ufficiale.
Come si svolge il Tfa speciale
Già nei prossimi giorni sarà avviata la programmazione di questi percorsi, che prevedono tre fasi, strettamente integrate tra loro, per acquisire l’abilitazione all’insegnamento nella scuola:
– prova nazionale, tendente ad accertare le capacità logiche, di sintesi e linguistiche del candidato, il quale potrà conseguire un punteggio fino a 35 punti;
la graduatoria compilata sulla base dei punteggi conseguiti nella prova nazionale servirà anche a stabilire l’ordine delle ammissioni ai percorsi abilitanti riservati nelle singole università, che, visto il numero rilevante degli aventi diritto, specie per alcune classi di concorso più affollate, potranno prevedere più edizioni.
– percorso universitario con insegnamenti in aula per un totale di 41 crediti formativi, con verifiche per ciascun insegnamento che – se superate – potranno far conseguire all’abilitando da 30 a 50 punti;
– prova finale, che andrà ad accertare la preparazione professionale dell’abilitando e che sarà valutata con un punteggio fino a 15 punti.
Il titolo di abilitazione sarà dunque conseguito se il candidato avrà ottenuto un punteggio complessivo di almeno 60/100.
Questo percorso è stato regolamentato da un secondo decreto ministeriale, di rango giuridico inferiore al primo, ma contestualmente firmato dal Ministro Profumo.
Graduatorie di II° fascia di istituto
Con un terzo distinto provvedimento ministeriale si è provveduto altresì a rivedere la tabella di valutazione dei titoli culturali e di servizio validi per l’inserimento e l’aggiornamento delle graduatorie di II° fascia di istituto, adempimento previsto dalla normativa vigente ogni tre anni, con prossima scadenza nella primavera 2014.
Nella tabella vigente, in quanto preesistente al D.M.n.249/2010, non era infatti prevista la valutazione del titolo di abilitazione che sarà conseguito da quanti stanno frequentando il TFA ordinario, né tanto meno quello che sarà conseguito al termine del percorso abilitante speciale. Si è colmata quindi anche questa lacuna, disponendo una differenziazione di punteggi tra abilitazioni conseguite nei percorsi ordinari e riservati nel segno della continuità con il passato, che già riconosceva un diverso punteggio alle abilitazioni conseguite a seguito della frequenza dei corsi SISS e delle sessioni riservate, ed in ossequio alla osservazione posta dalla VII° Commissione della Camera dei deputati in sede di esplicitazione di parere sul testo del D.M. rettificativo del D.M.n.249/2010.
Nessuna sovrapposizione con chi sta frequentando il Tfa ordinario
Con la firma dei tre sopracitati decreti ministeriali si è dunque cercato di porre finalmente rimedio agli squilibri prodotti da una programmazione insufficiente per quanto riguardava il fabbisogno di abilitati, e che negli anni passati ha avuto l’effetto di produrre ingenti schiere di precari non abilitati in servizio nelle scuole statali e paritarie, anche per più anni. Al contempo – e da qui origina l’elaborata gestazione dei tre provvedimenti – per espressa volontà del Ministro si è inteso trovare un punto di equilibrio che tutelasse anche le posizioni acquisite e le aspettative di quanti, dopo aver superato una selezione a numero chiuso, stanno frequentando il TFA ordinario, che si snoda attraverso un più lungo percorso abilitante (60 Crediti Formativi Universitari).

22 marzo TFA Speciali e Sperimentazione riduzione percorso scolastico

Il giorno 22 marzo 2013, nel corso di un incontro con le OO.SS., il MIUR ha presentato ai sindacati due decreti, uno per l’attivazione dei T.F.A. speciali ed un altro sulla riduzione di un anno del percorso scolastico tramite tre tipologie di sperimentazioni:
– a) anticipo a cinque anni;
– b) riduzione di un anno del ciclo di base (tra le classi IV e V della primaria o tra le classi I e II della secondaria di primo grado);
– c) trasformazione del biennio iniziale della secondaria di secondo grado in due “semestri”.

8 marzo Sistema Nazionale di Valutazione in CdM

Il Consiglio dei Ministri, nella seduta di venerdì 8 marzo 2013, approva definitivamente un Decreto Presidenziale recante il Regolamento sul sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione.
Il Regolamento è stato giò approvato, in prima lettura dal CdM il 24 agosto 2012 e dalla 7a Commissione Senato il 14 febbraio 2013.

Il Consiglio dei Ministri ha inoltre approvato un regolamento contenente il Codice di comportamento dei dipendenti pubblici.

Di seguito un estratto del comunicato stampa del CdM ed il comunicato del MIUR:

CODICE DI COMPORTAMENTO DEI DIPENDENTI PUBBLICI

Su proposta del Ministro della pubblica amministrazione e semplificazione, il Consiglio dei Ministri ha approvato, salvo intese, un regolamento contenente il Codice di comportamento dei dipendenti pubblici. Il codice, emanato in attuazione della legge anti-corruzione (legge n. 190 del 2012), in linea con le raccomandazioni OCSE in materia di integrità ed etica pubblica, indica i doveri di comportamento dei dipendenti delle PA e prevede che la loro violazione è fonte di responsabilità disciplinare.
Tra le disposizioni del codice ci sono:
– il divieto per il dipendente di chiedere regali, compensi o altre utilità, nonché il divieto di accettare regali, compensi o altre utilità, salvo quelli d’uso di modico valore (non superiore a 150 euro) – anche sotto forma di sconto. I regali e le altre utilità comunque ricevuti sono immediatamente messi a disposizione dell’Amministrazione per essere devoluti a fini istituzionali;
– la comunicazione del dipendente della propria adesione o appartenenza ad associazioni e organizzazioni (esclusi partici politici e sindacati) i cui ambiti di interesse possano interferire con lo svolgimento delle attività dell’ufficio;
– la comunicazione, all’atto dell’assegnazione all’ufficio, dei rapporti diretti o indiretti di collaborazione avuti con soggetti privati nei 3 anni precedenti e in qualunque modo retribuiti, oltre all’obbligo di precisare se questi rapporti sussistono ancora (o sussistano con il coniuge, il convivente, i parenti e gli affini entro il secondo grado);
– l’obbligo per il dipendente di astenersi dal prendere decisioni o svolgere attività inerenti le sue mansioni in situazioni di conflitto di interessi anche non patrimoniali, derivanti dall’assecondare pressioni politiche, sindacali o dei superiori gerarchici;
– la tracciabilità e la trasparenza dei processi decisionali adottati (che dovrà essere garantita attraverso un adeguato supporto documentale).
– il rispetto dei vincoli posti dall’amministrazione nell’utilizzo del materiale o delle attrezzature assegnate ai dipendenti per ragioni di ufficio, anche con riferimento all’utilizzo delle linee telematiche e telefoniche dell’ufficio;
– gli obblighi di comportamento in servizio nei rapporti e all’interno dell’organizzazione amministrativa;
– per i dirigenti, l’obbligo di comunicare all’amministrazione le partecipazioni azionarie e gli altri interessi finanziari che possono porli in conflitto d’interesse con le funzioni che svolgono; l’obbligo di fornire le informazioni sulla propria situazione patrimoniale previste dalla legge; il dovere, nei limiti delle loro possibilità, di evitare che si diffondano notizie non vere sull’organizzazione, sull’attività e sugli altri dipendenti;
– è infine assicurato il meccanismo sanzionatorio per la violazione dei doveri di comportamento.

SISTEMA NAZIONALE DI VALUTAZIONE IN MATERIA DI ISTRUZIONE E FORMAZIONE

Su proposta del Ministro dell’istruzione, università e ricerca, il Consiglio dei Ministri ha approvato in via definitiva il regolamento relativo all’istituzione e la disciplina del Sistema Nazionale di Valutazione (S.N.V.) in materia di istruzione e formazione, per le scuole del sistema pubblico nazionale di istruzione e le istituzioni formative accreditate dalle Regioni.
L’approvazione del regolamento consente di rispondere anche agli impegni assunti nel 2011 dall’Italia con l’Unione europea, in vista della programmazione dei fondi strutturali 2014/2020. Rispetto al testo iniziale sono state recepite, in larga misura, le osservazioni e proposte contenute nei pareri del Consiglio nazionale della pubblica istruzione, della Conferenza unificata, del Consiglio di Stato e della VII Commissione del Senato.
Il S.N.V. si basa sull’attività dell’Invalsi (Istituto nazionale per la valutazione del sistema di istruzione e formazione), che ne assume il coordinamento funzionale; sulla collaborazione dell’Indire (Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa), che può aiutare le scuole nei piani di miglioramento; sulla presenza di un contingente di Ispettori con il compito di guidare i nuclei di valutazione esterna.
Ogni singola scuola costruirà il proprio rapporto di autovalutazione secondo un quadro di riferimento comune e con i dati messi a disposizione dal sistema informativo del MIUR (Scuola in chiaro), dall’INVALSI e dalle stesse istituzioni scolastiche. Il percorso si concluderà con la predisposizione di un piano di miglioramento e la rendicontazione pubblica dei risultati. Previste anche le visite dei nuclei esterni di valutazione. Sono oltre 1300 le istituzioni scolastiche che stanno già seguendo in via sperimentale questo percorso. Le istituzioni formative accreditate dalle Regioni verranno valutate secondo priorità e modalità stabilite in sede di Conferenza Unificata.

 

Approvato il Sistema nazionale di valutazione

(Roma, 8 marzo 2013) Dopo un percorso cominciato nel 2001 il Consiglio dei Ministri ha approvato su proposta del Ministro dell’istruzione, università e ricerca, in via definitiva, il Regolamento che istituisce e disciplina il Sistema Nazionale di Valutazione delle scuole pubbliche e delle istituzioni formative accreditate dalle Regioni. L’Italia si allinea così agli altri Paesi Europei sul versante della valutazione dei sistemi formativi pubblici, e risponde agli impegni assunti nel 2011 con l’Unione europea, in vista della programmazione dei fondi strutturali 2014/2020. Il regolamento ha concluso il suo iter di approvazione avviato il 24 agosto 2012 data in cui è stato presentato in 1° lettura al CdM, dopo aver superato tutti i passaggi prescritti dall’art.17, comma 2, della legge n. 400/88.

Il Sistema Nazionale di Valutazione ha lo scopo di:

  • dare al Paese un servizio fondamentale per poter aiutare ogni scuola a tenere sotto controllo gli indicatori di efficacia e di efficienza della sua offerta formativa ed impegnarsi nel miglioramento;
  • fornire all’Amministrazione scolastica, agli Uffici competenti, le informazioni utili a progettare azioni di sostegno per le scuole in difficoltà;
  • valutare i dirigenti scolastici e offrire alla società civile e ai decisori politici la dovuta rendicontazione sulla effettiva identità del sistema di istruzione e formazione.

Rispetto al testo iniziale, il Regolamento adottato oggi contiene modifiche che recepiscono, in larga misura, le osservazioni e le proposte contenute nei pareri del Consiglio nazionale della pubblica istruzione, della Conferenza unificata, del Consiglio di Stato e della VII Commissione del Senato. Sono cambiamenti che hanno modificato in meglio il testo del decreto nel senso di una più compiuta valorizzazione dell’autonomia responsabile delle scuole nei processi di autovalutazione e di miglioramento della qualità del servizio offerto.

Il Regolamento dà attuazione alla delega conferita al Governo con il decreto legge n.225 del 2010 convertito in legge n.10 del 2011 e costituisce un rilevante passo avanti nel percorso cominciato con il decreto legislativo 286 del 2004. Il S.N.V. si impianta sull’Invalsi (Istituto nazionale per la valutazione del sistema di istruzione e formazione) che predispone tutti gli adempimenti necessari per l’autovalutazione e la valutazione esterna delle scuole, sull’Indire (Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa), che può supportare le scuole nei piani di miglioramento, su un contingente di Ispettori definito dal Ministro che ha il compito di guidare i nuclei di valutazione esterna. L’Invalsi ha anche il coordinamento funzionale dell’S.N.V.

Il procedimento di valutazione si snoda attraverso quattro fasi essenziali:

a) autovalutazione delle istituzioni scolastiche, sulla base di un fascicolo elettronico di dati messi a disposizione dalle banche dati del sistema informativo del Ministero dell’istruzione (“Scuola in chiaro”), dell’ INVALSI e delle stesse istituzioni scolastiche, che si conclude con la stesura di un rapporto di autovalutazione da parte di ciascuna scuola, secondo un format elettronico predisposto dall’Invalsi e con la predisposizione di un piano di miglioramento.

b) valutazione esterna da parte di nuclei coordinati da un dirigente tecnico sulla base di protocolli, indicatori e programmi definiti dall’Invalsi, con la conseguente ridefinizione dei piani di miglioramento da parte delle istituzioni scolastiche;

c) azioni di miglioramento con l’ eventuale sostegno dell’Indire, o di Università, enti, associazioni scelti dalle scuole stesse;

d) rendicontazione pubblica dei risultati del processo, secondo una logica di trasparenza,di condivisione e di miglioramento del servizio scolastico con la comunità di appartenenza.

Sono più di 1300 le istituzioni scolastiche che, durante l’anno scolastico 2012/2013 stanno già seguendo in via sperimentale secondo diverse modalità questo percorso che è stato presentato e condiviso, all’ interno di specifiche conferenze di servizio, con tutti i dirigenti delle scuole italiane e i docenti referenti per la valutazione. Tra gennaio e marzo 2013 tutti i dirigenti delle scuole italiane e i docenti referenti per la valutazione (circa 26.000 persone), hanno infatti partecipato a seminari di presentazione del regolamento. A metà marzo tutte le scuole avranno a disposizione il fascicolo “scuola in chiaro” e il format per costruire il proprio rapporto di autovalutazione a, dal prossimo anno gli strumenti messi a punto dal progetto sperimentale Vales saranno disponibili per tutte le scuole.

24 febbraio Elezioni politiche

Le elezioni politiche si svolgono nei giorni di domenica 24 e lunedì 25 febbraio 2013, mentre la prima riunione delle Camere avrà luogo il giorno venerdì 15 marzo 2013.

Manuale elettorale 2013
a cura della Camera dei deputati

Speciale elezioni
a cura del Ministero dell’Interno

6 febbraio Formazione iniziale Insegnanti nelle 7e Commissioni

La 7a Commissione Camera, nel corso della riunione del 6 febbraio, esprime parere favorevole con condizioni ed osservazioni sullo Schema di decreto ministeriale recante modifiche al regolamento di cui al decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca 10 settembre 2010, n. 249, concernente definizione della disciplina dei requisiti e delle modalità della formazione iniziale degli insegnanti della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo e di secondo grado.

La Commissione inizia l’esame dello schema di decreto all’ordine del giorno.

Manuela GHIZZONI, presidente, segnala che il presidente del Consiglio universitario nazionale, professor Lenzi, ha trasmesso alla Commissione un documento relativo al provvedimento in oggetto che è in distribuzione.

Giovanni Battista BACHELET (PD), rilevando l’assenza dei deputati del gruppo del PdL, chiede la verifica del numero legale.

Manuela GHIZZONI, presidente, rispondendo all’onorevole Bachelet, osserva che, ai sensi dell’articolo 46, comma 4, del regolamento della Camera, la Presidenza non è obbligata a verificare se la Commissione sia, oppure no, in numero legale per deliberare, se non quando ciò sia richiesto da quattro deputati e la Commissione stia per procedere ad una votazione per alzata di mano.

Giovanni Battista BACHELET (PD) prende atto delle precisazioni fornite dalla presidente Ghizzoni e si riserva quindi di chiedere la verifica del numero legale quando la Commissione starà per procedere alla votazione.

Pierfelice ZAZZERA (IdV) preannuncia la presentazione di una proposta di parere alternativo sottoscritto anche dall’onorevole Granata.

Maria COSCIA (PD), ritenendo quanto meno irrituale che un parere alternativo sia preannunciato prima ancora che sia noto quello del relatore, ricorda come nel corso dell’ultima riunione dell’Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentati dei gruppi, della Commissione si è convenuto di pervenire ad un pronunciamento unitario della Commissione, senza strumentalizzare la vicenda e per non speculare sui problemi veri delle persone, atteggiamento dal quale il suo gruppo si dissocia espressamente. Intende stigmatizzare, d’altro canto, l’atteggiamento di taluni colleghi che, successivamente alla riunione indicata, hanno reso pubbliche talune considerazioni emerse in quella sede. Preannuncia anche a nome del suo gruppo, in ogni caso, di essere favorevole ad avviare l’esame del provvedimento, ritenendo opportuno a questo riguardo sospendere poi brevemente la seduta per valutare una posizione unitaria all’interno del suo gruppo.

Benedetto Fabio GRANATA (FLpTP), rispondendo all’onorevole Coscia, osserva che il dibattito che si svolge nel corso dell’ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, non è secretato, come pure per altri atti del Parlamento, solo perché non vi è un verbale della seduta. Segnala, quindi, di avere espresso legittimamente in quella occasione la propria posizione politica, riferendo la scelta assunta in ufficio di presidenza. La sua condivisione del parere alternativo presentato dall’onorevole Zazzera è sequenziale rispetto al comportamento tenuto nel corso di tutta la vicenda. Condivide, comunque, la proposta dell’onorevole Coscia di pervenire ad una posizione comune nei confronti del provvedimento in esame, dando atto inoltre alla presidente di un non comune equilibrio istituzionale per aver convocato la Commissione sul merito del provvedimento.

Manuela GHIZZONI, presidente, come sempre avvenuto in passato, auspica che la Commissione proceda in maniera unitaria e che eventuali proposte di parere alternativo siano realmente tali e non rechino solo sfumature rispetto alla generale posizione di favore rispetto al provvedimento in esame.

Enzo CARRA (UdCpTP), relatore, osserva che lo schema di decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca in esame reca modifiche al regolamento di cui al decreto ministeriale 10 settembre 2010, n. 249, concernente la definizione della disciplina dei requisiti e delle modalità della formazione iniziale degli insegnanti della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo e secondo grado. Ricorda che tale schema si inserisce nel quadro normativo costituito, innanzitutto, dall’articolo 2, comma 416, della legge n. 244 del 2007, il quale ha previsto che, nelle more del complessivo processo di riforma della formazione iniziale e del reclutamento dei docenti, con regolamento, adottato dal Ministro della pubblica istruzione e dal Ministro dell’università e della ricerca, sentito il Ministro dell’economia e delle finanze e il Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, sono disciplinati i requisiti e le modalità della formazione iniziale dei docenti, nonché le procedure di reclutamento. Per il regolamento in questione è stato previsto il parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di carattere finanziario, da rendere entro il termine di 45 giorni, decorso il quale il provvedimento può essere comunque adottato. Ricorda che su questa base è stato adottato il decreto ministeriale n. 249 del 2010, che ha disciplinato i requisiti e le modalità della formazione iniziale degli insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado, nonché – nelle more della istituzione di specifiche classi di abilitazione e della compiuta regolamentazione dei relativi percorsi di formazione – le modalità per il conseguimento della specializzazione per le attività di sostegno didattico agli alunni con disabilità. In particolare, il decreto ministeriale ha previsto che l’accesso ai nuovi percorsi formativi è a numero programmato e previo superamento di una prova. In base alla relazione illustrativa dello schema di decreto ministeriale (Atto n. 205), osserva che l’intervento ha inteso contemperare il rafforzamento delle conoscenze disciplinari con lo sviluppo di capacità didattiche, psico-pedagogiche, organizzative, relazionali e comunicative. In particolare, il percorso per insegnare nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria consiste in un corso di laurea magistrale quinquennale a ciclo unico, cui si accede con il diploma di istruzione secondaria di II grado. Dal II anno è previsto un tirocinio di 600 ore. Il percorso si conclude con la discussione di tesi e relazione finale, che costituiscono esame con valore abilitante (articolo 3 e 6 del decreto ministeriale n. 249 del 2010).
Ricorda, quindi, che il percorso per insegnare nella scuola secondaria di I e II grado si articola in un corso di laurea magistrale – o, per l’insegnamento di discipline artistiche, musicali e coreutiche, in un corso di diploma accademico di II livello – e in un tirocinio formativo attivo (TFA), al quale accedono, previo superamento di una prova e valutazione dei titoli, coloro che hanno conseguito la laurea magistrale. Esso si conclude con la stesura di una relazione e con un esame finale con valore abilitante (articolo 3, 7, 8, 9, 10, 11, 12, del decreto ministeriale n. 249 del 2010). La prova per l’accesso al TFA mira a verificare le conoscenze disciplinari relative alle materie oggetto di insegnamento della classe di abilitazione e si articola in un test preliminare, in una prova scritta e in una prova orale. Il test preliminare, di contenuto identico sul territorio nazionale per ogni tipologia di percorso, è predisposto dal Ministero e consiste in 60 domande a risposta chiusa, volte anche a verificare le competenze linguistiche e la comprensione dei testi. Accede alla prova scritta chi consegue una votazione almeno pari a 21/30. La prova scritta, predisposta dalle università e dalle istituzioni AFAM, è costituita da domande a risposta aperta relative alle discipline oggetto di insegnamento per ogni classe di concorso. Il punteggio necessario per l’accesso alla prova orale è sempre 21/30. La prova orale – che, nel caso di classi di abilitazione riferite al settore AFAM può essere sostituita da una prova pratica – è valutata in ventesimi ed è superata se si consegue un punteggio pari almeno a 15/20. Tale superamento è condizione imprescindibile per l’accesso al TFA. La graduatoria degli ammessi allo stesso è formata sommando ai punteggi conseguiti dai candidati nelle 3 prove il punteggio ottenuto dalla valutazione dei titoli, in base ai criteri indicati (articolo 15 del decreto ministeriale n. 249 del 2010). La specializzazione per le attività di sostegno didattico agli alunni con disabilità è conseguita esclusivamente presso le università a conclusione di un corso di formazione di durata almeno annuale, a numero programmato, che deve comprendere almeno 300 ore di tirocinio e articolarsi diversamente per i differenti gradi di istruzione. Possono partecipare gli insegnanti abilitati (articolo 13 del decreto ministeriale n. 249 del 2010).
Rammenta, quindi, che lo schema di decreto in esame è composto da 4 articoli. Ad esso sono allegati, in particolare, la relazione illustrativa, la relazione tecnica, l’analisi tecnico-normativa (ATN), l’analisi di impatto della regolamentazione (AIR), i pareri del Consiglio nazionale della pubblica istruzione, del Consiglio universitario nazionale, del Consiglio nazionale degli studenti universitari, del Consiglio nazionale per l’alta formazione artistica e musicale, del Consiglio di Stato, le note relative al concerto del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e del Ministro dell’economia e delle finanze. Lo schema modifica gli articoli 5, 11 e 15 del decreto ministeriale n. 249 del 2010. Le principali modifiche riguardano il meccanismo per la determinazione del numero dei posti annualmente disponibili per l’accesso ai percorsi formativi e la previsione di percorsi abilitanti speciali per i docenti non abilitati che hanno prestato servizio per almeno tre anni. La lettera di trasmissione alla Presidenza della Camera fa presente che le disposizioni dello schema devono trovare attuazione già nell’a.a. 2012/2013, al fine di consentire il contestuale svolgimento dei percorsi formativi speciali e di quelli ordinari. Nel testo dello schema, invece, non vi è alcun riferimento alla data entro la quale attivare i percorsi formativi speciali. Il Consiglio di Stato, nel parere interlocutorio n. 11700/2012, ha chiesto chiarimenti sul coordinamento delle disposizioni recate dallo schema con le disposizioni in materia di utilizzo del personale in esubero recate dall’articolo 14, comma 17-21, del decreto-legge n. 95/2012, convertito dalla legge 135/2012. Le norme citate hanno previsto che ai docenti a tempo indeterminato che, terminate le operazioni di mobilità e di assegnazione dei posti, risultano in esubero nella propria classe di concorso nella provincia in cui prestano servizio, è assegnato, per la durata dell’anno scolastico, un posto nella medesima provincia, con priorità sul personale a tempo determinato, sulla base di una serie di criteri, fra cui quello dei posti rimasti disponibili in altri gradi d’istruzione o altre classi di concorso, anche in assenza della relativa abilitazione o idoneità all’insegnamento, purché in possesso di titolo di studio valido per l’accesso all’insegnamento nello specifico grado d’istruzione o nella specifica classe di concorso. In particolare, il Consiglio di Stato ha chiesto al Ministero in che misura il personale in esubero concorra con i docenti che conseguono l’abilitazione tramite i percorsi formativi speciali alla copertura annuale dei posti disponibili e se, nel caso in cui ai docenti in esubero sia data preferenza, il Ministero abbia tenuto conto di ciò ai fini della programmazione dell’accesso ai percorsi. Nel parere n. 109/2013, il Consiglio di Stato ha preso atto della priorità (comunicata dal Ministero) di assegnazione dei posti vacanti e disponibili ai docenti in esubero rispetto ai docenti che conseguiranno l’abilitazione a seguito dei percorsi formativi speciali.
Osserva, nel dettaglio, che l’articolo 1 esplicita l’oggetto del regolamento. L’articolo 2 reca le modifiche all’articolo 5 del decreto ministeriale n. 249 del 2010, concernente la programmazione degli accessi ai percorsi formativi per l’insegnamento nella scuola dell’infanzia, nella scuola primaria, e nella scuola secondaria di primo e secondo grado, e dei percorsi formativi per il conseguimento della specializzazione per le attività di sostegno didattico agli alunni con disabilità. Come emerge dalla relazione illustrativa, le modifiche sono finalizzate a considerare, ai fini della determinazione del numero di posti annualmente disponibili per l’accesso ai percorsi formativi, non solo i posti di docenza vacanti in organico, ma anche i posti di fatto disponibili, in quanto i titolari sono comandati o distaccati ovvero temporaneamente assenti, con conseguente copertura degli stessi posti attraverso contratti di supplenza a tempo determinato, conferiti in misura consistente a docenti privi di abilitazione inseriti nella terza fascia delle graduatorie di istituto. Al riguardo si ricorda, infatti, che l’articolo 5 vigente stabilisce che il numero complessivo di posti annualmente disponibili per l’accesso ai percorsi è determinato sulla base della programmazione regionale degli organici e del conseguente fabbisogno di personale docente nelle scuole statali, deliberato ai sensi dell’articolo 39 della legge n. 449 del 1997, previo del parere del Ministero dell’economia e delle finanze e del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione. Tale numero è maggiorato nel limite del 30 per cento in relazione al fabbisogno dell’intero sistema nazionale di istruzione (il quale, ai sensi dell’articolo 1, comma 1, della legge n. 62 del 2000, è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali) e tenendo conto dell’offerta formativa degli atenei e delle istituzioni AFAM.
Con riferimento alle sole modifiche sostanziali, osserva che l’articolo 2 dello schema di decreto ministeriale propone ora che per la determinazione del fabbisogno di personale docente «abilitato» nelle «scuole del sistema nazionale di istruzione e formazione professionale» si tiene conto, per le scuole statali, oltre che della programmazione regionale degli organici, anche del contingente di personale supplente assunto con contratto a tempo determinato su posti disponibili ma non vacanti nell’anno scolastico precedente. Rimane ferma la maggiorazione nel limite del 30 per cento del numero dei posti individuati sulla base del fabbisogno per le scuole statali, ma la stessa è ora riferita non più solo alle esigenze del sistema nazionale di istruzione (e, dunque, specificamente, a quelle delle scuole statali e delle scuole paritarie) ma, anche, alle esigenze dei percorsi di istruzione e formazione professionale, di competenza delle regioni. Rimane, altresì, ferma la previsione di tener conto dell’offerta formativa degli atenei e delle istituzioni AFAM al fine – come evidenzia la relazione illustrativa – di non trovarsi in situazioni organizzative non sostenibili.
Ricorda che i percorsi di istruzione e formazione professionale di cui al Capo III del decreto legislativo n. 226 del 2005 sono di competenza regionale. Ai sensi dell’articolo 19 dello stesso decreto, peraltro, le regioni assicurano, quali livelli essenziali dei requisiti dei docenti, che gli stessi siano in possesso di abilitazione all’insegnamento. Al riguardo, rileva che, se – come si evince dal secondo «considerato» della premessa dello schema di decreto ministeriale, oltre che dal contenuto del comma 1, lettera b), dell’articolo in commento – l’obiettivo è quello di fare riferimento alle scuole del sistema nazionale di istruzione e ai percorsi di istruzione e formazione professionale di competenza regionale, nel comma 1, lettera a), è necessario sostituire le parole «nelle scuole del sistema nazionale di istruzione e formazione professionale» con le parole «nelle scuole del sistema nazionale di istruzione e nei percorsi del sistema di istruzione e formazione professionale».
Osserva, quindi, che l’articolo 3 inserisce il comma 5-bis nell’articolo 11 del decreto ministeriale n. 249 del 2010, concernente i tutor, ovvero i docenti e i dirigenti, in servizio nelle istituzioni scolastiche del sistema nazionale di istruzione, di cui si avvalgono le università per lo svolgimento delle attività di tirocinio. La relazione tecnica evidenzia che la disposizione è stata introdotta a seguito dei rilievi mossi dal Ministero dell’economia e delle finanze nella fase interlocutoria. La nuova disposizione stabilisce che la determinazione dei contingenti dei tutor coordinatori e organizzatori avviene senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, derogando, se necessario, ai parametri di assegnazione definiti, ai sensi dell’articolo 11, comma 5, del decreto ministeriale 249/2010, con decreto interministeriale. Il decreto ministeriale 8 novembre 2011 – emanato in attuazione dell’articolo 11, comma 5, del decreto ministeriale n. 249 del 2010, che ha demandato a un decreto del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e del Ministero dell’economia e delle finanze la definizione della disciplina per la determinazione dei contingenti del personale della scuola necessario per lo svolgimento dei compiti tutoriali (in qualità di tutor coordinatori e di tutor organizzatori) e la loro ripartizione tra le università e le istituzioni AFAM – ha stabilito, in particolare, che nella determinazione degli stessi contingenti è assicurata la presenza di un tutor coordinatore ogni 15 corsisti e la presenza di un tutor organizzatore ogni 150 corsisti (articolo 1, comma 3 e 4).
Al riguardo ricorda che, ai sensi dell’articolo 11, comma 5, del decreto ministeriale n. 249 del 2010, lo svolgimento dell’incarico tutoriale – che ha durata massima di quattro anni, è prorogabile solo per un ulteriore anno e non è consecutivamente rinnovabile – comporta per i tutor coordinatori e i tutor organizzatori, rispettivamente, un esonero parziale o totale dall’insegnamento. Per completezza, ricorda che il 29 gennaio 2013, nel corso dell’esame al Senato dello schema di regolamento, la 7a Commissione ha manifestato alcune perplessità circa la possibilità di mantenere l’invarianza della spesa nella determinazione dei contingenti dei tutor, dal momento che il conferimento degli incarichi tutoriali richiede l’individuazione di supplenti. In risposta, il rappresentante del Governo, ricordando che i candidati devono corrispondere un contributo di iscrizione ai corsi, ha assicurato l’impegno del Ministero a conseguire adeguate forme di compensazione, eventualmente stabilendo con la CRUI un tetto massimo di contribuzione. La Commissione ha quindi conferito mandato al relatore a redigere un parere favorevole con osservazioni, invitando, tra l’altro, il Governo a fare in modo di evitare aggravi a carico dei tirocinanti. L’articolo 4 reca le modifiche all’articolo 15 del decreto ministeriale n. 249 del 2010, che già riguarda, fra l’altro, categorie di soggetti per le quali si era ravvisata la necessità di prevedere una disciplina transitoria.
In particolare, con l’inserimento nell’articolo 15 del decreto ministeriale dei commi da 1-bis a 1-sexies, nonché del comma 16-bis (articolo 3, comma 1, lettere c) e i)), si dispone che, fino all’anno accademico 2014-2015, le università e le istituzioni AFAM sedi dei corsi biennali di secondo livello a indirizzo didattico di cui al decreto ministeriale n. 137 del 2007 (ossia, Conservatori e Istituti musicali pareggiati), purché sedi di Dipartimenti di didattica della musica, e di cui al decreto ministeriale n. 82 del 2004, ossia Accademie di belle arti, istituiscono percorsi formativi abilitanti speciali per l’insegnamento nella scuola secondaria di primo e di secondo grado, nonché percorsi formativi abilitanti – anch’essi, quindi, di fatto, speciali – per l’insegnamento nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria, ai quali si partecipa senza prova di accesso. I nuovi percorsi sono destinati agli insegnanti non di ruolo i quali – in possesso di determinati requisiti, ma sprovvisti di qualsiasi abilitazione – abbiano maturato, dall’anno scolastico 1999/2000 e fino all’anno scolastico 2011/2012 incluso, almeno 3 anni di servizio in scuole statali, in scuole paritarie, ovvero nei centri di formazione professionale, per questi ultimi, con le specifiche in seguito illustrate.
Ricorda che la relazione illustrativa evidenzia che il requisito di almeno 3 anni di servizio per l’accesso ai percorsi formativi abilitanti speciali «è in linea con il parametro di riferimento utilizzato dalle direttive comunitarie 2005/36/CE e 2006/100/CE, al fine di considerare l’esperienza lavorativa come equivalente al titolo di formazione o di qualificazione professionale richiesto negli ordinamenti interni per l’esercizio delle professioni». Inoltre, la stessa relazione fa presente che la previsione di iscrizione ai percorsi formativi speciali senza superamento di prove di accesso è determinata dal fatto che gli aspiranti, attraverso il servizio prestato, hanno già dato prova di possedere la competenza disciplinare che la stessa prova deve accertare. A sua volta, la premessa dello schema in esame ricorda che il Consiglio di Stato, nel parere interlocutorio reso il 18 gennaio 2010 sullo schema del decreto ministeriale n. 249 del 2010, aveva già rappresentato la necessità di tener conto, nella fase di passaggio al nuovo regime, dell’esperienza professionale maturata dai docenti a tempo determinato, ferma restando la possibilità di fissare presupposti e limiti di tale rilevanza e di graduarne gli effetti; ricorda, altresì, che lo stesso consesso, nel parere reso l’8 marzo 2010, pur avendo rimesso la questione al responsabile esercizio della discrezionalità spettante all’amministrazione, aveva ritenuto non del tutto persuasive le argomentazioni del Ministero circa l’impossibilità di prevedere, in via transitoria, un accesso automatico al TFA da parte di chi fosse in possesso di un’anzianità di servizio minima.
In particolare, per accedere ai percorsi formativi abilitanti speciali per l’insegnamento nella scuola secondaria – definiti dalla tabella 11-bis, introdotta dall’articolo 4, comma 2, dello schema –, ai quali possono partecipare anche gli insegnanti tecnico-pratici, è necessario il possesso dei requisiti indicati al comma 1 dell’articolo 15 del decreto ministeriale 249/2010. Peraltro, la norma richiamata – che stabilisce, per i soggetti indicati, la possibilità di conseguire l’abilitazione mediante il compimento del solo TFA – viene anch’essa modificata dallo schema in esame (articolo 3, comma 1, lettere a) e b)). Pertanto, la platea dei destinatari è costituita dai seguenti soggetti: i possessori dei requisiti previsti dal decreto ministeriale n. 22 del 2005, nonché – con la specifica ora introdotta – dal decreto ministeriale 39/1998 per l’accesso alle SSIS; i possessori di una laurea magistrale che, secondo l’allegato 2 del decreto ministeriale 26 luglio 2007, sia corrispondente ad una delle lauree specialistiche cui fa riferimento il decreto ministeriale 22/2005; per le classi di concorso A029 e A030, i possessori di diploma ISEF già valido per l’insegnamento di educazione fisica (rispettivamente, nella scuola secondaria di II grado e nella scuola secondaria di I grado); coloro che, «alla data di entrata in vigore del decreto ministeriale n. 249 del 2010» e – con la specifica introdotta ora – «fino all’attivazione dei percorsi formativi» per l’insegnamento nella scuola secondaria di primo e di secondo grado e dei percorsi formativi per l’insegnamento di discipline artistiche, musicali e coreutiche nei medesimi ordini e gradi di scuola – risultano iscritti a uno dei corsi universitari finalizzati al conseguimento dei titoli di cui ai due punti precedenti.
Al riguardo, ricorda che la relazione illustrativa evidenzia che la modifica – suggerita dal CUN – prevede la possibilità di conseguire l’abilitazione mediante il compimento del solo TFA sino all’attivazione dei percorsi delle lauree magistrali. La medesima relazione sottolinea, altresì, le difficoltà derivanti dalla mancata attivazione delle lauree magistrali e dei diplomi accademici di secondo livello validi ai fini dell’abilitazione nelle classi di concorso della scuola secondaria di secondo grado, nonché dalla mancata conclusione dell’iter volto alla revisione delle classi di concorso. In proposito, rileva che sembrerebbe necessario chiarire se il riferimento temporale utile per l’iscrizione sia comunque la data di entrata in vigore del decreto ministeriale n. 249 del 2010, ovvero – come si potrebbe intuire – l’arco temporale compreso tra quella data e la data di avvio dei nuovi percorsi. In tale secondo caso, la locuzione «alla» deve essere sostituita con la locuzione «dalla». Per l’insegnamento nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria, si dispone ora che i soggetti in possesso dei requisiti (di servizio) ante indicati accedono – come già detto, senza prova preliminare – ai percorsi di cui all’articolo 15, comma 16, del decreto ministeriale n. 249 citato, finalizzati esclusivamente al conseguimento della relativa abilitazione e destinati ai diplomati con titolo all’insegnamento nella scuola materna e nella scuola elementare ai sensi del decreto ministeriale 10 marzo 1997.
Segnala che il comma 16-bis, nel rinviare ai requisiti previsti dal comma 1-ter, dovrebbe specificare che si tratta solo del requisito di servizio triennale e non anche dei requisiti previsti al comma 1 dell’articolo 15, citati nello stesso comma 1-ter ma, evidentemente, riferibili solo ai soggetti che aspirano all’insegnamento nella scuola secondaria. Il decreto ministeriale 10 marzo 1997 – emanato in attuazione dell’articolo 3, comma 8, della legge n. 341 del 1990, che ha previsto l’istituzione di uno specifico corso di laurea in due indirizzi per la formazione degli insegnanti della scuola materna e della scuola elementare – ha disposto la soppressione, dall’anno scolastico 1998-99, dei corsi di studio triennali e quadriennali, rispettivamente, della scuola magistrale e dell’istituto magistrale, e la soppressione, dall’anno scolastico 2002-2003, dei corsi annuali integrativi dell’istituto magistrale. Inoltre, all’articolo 2 ha stabilito che i titoli di studio dei corsi indicati (nonché dei corsi quinquennali sperimentali), iniziati entro l’anno scolastico 1997-1998 o comunque conseguiti entro l’anno scolastico 2001-2002, conservano in via permanente valore legale e consentono di partecipare alle sessioni di abilitazione all’insegnamento nella scuola materna e ai concorsi ordinari per titoli e per esami a posti di insegnante nella scuola materna e nella scuola elementare. Le caratteristiche delle modalità di svolgimento dei percorsi formativi di abilitazione per la scuola dell’infanzia e per la scuola materna di cui all’articolo 15, comma 16, del decreto ministeriale n. 249 del 2010 (e delle relative prove di accesso) sono state definite con decreto ministeriale 11 novembre 2011. In particolare, il decreto ministeriale prevede l’attivazione di due distinti percorsi, ciascuno dei quali prevede il conseguimento di 60 CFU, da acquisire in non meno di otto mesi. I percorsi si concludono con un esame finale, per accedere al quale i candidati devono aver superato, con voto non inferiore a 18/30, le valutazioni riferite agli insegnamenti. L’esame finale, che ha valore abilitante per il rispettivo grado di scuola, consiste nella redazione e discussione di un elaborato originale. Il punteggio complessivo, espresso in centesimi, è il voto di abilitazione all’insegnamento. Un risultato inferiore a 60/100 comporta il non conseguimento dell’abilitazione.
Con riferimento al requisito dell’esperienza professionale, lo schema dispone che: per il computo del periodo richiesto, è considerato come anno intero il servizio prestato per ogni anno scolastico nella stessa classe di concorso o tipologia di posto per almeno 180 giorni, ovvero quello prestato ininterrottamente dal 1o febbraio fino al termine delle operazioni di scrutinio finale; è ritenuto valido anche il servizio prestato come docente di sostegno; il servizio svolto nei corsi dei centri di formazione professionale è valutabile solo se si tratta di servizio riconducibile a insegnamenti compresi in classi di concorso e prestato per garantire l’assolvimento dell’obbligo di istruzione a decorrere dall’anno scolastico 2008/2009; è possibile cumulare i servizi prestati, nello stesso anno e per la stessa classe di concorso o per lo stesso posto, nelle scuole statali, in quelle paritarie e nei centri di formazione professionale; per i soggetti che hanno periodi di servizio utili in più di una classe di concorso, l’accesso ai percorsi speciali è consentito per una sola classe (è prevista l’opzione da parte dell’interessato), fermo restando che gli stessi possono acquisire ulteriori abilitazioni attraverso i percorsi ordinari; con riferimento ai percorsi per l’abilitazione per la scuola dell’infanzia ovvero primaria, gli anni di servizio prestati nella scuola dell’infanzia si possono cumulare con quelli prestati nella scuola primaria; inoltre, il candidato deve optare per il percorso relativo alla scuola dell’infanzia o per quello relativo alla scuola primaria.
Osserva che la frequenza dei percorsi speciali non è compatibile con la frequenza di corsi universitari che si concludano con il rilascio di titoli, inclusi i percorsi formativi finalizzati all’insegnamento previsti dallo stesso decreto ministeriale n. 249 del 2010. Nel gruppo di commi sopra indicati si prevede, infine, che, al fine di assicurare l’offerta formativa relativa ai percorsi abilitanti speciali, le università, ovvero le istituzioni AFAM, possono istituire ed attivare, ai sensi dell’articolo 4, comma 5, del decreto ministeriale n. 249 del 2010, strutture di servizi comuni o centri interateneo o interistituzionali di interesse regionale o interregionale che assicurino supporto tecnico, metodologico e organizzativo. Si prevede, altresì, che gli stessi soggetti, in caso di impossibilità o di difficoltà ad attivare i percorsi formativi «relativi alle classi di concorso previste dal vigente ordinamento», possono stipulare convenzioni con le scuole e con le fondazioni di partecipazione istitutive degli istituti tecnici superiori.
Rileva che sembrerebbe opportuno chiarire se quest’ultima previsione riguardi solo l’attivazione dei percorsi abilitanti speciali, ovvero l’attivazione di tutti i percorsi formativi per il conseguimento dell’abilitazione. Ricorda che la relazione illustrativa chiarisce che in tal modo si intende assicurare l’offerta formativa anche nei casi in cui nella regione in cui il candidato presta servizio non siano stati attivati i percorsi relativi alla classe di concorso o all’ambito disciplinare prescelti o nei casi in cui gli atenei o le istituzioni AFAM non siano in grado di assicurare comunque l’offerta formativa. Si prevede, infine, che con decreto del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (per la cui emanazione non è indicato un termine) sono emanate le disposizioni organizzative per l’accesso ai percorsi abilitanti speciali. La relazione illustrativa precisa che la norma – inserita a seguito di un’osservazione formulata dal CUN – si riferisce ad un successivo decreto direttoriale. La tabella 11-bis – da aggiungere, in base all’articolo 4, comma 2, dello schema, alle 11 tabelle già allegate al decreto ministeriale n. 249 del 2010 – definisce i contenuti dei percorsi speciali finalizzati al conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento nella scuola secondaria di primo e secondo grado, i requisiti necessari per accedere all’esame finale e la sua struttura, i requisiti per conseguire l’abilitazione, la composizione della commissione di abilitazione. In particolare, i percorsi formativi prevedono il conseguimento di 41 crediti formativi (universitari o accademici), di cui si stabilisce una rimodulazione rispetto a quanto previsto dalla tabella 11 allegata al decreto ministeriale 249/2010, considerando assolti i 19 crediti formativi relativi al tirocinio, «in virtù dei particolari requisiti di servizio di cui all’articolo 15, commi 3 e 4». Segnala che il riferimento corretto sembrerebbe essere all’articolo 15, comma 1-ter. In particolare, la tabella 11-bis evidenzia che i crediti formativi sono indirizzati al consolidamento della conoscenza delle discipline oggetto di insegnamento della classe di concorso e al perfezionamento delle relative competenze didattiche, anche alla luce della revisione dei percorsi ordinamentali. Al riguardo si fa riferimento, oltre che ai decreti del Presidente della Repubblica nn. 87, 88 e 89 del 2010, relativi al secondo ciclo, anche al decreto del Presidente della Repubblica 89 del 2009, relativo al primo ciclo. Rileva che sembrerebbe opportuno un chiarimento su tale ultimo richiamo. Ulteriori finalità ivi richiamate, quali l’acquisizione di competenze digitali e di competenze didattiche atte a favorire l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità, sono le medesime già indicate, in linea generale, come facenti parte integrante dei percorsi formativi dall’articolo 3, comma 4, del decreto ministeriale n. 249 del 2010, il quale, peraltro, fa riferimento anche all’acquisizione delle competenze di lingua inglese. In base al quadro dei crediti formativi di cui la tab. 11-bis è corredata, i CFU sono attribuiti in corrispondenza delle seguenti attività formative: Didattica generale e didattica speciale (15 CFU); Didattica delle discipline oggetto di insegnamento delle classi di concorso (18 CFU); Laboratori di tecnologie didattiche (3 CFU). Ai crediti formativi indicati si aggiungono 5 CFU relativi all’elaborato finale.
Con riferimento all’esame finale, osserva che la nuova tabella prevede che esso consiste nella redazione e discussione di un elaborato originale. Nel corso dell’esame il candidato deve dimostrare, altresì, piena padronanza delle discipline oggetto d’insegnamento e il possesso delle altre competenze indicate dalla tabella, anche con riferimento alle norme principali che governano le istituzioni scolastiche. Un risultato inferiore a 60 centesimi comporta il non conseguimento dell’abilitazione. Al riguardo, la relazione illustrativa evidenzia che l’esame finale con valore abilitante è rimodulato al fine di consentire anche la verifica della padronanza delle discipline oggetto di insegnamento che, a differenza dei percorsi ordinari, non è valutata attraverso la prova di accesso. Ulteriori modifiche all’articolo 15 del decreto ministeriale n. 249 del 2010 riguardano i commi da 3 a 7 (articolo 4, comma 1, lettere d), e), f), g) e h)). Con riferimento al comma 3 dell’articolo 15 del decreto ministeriale 249/2010, si stabilisce ora che i titoli di studio dei soggetti di cui alle lett. a) e c) del comma 1 (ossia, sostanzialmente, dei soggetti che li abbiano già conseguiti alla data di entrata in vigore dello stesso decreto ministeriale) mantengono la loro validità ai fini dell’inserimento nella terza fascia delle graduatorie di istituto. Per i titoli di studio dei soggetti di cui alla lettera b) del comma 1 (ossia, sostanzialmente, quelli conseguiti dopo l’entrata in vigore del decreto ministeriale 249/2010) – che, in base alla norma vigente, consentono anch’essi l’iscrizione nella terza fascia – si stabilisce ora, invece, che essi sono integrati dal compimento del TFA e costituiscono titolo di accesso al concorso. Se ne dedurrebbe, dunque, che tale ultima categoria di soggetti non può più iscriversi nella terza fascia delle graduatorie di istituto. Ciò sembrerebbe confermato dall’AIR che sottolinea che l’intervento normativo è volto, oltre che a ridurre il ricorso a personale non abilitato, ad eliminare progressivamente la suddetta terza fascia. Inoltre, la previsione vigente in base alla quale le tabelle 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9 e 10 del decreto ministeriale 249 del 2010, unitamente al compimento del TFA, sostituiscono, per tutti gli altri soggetti diversi da quelli di cui al comma 1 dell’articolo 15 e per le relative classi di concorso, i titoli previsti dal decreto ministeriale n. 39 del 1998 – e dalle sue successive modifiche – è sostituita con la previsione che ciò avverrà, per tutti i soggetti interessati, a decorrere dall’istituzione dei relativi percorsi. Con riguardo al comma 4 dell’articolo 15 del decreto ministeriale n. 249 citato, relativo alla programmazione degli accessi diretti al TFA da parte dei soggetti in possesso dei requisiti indicati dal comma 1 del medesimo articolo, le modifiche introdotte mirano a rinviare alla disciplina generale del novellato articolo 5 (e non solo, dunque, a quella recata dal comma 1 dello stesso articolo 5). Le modifiche ai comma 5, 6 e 7 dell’articolo 15 del decreto ministeriale n. 249 del 2010 riguardano la prova di accesso al TFA, che – come già detto – si articola in un test preliminare, una prova scritta e una prova orale. In particolare, in base alle modifiche, si prevede che i programmi delle prove da sostenere e le modalità di svolgimento del test preliminare sono definiti annualmente con uno o più decreti del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca e sono apportate le conseguenti modifiche di coordinamento. Infine, con un’ulteriore modifica (articolo 4, comma 1, lettera j)), aggiungendo il comma 27-bis all’articolo 15 del decreto ministeriale 249/2010, si precisa che l’abilitazione conseguita al termine dei percorsi formativi previsti dall’intero decreto ministeriale n. 249 del 2010 non consente l’inserimento nelle graduatorie ad esaurimento. Essa dà diritto esclusivamente all’inserimento nella II fascia delle graduatorie di istituto per la specifica classe di concorso o per il relativo ambito disciplinare, nonché alla partecipazione alle procedure di reclutamento disciplinate dal d.lgs. 297/1994. La relazione illustrativa evidenzia che si tratta di una norma di salvaguardia. Al riguardo, segnala l’opportunità di valutare se sia effettivamente necessario richiamare solo l’articolo 402 del d.lgs. 297/1994 e non, invece, gli artt. 399 e seguenti dello stesso decreto legislativo.
Tra le ragioni a favore del provvedimento, segnala come esso rappresenti la soluzione più incisiva al problema del precariato, aumentando il numero di precari che avrebbero la possibilità di accedere al percorso per l’abilitazione all’insegnamento; è un riconoscimento del diritto/opportunità di insegnare di docenti precari che per molti anni hanno svolto questa attività e che non hanno superato le selezioni per l’accesso al TFA ordinario – o non hanno partecipato a tali selezioni –, per i quali la prospettiva di poter diventare docenti di ruolo subirebbe un’ennesima battuta di arresto o quantomeno un rallentamento. Considera, poi, che i test per l’accesso al TFA ordinario hanno di fatto escluso un numero molto alto di docenti, anche a causa di domande mal formulate e pertanto oggetto di forti lamentele da più parti; va comunque considerato che per correggere questi limiti sono stati già effettuati dei «ripescaggi». Osserva, inoltre, che verrebbe allargata la possibilità di partecipare al TFA, ma ciò non implica un accesso automatico all’insegnamento e dunque non penalizza il merito di chi ha avuto accesso al TFA ordinario; un’ulteriore ed effettiva selezione sarà rappresentata dai concorsi nei quali sia coloro che sono stati ammessi al TFA ordinario, sia quelli che sarebbero eventualmente ammessi con il TFA speciale saranno valutati in base al merito.
Tra le ragioni che militano contro il provvedimento in esame, ricorda invece il rischio di ottenere un numero di abilitazioni superiore alla domanda, andando contro la logica di una maggiore corrispondenza tra domanda e offerta che ha ispirato il TFA ordinario. Ricorda, poi, che il TFA speciale viene visto da molti, in particolare da coloro che hanno superato le prove di accesso al TFA ordinario, come l’ennesima sanatoria che non riconosce il merito e va a discapito di chi ha studiato, regolarmente superato le prove e pagato per l’iscrizione al TFA. Stigmatizza, quindi, la scarsa tutela per chi sta seguendo il percorso del TFA ordinario, per il quale ci sono ancora nodi in sospeso, come il decreto per i tutor, a cui andrebbe dunque prestata attenzione per individuare soluzioni concrete e rapide. Evidenzia, poi, l’opportunità di evitare di mettere sullo stesso piano docenti che hanno superato una selezione e docenti ammessi senza selezione, nonché il fatto che il TFA speciale rischia di penalizzare ulteriormente i giovani, soprattutto neo-laureati e studenti, che stanno per conseguire la laurea, che nelle graduatorie avranno davanti una molteplicità di docenti con molti anni di servizio alle spalle. Illustra quindi, una proposta di parere favorevole con osservazioni.

Pierfelice ZAZZERA (IdV) illustra una proposta di parere alternativa da lui presentata, e sottoscritta anche dal collega Granata, di cui raccomanda l’approvazione. Al riguardo, tiene a precisare che il provvedimento in esame non può essere definito come una sanatoria, in quanto l’illegalità è stata commessa piuttosto dal Ministero che ha chiamato a insegnare docenti non ancora abilitati. Rileva che proprio per tracciare una linea definitiva oltre la quale il Ministero non affidi più incarichi a soggetti non abilitati, è necessaria l’adozione del provvedimento in esame. Sottolinea, quindi, la necessità che il previsto esame finale sia serio e valuti nel merito le competenze dei candidati. Ricorda, quindi, che nel parere alternativo presentato sono state inserite le seguenti condizioni: che sia modificato il parametro numerico, necessario ad accedere a TFA speciali, orientandolo verso i cosiddetti «360 giorni» di servizio prestato, anziché i 540 richiesti, che sia preso in debita considerazione il pieno valore abilitante dei corsi d’istituto magistrale iniziati entro l’anno scolastico 1997-98 e conclusi entro l’anno scolastico 2001-2002; che siano attivati TFA speciali anche per gli insegnamenti afferenti all’AFAM ed in particolare per strumento musicale e cioè a chi è in possesso di diploma di conservatorio vecchio ordinamento e diploma accademico di II livello all’indirizzo didattico per la classe A077.

Antonino RUSSO (PD) intende innanzitutto sottolineare che il problema da affrontare è molto complesso e meriterebbe un’attenzione molto più ampia. Al riguardo, osserva come il gruppo del PD non si sottrae a tale compito, essendo presente in modo compatto in Commissione, al contrario dei deputati del maggior parte in Parlamento in questa legislatura; auspica in ogni caso di arrivare all’approvazione di un parere condiviso. Non vorrebbe peraltro che fossero altri rispetto al merito della questione i motivi ad indurre alcuni rappresentanti di gruppo a sostenere questa battaglia, vista l’imminenza della tornata elettorale. Segnala quindi come il provvedimento contenga svariati elementi che non convincono il suo gruppo, l’inserimento dei quali nella proposta di parere del relatore costituisce il presupposto per l’espressione di un voto favorevole da parte del gruppo del Pd. Evidenzia, in particolare, che le previsioni recate dall’attuale provvedimento in esame non devono in alcun modo danneggiare coloro che stanno frequentando il TFA ordinario, i quali pretendono giustamente il rispetto del principio fondamentale del merito. In altre parole, non deve succedere che chi è stato bocciato in sede di TFA ordinario sopravanzi i vincitori di quella procedura mediante l’utilizzo del TFA speciale, solo in considerazione del maggior numero di anni di servizio prestati. Ricorda, poi, che era stata inoltrata da parte sua al ministero una richiesta di informazione su una procedura di infrazione da parte dell’Unione europea in corso, proprio in riferimento al tema del parametro dei 360 giorni. A questa richiesta, precisa che non solo non è stata a lui fornita alcuna risposta, giustificando il diniego con il fatto che la richiesta doveva pervenire da un organo parlamentare e non da un solo componente, ma nemmeno è stato dato seguito alla richiesta in tal senso espressa dalla presidente Ghizzoni, con un atteggiamento assolutamente irrispettoso delle prerogative parlamentari. Invita, pertanto, il Governo a lasciare la definizione di tale percorso al nuovo Governo che sarà formato dopo le elezioni, precisando specificamente cosa intende fare in merito al rapporto tra iscritti al TFA ordinario e TFA speciale, precisando in ogni caso che tale procedura non potrà che partire dall’anno scolastico 2013-2014.

Benedetto Fabio GRANATA (FLpTP), apprezzando l’equilibrio della relazione dell’onorevole Carra, evidenzia l’opportunità dell’esistenza di un canale privilegiato per il conseguimento dell’abilitazione per quanti hanno prestato il servizio dell’insegnamento e sono la colonna portante della scuola italiana. Rispondendo all’onorevole Russo, ricorda che la battaglia in questione è sostenuta da epoca non sospetta dal suo gruppo. In particolare, egli stesso ha da tempo sollevato il problema che TFA ordinario e TFA speciale dovessero essere espletati contemporaneamente, cosa che il Governo Berlusconi si è ben guardato di fare. Osserva, quindi, come il vero problema consista nel fatto che il TFA speciale è stato fermo per lungo tempo all’esame del Consiglio di Stato e responsabilmente oggi il Governo in carica lo ha portato all’esame del Parlamento. Ribadisce quindi che la sua posizione politica è coerente con quanto sostenuto in materia nel corso della legislatura, auspicando pertanto che il Governo Monti proceda con l’adozione definitiva del provvedimento in esame, tenendo conto del parere espresso dalla Commissione, allo scopo di risolvere, secondo principi di giustizia, una situazione che coinvolge una categoria da anni in attesa di un intervento del legislatore.

Alessandra SIRAGUSA (PD) ricorda come il PD ha dato parere negativo al decreto sul TFA perché ritiene inscindibile il binomio formazione iniziale – reclutamento: occuparsi solo del primo aspetto senza collegarlo con il secondo rischia di creare solo inutili illusioni, continuando ad alimentare il precariato. Non si sofferma nel merito della questione, per brevità di tempo, rinviando alla proposta di legge a prima firma dell’onorevole De Pasquale, recante la proposta del PD su formazione iniziale e reclutamento. Condivide peraltro le considerazioni dell’onorevole Russo sul fatto che occorra separare i percorsi di chi sta facendo il TFA ordinario e di chi farà il TFA speciale, valutandoli in modo diverso. Ritiene in ogni caso – sebbene basterebbero 360 giorni anche non consecutivi – che sia comunque indispensabile che sia valutato nel computo dei giorni anche l’anno scolastico in corso. Occorre poi riconoscere il valore abilitante dei diplomi magistrali ottenuti entro l’anno scolastico 1999-2000.
Segnala, infine, che un gruppo di docenti ha partecipato al corso abilitante speciale indetto dal ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca ex lege n. 143 del 2004 e del decreto ministeriale n. 85 del 2005, giusto provvedimento del giudice amministrativo, ed è stato inserito con riserva nelle graduatorie provinciali ad esaurimento, poiché al momento della presentazione della domanda di partecipazione al corso, al 22 dicembre 2005, non erano stati maturati i 360 giorni di servizio, come previsto dall’articolo 36, comma 1-bis, del decreto-legge 27 febbraio 2009, n. 14. Precisa che i medesimi giorni erano stati maturati successivamente e comunque prima dell’inizio dei corsi e i docenti indicati, pur essendo stati ammessi con riserva, hanno frequentato i corsi, per un totale di 600 ore, suddivise in moduli di didattica frontale ai laboratori, pagando una tassa di iscrizione di 1.750 euro, dopo aver sostenuto con profitto gli esami in itinere (diciannove), nonché l’esame finale di Stato. Ricorda dunque che questi docenti, che hanno concluso il percorso di formazione all’insegnamento, seppure senza un’abilitazione riconosciuta, oggi sarebbero costretti a concorrere per il tirocinio formativo attivo, ricominciando un percorso formativo già completato. Chiede, quindi, al relatore di inserire nel parere la previsione della possibilità che queste persone possano sostenere l’esame finale senza dover partecipare all’intero percorso formativo, posto che ne hanno già superato uno.

Rosa DE PASQUALE (PD) rileva che l’atto Governativo risponde alle osservazioni formulate dagli organi consultivi CNPI, Consiglio di Stato e Commissioni parlamentari che avevano già rilevato l’opportunità di tener conto, in qualche modo, nella fase transitoria dal vecchio al nuovo regime dettata dal provvedimento n. 249 del 2010, dell’esperienza professionale maturata, con il servizio prestato, dai docenti, come risulta dalle pagine 1 e 2 della relazione illustrativa dell’atto governativo, e dalla pagina n. 5 del dossier redatto dalla Camera in occasione del presente atto. Inoltre ritiene rilevante richiamare quello che pone in evidenza la relazione illustrativa circa il fabbisogno di docenti che da anni, di fatto, è numericamente molto più rilevante rispetto a quello previsto dall’organico di diritto, anche rispetto alla risposta che può essere data dai docenti con abilitazione. Detta realtà è in modo molto evidente testimoniata dalle migliaia di docenti senza abilitazione chiamati, ad insegnare, dalla terza fascia di Istituto. In questo senso appare convincente quanto sostenuto ancora dalla relazione illustrativa, e cioè che il TFA speciale è stato anche istituito per ridurre progressivamente il ricorso a personale non abilitato, al fine così di poter eliminare le cosiddette «terze fasce d’istituto». Ciò anche con l’intento di formare ed abilitare il più alto numero di docenti, visto che la normativa vigente richiede il possesso dell’abilitazione quale requisito necessario per l’esercizio della funzione docente, e di consentire finalmente una valutazione dei docenti senza abilitazione che già insegnano da molti anni – alcuni addirittura da oltre dieci – e che non sono mai stati in alcun modo ne formati né valutati. Sottolinea infatti che in questo senso il TFA speciale prevede che i 19 crediti per il tirocinio si diano per assolti in virtù dei tre anni di insegnamento già effettuato, mentre i 41 crediti restanti siano rimodulati proprio al fine di consolidare le conoscenze disciplinari. Ritiene molto importante inoltre la previsione che l’esame finale verrà rimodulato, rispetto a quello previsto per il TFA ordinario, al fine di consentire di meglio valutare la padronanza delle discipline oggetto di insegnamento che, a differenza dei percorsi ordinari, non è stata valutata con la prova di accesso, con un esame più corposo rispetto a quello per il TFA ordinario. Inoltre è rilevante che si preveda che tutti coloro che risulteranno abilitati con il TFA speciale confluiscano nella graduatoria di II fascia di istituto, anche se occorrerà tener conto, nel punteggio da attribuire, che la mera anzianità di servizio non abbia prevalenza rispetto alla posizione in graduatoria di coloro che avranno sostenuto il TFA ordinario, e non confluiscano invece nella graduatoria ad esaurimento della I fascia provinciale, che deve rimanere tale per consentire un effettivo esaurimento di detta graduatoria. Ritiene tanto più corretto e segno di serietà, la previsione dell’accesso ai TFA speciali da parte di coloro che insegnano da più di tre anni con almeno 180 giorni di servizio per anno, in base a parametri europei.
Considera d’altra parte indispensabile evidenziare che la materia in esame riguarda esclusivamente le modalità di formazione iniziale dei docenti e di acquisizione dell’abilitazione all’insegnamento, ma non affronta in alcun modo le modalità di reclutamento a tempo indeterminato degli stessi. Si tratta di un vulnus molto rilevante e che non consente di chiarire in modo definitivo e costruttivo l’assetto fondamentale della scuola italiana. Sottolinea che alle domande come si diventa insegnate e come la formazione di un insegnante si interseca e diventa base del suo reclutamento e del suo percorso professionale e formativo in servizio, il Partito democratico ha dato delle lungimiranti e precise risposte con il progetto di legge depositato, ancora nel 2008, e che non solo non è stato preso in considerazione dal Ministro Gelmini nel momento in cui ha normato la formazione iniziale dei docenti, ma nemmeno il Parlamento lo ha ritenuto un argomento prioritario da affrontare. Al fine di testimoniare che non da ora i membri della VII Commissione, appartenenti al gruppo del PD, sostengono quanto evidenziato, rinvia al parere contrario ed alternativo a quello espresso dalla maggioranza della Commissione VII, nel 2010 – pubblicato nel resoconto della Commissione cultura del 26 maggio 2010, in occasione del passaggio alla Camera del provvedimento n. 205 dell’allora Governo Berlusconi, relativo alla formazione iniziale dei docenti – il quale prevedeva appunto di considerare congiuntamente il TFA ordinario e il TFA speciale; poca o nessuna essendo la soddisfazione di vantare il merito di averlo detto, rimanendo inascoltati.
Evidenzia in ogni caso che il contrasto fra poveri al quale in questi giorni si sta assistendo tra il personale docente precario che ha avuto accesso al TFA ordinario – che ritiene, a torto o a ragione, di avere diritto, attualmente lui solo, ad abilitarsi – e gli altri precari – che, secondo i primi, questo diritto non dovrebbero avere o per lo meno non con le modalità previste dall’atto governativo in esame –, trova radici nell’incapacità dell’ultimo Governo Berlusconi di normare una materia così delicata, tenendo congiunti formazione iniziale e reclutamento. Ribadisce che esso è anche il frutto dell’incapacità dello stesso Governo di riconoscere l’istruzione quale settore strategico per il Paese, come accaduto in tanti altri Paesi europei. Un settore nel quale andavano investite risorse invece di operare destabilizzanti tagli lineari che non solo hanno abbassato qualitativamente la proposta del sistema scolastico, ma lo hanno privato di prezioso capitale umano, generando caos e demotivazione.

Francesco Paolo LUCCHESE (Misto-MpA-Sud) intende formulare alcune considerazioni di buon senso, osservando innanzitutto come il provvedimento in esame appare molto importante per la formazione scolastica degli studenti. Ritiene, quindi, come non si tratti assolutamente di una sanatoria, poiché non vi è stato né dolo né colpa degli insegnanti che sono stati invece chiamati direttamente dal Ministero a svolgere funzioni essenziali, senza le quali gli alunni non avrebbero potuto vedere esaudito il proprio diritto alla formazione scolastica. Condivide quindi le osservazioni dei colleghi Carra, Zazzera, Russo e Granata, ritenendo opportuno che il Governo adotti il provvedimento in esame.

Maria Letizia DE TORRE (PD) ritiene opportuno che l’adozione del provvedimento in esame venga lasciata al prossimo Governo, evidenziando l’opportunità di un’attenta riflessione tra la formazione degli insegnanti e il loro reclutamento. Osserva, più in generale, come il settore della scuola, strategico per lo sviluppo di tutto il Paese, non abbia ancora visto l’elaborazione di un disegno condiviso di riforme che tenga conto del progredire sempre più di un sapere interculturale. Sottolinea il fatto che gli insegnanti meritano l’elaborazione di una visione riformatrice di medio e lungo periodo che individui la loro missione nel mondo della scuola. Fa quindi appello a tutte le forze politiche affinché il provvedimento in esame sia affrontato dal nuovo Governo nell’ambito di una riforma di tutto il settore della scuola.

Luisa CAPITANIO SANTOLINI (UdCpTP), rispondendo all’onorevole De Torre, ricorda che il parere della Commissione non è vincolante nei confronti del Governo, che ha il diritto e il dovere di procedere. Ritiene, anzi, un errore l’eventualità che la Commissione non esprima parere, perché in tal caso si conferirebbe al Governo una delega in bianco. Segnala quindi la propria preoccupazione per il fatto che il provvedimento in esame preveda che con decreto del Ministero siano emanate disposizioni organizzative atte a garantire, nel rispetto dell’invarianza di spesa, e dei generali vincoli di finanza pubblica, l’accesso ai percorsi abilitanti speciali aperti a tutti i soggetti aventi titolo e tenuto conto anche della disponibilità ricettiva sostenibile dalle università. Auspica come tale ultima condizione non diventi ostativa al percorso abilitante. Ritiene, inoltre, utile indicare una data di inizio allo stesso percorso abilitante.

Giovanni Battista BACHELET (PD), ricordando che si accinge a svolgere, con emozione, il suo ultimo intervento in Parlamento, un’ultima battaglia a favore della scuola, si rammarica che la sua posizione politica sul provvedimento in questione, dopo essere stata ripresa la settimana scorsa dal Corriere della sera e dal Sole 24-ore, non abbia ricevuto attenzione dai colleghi del suo e di altri partiti, e solo ieri dagli onorevoli Gelmini e Centemero del PdL. Il merito della questione da lui sollevata è rimasta sotto traccia; sembra che nessuno si voglia assumere la responsabilità di votare contro un provvedimento di cui si dà per scontata l’approvazione. Non vorrebbe che, dimenticando l’adagio inglese two wrongs don’t make a right, si danneggiassero i bisogni formativi primari degli studenti, aggravando errori fatti in passato con un ulteriore errore. Condivide, in pieno, le considerazioni dell’onorevole Russo: anzitutto che sia tutelato l’esito delle selezioni del TFA ordinario, per un elementare principio di equità e di riconoscimento del merito. Non vorrebbe, infatti, che il provvedimento in esame divenisse lo strumento per consentire ai bocciati del TFA ordinario non solo di rientrare dalla finestra attraverso il TFA speciale, ma addirittura di superare quanti erano stati invece promossi, dei quali un terzo sono anch’essi veterani che hanno però umilmente affrontato e passato tutte le prove di quel concorso. Poiché la nuova procedura parte comunque dall’anno scolastico 2013/2014, dà ragione a Russo anche quando dice che è meglio affidare al nuovo Governo il compito di una riforma complessiva del sistema di formazione iniziale e reclutamento degli insegnanti. Invita quindi espressamente l’attuale Esecutivo a non procedere all’adozione definitiva del provvedimento in esame. Aggiunge, nel merito, che considera non condivisibile la proposta della collega Siragusa di fissare a 360 giorni, in media 30 giorni per ognuno degli ultimi 12 anni, il parametro per accedere ai TFA speciali; né condivide la teoria della collega De Pasquale sull’esaurimento delle graduatorie. A riguardo, ricorda di avere presentato in Commissione, inutilmente, una interrogazione rivolta a suggerire una diversa soluzione: l’applicazione dell’articolo 4 che in riferimento ai non abilitati prevedeva la riapertura dei concorsi per le graduatorie esaurite. Ribadisce in conclusione l’esigenza che si agisca secondo equità nei confronti di tutti gli aspiranti all’insegnamento e soprattutto agli studenti e alla qualità della scuola.

Il sottosegretario Elena UGOLINI, ringraziando i membri della Commissione per l’utile discussione, precisa innanzitutto che il TFA speciale non si può configurare come una sanatoria poiché prevede una relazione di tirocinio e un esame finale, all’esito del quale i candidati potrebbero essere anche bocciati. Esprime, poi, l’avviso contrario del Governo sulla richiesta di orientare il parametro numerico per accedere ai TFA speciali verso i 360 giorni di servizio prestato, rifacendosi anche a quanto previsto dalle direttive comunitarie in materia. Precisa, poi, che le condizioni n. 2 e n. 3 contenute nella proposta di parere alternativo presentata dall’onorevole Zazzera, nonché la richiesta di non penalizzare coloro che frequentano il TFA ordinario, sono preoccupazioni condivise dal dicastero le quali, ove rappresentate dalla Commissione, verranno valutate debitamente. Ricorda infine che la data di avvio del percorso abilitante non è stata prevista perché il provvedimento è stato adottato dal Ministero all’inizio dell’estate del 2012 e ha avuto un lungo iter procedurale presso gli altri organi competenti, per cui non era possibile specificare il termine indicato.

Antonino RUSSO (PD) ritiene assolutamente necessario che il rappresentante del Governo si esprima in ordine alla salvaguardia delle posizioni di coloro che già frequentano il TFA ordinario per non violare il principio del merito. Ribadisce l’esigenza che sia il prossimo Governo ad adottare in via definitiva il provvedimento in discussione.

Manuela GHIZZONI, presidente, preso atto dell’orientamento favorevole di tutti i gruppi presenti, sospende quindi brevemente la seduta.

La seduta, sospesa alle 14.30, è ripresa alle 14.45.

Enzo CARRA (UdCpTP), relatore, segnalando che è stato trovato un accordo fra i gruppi, illustra una nuova proposta di parere favorevole con condizioni e osservazioni volta a recepire alcune delle indicazioni contenute nella proposta di parere alternativo dei deputati Zazzera e Granata, nonché quelle di altri colleghi.

Maria Letizia DE TORRE (PD) preannuncia il suo voto contrario sulla proposta di parere, per ricordare che i problemi della scuola vanno affrontati in modo serio e non con provvedimenti che creano ulteriore disagio e che diventano ostativi di una complessiva riforma del settore.

Giovanni Battista BACHELET (PD) ripropone la richiesta di verifica del numero legale, non perché non apprezzi il lavoro svolto dai colleghi ma perché ritiene giusto che le questioni di merito siano affrontate dal prossimo Esecutivo. Chiede quindi se altri membri della Commissione intendano associarsi a tale richiesta.

Manuela GHIZZONI, presidente, dopo aver constatato che non vi sono altri deputati a sostegno della richiesta del collega Bachelet, ribadisce quanto indicato circa le condizioni previste al riguardo dal regolamento della Camera.

Francesco Paolo LUCCHESE (Misto-MpA-Sud) esprime soddisfazione per l’accordo raggiunto fra i gruppi che ha portato alla formulazione di una nuova proposta di parere condivisa, anche perché il problema è serio e va affrontato senza ulteriori dilazioni. Preannuncia quindi il proprio parere favorevole.

Maria COSCIA (PD) preannuncia, a nome del gruppo del PD, il voto favorevole sulla proposta di parere in esame. Intende sottolineare l’assenza dei deputati del gruppo del PdL, partito al quale si devono imputare molte delle gravi difficoltà in cui oggi si dibatte il mondo della scuola.

Pierfelice ZAZZERA (IdV), ritirando la proposta di parere alternativo presentata, preannuncia il suo voto favorevole sulla proposta di parere in esame, osservando come il provvedimento del Governo sia al momento la migliore soluzione possibile, con i correttivi che sono stati indicati.

Benedetto Fabio GRANATA (FLpTP) preannuncia, a nome del suo gruppo, il voto favorevole sulla proposta di parere in esame, ringraziando ancora una volta la presidente per l’atto di responsabilità di convocare la Commissione su un problema così sentito nel mondo della scuola. Sottolinea il fatto che la specificazione in premessa al parere del fatto che siano giunte molte richieste per portare a trecentosessanta giorni il termine per accedere al TFA speciale, rappresenti un segnale forte al Governo, frutto di mediazione fra i gruppi, punto di partenza per successivi interventi.

Luisa CAPITANIO SANTOLINI (UdCpTP), ricordando come anche per lei si tratta dell’ultimo intervento in Commissione, intende ringraziare tutti i colleghi e la presidente Ghizzoni per l’equilibrio dimostrato, unitamente al ringraziamento alla già presidente Aprea. Preannuncia, quindi, anche a nome del suo gruppo, il voto favorevole sulla proposta di parere in esame, auspicando la valorizzazione della scuola quale bene primario per lo sviluppo di tutto il Paese.

La Commissione approva quindi la proposta di parere favorevole con condizioni e osservazioni, come riformulata dal relatore.

Manuela GHIZZONI (PD), presidente, rivolge un ringraziamento a tutti i membri della Commissione, augurando un buon lavoro per la prossima legislatura.

PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE

La Commissione VII (Cultura, scienza e istruzione),
esaminato lo schema di decreto del ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca recante modifiche al regolamento di cui al decreto ministeriale 10 settembre 2010, n. 249, concernente la definizione della disciplina dei requisiti e delle modalità della formazione iniziale degli insegnanti della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo e secondo grado (atto n. 535);
considerato che l’obiettivo è quello di fare riferimento alle scuole del sistema nazionale di istruzione e ai percorsi di istruzione e formazione professionale di competenza regionale;
considerato che giungono molte richieste di portare a trecentosessanta giorni il termine per accedere al TFA speciale,
esprime

PARERE FAVOREVOLE

con le seguenti condizioni:
1. occorre differenziare attraverso i punteggi da attribuire, la condizione di coloro che sosterranno il TFA speciale, da quella di coloro che stanno partecipando al TFA ordinario, onde evitare che la mera anzianità possa valere più del merito;
2. sia chiaramente riconosciuto nel provvedimento governativo il pieno valore abilitante dei diplomi di istituto magistrale conseguiti entro l’anno scolastico 2001-02;
3. siano attivati anche i TFA speciali per gli insegnanti di strumento musicale e cioè per chi è in possesso di diploma di conservatorio vecchio ordinamento e diploma accademico di II livello ad indirizzo didattico per la classe A077;
4. sia considerato valido per il raggiungimento dei cinquecentoquaranta giorni il servizio scolastico prestato nell’anno scolastico 2012/2013;
5. si prevedano adeguate forme di compensazione nella determinazione del contingente di tutor anche attraverso appositi accordi con la CRUI affinché non si verifichi un aggravio della contribuzione a carico dei tirocinanti;

e con le seguenti osservazioni:
   a) all’articolo 2, comma 1, lettera a), si valuti l’opportunità di sostituire le parole «nelle scuole del sistema nazionale di istruzione e formazione professionale» con le parole «nelle scuole del sistema nazionale di istruzione e nei percorsi del sistema di istruzione e formazione professionale»;
   b) all’articolo 4, comma 1, lettera b), si valuti l’opportunità di chiarire se il riferimento temporale utile per l’iscrizione a uno dei corsi universitari finalizzati al conseguimento dei titoli sia comunque la data di entrata in vigore del decreto ministeriale 249/2010, ovvero l’arco temporale compreso tra quella data e la data di avvio dei nuovi percorsi. In tale secondo caso, la locuzione «alla» deve essere sostituita con la locuzione «dalla»;
   c) si valuti l’opportunità che il comma 16-bis dell’articolo 15 del decreto ministeriale 249/2010, nel rinviare ai requisiti previsti dal comma 1-ter, specifichi che si tratta solo del requisito di servizio triennale e non anche dei requisiti previsti al comma 1 dell’articolo 15, citati nello stesso comma 1-ter ma, evidentemente, riferibili solo ai soggetti che aspirano all’insegnamento nella scuola secondaria;
   d) con riguardo alla possibilità di istituire ed attivare, ai sensi dell’articolo 4, comma 5, del decreto ministeriale 249/2010, strutture di servizi comuni o centri interateneo o interistituzionali di interesse regionale o interregionale che assicurino supporto tecnico, metodologico e organizzativo ovvero, in caso di impossibilità o di difficoltà ad attivare i percorsi formativi «relativi alle classi di concorso previste dal vigente ordinamento», di stipulare convenzioni con le scuole e con le fondazioni di partecipazione istitutive degli istituti tecnici superiori, si valuti l’opportunità di chiarire se quest’ultima previsione riguardi solo l’attivazione dei percorsi abilitanti speciali, ovvero l’attivazione di tutti i percorsi formativi per il conseguimento dell’abilitazione;
   e) si valuti l’opportunità di un chiarimento sul richiamo al D.P.R. n. 89 del 2009, relativo al primo ciclo, contenuto nella tabella 11-bis;
   f) con riguardo all’articolo 4, comma 1, lettera j), si consideri se sia necessario richiamare solo l’articolo 402 del decreto legislativo n. 297 del 1994 e non, invece, gli articoli 399 e seguenti dello stesso decreto legislativo;
   g) si valuti infine l’opportunità che abbiano la possibilità di sostenere l’esame finale senza dover partecipare all’intero percorso formativo, posto che ne hanno già superato uno, i docenti che hanno partecipato al corso abilitante speciale indetto dal Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca ex lege n. 143 del 2004 – decreto ministeriale 85 del 2005, giusto provvedimento del giudice amministrativo, essendo stati inseriti con riserva nelle graduatorie provinciali ad esaurimento, poiché al momento della presentazione della domanda di partecipazione al corso (22 dicembre 2005), non avevano maturato i 360 giorni di servizio, come previsto dall’articolo 36, comma 1-bis, del decreto-legge 27 febbraio 2009, n. 14, ma li avevano maturati successivamente e comunque prima dell’inizio dei corsi, e che pur essendo stati ammessi con riserva, hanno frequentato i corsi, per un totale di 600 ore, suddivise in moduli di didattica frontale e laboratori.

La 7a Commissione Senato, nel corso della riunione del 29 gennaio, esprime parere favorevole con osservazioni sullo Schema di decreto ministeriale recante modifiche al regolamento di cui al decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca 10 settembre 2010, n. 249, concernente definizione della disciplina dei requisiti e delle modalità della formazione iniziale degli insegnanti della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo e di secondo grado

Riferisce alla Commissione il relatore RUSCONI (PD), il quale osserva anzitutto che lo schema di regolamento in esame modifica il regolamento sulla formazione degli insegnanti approvato con decreto ministeriale n. 249 del 2010 sotto due importanti profili.

Il primo riguarda la programmazione degli accessi alla professione insegnante che, ferma restando la centralità delle competenze regionali, non avverrà più solo in base ai posti vacanti in organico, bensì tenendo conto anche dei posti di fatto disponibili ancorché non vacanti (ad esempio per distacco, comando o assenza del titolare), su cui attualmente vengono nominati docenti precari non abilitati, inseriti nella III fascia delle graduatorie di istituto. Afferma dunque che in tal modo viene abolita una limitazione (finora vigente per le Scuole di specializzazione all’insegnamento secondario – SSIS) che ha consentito l’abilitazione di un numero di docenti inferiore alle effettive esigenze, con conseguente, massiccio ricorso a personale non abilitato. Fa notare pertanto come questa significativa modifica consentirà di ridurre la necessità di ricorrere a siffatto personale. Resta peraltro ferma la maggiorazione del 30 per cento già vigente per la copertura delle esigenze delle scuole paritarie e dei percorsi di istruzione e formazione professionale.

Il secondo profilo di impatto attiene alla istituzione di un percorso abilitante speciale per coloro i quali abbiano svolto supplenze con contratto a tempo determinato per almeno 3 anni nel periodo compreso fra l’anno scolastico 1999-2000 e l’anno scolastico 2011-2012, onde valorizzarne la professionalità acquisita. In particolare, prosegue il relatore, la norma si rivolge ai docenti non di ruolo, sprovvisti di abilitazione. Ritiene tuttavia che il limite del provvedimento risieda nella sfasatura temporale tra l’avvio dei TFA ordinari e quello dei TFA speciali, che avrebbero dovuto invece aver luogo contemporaneamente. Paventa infatti il rischio che si riammettano in un percorso privilegiato coloro i quali non hanno superato il percorso ordinario, in quanto non hanno superato la prova preselettiva. Puntualizza comunque che il requisito dei 3 anni è stato posto in quanto in linea con il parametro di riferimento fissato da due direttive comunitarie, al fine di equiparare l’esperienza lavorativa al titolo formativo. Sottolinea altresì che la specialità del percorso è data da due fattori: i particolari contenuti didattici previsti dalla Tabella 11-bis allegata allo schema di decreto, che escludono lo svolgimento del tirocinio (dando per assolti i 19 crediti ad esso relativi) e rimodulano i restanti 41 crediti al fine di consolidare le conoscenze delle discipline oggetto di insegnamento, nonché di acquisire, da un lato, le competenze digitali e, dall’altro, quelle necessarie per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità; l’assenza di test d’accesso, in considerazione del fatto che, attraverso il servizio prestato, questi docenti hanno già dato prova di quelle competenze disciplinari che la prova d’accesso è volta ad accertare. Il relatore evidenzia poi che l’esame finale, avente valore abilitante, è tuttavia rimodulato per consentire anche la verifica della piena padronanza delle discipline oggetto di insegnamento, vista appunto l’assenza di test d’accesso. Proprio per le particolari caratteristiche dei docenti cui sono rivolti i TFA speciali – che non avrebbe avuto senso risottoporre al tirocinio – è stata del resto scartata l’ipotesi di un accesso in soprannumero ai TFA ordinari, ovvero una riapertura del bando relativo a questi ultimi. Segnala inoltre che i percorsi in questione riguardano sia gli aspiranti docenti della scuola secondaria di primo e secondo grado, sia quelli della scuola dell’infanzia e primaria.

Fa presente indi che sul provvedimento si sono espressi il Consiglio nazionale della pubblica istruzione (CNPI), il Consiglio universitario nazionale (CUN), il Consiglio nazionale degli studenti universitari (CNSU), il Consiglio nazionale per l’alta formazione artistica e musicale (CNAM) e il Consiglio di Stato, i cui pareri sono stati pressocché tutti accolti dal Ministero.

Riferisce dunque in dettaglio che il CNPI ha chiesto (ed ottenuto) una maggiore cumulabilità del servizio prestato (anche se non su diverse classi di concorso), la possibilità di partecipare ai TFA speciali anche per gli insegnanti tecnico-pratici, nonché la garanzia che i predetti TFA possano essere attivati per tutte le classi di concorso, eventualmente attraverso convenzioni con le istituzioni scolastiche autonome e con gli istituti tecnici superiori. Il Consiglio ha inoltre auspicato un riesame del requisito di servizio per accedere ai TFA speciali (pari a 3 anni, in luogo dei 360 giorni da più parti richiesti), anche se ha riconosciuto che l’ampio arco temporale in cui è possibile averli acquisiti (fra il 1999-2000 e il 2011-2012) è tale da attenuare l’opposizione alla norma.

Il relatore dà altresì conto dell’orientamento del CUN, che ha chiesto (ed ottenuto) la previsione di un decreto ministeriale per definire la procedura di programmazione dell’offerta formativa degli atenei, l’abilitazione tramite il solo TFA sino all’effettivo avvio delle lauree magistrali o diplomi accademici di II livello (onde assicurare un collegamento più funzionale fra la disciplina a regime e la fase transitoria in corso, che rischia di determinare la formazione di una categoria di aspiranti docenti privi di prospettive definite per l’insegnamento), nonché l’attribuzione ad un altro decreto con cadenza annuale della definizione delle prove di accesso ai TFA ordinari, in analogia ai test preliminari delle facoltà a numero chiuso. Comunica peraltro che non è stata invece accolta la richiesta di una revisione della valutazione del servizio ai fini dell’accesso ai TFA ordinari, con la motivazione che sia preferibile definire le modifiche a regime in un momento successivo e in modo più organico. Al riguardo, rileva però che anche le ulteriori correzioni richieste ed ottenute dal CUN riguardavano modifiche alla disciplina dei TFA ordinari e non di quelli speciali.

Illustra poi la posizione espressa dal CNSU, che non ha avanzato specifiche richieste, condividendo la proposta del Governo con particolare riguardo alle diverse modalità di calcolo del fabbisogno di insegnanti e al diverso percorso formativo per gli insegnanti non abilitati. Tale organo ha tuttavia auspicato una riconsiderazione circa il divieto di cumulare il servizio prestato su classi di concorso diverse.

Menziona successivamente il parere del CNAM, che ha richiesto alcune correzioni soprattutto relative alla Tabella dei contenuti didattici (prevalentemente accolte), con specifico riguardo al settore dell’alta formazione artistica e musicale.

In ultima analisi, il relatore precisa che il Consiglio di Stato, oltre ad una serie di rilievi formali, ha eccepito – con riferimento alle diverse modalità di calcolo del fabbisogno – che, ai sensi dell’articolo 14 del decreto-legge n. 95 del 2012 (spending review), il personale di ruolo in esubero nella propria classe di concorso è assegnato su un posto della stessa provincia ma di altro grado di istruzione o di altra classe di concorso, ancorché sprovvisto della relativa abilitazione, purché in possesso del titolo di studio valido per quell’insegnamento. Il Consiglio di Stato ha perciò espresso il timore che tale norma potesse confliggere con una determinazione del fabbisogno che comprendesse anche i posti su cui poi sono assegnati docenti di ruolo in esubero. In proposito, riferisce che il Ministero ha tuttavia chiarito che i docenti in esubero sono assegnati con assoluta priorità e che la determinazione del fabbisogno è successiva rispetto a tale assegnazione. Fa notare pertanto che, sulla base di questi chiarimenti, e dell’intesa nel frattempo accordata dalla Funzione pubblica e dall’Economia, il Consiglio di Stato ha espresso parere favorevole sull’atto.

Il relatore fornisce quindi alcuni ragguagli sulle procedure di consultazione tenute dal Ministero, all’esito delle quali da parte sindacale vi è stata una sostanziale condivisione del provvedimento, mentre da parte delle associazioni professionali è stata manifestata perplessità circa l’istituzione di percorsi abilitanti speciali privi delle prove d’accesso. A fronte dell’indiscutibile difficoltà di porre sullo stesso piano soggetti che si sono abilitati attraverso il superamento di prove selettive e soggetti che hanno acquisito il medesimo titolo senza procedure di quel genere, il Ministero ha tuttavia valutato che i vantaggi – in termini di maggiore qualificazione del personale docente, di tutela preventiva rispetto al possibile contenzioso da parte dei non abilitati comunque molto utilizzati nella scuola e di definizione di un quadro giuridico certo e completo – fossero di gran lunga maggiori rispetto agli svantaggi ed ha perciò sottoposto lo schema di decreto alle Camere, chiedendo l’espressione di un parere urgente. Le disposizioni ivi contenute devono infatti trovare attuazione già nell’anno accademico 2012-2013, attualmente in corso, al fine di consentire il contestuale svolgimento dei TFA sia ordinari sia speciali. Il relatore ribadisce comunque le critiche al ritardo con cui il provvedimento è giunto alle Camere, atteso che entrambi i percorsi formativi avrebbero dovuto tenersi contestualmente.

Il PRESIDENTE segnala che il Governo ha richiesto con urgenza l’assegnazione dell’atto alle Commissioni competenti dei due rami del Parlamento, anche in periodo di scioglimento, proprio al fine di consentire un rapido esame volto a consentire il contestuale svolgimento dei TFA ordinari e di quelli speciali.

Nel dibattito interviene la senatrice Mariapia GARAVAGLIA (PD) la quale, nel concordare con l’esposizione introduttiva del relatore, prende anzitutto atto della richiesta di urgenza riformulata dal Ministro per i rapporti con il Parlamento. Segnala comunque che alcune università si sono attivate già prima dell’approvazione del regolamento, tenuto conto che è in corso lo svolgimento dei tirocini. Si domanda tuttavia se i tempi consentano effettivamente l’avvio dei TFA speciali a partire già da questo anno. Invita poi l’Esecutivo a semplificare gli adempimenti richiesti, considerata l’urgenza di intervenire per assicurare la qualità degli insegnanti delle scuole.

Con riferimento allo schema di decreto, ritiene che l’introduzione del comma 5-bis nell’articolo 11 del decreto ministeriale n. 249 del 2010 renda di fatto inattuabile l’intero provvedimento. Fa notare infatti che la determinazione dei contingenti dei tutor coordinatori e organizzatori non può avvenire senza oneri, data la necessità di attribuire a tali soggetti l’esonero totale o parziale dall’attività svolta, individuando dunque dei supplenti. Inoltre nel provvedimento si stabilisce l’invarianza della spesa con riferimento ai parametri di assegnazione, con la conseguenza di dover assegnare ai tutor un numero superiore ai 15 tirocinanti previsti dalla normativa vigente. Ritiene dunque indispensabile eliminare tali previsioni dal testo del decreto, pena – ribadisce – la sua inapplicabilità.

Il senatore PITTONI (LNP) fa presente che iTFA prevedono che gli aspiranti docenti si formino a partire dalla possibilità di trasferire il sapere in saper fare. Per questo, parte integrante del percorso formativo è un anno di tirocinio, sotto la supervisione di un tutor, che permetta all’aspirante di imparare a insegnare. Afferma perciò che i docenti con almeno 360 giorni di servizio hanno già esercitato la professione a pieno titolo e per un periodo superiore all’anno di tirocinio previsto dalla normativa vigente. Fa notare infatti che 360 giorni equivalgono ad almeno 2 anni di servizio poiché, secondo quanto stabilito dalla stessa Amministrazione, si considera equivalente a un anno scolastico, anche ai fini dell’attribuzione del punteggio, un periodo di insegnamento di almeno 180 giorni. Non a caso, puntualizza, nella prassi che si è conclusa nel 2005 con l’ultimo corso abilitante riservato ai docenti in servizio, il Ministero ha assunto i 180 giorni come parametro sufficiente a riconoscere un’esperienza di cui tener conto anche al fine di definire formalmente il profilo professionale del docente.

Ritiene pertanto che altri parametri, se assunti senza cautele, potrebbero alimentare il rischio di contenziosi volti a far risaltare il profilo professionale definito dai contratti stipulati con i docenti delle graduatorie della III fascia d’istituto. Rammenta poi che la normativa europea qualifica come “esperienza professionale” l’esercizio effettivo e legittimo della professione e che, secondo la direttiva europea 36/2005/CE, tre anni di esperienza professionale sono assimilati a un titolo di formazione, non all’accesso a un anno di tirocinio per ottenere il titolo abilitante. Ciò significa che con tre anni di servizio a pieno titolo il lavoratore dovrebbe accedere direttamente al titolo di formazione. Reputa dunque che, pur volendo far sostenere degli esami disciplinari a docenti “di fatto”, si debba necessariamente richiedere un periodo di servizio inferiore ai tre anni perché, appunto, con i tre anni si può far valere il diritto al riconoscimento professionale, ossia all’abilitazione.

Rimarca poi che dal 1971 al 2004 i docenti “utilizzati” per sopperire alla carenza strutturale di abilitati si potevano abilitare iscrivendosi automaticamente a corsi riservati a chi aveva maturato 360 giorni di servizio. Segnala peraltro che il ricorso ai docenti “non abilitati” evidentemente testimonia le carenze di tutti i sistemi di abilitazione attivati fino ad ora. Lo stesso Ministero riconosce del resto che questi docenti “hanno permesso negli ultimi anni alle scuole statali e paritarie di funzionare nonostante l’assenza di abilitati”.

Lamenta altresì che i docenti italiani definiti “non abilitati” siano discriminati rispetto ai loro colleghi europei perché l’Italia, mentre riconosce l’esperienza professionale come formativa per chi proviene dall’estero anche se svolta per periodi inferiori ai tre anni, non riconosce l’analoga esperienza professionale maturata dal proprio personale. Reputa quindi essenziale, onde evitare l’ostruzionismo di chi sta attualmente frequentando i TFA ordinari e per riconoscere un diritto a chi lo ha maturato nonostante sia già in possesso di abilitazione, allargare la possibilità di iscriversi al TFA speciale a tutti i docenti che abbiano maturato i 360 giorni di servizio. Nega infatti che la normativa vigente richieda il possesso dell’abilitazione quale requisito necessario per l’esercizio della funzione docente; afferma infatti che se ciò fosse vero le graduatorie di III fascia d’istituto istituite dal Ministero sarebbero illegali, al pari dell’attività svolta attualmente da migliaia di docenti. Rimarca peraltro che i titoli di studio e culturali posseduti dai docenti di III fascia sono definiti validi all’insegnamento dallo stesso Ministero che ha, appunto, istituito le graduatorie di merito nelle quali questi docenti sono iscritti e che ha sottoscritto i contratti stipulati per attribuire loro incarichi di docenza. Nè va dimenticato, prosegue l’oratore, che i titoli di studio che danno accesso alle suddette graduatorie sono tuttora validi per l’accesso ai concorsi per l’immissione in ruolo. L’abilitazione, infatti, dà accesso all’insegnamento, come dimostra l’istituzione delle graduatorie d’istituto, ma non alla stabilizzazione, cioè agli incarichi a tempo indeterminato.

Critica altresì il comma 2-bis dell’articolo 2, che stabilisce i criteri per la determinazione del fabbisogno con riferimento alle sole scuole statali italiane, aumentati del 30 per cento per le esigenze delle scuole paritarie, quando invece la normativa europea prevede la libera circolazione delle persone e della loro professionalità all’interno dei Paesi membri.

Ravvisa altresì un’evidente contraddizione laddove, da un lato, si afferma che l’esame finale previsto per i TFA speciali deve essere rimodulato rispetto ai TFA ordinari per la verifica della padronanza delle discipline e, dall’altro, si prevede che l’iscrizione ai percorsi “non necessiti del superamento di prove di accesso, in considerazione del fatto che gli aspiranti hanno già dato prova, attraverso il servizio prestato, di possedere la competenza disciplinare che la medesima prova deve accertare”.

Ribadisce poi la necessità, ai fini dell’accesso a percorsi formativi abilitanti, di rivedere il parametro della continuità, tenuto conto che l’esperienza professionale non viene meno se riferita alla somma di periodi di insegnamento successivi e in classi di concorso diverse, come del resto già inizialmente considerato nel cosiddetto “decreto salvaprecari”.

Rileva peraltro un’ulteriore lacuna nel testo laddove manca un’adeguata valutazione del titolo di dottore di ricerca, soprattutto se associato al servizio nelle scuole. Ricorda in merito che il dottorato di ricerca è dal 1998 requisito preferenziale per il conferimento da parte delle università di incarichi di docenza o di contratti di ricerca, al punto che molti dottori di ricerca hanno potuto ricoprire ruoli formativi anche nelle scuole di specializzazione che conferivano l’abilitazione. Nel momento in cui tale titolo – precisa – si associa ad una comprovata esperienza di docenza nelle scuole e a numerose pubblicazioni scientifiche negli stessi ambiti disciplinari per i quali li si vorrebbe formare, giudica paradossale prevedere per loro un corso di formazione iniziale per insegnanti.

Lamenta altresì che nel provvedimento non è previsto l’accesso agli istituendi TFA speciali da parte di chi è già in possesso di una abilitazione (e al limite anche già in ruolo), anche nei casi in cui un docente abbia maturato l’anzianità di servizio prevista per entrare in una determinata classe di concorso. In conclusione, nell’esprimere il proprio disappunto per i ritardi che hanno caratterizzato l’elaborazione dell’atto in esame, non certo imputabili ai docenti di III fascia, ritiene che coloro i quali risultano iscritti ai TFA ordinari pur avendo i requisiti per accedere ai TFA speciali dovrebbero avere la possibilità di trasferire l’iscrizione dal TFA ordinario a quello speciale.

Prende la parola il senatore PETERLINI (UDC-SVP-AUT:UV-MAIE-VN-MRE-PLI-PSI) il quale sottolinea preliminarmente le grandi attese attorno al provvedimento in esame, specialmente in merito alla definizione dei requisiti per l’accesso. Reputa in proposito saggio raggiungere una mediazione tenuto conto che i posti disponibili per accedere ai TFA sono comunque limitati. Invita peraltro a tener conto delle differenze tra il tirocinio svolto nell’ambito dei TFA e l’attività di servizio resa dai docenti precari; sulla questione dichiara perciò di preferire la soluzione scelta dal Governo, ossia il limite dei tre anni di insegnamento già svolto, tanto più che si tratta di un periodo sufficientemente ampio. Evidenzia del resto che tali soglie di accesso consentono solo di evitare l’esame di ammissione mentre non danno alcuna garanzia per il conseguimento effettivo dell’abilitazione.

Condivide comunque le perplessità del senatore Pittoni circa l’abilitazione conseguita all’estero e riconosciuta in Italia, invocando un chiarimento da parte del Governo.

Concorda conclusivamente sull’esigenza di valorizzare il dottorato ai fini della ammissione, tenuto conto che i dottori di ricerca dovrebbero avere a suo avviso un percorso preferenziale in questo canale formativo.

La senatrice SOLIANI (PD) si rammarica che il provvedimento giunga ormai a fine legislatura, poiché tale ritardo non consente di discuterne in una prospettiva di sistema. Ciò risulta a suo giudizio ulteriormente aggravato da una serie di problemi ereditati dal passato che hanno impedito un canale fisiologico di reclutamento per i giovani nella scuola. Rileva infatti criticamente la presenza di docenti abilitati e non abilitati nelle scuole, verso i quali il provvedimento in titolo non offre una soluzione definitiva.

Dopo essersi soffermata sui compiti che spettano alle università, ritiene non semplice la questione degli esoneri per i tutor coordinatori e organizzatori, sollevata dalla senatrice Garavaglia. Al riguardo afferma che l’insistenza sull’assenza di oneri mortifica alla radice la possibilità di imprimere una svolta qualitativa alla scuola.

Ravvisa poi la mancanza di una visione unitaria, che non permette di affrontare una volta per tutte il tema della scuola del futuro. Occorre invece a suo avviso superare il problema del precariato e dare regole certe ai giovani, senza che queste vengano smentite periodicamente.

Quanto ai requisiti di accesso, reputa preferibile la scelta dei tre anni di insegnamento, in linea peraltro con le indicazioni europee.

Domanda altresì un chiarimento circa la presunta sovrapposizione con i percorsi consolidati nell’ambito della Facoltà di scienze della formazione primaria, che hanno dato finora buoni risultati. Invoca dunque continuità con tale segmento formativo, che deve essere preservato nella sua stabilità. Ribadisce infine le sue perplessità circa la previsione di totale assenza di oneri con riferimento alla determinazione dei tutor.

Il senatore ASCIUTTI (PdL) ripercorre l’istituzione delle graduatorie permanenti nel 1999, da cui hanno avuto origine a suo avviso l’incertezza del mondo scolastico e il declino della qualità della scuola. Afferma al riguardo che non è possibile entrare in ruolo solo per anzianità di servizio, in quanto occorre un preciso percorso formativo.

Riconosce peraltro la difficoltà di stabilire un giusto discrimine per l’accesso, che rischia tuttavia di scontentare i diversi soggetti interessati. Si dichiara perciò concorde con la senatrice Soliani laddove ella afferma l’esigenza di stabilire diritti costanti e certi per tutti gli aspiranti candidati.

Si domanda poi le ragioni che hanno indotto a stabilire come termine a quo l’anno scolastico 1999-2000, sottolineando che molti aspiranti docenti non sono riusciti ad entrare nelle SSIS ed ora possono accedere ai TFA speciali avendo tre anni di servizio. Nell’auspicio che le decisioni assunte in quest’ambito non risentano di una corsa al consenso elettorale reputa indispensabile l’abolizione definitiva delle graduatorie permanenti. Infine, pur sottolineando le criticità sottese alla definizione dei parametri d’accesso, giudica preferibile mantenere il requisito dei tre anni.

Il senatore PROCACCI (PD) condivide le critiche al ritardo con cui il provvedimento è giunto in Parlamento, si augura peraltro che non venga affatto posto il problema del consenso ma prevalga il senso di giustizia. In tale ottica, ritiene equilibrato il requisito dei tre anni di servizio, tanto più che spesso le selezioni non riescono ad esprimere le giuste qualità dei formatori. Afferma perciò che un anno di servizio rappresenta un tempo troppo breve, mentre un triennio consente di acquisire maggiori competenze sul piano didattico.

Invita poi a tener conto che nei TFA verrà comunque valutata la qualità degli aspiranti docenti, auspicando che il percorso avvenga in modo rigoroso tenuto conto che i corsi abilitanti non devono essere affatto considerati come una sanatoria.

Replica indi il relatore RUSCONI (PD) il quale prende anzitutto atto delle posizioni personali espresse dal senatore Pittoni. Ritiene poi che il Parlamento debba dare il suo contributo equilibrando il buonsenso con la giustizia. Ricorda peraltro che la legge finanziaria 2007 aveva di fatto chiuso le graduatorie permanenti portandole ad esaurimento con l’obiettivo di avviare una stagione dai concorsi, sostenuta dall’esperienza delle SSIS. Ritiene tuttavia che la situazione attuale sia al di fuori della normalità e che dunque occorra intervenire.

Dopo aver precisato che troppo spesso la parola “merito” è utilizzata fuori luogo, fa presente che dal 1999 ad oggi è stato possibile maturare molti anni di servizio. Per tali docenti non dovrebbe dunque essere previsto il tirocinio, mentre non è affatto scontato il conseguimento dell’abilitazione. Dichiara perciò di attenersi alla proposta governativa dei tre anni di servizio per l’accesso ai TFA speciali, in linea con le indicazioni europee.

Preannuncia poi che intende recepire le osservazioni della senatrice Garavaglia circa la difficoltà di garantire l’assenza di oneri, il rilievo della senatrice Soliani sulla necessità di assicurare la continuità dei percorsi di Scienze della formazione, nonché l’auspicio del senatore Asciutti affinché si giunga in tempi rapidi e graduali ad una situazione di normalità. Invocando il comune senso di serietà, rifiuta infine qualsiasi sanatoria, che giudica in ogni caso irrispettosa per tutti i soggetti coinvolti.

Agli intervenuti replica a sua volta il sottosegretario Elena UGOLINI, la quale ricorda che l’iter del provvedimento è iniziato lo scorso luglio e avrebbe dovuto, giungere a conclusione, con l’espressione di tutti i pareri, entro settembre. Tuttavia gli auspici del Governo sono stati vanificati in quanto la fase consultiva ha richiesto un tempo più ampio, tenuto conto che l’ultimo parere del Consiglio di Stato è stato reso il 16 gennaio scorso.

Con riferimento alle osservazioni della senatrice Garavaglia, segnala che la clausola dell’invarianza di oneri è stata esplicitamente richiesta dal Ministero dell’economia quale condizione per l’ulteriore corso del provvedimento. Assicura tuttavia che il Ministero si impegnerà per conseguire adeguate forme di compensazione, tenuto conto che i candidati devono corrispondere un contributo di iscrizione. Il Dicastero potrebbe dunque attivarsi con la Conferenza dei rettori delle università italiane (CRUI) per stabilire un tetto massimo di contribuzione, su cui auspica un sostegno da parte del Parlamento.

Quanto ai requisiti di accesso, difende la scelta del Ministro di propendere per i tre anni di insegnamento, secondo quanto contenuto nello schema di decreto.

Garantisce altresì che le positive esperienze della Facoltà di scienze della formazione proseguiranno nella direzione già intrapresa. Concorda peraltro con l’esigenza di stabilire nuove modalità di reclutamento che a regime consentano l’ingresso dei giovani docenti nelle scuole, scongiurando il formarsi di nuovo precariato. Rivendica in proposito i tentativi fatti dall’Esecutivo in carica, augurandosi che il prossimo Governo affronti come prioritaria tale questione.

In ordine alla valorizzazione del dottorato, potrebbe essere valutata una soluzione per potenziarne il ruolo ai fini dell’accesso.

Il presidente POSSA (PdL) fa notare che il titolo di dottore di ricerca è conferito in base alla capacità di ricerca acquisita, la quale è assai differente dalla capacità di insegnamento.

Il senatore PITTONI (LNP) ribadisce la sua richiesta di chiarimento circa i docenti che conseguono l’abilitazione all’estero.

Il relatore RUSCONI (PD), alla luce della replica del Sottosegretario, dichiara di inserire tra le osservazioni anche il riferimento ad un eventuale tetto per la contribuzione dei tirocinanti all’atto dell’iscrizione e di recepire le ulteriori considerazioni del Sottosegretario. Risponde al senatore Pittoni affermando che la normativa è alquanto rigorosa sul riconoscimento dei titoli.

Si passa indi alle dichiarazioni di voto sul conferimento del mandato al relatore a redigere un parere favorevole con le summenzionate osservazioni.

Dichiarano il voto favorevole a nome dei rispettivi Gruppi i senatori ASCIUTTI (PdL), SOLIANI (PD) e PETERLINI (UDC-SVP-AUT:UV-MAIE-VN-MRE-PLI-PSI).

Il senatore PITTONI (LNP) dichiara che il suo voto non può non essere favorevole, tenuto conto che ha da tempo sostenuto la necessità di tale provvedimento. Lamenta tuttavia che, se fosse stato approvato il disegno di legge a sua firma sul reclutamento, sarebbero state risolte in anticipo molte questioni. Ribadisce peraltro le critiche al requisito dei tre anni di servizio, stigmatizzando che i cittadini italiani devono affrontare un percorso più gravoso rispetto a coloro i quali si abilitano all’estero.

La Commissione, previa verifica del numero legale, conferisce mandato al relatore a redigere un parere favorevole con osservazioni nel senso indicato.

 

22 gennaio Erasmus e Trasparenza in CdM

Il Consiglio dei Ministri, nel corso della seduta del 22 gennaio, esamina la possibilità del voto all’estero per gli studenti Erasmus ed approva due decreti legislativi su pubblicità, trasparenza e diffusione delle informazioni da parte della PA.

Di seguito un estratto del comunicato stampa:

Il Consiglio ha valutato approfonditamente, grazie alle relazioni dei Ministri dell’interno e degli affari esteri, la possibilità di consentire agli studenti Erasmus la partecipazione al voto dall’estero per le prossime elezioni politiche, come auspicato in precedenza.

La discussione ha posto in evidenza delle difficoltà insuperabili: anzitutto di tempo e di praticabilità e, soprattutto, di costituzionalità nel selezionare unicamente gli studenti Erasmus – escludendo tutti gli altri soggetti che si trovano all’estero per ragioni di studio, ma senza una borsa Erasmus – come nuova categoria di elettori temporanei. La discrezionalità di scelta che eserciterebbe il Consiglio con questa decisione contrasta con i principi di partecipazione democratica, eguaglianza ed effettività del diritto di voto previsti dalla Costituzione.

Il Consiglio ha auspicato che la prossima riforma elettorale tenga in debita considerazione le esigenze dei giovani temporaneamente all’estero per ragioni di studio e di lavoro.

(…)A. PUBBLICITÀ, TRASPARENZA E DIFFUSIONE DI INFORMAZIONI DA PARTE DELLE PA

Il Consiglio ha approvato, su proposta del Ministro della pubblica amministrazione e semplificazione, due decreti legislativi che attuano la legge 190 del 2012 (“Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”).

Il primo provvedimento riordina tutte le norme che riguardano gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione delle informazioni da parte delle PA e introduce alcune sanzioni per il mancato rispetto di questi vincoli. Di seguito, in sintesi, i punti principali del provvedimento:

1. viene istituito l’obbligo di pubblicità: delle situazioni patrimoniali di politici, e parenti entro il secondo grado; degli atti dei procedimenti di approvazione dei piani regolatori e delle varianti urbanistiche; dei dati, in materia sanitaria, relativi alle nomine dei direttori generali, oltre che agli accreditamenti delle strutture cliniche.

2. viene data una definizione del principio generale di trasparenza: accessibilità totale delle informazioni che riguardano l’organizzazione e l’attività delle PA, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche.

Il provvedimento ha infatti lo scopo di consentire ai cittadini un controllo democratico sull’attività delle amministrazioni e sul rispetto, tra gli altri, dei principi costituzionali di eguaglianza, imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza dell’azione pubblica.

3. la pubblicazione dei dati e delle informazioni sui siti istituzionali diventa lo snodo centrale per consentire un’effettiva conoscenza dell’azione delle PA e per sollecitare e agevolare la partecipazione dei cittadini. Per pubblicazione si intende la diffusione sui siti istituzionali di dati e documenti pubblici e la diretta accessibilità alle informazioni che contengono da parte degli utenti.

4. si stabilisce il principio della totale accessibilità delle informazioni. Il modello di ispirazione è quello del Freedom of Information Act statunitense, che garantisce l’accessibilità di chiunque lo richieda a qualsiasi documento o dato in possesso delle PA, salvo i casi in cui la legge lo esclude espressamente (es. per motivi di sicurezza).

5. si prevede che il principio della massima pubblicità dei dati rispetti le esigenze di segretezza e tutela della privacy. Il provvedimento stabilisce che i dati personali diversi dai dati sensibili e dai dati giudiziari possono essere diffusi attraverso i siti istituzionali e possono essere trattati in modo da consentirne l’indicizzazione e la tracciabilità con i motori di ricerca. È previsto l’obbligo di pubblicazione dei dati sull’assunzione di incarichi pubblici e si individuano le aree in cui, per ragioni di tutela della riservatezza, non è possibile accedere alle informazioni.

6. viene introdotto un nuovo istituto: il diritto di accesso civico. Questa nuova forma di accesso mira ad alimentare il rapporto di fiducia tra cittadini e PA e a promuovere il principio di legalità (e prevenzione della corruzione). In sostanza, tutti i cittadini hanno diritto di chiedere e ottenere che le PA pubblichino atti, documenti e informazioni che detengono e che, per qualsiasi motivo, non hanno ancora divulgato.

7. si disciplina la qualità delle informazioni diffuse dalle PA attraverso i siti istituzionali. Tutti i dati formati o trattati da una PA devono essere integri, e cioè pubblicati in modalità tali da garantire che il documento venga conservato senza manipolazioni o contraffazioni; devono inoltre essere aggiornati e completi, di semplice consultazione, devono indicare la provenienza ed essere riutilizzabili (senza limiti di copyright o brevetto).

8. si stabilisce la durata dell’obbligo di pubblicazione: 5 anni che decorrono dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello in cui decorre l’obbligo di pubblicazione e comunque fino a che gli atti abbiano prodotto i loro effetti (fatti salvi i casi in cui la legge dispone diversamente).

9. si prevede l’obbligo per i siti istituzionali di creare un’apposita sezione – “Amministrazione trasparente” – nella quale inserire tutto quello che stabilisce il provvedimento.

10. viene disciplinato il Piano triennale per la trasparenza e l’integrità – che è parte integrante del Piano di prevenzione della corruzione – e che deve indicare le modalità di attuazione degli obblighi di trasparenza e gli obiettivi collegati con il piano della performance.

11. Altre disposizioni riguardano la pubblicazione dei curricula, degli stipendi, degli incarichi e di tutti gli altri dati relativi al personale dirigenziale e la pubblicazione dei bandi di concorso adottati per il reclutamento, a qualsiasi titolo, del personale presso le PA.

11 gennaio Licei sportivi e LEP in CdM

Nella seduta dell’11 gennaio 2013, il Consiglio dei Ministri approva:

DECRETO LEGISLATIVO: Definizione delle norme generali e dei livelli essenziali delle prestazioni per l’individuazione e validazione degli apprendimenti non formali e informali e degli standard minimi di servizio del sistema nazionale di certificazione delle competenze, a norma dell’articolo 4, commi 58 e 68, della legge n. 92 del 2012 (LAVORO – ISTRUZIONE);

DECRETO PRESIDENZIALE: Regolamento di organizzazione dei percorsi della sezione ad indirizzo sportivo del sistema dei licei, a norma dell’articolo 3, comma 2, del DPR n. 89 del 2010 (ISTRUZIONE)

Di seguito il comunicato stampa:

SISTEMA NAZIONALE DI CERTIFICAZIONE DELLE COMPETENZE

Su proposta dei Ministri del lavoro e delle politiche sociali e dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con gli altri Ministri competenti, il Consiglio dei Ministri ha approvato, in via definitiva, dopo aver acquisito l’intesa in sede di Conferenza unificata lo scorso 20 dicembre, un provvedimento sul Sistema nazionale di certificazione delle competenze, in attuazione della riforma del mercato del lavoro per la crescita (Cfr. comunicato stampa n. 56 del 30 novembre 2012).

Il provvedimento completa un “pacchetto di innovazioni” per innalzare i livelli di istruzione e formazione delle persone adulte, in linea con gli impegni assunti dall’Italia in sede europea.

Il nostro Paese dimostra così di rispondere alle sollecitazioni rivolte dalla Ue ai Paesi membri affinché, in un periodo di crisi economica globale, si dotino degli strumenti legislativi che consentano al maggior numero di persone, in particolare ai giovani in cerca di prima occupazione e ai giovani NEET (né al lavoro né in formazione), di far emergere e far crescere il grande capitale umano rappresentato dalle competenze, finora scarsamente valorizzate, acquisite in tutti i contesti: sul lavoro, nella vita quotidiana e nel tempo libero.

Un sistema rigoroso e coordinato a livello nazionale di riconoscimento delle competenze comunque acquisite, promuove la mobilità geografica e professionale, favorisce l’incontro tra domanda e offerta nel mercato del lavoro, accresce la trasparenza degli apprendimenti e dei fabbisogni e l’ampia spendibilità delle certificazioni in ambito nazionale ed europeo.

Il sistema nazionale di certificazione delle competenze costituisce, pertanto, una fondamentale infrastruttura di raccordo tra le politiche di istruzione, formazione, lavoro, competitività, cittadinanza attiva e welfare in sintonia con le dinamiche e gli indirizzi di crescita e sviluppo dell’Unione europea.

ORGANIZZAZIONE DEI PERCORSI DELLA SEZIONE A INDIRIZZO SPORTIVO DEL SISTEMA DEI LICEI

Il regolamento approvato oggi prevede la riorganizzazione dei percorsi delle sezioni a indirizzo sportivo dei licei. L’obiettivo principale del provvedimento è quello di portare a sistema esperienze didattiche già condotte in molte scuole, avvalendosi dell’autonomia, e di implementare allo stesso tempo il ventaglio dell’offerta formativa, rafforzando il ruolo dello sport nella scuola. Per la prima volta nel nostro ordinamento viene inserito un nuovo indirizzo di studi nell’ambito del liceo scientifico.

Rispetto alle discipline dell’ordinario liceo scientifico sono introdotte due nuove materie: “diritto ed economia dello sport” e “discipline sportive” che vanno a sostituire “disegno e storia dell’arte” e “lingua e cultura latina”. Inoltre è previsto il potenziamento di “scienze motorie e sportive”. L’iscrizione è aperta a tutti, anche ai disabili, e non sono previste prove selettive d’ingresso. In effetti, la sezione non è finalizzata solo alla formazione scolastica di giovani che praticano sport a livello agonistico e sono magari impegnati in competizioni di rilievo nazionale o internazionale, ma si rivolge anche agli studenti particolarmente interessati ai valori propri della cultura sportiva.

In prima applicazione le Regioni, nell’ambito delle proprie competenze di programmazione dell’offerta formativa, potranno autorizzare un numero di sezioni non superiore a quello delle rispettive province. Le scuole individuate dalle Regioni apriranno le iscrizioni già a partire dal prossimo anno scolastico.

31 dicembre Messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica

(Palazzo del Quirinale, 31/12/2012) Un augurio affettuoso a tutti voi, uomini e donne d’Italia, che vivete e operate in patria e all’estero, e in particolare a quanti servono da lontano la nazione, in suo nome anche rischiando la vita, come nelle missioni di pace in tormentate aree di crisi.
Mi rivolgo a voi questa sera nello stesso spirito del mio primo messaggio di fine anno, nel 2006, e di tutti quelli che l’hanno seguito. Cercherò cioè ancora una volta di interpretare ed esprimere sentimenti e valori condivisi, esigenze e bisogni che riflettono l’interesse generale del paese. Guardando sempre all’unità nazionale come bene primario da tutelare e consolidare.In questo spirito ho operato finora, secondo il ruolo attribuito dalla Costituzione al Presidente della Repubblica. Anche e ancor più in questo momento, alla vigilia di importanti elezioni politiche, non verranno da me giudizi e orientamenti di parte, e neppure programmi per il governo del paese, per la soluzione dei suoi problemi, che spetta alle forze politiche e ai candidati prospettare agli elettori.
Muoverò piuttosto dal bisogno che avverto di una considerazione più attenta e partecipe della realtà del paese, e di una visione di quel che vorremmo esso diventasse nei prossimi anni.

Parlo innanzitutto di una realtà sociale duramente segnata dalle conseguenze della crisi con cui da quattro anni ci si confronta su scala mondiale, in Europa e in particolar modo in Italia. Da noi la crisi generale, ancora nel 2012, si è tradotta in crisi di aziende medie e grandi (e talvolta, dell’economia di un’intera regione, come ho constatato da vicino in Sardegna), si è tradotta in cancellazione di piccole imprese e di posti di lavoro, in aumento della Cassa Integrazione e della disoccupazione, in ulteriore aggravamento della difficoltà a trovare lavoro per chi l’ha perduto e per i giovani che lo cercano. Per effetto di tutto ciò, e per il peso delle imposte da pagare, per l’aumento del costo di beni primari e servizi essenziali, “è aumentata l’incidenza della povertà tra le famiglie” – ci dice l’Istituto Nazionale di Statistica – specie “quelle in cui convivono più generazioni…. Complessivamente sono quasi due milioni i minori che vivono in famiglie relativamente povere, il 70 per cento dei quali è residente al Sud”.Ricevo d’altronde lettere da persone che mi dicono dell’impossibilità di vivere con una pensione minima dell’INPS, o del calvario della vana ricerca di un lavoro se ci si ritrova disoccupato a 40 anni.

Ma al di là delle situazioni più pesanti e dei casi estremi, dobbiamo parlare non più di “disagio sociale”, ma come in altri momenti storici, di una vera e propria “questione sociale” da porre al centro dell’attenzione e dell’azione pubblica. E prima ancora di indicare risposte, come tocca fare a quanti ne hanno la responsabilità, è una questione sociale, e sono situazioni gravi di persone e di famiglie, che bisogna sentire nel profondo della nostra coscienza e di cui ci si deve fare e mostrare umanamente partecipi. La politica, soprattutto, non può affermare il suo ruolo se le manca questo sentimento, questa capacità di condivisione umana e morale. Ciò non significa, naturalmente, ignorare le condizioni obbiettive e i limiti in cui si può agire – oggi, in Italia e nel quadro europeo e mondiale – per superare fenomeni che stanno corrodendo la coesione sociale.

Scelte di governo dettate dalla necessità di ridurre il nostro massiccio debito pubblico obbligano i cittadini a sacrifici, per una parte di essi certamente pesanti, e inevitabilmente contribuiscono a provocare recessione. Ma nessuno può negare quella necessità : è toccato anche a me ribadirlo molte volte. Guai se non si fosse compiuto lo sforzo che abbiamo in tempi recenti più decisamente affrontato : pagare gli interessi sul nostro debito pubblico ci costa attualmente – attenzione a questa cifra – più di 85 miliardi di euro all’anno, e se questo enorme costo potrà nel 2013 e nel 2014 non aumentare ma diminuire, è grazie alla volontà seria dimostrata di portare in pareggio il rapporto tra entrate e spese dello Stato, e di abbattere decisamente l’indebitamento. C’è stato cioè un ritorno di fiducia nell’Italia, hanno avuto successo le nuove emissioni di Buoni del Tesoro, si è ridotto il famoso “spread” che da qualche anno è entrato nelle nostre preoccupazioni quotidiane.

E’ dunque entro questi limiti che si può agire per affrontare le situazioni sociali più gravi. Lo si può e lo si deve fare distribuendo meglio, subito, i pesi dello sforzo di risanamento indispensabile, definendo in modo meno indiscriminato e automatico sia gli inasprimenti fiscali sia i tagli alla spesa pubblica, che va, in ogni settore e con rigore, liberata da sprechi e razionalizzata. Decisivo è, nello stesso tempo e più in prospettiva, far ripartire l’economia e l’occupazione non solo nel Centro-Nord ma anche nel Mezzogiorno ; cosa – quest’ultima – di cui poco ci si fa carico e perfino poco si parla nei confronti e negl’impegni per il governo del paese.Uscire dalla recessione, rilanciare l’economia, è possibile per noi solo insieme con l’Europa, portando in sede europea una più forte spinta e credibili proposte per una maggiore integrazione, corresponsabilità e solidarietà nel portare avanti politiche capaci di promuovere realmente, su basi sostenibili, sviluppo, lavoro, giustizia sociale. L’Italia non è un paese che possa fare, nel concerto europeo, da passivo esecutore ; è tra i paesi che hanno fondato e costruito l’Europa unita, e ha titoli e responsabilità per essere protagonista di un futuro di integrazione e democrazia federale, che è condizione per contare ancora, tutti insieme, nel mondo che è cambiato e che cambia.Guardiamo dunque a questa prospettiva. Sta per iniziare un anno ancora carico di difficoltà. Non ci nascondiamo la durezza delle prove da affrontare, ma abbiamo forti ragioni di fiducia negli italiani e nell’Italia. Più di un anno fa dissi a Rimini : si è nel passato parlato troppo poco “il linguaggio della verità”. Ma avere e dare fiducia “non significa alimentare illusioni, minimizzare o sdrammatizzare” i dati più critici della realtà : si recupera fiducia “guardandovi con intelligenza e con coraggio. Il coraggio della speranza, della volontà e dell’impegno”.

Ebbene, penso che una maturazione in questo senso ci sia stata, specialmente tra i giovani. Sono loro che hanno più motivi per essere aspramente polemici, nel prendere atto realisticamente di pesanti errori e ritardi, scelte sbagliate e riforme mancate, fino all’insorgere di quel groviglio ed intreccio di nodi irrisolti che pesa sull’avvenire delle giovani generazioni. I giovani hanno dunque ragioni da vendere nei confronti dei partiti e dei governi per vicende degli ultimi decenni, anche se da un lato sarebbe consigliabile non fare di tutte le erbe un fascio e se dall’altro si dovrebbero chiamare in causa responsabilità delle classi dirigenti nel loro complesso e non solo dei soggetti politici.

E che dire poi dell’indignazione che suscitano la corruzione in tante sfere della vita pubblica e della società, una perfino spudorata evasione fiscale o il persistere di privilegi e di abusi – nella gestione di ruoli politici ed incarichi pubblici – cui solo di recente si sta ponendo freno anche attraverso controlli sull’esercizio delle autonomie regionali e locali?Importante è che soprattutto tra i giovani si manifesti, insieme con la polemica e l’indignazione, la voglia di reagire, la volontà di partecipare a un moto di cambiamento e di aprirsi delle strade. Perché in fondo quel che si chiede è che si offrano ai giovani delle opportunità, ponendo fine alla vecchia pratica delle promesse o delle offerte per canali personalistici e clientelari. E opportunità bisogna offrire a quanti hanno consapevolezza e voglia di camminare con le loro gambe : bisogna offrirle soprattutto attraverso politiche pubbliche di istruzione e formazione rispondenti alle tendenze e alle esigenze di un più avanzato sviluppo economico e civile.
Prospettare una visione per il futuro delle giovani generazioni e del paese è importante fin da ora, senza limitarsi ad attendere che nella seconda metà del 2013 inizi una ripresa della crescita in Italia e adoperandosi perché si concretizzi e s’irrobustisca.
Ritengo si debba puntare a una visione innanzitutto unitaria, che abbracci l’intero paese, contando sulla capacità di tutte le forze valide del Mezzogiorno di liberarsi dalla tendenza all’assistenzialismo, dai particolarismi e dall’inefficienza di cui è rimasta assurdamente vittima la gestione dei fondi europei.
Più in generale, una rinnovata visione dello sviluppo economico non può eludere il problema del crescere delle diseguaglianze sociali. Si riconosce ormai, ben oltre vecchi confini ideologici, che esso è divenuto fattore di crisi e ostacolo alla crescita proprio nelle economie avanzate. Porre in primo piano quel problema diventa sempre più decisivo.
Nello stesso tempo, in momenti impegnativi di scelta come quello della imminente competizione elettorale è giusto guardare all’Italia che vorremmo nella pienezza dei suoi valori civili e culturali. E quindi come paese solidale che sappia aver cura dei soggetti più deboli, garantendoli dal timore della malattia e dell’isolamento, che sappia accogliere chi arriva in Italia per cercare protezione da profugo o lavoro da immigrato e offrendo l’apporto di nuove risorse umane per il nostro sviluppo. Paese, quindi, l’Italia, da far crescere aperto e inclusivo : già un anno fa, avevamo 420 mila minori extracomunitari nati in Italia – è concepibile che, dopo essere cresciuti ed essersi formati qui, restino stranieri in Italia? E’ concepibile che profughi cui è stato riconosciuto l’asilo vengano abbandonati nelle condizioni che un grande giornale internazionale ha giorni fa – amaramente per noi – documentato e denunciato?

Ripresa e rilancio dell’economia e avanzamento civile del paese non possono separarsi. Abbiamo norme e forze dello Stato seriamente dedicate alla lotta contro la criminalità organizzata, piaga gravissima non solo nel Mezzogiorno : ma occorre portare a fondo questo impegno facendo leva sull’apporto vigoroso di energie della società civile per spazzare via ogni connivenza e passività.Stiamo facendo, si deve dirlo, passi avanti nel campo dei rapporti e dei diritti civili. Così con la legge che ha sancito l’equiparazione tra i figli nati all’interno e al di fuori del matrimonio, e segnalato esigenze di ulteriore adeguamento del diritto di famiglia. O con le nuove normative di questi anni per contrastare persecuzioni e violenze contro le donne. Ho appena firmato la legge di ratifica della convenzione internazionale rivolta anche a combattere la violenza domestica: ma è impressionante, e richiede ancora ben altro, lo stillicidio di barbare uccisioni di donne nel nostro paese.

Più che mai dato persistente di inciviltà da sradicare in Italia rimane la realtà angosciosa delle carceri, essendo persino mancata l’adozione finale di una legge che avrebbe potuto almeno alleviarla. Saluto, tuttavia, con compiacimento il fatto che per iniziativa della Commissione parlamentare istituita in Senato si stia procedendo alla chiusura – cominciando dalla Sicilia – degli Ospedali psichiatrici giudiziari, autentico orrore indegno di un paese appena civile.

Ponte decisivo tra sviluppo economico e avanzamento civile è la valorizzazione, in tutti i suoi aspetti – a partire dal patrimonio naturale ed artistico – della risorsa cultura di cui è singolarmente ricca l’Italia. E’ stato un tema su cui mi sono costantemente speso in questi anni. Apprezzo i buoni propositi che ora si manifestano a questo riguardo, ma non dimentico le sordità e le difficoltà in cui mi sono imbattuto in questi anni a tutti i livelli. C’è qui un punto non secondario della riflessione e del cambiamento da portare avanti.Vorrei tornare, ma non ne ho il tempo – e quindi li richiamo solo per memoria – anche su altri motivi di mio costante impegno durante il settennato. La sicurezza sui luoghi di lavoro, come parte di una strategia di valorizzazione del lavoro, che è condizione anche per il successo di intese volte a elevare la produttività e competitività del nostro sistema economico. O il ruolo del capitale umano di cui disponiamo, e le sue potenzialità su cui ho insistito guardando soprattutto a risorse scarsamente impiegate o non messe in condizione di esprimersi pienamente. E ancora una volta cito l’esempio di ricercatori, in particolare donne e di giovane età, che hanno dato di recente prove straordinarie in centri di ricerca europei come il CERN di Ginevra o l’ESTEC dell’Aja o, con scarsi mezzi e molte difficoltà burocratiche, in Istituti di ricerca nazionali. E qui non posso non rivolgere un pensiero commosso e riconoscente alla grande figura di Rita Levi Montalcini, che tanto ha rappresentato per la causa della scienza, dell’affermazione delle donne, della libertà e della democrazia.

In conclusione, mi auguro che molte questioni da me toccate e soprattutto il senso di un’attenzione consapevole e non formale alle realtà e alle attese sociali e civili del paese, trovino posto nella competizione elettorale. Mi attendo che ci sia senso del limite e della misura nei confronti e nelle polemiche, evitando contrapposizioni distruttive e reciproche invettive. In special modo su tematiche cruciali ancora eluse in questa legislatura – riforme dell’ordinamento costituzionale, riforma della giustizia – non si può dimenticare che saranno necessari nel nuovo Parlamento sforzi convergenti, contributi responsabili alla ricerca di intese, come in tutti i paesi democratici quando si tratti di ridefinire regole e assetti istituzionali.
Non si è, con mio grave rammarico, saputo o voluto riformare la legge elettorale ; per i partiti, per tutte le formazioni politiche, la prova d’appello è ora quella della qualità delle liste. Sono certo che gli elettori ne terranno il massimo conto.

Al loro giudizio si presenteranno anche nuove offerte, di liste e raggruppamenti che si vanno definendo. L’afflusso, attraverso tutti i canali, preesistenti e nuovi, di energie finora non rivoltesi all’impegno politico può risultare vitale per rinnovare e arricchire la nostra democrazia, dare prestigio e incisività alla rappresentanza parlamentare. Il voto del 24-25 febbraio interverrà a indicare quali posizioni siano maggiormente condivise e debbano guidare il governo che si formerà e otterrà la fiducia delle Camere.
Il senatore Monti ha compiuto una libera scelta di iniziativa programmatica e di impegno politico. Egli non poteva candidarsi al Parlamento, facendone già parte come senatore a vita. Poteva, e l’ha fatto – non è il primo caso nella nostra storia recente – patrocinare, dopo aver presieduto un governo tecnico, una nuova entità politico-elettorale, che prenderà parte alla competizione al pari degli altri schieramenti. D’altronde non c’è nel nostro ordinamento costituzionale l’elezione diretta del primo ministro, del capo del governo.

Il Presidente del Consiglio dimissionario è tenuto – secondo una prassi consolidata – ad assicurare entro limiti ben definiti la gestione degli affari correnti, e ad attuare leggi e deleghe già approvate dal Parlamento, nel solco delle scelte sancite con la fiducia dalle diverse forze politiche che sostenevano il suo governo. Il Ministro dell’Interno garantirà con assoluta imparzialità il corretto svolgimento del procedimento elettorale.
Le elezioni parlamentari sono per eccellenza il momento della politica. Un grande intellettuale e studioso italiano del Novecento, Benedetto Croce, disse, all’indomani della caduta del fascismo : “Senza politica, nessun proposito, per nobile che sia, giunge alla sua pratica attuazione”. E ancor prima aveva scritto, guardando all’ormai vicina rinascita della democrazia : “i partiti politici in avvenire si combatteranno a viso scoperto e lealmente… e nel bene dell’Italia troveranno di volta in volta il limite oltre il quale non deve spingersi la loro discordia”. L’insegnamento è anche oggi ben chiaro : il rifiuto o il disprezzo della politica non porta da nessuna parte, è pura negatività e sterilità. La politica non deve però ridursi a conflitto cieco o mera contesa per il potere, senza rispetto per il bene comune e senza qualità morale.

Con queste parole, mi congedo da voi. Ho per ormai quasi sette anni assolto il mio compito – credo di poterlo dire – con scrupolo, dedizione e rigore. Ringrazio dal profondo del cuore tutte le italiane e gli italiani, di ogni generazione, di ogni regione, e di ogni tendenza politica, che mi hanno fatto sentire il loro affetto e il loro sostegno.
A voi tutti, buon 2013!



22 dicembre Crisi di Governo

Il 22 dicembre il Presidente della Repubblica, consultati i presidenti dei gruppi parlamentari a seguito delle dimissioni del governo, dopo aver sentito i Presidenti dei due rami del Parlamento, ai sensi dell’articolo 88 della Costituzione, firma il decreto di scioglimento del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati. Il Consiglio dei Ministri stabilisce che le elezioni politiche si svolgeranno nei giorni di domenica 24 e lunedì 25 febbraio 2013, mentre la prima riunione delle Camere avrà luogo il giorno venerdì 15 marzo 2013.

Il 21 dicembre il Presidente del Consiglio, dopo aver comunicato al CdM la propria intenzione di dimettersi, recatosi al Quirinale, ha rassegnato le sue dimissioni.

Di seguito il comunicato stampa del Quirinale:

“Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha ricevuto oggi alle ore 19.00 al Palazzo del Quirinale il Presidente del Consiglio dei Ministri, senatore Mario Monti, il quale, essendosi concluso l’iter parlamentare di esame e di approvazione della legge di stabilità e del bilancio di previsione dello Stato, ha rassegnato le dimissioni del governo da lui presieduto, già preannunciate come irrevocabili secondo quanto risulta dal comunicato diramato dal Quirinale l’8 dicembre scorso”. Lo ha detto il Segretario generale della Presidenza della Repubblica, Donato Marra, al termine dell’incontro tra il Capo dello Stato e il Presidente del Consiglio.
“Il Presidente della Repubblica – ha continuato il Segretario Marra – ha preso atto delle dimissioni e ha invitato il governo a rimanere in carica per il disbrigo degli affari correnti. Il Capo dello Stato consulterà i Presidenti dei gruppi parlamentari nella giornata di domani”.

Nel corso della seduta dell’11 dicembre il Presidente del Consiglio riferisce al Consiglio dei Ministri dell’incontro che ha avuto con il Capo dello Stato sabato 8 dicembre e delle ragioni che lo hanno condotto ad annunciare l’intenzione di rassegnare le dimissioni dopo aver verificato se è possibile approvare in tempi brevi le leggi di stabilità e di bilancio. Tutti i Ministri si sono dichiarati concordi su tale passo alla luce dell’evoluzione politica manifestatasi venerdì scorso alla Camera dei Deputati.

L’8 dicembre 2012, il Presidente del Consiglio, preso atto dell’esito dei colloqui intercorsi tra il Presidente della Repubblica con i rappresentanti delle forze politiche che avevano dall’inizio sostenuto il Governo e con i Presidenti del Senato e della Camera, dichiara che, approvate in tempi brevi le leggi di stabilità e di bilancio, sentito il Consiglio dei Ministri, provvederà a formalizzare le sue irrevocabili dimissioni.

Di seguito il comunicato stampa del Quirinale:

Il Presidente del Consiglio intende rassegnare le dimissioni dopo aver verificato se è possibile approvare in tempi brevi le leggi di stabilità e di bilancio

(Quirinale, 8 dicembre 2012) Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha stasera ricevuto al Quirinale il Presidente del Consiglio dei Ministri, Senatore Mario Monti.
Il Presidente della Repubblica ha prospettato al Presidente del Consiglio l’esito dei colloqui avuti con i rappresentanti delle forze politiche che avevano dall’inizio sostenuto il Governo e con i Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati.
Il Presidente del Consiglio ha dal canto suo rilevato che la successiva dichiarazione resa ieri in Parlamento dal Segretario del PdL on. Angelino Alfano costituisce, nella sostanza, un giudizio di categorica sfiducia nei confronti del Governo e della sua linea di azione.
Il Presidente del Consiglio non ritiene pertanto possibile l’ulteriore espletamento del suo mandato e ha di conseguenza manifestato il suo intento di rassegnare le dimissioni. Il Presidente del Consiglio accerterà quanto prima se le forze politiche che non intendono assumersi la responsabilità di provocare l’esercizio provvisorio – rendendo ancora più gravi le conseguenze di una crisi di governo, anche a livello europeo – siano pronte a concorrere all’approvazione in tempi brevi delle leggi di stabilità e di bilancio. Subito dopo il Presidente del Consiglio provvederà, sentito il Consiglio dei Ministri, a formalizzare le sue irrevocabili dimissioni nelle mani del Presidente della Repubblica.

20 dicembre Variazioni Bilancio in CdM

Il Consiglio dei Ministri, nel corso della riunione del 20 dicembre 2012, approva la seconda “Nota di variazioni” al bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2013 e al bilancio pluriennale per il triennio 2013-2015. Tale Nota è stata preparata al fine di recepire gli effetti degli emendamenti al disegno di legge di stabilità 2013 nonché al progetto di bilancio, approvati dal Senato della Repubblica in sede di seconda lettura.

Il Consiglio dei Ministri, nel corso della riunione del 22 novembre 2012, approva la “Nota di variazioni” al bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2013 e per il triennio 2013-2015.
La nota recepisce gli effetti del disegno di legge di stabilità 2013, approvato dalla Camera dei Deputati.

Le misure previste dal disegno di legge di stabilità 2013 comprendono, tra le altre, le innovazioni apportate alla legislazione vigente in attuazione delle disposizioni di revisione della spesa pubblica, relativamente alle spese dei Ministeri (come prevede il decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, dalla legge n. 135 del 2012).

Le modifiche apportate al disegno di legge di bilancio 2013 con la “Nota di Variazioni” conseguono agli emendamenti al disegno di legge di stabilità approvati dalla V Commissione Bilancio della Camera dei Deputati (emendamenti che hanno determinato una ricomposizione delle voci di entrata e di spesa senza però alterare sostanzialmente l’ammontare complessivo della manovra).

In totale, gli interventi contenuti nel disegno di legge di stabilità 2013 comportano, in termini di saldo netto da finanziare, un miglioramento di 1,9 miliardi di euro nel 2013 e 340 milioni nel 2014 rispetto al disegno di legge di bilancio a legislazione vigente. Gli stessi interventi determinano invece una riduzione del saldo di bilancio dello Stato per circa 6 miliardi nel 2015, soprattutto per effetto delle maggiori risorse stanziate per il finanziamento degli interventi in conto capitale co-finanziati dalla UE. Sul risparmio pubblico, le misure del disegno di legge di stabilità determinano un miglioramento in ciascuno degli anni di previsione rispettivamente di 1,6 miliardi, 1,3 miliardi e 1,9 miliardi di euro nel 2013, 2014 e 2015.

Con riferimento alle entrate tributarie, le disposizioni introdotte comportano, in termini di saldo netto da finanziare, un minore gettito nel 2013 di circa 754 milioni di euro mentre, nel biennio successivo, gli effetti finanziari sono di segno positivo e ammontano a 1.439 e a 2.204 milioni di euro rispettivamente nel 2014 e nel 2015. Per le altre entrate, gli effetti delle misure approvate dalla Camera dei Deputati generano un incremento di 554 milioni di euro nel 2013 e di circa 512 milioni di euro in ciascuno degli anni 2014 e 2015. Complessivamente, gli effetti finanziari apportati dal disegno di legge di stabilità 2013 comportano una variazione negativa delle entrate finali nel 2013, pari a circa 200 milioni di euro, e una variazione positiva nel biennio successivo, pari a 1.951 milioni di euro e a 2.716 milioni di euro, rispettivamente nel 2014 e nel 2015.

Gli interventi sulla spesa determinano, nel complesso, un incremento di circa 1,1 miliardi nel 2013, 2,8 miliardi nel 2014 e 9,8 miliardi nel 2015.

10 dicembre DL Province al Senato

Il 10 dicembre, la 1a Commissione – Affari Costituzionali – del Senato, in sede referente per l’esame del Disegno di Legge di conversione del decreto-legge 5 novembre 2012, n. 188, recante disposizioni urgenti in materia di Province e Città metropolitane, considerati gli emendamenti e subemendamenti presentati, sui quali sarebbe utile acquisire il parere della Commissione bilancio e, tenuto conto, dell’evoluzione del contesto politico, con procedure istituzionali che condizionano la conclusione della legislatura, delibera di riferire al Presidente del Senato le difficoltà che la Commissione incontra a concludere l’esame in tempo utile affinché il Senato possa trasmettere il provvedimento all’altro ramo del Parlamento ai fini della conversione in legge.

30 novembre DLvo certificazione competenze in CdM

Il Consiglio dei Ministri, nel corso della riunione del 30 novembre, approva, in via preliminare, un Decreto Legislativo relativo alla Definizione delle norme generali e dei livelli essenziali delle prestazioni per l’individuazione e validazione degli apprendimenti non formali e informali e degli standard minimi di servizio del sistema nazionale di certificazione delle competenze, a norma dell’articolo 4, commi 58 e 68, della legge n. 92 del 2012

SISTEMA NAZIONALE DI CERTIFICAZIONE DELLE COMPETENZE

Su proposta dei Ministri del lavoro e delle politiche sociali e dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con gli altri Ministri competenti, il Consiglio dei Ministri ha approvato, in via preliminare, un provvedimento sul Sistema nazionale di certificazione delle competenze, in attuazione della riforma del mercato del lavoro per la crescita (legge n. 92 del 2012).

L’Italia dimostra così di rispondere alle sollecitazioni rivolte dall’Unione europea ai Paesi membri perché, in un periodo di crisi economica globale, si dotino degli strumenti legislativi che consentano al maggior numero di persone, in particolare ai giovani in cerca di prima occupazione e ai giovani NEET, di far emergere e far crescere il grande capitale umano rappresentato dalle competenze che le persone acquisiscono in contesti non formali e informali, soprattutto sul lavoro, nella vita quotidiana e nel tempo libero. Questo patrimonio è ancora sommerso in Italia, a differenza di altri Paesi dell’Ue.

La certificazione delle competenze comunque maturate dalle persone è considerata dall’Ue un elemento strategico di innovazione e valorizzazione del patrimonio culturale e professionale delle persone, per la crescita sociale ed economica di ogni Paese. Anche per la flexicurity.

Il provvedimento contiene norme generali e livelli essenziali delle prestazioni riguardanti:

– l’individuazione e la validazione degli apprendimenti acquisiti dalle persone, in modo intenzionale, in contesti non formali – ovvero al di fuori delle istituzioni scolastiche e formative e dell’università – nelle imprese, nel volontariato, nel servizio civile nazionale, nel privato sociale e, in contesti informali, ovvero nella vita quotidiana e nel tempo libero;

– la struttura del sistema nazionale di certificazione delle competenze, con l’indicazione dei soggetti pubblici che ne fanno parte, con funzioni di regolamentazione dei relativi servizi negli ambiti di propria competenza (“Enti titolari”), e dei soggetti pubblici e privati autorizzati o accreditati (“enti titolati”) per l’erogazione di tali servizi;

– l’istituzione del Repertorio nazionale dei titoli di istruzione e formazione e delle qualificazioni professionali, accessibile e consultabile per via telematica. La mancanza del repertorio ha costituito, sino ad oggi, un grave problema anche per l’orientamento dei giovani e degli adulti;

– gli standard degli attestati e dei certificati, in modo che essi siano spendibili a livello nazionale e dell’Ue (cosa che oggi avviene solo per i titoli di studio e per le abilitazioni professionali relative a professioni regolamentate);

– gli standard delle procedure di identificazione, valutazione e attestazione delle competenze;

– gli standard di sistema (misure di informazione, requisiti professionali degli operatori, accesso agli atti, ecc.);

– la dorsale informativa unica che assicurerà a ogni persona, attraverso l’interoperabilità dei sistemi informativi, di avere, in rete, “lo zainetto” digitale delle sue competenze;

– il monitoraggio e la valutazione del sistema nazionale di certificazione delle competenze.

Il provvedimento completa un “pacchetto di innovazioni” per innalzare i livelli di istruzione e formazione delle persone adulte che, entro il mese di dicembre, sarà trasmesso alla Conferenza Stato-Regioni, città e Autonomie locali, comprendente anche uno specifico accordo per l’orientamento permanente degli adulti, e un’intesa per la costruzione di reti territoriali per l’apprendimento permanente, di cui faranno parte scuole, università, centri territoriali per l’istruzione degli adulti, camere di Commercio, industria, artigianato e agricoltura, imprese e loro rappresentanze datoriali e sindacali.